Abbacchio Romano IGP

PaesidelGusto  | 10 Feb 2019  | Tempo di lettura: 5 minuti

L’abbacchio romano IGP è un prodotto tradizionale della cucina laziale, che viene realizzato tramite la macellazione di giovanissimi esemplari di pecore, altrimenti detti anche “agnelli da latte”.

La ritualità dell’uso dell’abbacchio in cucina è particolarmente legata al menù pasquale.

Descrizione

La denominazione di abbacchio romano è riservata esclusivamente agli agnelli, maschi o femmine, nati e allevati allo stato brado e semibrado, di razza Sarda, Comisana, Sopravissana, Massese, Merinizzata Italiana e relativi incroci.

La carne dell’Abbacchio Romano, messa in commercio secondo differenti tagli (intero, mezzena, spalla e coscio, costolette, testa e coratella), presenta un colore rosa chiaro con grasso di copertura bianco, tessitura fine, consistenza compatta, leggermente infiltrata di grasso, sapore delicato con odori tipici di una carne giovane e fresca.

Caratteristica distintiva dell’Abbacchio Romano è data dalla scarsa presenza di grasso sia di copertura che infiltrato.

Zona di produzione dell’abbacchio romano

L’areale di produzione dell’abbacchio romano comprende l’intero territorio della regione Lazio che grazie alla natura dei rilievi (monti calcarei e vulcanici, colline, pianure alluvionali), a una temperatura media annuale variabile tra 13 – 16 °C, alle precipitazioni annuali (comprese tra valori minimi di 650 mm, lungo la fascia litoranea, di 1.000-1.500 mm, nelle pianure interne fino ai 1.800-2.000 mm, in corrispondenza del Terminillo e dei Simbruini), permette di sfruttare le condizione migliori per l’allevamento degli ovini, senza provocare alcuno stress agli animali.

I fattori naturali consentono alle pecore “madri” di utilizzare i prati naturali e prati-pascolo, in modo da conferire particolari qualità al latte destinato all’alimentazione degli agnelli e, di conseguenza, alla carne, determinando un sinergismo eccezionalmente favorevole oltre che per la qualità anche per l’omogeneità dei suoi caratteri.

Cenni storici sull’abbacchio romano

Abbacchio è il termine romanesco indicante l’agnello giovane, lattante, macellato per la vendita, che conserva, nella storia della cucina romana e laziale, un ruolo fondamentale.

Dal vocabolario romanesco di Chiappini ricaviamo che si chiama abbacchio il figlio della pecora ancora lattante o da poco slattato; agnello, invece, il figlio della pecora presso a raggiungere un anno di età e già due volte tosato.

È una denominazione, questa, esclusivamente laziale, tanto che, continua il Chiappini, “a Firenze non si fa distinzione, l’uno e l’altro si chiamano agnello”. Gli antichi romani preferivano il capretto ma, per Giovenale, l’agnello giovanissimo era: “… il più tenero del gregge, vergine d’erba, più di latte ripieno che di sangue …”. Il Foro Romano, divenuto nel XV secolo Campo Vaccino in quanto sede del mercato del bestiame, è il luogo in cui, già dal 300, si teneva il mercato degli abbacchi, degli agnelli, dei castrati e delle pecore.

I papi, dopo la caduta dell’Impero Romano, vietarono alle pecore di pascolare in tutta la Campagna Romana, prima di Sant’Angelo di settembre (29 settembre) ed imposero l’uscita da tutto il territorio, a Sant’Angelo di maggio (3 maggio), quindi il bestiame si rimetteva in movimento per raggiungere i freschi pascoli degli Appennini e sfuggire alla calura estiva. Il mercato della carne di agnello e di castrato, divenuto un grosso affare, era regolato da norme severissime, come la dogana, la grascia per il commercio delle carni, l’annona, editti e gabelle.

