È italiana la pasta più rara al mondo, e se la chiamano ‘fili di Dio’ ci sarà un perchè

Marianna Di Pilla  | 22 Apr 2024  | Tempo di lettura: 3 minuti
Filindeu, la pasta storica della Sardegna

È una preparazione tipica della Sardegna, in particolare della provincia di Nuoro, e ci sono dei buoni motivi se il filindeu è considerata la pasta più rara al mondo. Un vero gioiello di una regione ricchissima dal punto di vista gastronomico.

La storia di questa pasta della Sardegna pare sia legata a quella dei pellegrini che, nelle notti di 1, 2, 3 e 4 maggio, raggiungono a piedi il santuario di San Francesco di Lula partendo dalla chiesa del Rosario di Nuoro.

All’arrivo i fedeli venivano premiati con questo piatto di pasta cotto nel brodo di pecora, ricetta che si usa mangiare ancora oggi.

Filindeu, la pasta che in pochi sanno fare

Si tratta di una pasta di semola di grano duro che viene tirata per 7 o 8 volte consecutive, fino ad ottenere un numero via via crescente di filamenti (2^8), che vengono sovrapposti su tre strati con angolature diverse.

Il filindeu, termine sardo che in italiano si potrebbe tradurre come fili di Dio, deve la sua fama di pasta rara alla sua scarsissima produzione. La lavorazione richiede infatti molto tempo e una particolare manualità, e attualmente sono pochissime le persone che fanno il filindeu a mano. Si tratta prevalentemente di anziane donne sarde, che si sono viste tramandare la ricetta di generazione in generazione. Il celebre chef britannico Jamie Oliver pare che abbia detto di non aver mai visto una preparazione simile, nonostante nella sua carriera abbia prodotto pasta fatta a mano per oltre vent’anni.

Filindeu, come si prepara

Filindeu, pasta sarda
Filindeu

Si prepara l’impasto costituito da semola di grano duro e acqua. È importante la scelta della qualità della semola, che influisce sulla bontà del prodotto.

L’impasto viene lavorato manualmente; per preparare 3 kg di filindeu è necessaria un’ora di lavoro da dedicare solo all’impasto finché la pasta non acquista una consistenza tale da essere in grado di produrre i fili.

Durante la lavorazione si idrata la pasta con una soluzione di acqua e sale per raggiungere la consistenza ottimale. All’interno di una ciotola vi si versa un’abbondante manciata di sale grosso e si copre interamente il sale con dell’acqua.

Una volta impastata, la pasta viene tagliata a pezzi di circa 100 g. di peso. Con le mani, su una superficie di legno, viene arrotolata a formare dei cilindri allungati e sempre con le mani “tirata” per ottenere le serie di fili che ne sono il simbolo di riconoscimento.

Le numerose fasi di “allungamento” della pasta tra le mani sono determinanti per il raggiungimento dello spessore dei fili desiderato.

Importante è anche il piano dove la pasta viene messa ad essiccare. Questo è costituito, per tradizione ma anche per la bontà del prodotto, da piani tondi costruiti da foglie di asfodelo essiccate ed intrecciate a costituire dei cerchi concentrici. La superficie irregolare consente un maggiore passaggio dell’aria necessaria per l’essiccazione e la natura del materiale consente un maggiore allontanamento dell’umidità.

Il filindeu viene adoperato per la preparazione di una speciale minestra fatta con brodo di pecora. A questo dopo l’ebollizione viene aggiunta la pasta tagliuzzata a pezzi di 5 cm di diametro e poi vi si aggiunge del formaggio fresco acidificato o del pecorino sardo. Il piatto è pronto per essere mangiato.

Marianna Di Pilla
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