Arrivare a Conversano, borgo candido a pochi chilometri dalle scogliere di Polignano, significa percorrere viuzze abbacinanti e poi spalancare lo sguardo sul seicentesco Palazzo del Seminario Vescovile: mura spesse, volte a botte, pietra viva. Qui, al civico di via Morgantini 2, pulsa da oltre 25 anni Pashà, una stella Michelin che da sola racconta evoluzione, identità e ambizione della tavola pugliese.
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Tutto comincia alla fine dei Novanta: un piccolo bar, qualche tavolino all’aperto e Maria Cicorella, massaia dallo sguardo fiero, che trasforma le ricette di casa in piatti da ristorante.
Con il figlio Antonello Magistà costruisce un dialogo perfetto fra sala e cucina, fino a conquistare – nel 2013 – la prima stella Michelin.
Il 2016 segna il grande salto: Pashà si trasferisce negli ambienti del Seminario, spingendo sull’acceleratore di una modernità discreta – chianche irregolari sotto ai piedi, calce bianca alle pareti, design essenziale – senza perdere il calore di una “casa” di famiglia.
L’architettura barocca del Seminario Vescovile – volumi solenni, archi ribassati, nicchie votive – non schiaccia l’ospite, anzi lo avvolge in un’atmosfera di pacata eleganza. I tavoli rotondi in legno scuro si stagliano su sedute cremisi; lampade rétro creano isole di luce, mentre una finestra circolare incornicia la torre del castello normanno. È un palcoscenico in cui ogni dettaglio – dal sottopiatto in ceramica locale al centrotavola di erbe aromatiche – ribadisce la filosofia della casa: essere moderni senza tradire la memoria.
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Classe 1976, sommelier, maître, padrone di casa carismatico: Antonello ha trasformato la professione di sala in un racconto emozionale. È coordinatore Fiepet per il Levante barese e voce critica del settore Horeca, come dimostra la recente lettera aperta al Governo sul nuovo codice della strada.
La sua carta dei vini – oltre 900 etichette e verticali introvabili di Primitivo e Nero di Troia – nasce da vent’anni di viaggi, assaggi e amicizie con piccoli vigneron.
Dalla falanghina in anfora di Gravina al Pinot Noir di Marlborough, il caveau scavato nella pietra custodisce bottiglie pensate per dialogare con la cucina in termini di verticalità acida e sapidità evolutiva.
Non mancano chicche naturali – Susumaniello rifermentato, Fiano orange – che trovano spazio in pairing a sei calici guidato personalmente da Antonello Magistà o dal giovane sommelier Riccardo Giliberti.
In sala, il gesto di versare un bianco macerato del Gargano o uno Champagne di vigneron diventa racconto di territorio allargato.
Tovagliato candido, posate in argento brunito, piatti custom in ceramica di Grottaglie: ogni elemento è studiato per valorizzare, non distrarre. Il servizio – sorridente, mai invadente – scandisce il pasto con tempi rilassati (due ore e mezza la media del percorso) e momenti-chiave: la “sciabolata” dello Champagne sul sagrato all’inizio e il caffè filtrato al sifone servito in biblioteca a fine corsa.
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Dopo il luminoso intermezzo di Antonio Zaccardi (2018-2023), a luglio 2024 il timone passa al siciliano Michele Spadaro, classe 1998, premiato Emergente Chef 2024 e “Rising Star” Forbes. La brigata – tutta under 30 – debutta con un unico percorso degustazione «Giovani e Scapestrati», manifesto di una cucina che unisce Puglia e Sicilia in chiave pop, ironica, visceralmente identitaria.
La stella? Confermata nella Guida Michelin 2025, a riprova che il cambio di rotta non ha intaccato la cifra qualitativa.
Spadaro lavora su tre cardini:
Filiera cortissima: ortaggi dall’agro di Conversano, olio Evo Dop Terra di Bari, latticini di Putignano, pesce dei pescherecci di Monopoli.
Connessioni insulari: agrumi di Siracusa, capperi di Pantelleria, cacao di Modica – omaggi alla sua terra natale.
Ritmo narrativo: alcuni piatti finiscono di nascere al tavolo, con il cameriere che spiega micro-storie di ingredienti e produttori, abbattendo il muro fra sala e cucina.
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Il risultato di una filosofia di questo tipo è una cucina leggibile ma sorprendente, che predilige contrasti dolce-amaro e fondi di cottura netti, senza lustrini molecular.
Polpetta di pane & cocktail di gamberi: comfort food anni Sessanta che diventa finger d’alta cucina.
Riso, patate e cozze 2.0: il tegame classico si smaterializza in un risotto mantecato con emulsione di cozze affumicate, chips di patata viola e polvere di limone.
Tagliatella di seppia, latte di mandorla e salicornia: mare e macchia mediterranea in tre gesti agile-sapidi.
Orecchioni di mamma Maria: enormi orecchiette callose tirate a mano da Maria Cicorella, condite con ragù di pecora – l’archetipo che ha acceso la stella nel 2013 e che oggi convive orgogliosamente col nuovo corso.
Spumone di Conversano: dolce storico, riscritto con consistenze leggere e note di rosolio alla rosa canina.
Degustazione “Giovani e Scapestrati”: 150 € (8 portate); pairing vini +80 €.
Omaggio a mamma Maria (prenotabile su TheFork): 110 €.
Coperti interni 28, estivi 34 in cortile. Chiuso il martedì; da novembre a marzo anche la domenica a pranzo.
Prenotazione obbligatoria via sito o telefono; in alta stagione serve almeno una settimana di anticipo.
Da pochi mesi la proprietà ha ufficializzato il trasferimento in una masseria del XVII secolo – Torre Catena, fra gli ulivi di Polignano a Mare – dove nascerà un hub gastronomico con orto sinergico, camere di charme e laboratorio di panificazione.
Il cantiere non cancella il presente: fino all’apertura (prevista per l’autunno 2026) la stella resta saldamente ancorata a Conversano, ma la promessa è di «portare il Pashà dal colle al mare senza perdere un grammo di autenticità», parola di Magistà.
Perché Pashà non è soltanto un ristorante stellato ma un micro-cosmo in cui la Puglia dialoga con il mondo, la tradizione con l’energia di ventenni in casacca bianca, la pietra sacra di un seminario con il desiderio pop di divertirsi a tavola.
Qui si studia, si sperimenta, si conserva. Qui l’ospitalità è colonna vertebrale e la cucina un racconto corale che fa battere le mani a fine servizio. Venire a Conversano significa assaggiare quella “Puglia che cambia pelle” di cui tanto si parla: colta, consapevole, innamorata di sé ma mai autoreferenziale. E uscire, di notte, con la luna che si specchia sui bastioni e una sola certezza: l’Adriatico non finisce in riva al mare, continua nel piatto.
[foto copertina @forben/Shutterstock.com/solo uso editoriale]
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