In un editto datato 17 ottobre 1768, firmato dal Cardinale Carlo Rezzonico, Cardinale Camerlengo di Santa Romana Chiesa, emanato per regolare la vendita degli abbacchi “… dalle solite angherie, monopoli, ed inganni de’ rivenditori o siano comunemente chiamati bagarini”, i pecorai dovevano attenersi a vendere abbacchi interi esclusivamente nelle piazze e nei luoghi pubblici di Roma. Abbacchi interi ma non “minori di libbre sei, né abortivi, né morticini”, altrimenti sarebbero state imposte loro pene pecuniarie.

Tutto doveva svolgersi alla luce del giorno ed i bagarini che tentassero di fare incetta di abbacchi, venivano condannati a 3 tratti di corda, così pure per gli incettatori e i loro complici. Per scovarli si ricorreva persino alla spiata con ricompensa, per cui all’accusatore sarebbe andata metà della pena pecuniaria e del valore delle merci sequestrate.

Padre Zappata, nel suo saggio sull’abbacchio, tratto dal volume «Roma che se va», del 1885, descrive le lotte ingaggiate nei secoli precedenti, tra mercanti di campagna che intendevano abbacchiare (uccidere gli abbacchi) ed il governo pontificio che intendeva quanto meno frenare o addirittura proibire l’iniziativa, dal mese di settembre fino alla settimana di passione.

Il consumo di abbacchio era considerevole nel corso della cosiddetta “agnellatura”, ossia la macellazione dei capi da uno a sei mesi di età che si teneva nel periodo compreso tra Pasqua e tiugno. Nell’agro romano, in occasione dell’abbacchiatura (uccisione degli abbacchi) e della carosa (tosatura), i pastori usavano banchettare con la pagliatella, cioè la carne più grassa dell’intestino dell’abbacchio, cotta alla brace, e la pezzata o sponsata, ossia carne di pecora tagliata a pezzi, con l’aggiunta di lardo e cipolla cotta a cardarello (fuoco) vivace.

Altri preparati tradizionali che hanno come ingrediente principale la carne di abbacchio sono le animelle, i granelli e tutte le altre regaglie (milza, fegato ed intestino tagliato a pezzi) da cucinare in padella e la mucischia o mususchia, carne spolpata ed essiccata al sole, simile a coppiette che, un tempo, i pecorai portavano con sé durante la transumanza.

A Roma la stagione degli abbacchi comincia in autunno e finisce in primavera. Quella degli agnelli dura tutta la primavera, comincia a Pasqua e finisce a San Giovanni (24 giugno).

Metodo di produzione

L’agnello da latte, o abbacchio romano che dir si voglia, è nutrito con latte materno, tuttavia, è prevista l’integrazione pascolativa con alimenti naturali ed essenze spontanee. Le pecore “madri” usufruiscono di pascoli naturali, prati-pascolo ed erbai tipici della Regione Lazio anche se è ammesso il ricorso all’integrazione con foraggi secchi e con concentrati, escludendo l’utilizzo di sostanze di sintesi e di organismi geneticamente modificati.

Il pascolo può essere naturale e casuale, ma, talvolta, il pastore coltiva erbai che fa pascolare a rotazione a causa della discontinuità vegetativa dei pascoli naturali che non consente una disponibilità costante di foraggio. Agnelli e pecore “madri” non devono essere soggetti a forzature alimentari, a stress ambientali e/o sofisticazioni ormonali, finalizzate ad incrementare la produzione.

Nel periodo estivo si pratica la tradizionale monticazione. Questa pratica permette all’animale di sfuggire alla calura estiva, e alle pecore “madri” di nutrirsi di foraggi freschi. In queste condizioni, le pecore “madri” non sottoposte a nessuno stress ambientale e nutrizionale, influenzano positivamente, con il loro latte, la qualità della carne dell’Abbacchio Romano.

Entro dieci giorni dalla nascita, gli agnelli sono identificati mediante apposizione sull’orecchio sinistro di una fascetta o bottone auricolare contenente sul fronte il codice di identificazione dell’allevamento, completo di lettere e cifre e, sul retro, il numero progressivo del capo. Gli agnelli vengono macellati ad un’età variabile tra i 28-40 giorni, ad un peso morto che può raggiungere gli 8 kg. La macellazione avviene entro 24 ore dal conferimento al mattatoio.

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