Come riconoscere una buona bistecca fiorentina ? E soprattutto come non compiere il misfatto di rovinare un’ottima carne con una cottura sbagliata? Avendo questi dubbi ho pensato di chiamare Dario Cecchini, il Dante Alighieri dei macellai. La sua macelleria risale alla fine del ‘700 e accoglie i suoi clienti da otto generazioni.
Siamo tra le colline verdi e i vigneti del Chianti in provincia di Firenze in un piccolo borgo, Panzano in Chianti. Se dalla piazza vi dirigete, percorrendo pochi passi, verso la via della macelleria potete vedere la fila fuori dal locale. Prova di come, chi punta sulla qualità del suo prodotto, può avere successo anche in un piccolo paese. Impossibile non essere travolti dall’entusiasmo dirompente di Dario che ti accoglie nella sua macelleria, da buon oste, con un buon umore travolgente con piccoli assaggi offerti con quell’accento toscano caratteristico.
Inizio la piacevole chiacchierata con Dario con una domanda al limite del banale ma fondamentale per chi vuole gustare una buona bistecca.
“Io predico sempre la frequentazione da macellai artigiani – mi spiega Dario- riconoscere la buona qualità è cosa complessa, bisogna avere una preparazione particolare. Come sempre in ogni settore è bene avere una persona di riferimento. Chi conosce la materia è il macellaio artigiano, come dico sempre. Bisogna guardare il macellaio negli occhi da li si vede la passione e il cuore che mette nel suo lavoro. L’industria ha come fine il guadagno e il prezzo, l’artigiano, invece, ha come missione la qualità. Nel rinascimento la più grande ricchezza era diventare maestri nella propria arte. E io sono convinto che se mi rimbocco le maniche diventerò forse bravo in vecchiaia” Racconta Dario con la modestia che contraddistingue chi bravo e grande in realtà già lo è.
Una frase poi mi colpisce durante l’intervista: “Bisogna essere figli di Ulisse, vivere per fare un bel viaggio di conoscenza” parole queste che andrebbero adattate non solo alla cucina ma alla nostra vita in generale. La seconda domanda mi viene spontanea.
“Non sono “razzista” – scherza Dario con il gioco di parole sulla mia domanda – non è la marezzatura ne la targa della razza. Teniamo presente, anche considerando quanto si sta dicendo nei confronti degli attacchi degli orsi, che il mondo non gira per noi ma siamo una parte del globo.”
“Bisognerebbe quindi spostare la domanda e porla in un altro modo. Questo animale ha avuto una buona vita? È stato trattato bene? Ha avuto una morte dignitosa? Il macellaio pensa di usare tutto bene dal naso alla coda? Bisogna avere un’etica nel cibo e non solamente un gusto ricercato sopratutto quando si parla di uccidere animali. Oscar Wilde diceva che la moda è una cosa cosi brutta che la devono cambiare ogni sei mesi. Bè ecco vedi sta accadendo lo stesso con la carne, un momento c’è la moda della wagyu il momento dopo quella della sashi finlandese.”
Una volta scelta una buona fiorentina l’opera però non è ancora completa, manca l’atto più importante a questa commedia, la cottura. Sbagliando questa rovineremmo tutto il lavoro che è stato fatto dal macellaio portando in tavola una carne dura o peggio ancora bruciata. Quindi chiedo a Dario un vero e proprio vademecum per non sbagliare mai.
“Vedi anche qui c’è un piccolo peccato originale di partenza. Due sono le regole fondamentali per rispettare la bistecca fiorentina. La prima è la temperatura della carne che viene spesso cotta da troppo fredda. Siamo in un mondo che va troppo di fretta, si pensa di tirare fuori la carne dal frigo e cuocerla direttamente. Ecco lo sbaglio. La carne deve essere fuori dal frigo da qualche ora in modo che sia a temperatura ambiente al cuore.”
“Il secondo punto è la qualità del combustibile, il carbone se si parla di una griglia. La qualità del carbone è fondamentale. Troppo spesso è parificato ai combustibili per riscaldare la casa, il carbone deve esser di buona qualità. Una decina di anni fa venne fuori la notizia della carne cancerogena alla brace ma non è cosi, sono sia il modo di cottura sia il carbone cattivo che possono far male”
“In ogni caso consiglio sempre di offrire un bicchiere di vino rosso, rosso perché il vino è rosso, al maestro o maestra di griglia. Nella Fisiologia del Gusto, Anthelme Brillat-Savarin diceva che cuochi si nasce ma rosticceri si diventa, quindi vedi è sempre essenziale mantenere un giusto equilibrio tra tecnica e sentimento”
Il macellaio Dario Cecchini
Mi viene spontaneo a questo punto chiedere al macellaio se ricorda il primo morso della sua prima bistecca. “Me la ricordo perfettamente” mi spiega con travolgente entusiasmo tanto da farmi vivere i suoi ricordi come fossero i miei. “Era il regalo dei miei 18 anni. Ero Il primo figlio maschio diventato maggiorenne, sono cresciuto con un educazione carnivora fantastica perché mangiavamo tutto quello che i clienti della nostra macelleria non volevano. Da piccolo ero convinto che gli animali avessero 20 zampe 4 code e altrettante lingue. Questa era la carne che mangiavamo, non si mangiava mai una bistecca, le vedevo dal banco quando giocavamo nella strada.”
“Quando poi avevo perso la speranza, il mio babbo mi ha regalato la più bella bistecca della macelleria, cotta dalla nonna. Al primo morso ho visto il paradiso, era buonissima. L’ho aspettata per anni. Proprio la nonna, con quella bistecca, mi ha aperto gli occhi e mia dato la visione dell’insieme.”
Sono un cuoco e un giornalista enogastronomico, cucino e parlo di cibo praticamente tutto il giorno. Vino e cibo sono le due vie migliori per conoscere una cultura, in modo gustoso.
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