Gli amaretti sono dei biscotti leggeri, prodotti in moltissime località del Piemonte, ma soprattutto nel Piemonte sud-orientale. Sono dolci antichissimi di cui rivendicano la paternità, oltre al Piemonte, anche la Liguria, l’Emilia Romagna e la Sicilia.
Sono composti da pochi e semplici ingredienti: zucchero, mandorle, armelline e bianco d’uovo, e ne esistono in versione “morbida ” e “secca”.
Gli amaretti sono diffusi in pratica su tutto il territorio italiano.
La traccia più antica di produzione pare risalga al 1798, quando vennero per primi realizzati da un pasticcere di Mombaruzzo, Francesco Moriondo, operante sul territorio già del 1792; da allora il paese vanta le origini del prodotto.
Certamente sono presenti nel “trattato di Cucina” Vialardi, del 1854, perfettamente codificati come “marzapani” e in subordine chiamati amaretti; ma prima ancora, con ricetta simile, sono sul “Cuoco Piemontese, Ridotto all’ultimo Gusto” del 1843.
Gli Amaretti di Valenza compaiono nell’Archivio storico del Comune di Valenza a proposito di un premio che fu loro assegnato nel 1898 all’Esposizione Nazionale di Torino.
Gli Amaretti di Acqui erano poi prodotti con una varietà autoctona di mandorle, le “Saccarelle” ormai oggetto di ricerca per un possibile recupero.
Gli amaretti sono presenti nel ricettario di Ferdinando Cavazzoni, credenziere di casa Molza e nel ricettario Melloni 1886, ripostiere della corte di Modena, oltre che in numerose altre pubblicazioni più recenti.
Gli amaretti sono inoltre prodotti a Gallarate (Lombardia), a Guarcino (Lazio) e a Sassello (Liguria).
Nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Emilia Romagna si indica la produzione nella Provincia di Forlì-Cesena e in Romagna. Si producono perlomeno anche nella provincia di Modena.
Gli amaretti sono prodotti in quasi tutto il Piemonte. Sono particolarmente rinomati quelli di Mombaruzzo (AT), Valenza (AL), Acqui (AL), Gavi (AL), Castellamonte (TO), Orta San Giulio (NO) e Ovada (AL). Sono comunque prodotti da quasi tutte le pasticcerie e da molte panetterie.
Mandorle dolci, mandorle amare, albume e zucchero. Ingredienti facoltativi: miele in parziale sostituzione dello zucchero, conservante: acido sorbico, potassio sorbato.
Nei paragrafi a seguire sono riportate alcune ricette storiche degli amaretti, secondo il Tonelli e l’Artusi.
L’albume di quattro uova, secondo una ricetta, veniva montato a neve con un po’ di zucchero. Dentro si mettevano tre etti di mandorle, solitamente spellate e tritate fini, più una quindicina di semi amari e un cucchiaio di farina. Il miscuglio, indurito, si calava in teglia, precedentemente unta di strutto e spolverata di farina. La cottura poteva avvenire nel forno del pane, o in quello della stufa.
Cfr. Vittorio Tonelli, A Tavola con il contadino romagnolo, 1986 Grafiche Galeati
La ricetta è tratta da La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, introduzione e note di Piero Camporesi, Torino, Einaudi, 1995
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco, poi tritatele finissime con la lunetta. Lavorate col mestolo lo zucchero e le chiare per mezz’ora almeno, e aggiungete le mandorle per formarne una pasta soda in modo da farne delle pallottole grosse quanto una piccola noce; se riuscisse troppo morbida aggiungete altro zucchero e se troppo dura un’altra po’ di chiara, questa volta montata. Se vi piacesse dare agli amaretti un colore tendente al bruno, mescolate nel composto un po’ di zucchero bruciato.
Via via che formate le dette pallottole, che stiaccerete alla grossezza di un centimetro, ponetele sopra le ostie, o sopra pezzetti di carta, oppure in una teglia unta col burro e spolverizzata di metà farina e metà zucchero a velo; ma a una discreta distanza l’una dall’altra perché si allargano molto e gonfiano, restando vuote all’interno.
Cuocetele in forno a moderato calore.
Eccovi un’altra ricetta di amaretti che giudico migliori dei precedenti e di più facile esecuzione. È tratta da La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, introduzione e note di Piero Camporesi, Torino, Einaudi, 1995
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco; poi pestatele fini nel mortaio con una chiara versata in più volte. Fatto questo mescolateci la metà dello zucchero, mantrugiando il composto con una mano. Dopo versatelo in un vaso e, mantrugiando sempre perché s’incorpori, aggiungete una mezza chiara, poi l’altra metà dello zucchero e appresso l’ultima mezza chiara.
Otterrete, così lavorato, un impasto omogeneo e di giusta consistenza che potrete foggiare a bastone per tagliarlo a pezzetti tutti uguali. Prendeteli su a uno a uno con le mani bagnate alquanto per formarne delle pallottole grosse come le noci. Stiacciatele alla grossezza di un centimetro e pel resto regolatevi come per i precedenti, ma spolverizzateli leggermente di zucchero a velo prima di metterli in forno a calore ardente, e dico forno perché il forno da campagna non sarebbe al caso per questa pasta.
Con questa dose otterrete una trentina di amaretti.
Pesce crudo si, ma niente sushi: è la vera capitale della cultura del crudo di ...
Immaginate di scendere una breve collina per trovarvi improvvisamente di fronte a ...
«Se dovessi scegliere la mia ultima cena, sicuramente la focaccia di Recco sarebbe ...
È famosa anche per le sue splendide terme, tanto che anche Dante le descrive nella ...
©
2024 Valica Spa. P.IVA 13701211008 | Tutti i diritti sono riservati.
Per la pubblicità su questo sito
Fytur