Ha un nome decisamente strano, di sicuro particolare e in qualche modo misterioso e secondo alcuni addirittura inquietante. In realtà il dente di morto non è altro che un fagiolo tipico di una specifica zona della Campania.
Il fagiolo dente di morto si produce infatti prevalentemente nell’agro acerrano-nolano e parte del territorio dei comuni di Maddaloni e Cancello.
Il nome secondo la tradizione sembrerebbe legato al suo colore bianco opaco, simile appunto al colore dei denti di un morto.
Presenta granella (semi) di colore bianco, di forma cilindrica-sub reniforme, e di dimensioni medio-grandi (0,5-0,6 grammi). Il baccello allo stadio ceroso presenta un colore tra il verde chiaro e il giallo chiaro. Mediamente un baccello contiene 4-6 semi. Afferisce alla specie Phaseolus vulgaris, nell’ambito della famiglia delle Leguminose (o Fabacee o Papilionacee). La pianta è erbacea, annuale, semieretta, di altezza di circa 50-70 cm con un asse principale e ramificazioni laterali. Le foglie composte sono pennate e cordiformi, di colore verde intenso; i fiori sono di colore bianco e di forma papilionacea.
Il prodotto può essere raccolto e consumato allo stadio ceroso (“spollichino”) o allo stadio secco.
Il pregio qualitativo ed organolettico del prodotto risiede nel connubio tra l’ecotipo e le caratteristiche pedoclimatiche del territorio (terreni di natura vulcanica, profondi, di medio impasto, facilmente lavorabili, ricchi di elementi nutritivi e di mesoelementi e microelementi). Si caratterizza per la buccia sottile, quasi impercettibile al palato, e per una buona pastosità.
Fagiolo dente di morto
L’epoca di coltivazione va da aprile a luglio (“prima epoca”) e da luglio ad ottobre (“seconda epoca”). Il ciclo colturale mediamente si attesta sui 100-105 giorni dalla semina alla raccolta.
La semina viene fatta a mano o con seminatrici meccaniche; il sesto d’impianto è di 70 cm tra le file e di 7-8 cm sulla fila con una densità colturale di circa 20 piante per mq. La raccolta è manuale, la sgranatura viene effettuata meccanicamente tramite trebbia, o anche manualmente; la granella così ottenuta viene selezionata, cernita e confezionata a mano.
La coltura è irrigua, ma solo nell’ultima fase di coltivazione (ingrossamento dei semi) e il fabbisogno idrico è significativo. Dopo la raccolta, la trebbiatura e la cernita il prodotto viene depositato in ambienti freschi in sacchi di juta o canapa in attesa del confezionamento e della vendita.
Fagiolo dente di morto, storia
Il commercio di questi fagioli fu un’attività economica molto significativa da inizio ‘900 fino agli anni ’70, e vanta quindi un’antica tradizione colturale e gastronomica; è sempre e diffusamente stato presente nell’ordinamento colturale delle aziende anche perché ha costituito fino a pochi decenni fa uno degli alimenti base della dieta contadina.
Il sapore caratteristico ed intenso ne fa un prodotto impiegabile in diverse preparazioni alimentari. Nella tradizione gastronomica napoletana si presta particolarmente a pietanze quali la pasta con fagioli e a zuppe.
Il canonico Andrea Sarnataro, autore di un diario quotidiano degli avvenimenti in Acerra dal 1736 al 1771, che descrive anche i prodotti agricoli acerrani, menziona in più parti i fagioli bianchi, cannellini, in contrapposizione ai “mostrati” (così si definivano in dialetto i fagioli con l’occhio). La descrizione della coltivazione dei fagioli nelle campagne acerrane è riportata in più testi sulla storia della città, ma la più interessante e significativa del cosiddetto fagiolo Dente di morto si trova nella Guida Gastronomica d’Italia pubblicata dal Touring Club Italiano del 1931. Nella guida i fagioli sono indicati come la specialità di Acerra, al tempo esportata addirittura in America. Un prodotto storico, dunque, che in quanto a fama non ha niente da invidiare al Tondino del Tavo.
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