Cappelletti

PaesidelGusto  | 23 Mag 2019  | Tempo di lettura: 3 minuti

cappelletti sono un particolare tipo di pasta ripiena diffuso tra l’Emilia Romagna e le Marche. Generalmente vengono associati alla tradizione culinaria ferrarese, alla quale appartengono anche prodotti come la salama da sugo e il pampapato.

Parimenti, però, sono diffusi nelle province di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Ravenna e Forlì e nelle Marche centro-settentrionali. Il caplit (questo il nome ferrarese) si distingue dal tortellino per la maggiore dimensione e spessore della sfoglia.

Rispetto a Ferrara, poi, non vanno confusi con i cappellacci, che sono più grandi e vengono riempiti generalmente con la zucca. Questi ultimi, dal 2016, si fregiano del titolo di Indicazione Geografica Protetta.

Cappelletti: come si fanno

Il ripieno

La preparazione del ripieno dei cappellacci richiede generalmente l’uso di carne tritata. Come evidenziato di seguito, le fonti storiografiche e gastronomiche sono discorsi rispetto alla sussistenza di una singola ricetta.

Volendo dare un’evidenza singola e ripetibile, possiamo accettare come buona la variante con l’impiego di maiale, petto di pollo e vitello, rigorosamente tritati. Questi vengono lavorati a guisa di ragù, aggiungendo cipolle, sedano e carote. Il tutto viene poi arricchito con sale, pepe, uova e noce moscata.

Si ottiene così il ripieno, da riporre tra due strati di sfoglia fresca.

Il brodo

La preparazione del brodo di carne per i cappelletti è, anch’essa, suscettibile di varianti regionali e/o familiari. Generalmente si preferisce la carne bovina (spalla, ossi e biancostato), da far lessare insieme agli “odori” (sedano, carote e cipolle) e al pomodoro.

La cottura del brodo è particolarmente lunga: generalmente bastano 2 ore, ma nulla vieta – soprattutto a seconda della quantità – di proseguirne la cottura fino a 4-5 ore.

È consigliato poi, a fine cottura e prima di impiegarlo, filtrarlo per eliminare il grasso in eccesso e le impurità, ottenendo così un liquido dorato gustoso e versatile.

L’origine dei cappelletti

Per quanto concerne il complesso della cucina emiliana, una prima e riscontrabile evidenza dei cappelletti è del 1556, a opera di Messisbugo. Questi, cuoco personale di Alfonso I d’Este, codifica alcuni dei punti cardine della ricetta. Si parte dal batù, o battuto, con carni di pollo, maiale, vitello e manzo. Si aggiungono guanciale, cotechino, parmigiano, uova e noce moscata.

Il risultato di questo battuto è poi racchiuso all’interno di una sfoglia, quest’ultima senza specifiche differenze rispetto alla ricetta canonica. La ricetta riportata in Vademecum della gastronomia tipica ferrarese I edizione- dicembre 1970 è quella scritta nel 1500 da Messer Cristoforo Messisburgo, grande maestro di cucina e di tavola del Duca d’Este.

In Romagna, per contro, le fonti sono più recenti ma sottolineano la grande varietà di ricette diffuse sul territorio. Per Giovanni Manzoni da Lugo se contano ben sette, per l’Artusi la più importante è a base di cappone e ricotta. Nel riminese, addirittura, storicamente si preferiva il solo formaggio, mentre a Imola si usava la carne.

La variante: i cappelletti umbri

In Umbria è diffusa una variante di cappelletti che si differenzia da quella emiliano-romagnola per alcuni fattori. Tra questi l’uso di un ripieno fatto con carni miste di maiale, pollo, vitello e tacchino. Il tutto viene fatto cuocere sotto forma di brodo, e lavorato poi per ottenere il “contenuto” per la sfoglia.

Mentre la variante ferrarese prevede due passaggi per la cottura della carne e del brodo, qui l’una è funzionale all’altra.

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