Carciofo violetto di S. Erasmo

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019  | Tempo di lettura: 3 minuti

Territorio interessato alla produzione: Prodotto nelle isole S. Erasmo, Vignole, e Mazzorbo, Cavallino-Treporti, nella zona dell’estuario lagunare e in alcune aree del Comune di Chioggia (VE)

La storia: Il carciofo è un antico prodotto orticolo, tipicamente mediterraneo, presente allo stato spontaneo nelle zone più calde. Veniva mangiato comunemente sin dal tempo degli Egizi ed era molto apprezzato anche dai Romani. Notizie certe sulla sua coltivazione nella penisola italica si hanno dal XV secolo, quando dalla zona di Napoli la coltura del carciofo si estese prima in Toscana e poi in altre zone dal clima favorevole. Essa infatti esige un clima mite, buona disponibilità idrica ma senza ristagni, terreni sostanzialmente sciolti. La laguna veneziana costituisce quindi l’unica possibilità produttiva nell’Italia del Nord Est, una opportunità ambientale e una naturale predisposizione culturale che la tradizionale sensibilità della Serenissima nei confronti dell’area “mediterranea” non poteva ignorare. I primi elementi documentali segnalano il carciofo a Venezia già nel 1500 e gli atti del catasto austriaco di inizio Ottocento ci danno conferma dell’esistenza di questa coltura rinomata e importante.

Descrizione del prodotto: Il carciofo appartiene alla specie Cynara Scolymus L. (famiglia composite, sottofamiglia tubiflore). Le varietà coltivate nel nostro paese sono sostanzialmente riconducibili a quattro tipologie, ma quella che si coltiva nella gronda lagunare veneziana appartiene alla varietà violetto livornese. Essa presenta delle caratteristiche peculiari dovute probabilmente al terreno di coltivazione e al particolare microclima delle aree in cui cresce. Presenta una colorazione violetta intensa, una forma tronco conica e delle brattee ben serrate con una piccola spina apicale. Lo stelo si presenta di una lunghezza di circa 15 cm, generalmente con foglie, e reciso con un taglio netto e perpendicolare. I capolini prodotti in una stessa annata da un’unica pianta hanno epoche di raccolta, dimensioni e caratteristiche merceologiche diverse e sono tradizionalmente indicati con termini dialettali caratteristici. Il capolino principale viene chiamato “castraura”, seguono nell’ordine “botoi”, “sotobotoi” e “massete”.

Processo di produzione: A seconda del fatto che la semina sia fatta per seme o per via agamica (in cui viene piantato un carduccio, cioè una parte di pianta provvista di gemma), l’impianto avviene in autunno o in primavera. Nei primi stadi della ripresa vegetativa si eseguono diverse lavorazioni al terreno. In autunno si provvede alla rincalzatura delle singole piante (fare le “motte”) e in primavera alla eliminazione (“smotar”) del terreno. La scarducciatura viene effettuata in primavera e consiste nella eliminazione dei carducci superflui. La produzione ha inizio i primi di aprile, con le così dette “castraure” e termina a giugno con le ultime produzioni, con un ciclo produttivo di circa 90 giorni. La raccolta viene completamente effettuata a mano, i capolini vengono depositati in cassette e tagliati con un gambo di circa 15 cm, lasciando 2-3 foglie. A produzione terminata (fine luglio-agosto) si procede al taglio degli steli che avevano prodotto i capolini.

Reperibilità: Il carciofo di Sant’Erasmo è reperibile da aprile a giugno e quasi esclusivamente attraverso i tradizionali canali commerciali (mercati, dettaglio, ristorazione) in ambito locale, comunque ben difficilmente al di fuori della provincia dove il prodotto non è sufficientemente conosciuto.

Usi: Il carciofo si consuma anche crudo, in pinzimonio condito con olio e limone. Si presta per gustosi sott’olio o sotto aceto. Prelibato, saporito e raffinato anche lessato, al forno, in umido, alla griglia e in moltissimi piatti, ove non manca mai di distinguersi per il caratteristico sapore dolcemente amarognolo.

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