Fresa, Fresa de Attunzu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna, prevalentemente nelle aree del Marghine, della Planargia e del Montiferru, situate tra la parte occidentale della provincia di Nuoro e quella settentrionale di Oristano.

Descrizione sintetica del prodottoFormaggio a pasta molle di latte intero, di vacca proveniente da allevamenti della Sardegna. Tradizionalmente la maggior produzione si ha durante il periodo autunnale (Fresa de attunzu) utilizzando il latte di bovine a fine lattazione. Più raramente, la Fresa viene fabbricata con latte di pecora.Di colore dal bianco al giallo paglierino con crosta sottile. La forma è cilindrica schiacciata (altezza ca. 5-6 cm, diametro ca. 15-18 cm, peso: 1,5-3 kg) o talvolta quadrata con spigoli arrotondati. Odore e aroma richiamano quello del burro, sapore acidulo.

LavorazioneLa coagulazione del latte, di tipo essenzialmente presamico, avviene in ca. 30-50 minuti alla temperatura di ca. 33-38°C mediante aggiunta di caglio liquido di vitello o, talvolta, di caglio in pasta di capretto. La rottura della cagliata viene effettuata fino a ridurre il coagulo in granuli dalle dimensioni assimilabili a quelle di una nocciola. La cagliata viene fatta depositare sul fondo della caldaia e quindi, trasferita negli stampi, parzialmente frantumata con le dita e pressata leggermente. Dopo alcuni rivoltamenti (da 2 a 10) la Fresa è estratta dallo stampo, avvolta in un telo di cotone e sottoposta ancora a leggera pressatura. Il formaggio viene quindi salato in salamoia o a secco con sale fino per 2-5 ore.

Cenni storici e curiositàNel 1908 il Prof. Fascetti descriveva il formaggio Fresa sulla rivista l’Industria Lattiera e Zootecnica. La denominazione Fresa deriva dal latino fresus (schiacciato). Probabilmente si tratta dunque di un tipo di formaggio di epoca romana rimasto nella tradizione casearia sarda.

Casizolu, Peretta, Tittighedda, Provoletta, Figu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoForma a pera con testina; pasta di colore dal bianco al giallo paglierino, compatta, elastica e dura nelle forme più stagionate; crosta sottile e liscia di colore giallo; sapore dolce nelle forme giovani, tendente al piccante in quelle più stagionate. La pezzatura varia da ca. 500 g a 3 Kg.

LavorazioneIl latte viene coagulato a 35-38°C con caglio liquido di vitello (in alcune zone viene impiegato caglio in pasta di agnello o di capretto). Talvolta viene impiegato siero-innesto naturale ottenuto per acidificazione spontanea del siero della lavorazione precedente. La coagulazione avviene in 30-40 minuti con successiva rottura del coagulo mediante l’impiego di uno spillo metallico e riduzione dei granuli di cagliata fino alle dimensioni assimilabili a quelle di una nocciola. In alcuni casi si procede alla semicottura della cagliata riscaldandola fino alla temperatura di 42-43° C. La pasta viene quindi recuperata e deposta in appositi contenitori in acciaio inossidabile o in materiale plastico per alimenti o in terracotta smaltata nei quali prosegue il processo di acidificazione. Quando la pasta ha raggiunto un’acidità tale da consentirne la filatura (pH di 5,1-5,3), viene tagliata a fette, immersa in acqua riscaldata alla temperatura di 90-93°C ed impastata e filata con spatole in legno o in metallo (lavorazione artigianale) o con impastatrici meccaniche (lavorazione di tipo industriale). La pasta viene tagliata in porzioni di dimensioni variabili e infine modellata e “chiusa” manualmente a forma di pera. La peretta viene poi immersa in acqua fresca per 30-60 minuti per favorire la formazione della crosta e quindi salata in salamoia satura per ca. 6-8 ore per chilogrammo di formaggio.

Cenni storici e curiositàEsistono registrazioni contabili reperibili presso caseifici cooperativi risalenti ai primi decenni del ’900.

Trizza (Treccia)

Territorio interessato alla produzione: L’area di produzione è rappresentata dal territorioregionale con particolare riferimento alla Comunità Montana del Montiferru.

Descrizione sintetica del prodottoIl latte utilizzato per la produzione della Trizza viene coagulato alla temperatura di 32 C, previa aggiunta di siero innesto proveniente dalla caseificazione precedente ed usando caglio liquido. Dopo un’attesa di 20 – 30 minuti, si effettua la rottura della cagliata a grano di cece, con l’utilizzo di uno spino a lira. Si ha poi alla fase di maturazione della cagliata che consiste in una fermentazione lattica la cui durata varia in media dalle 18 alle 24 ore. Si passa poi al test di filatura su fiamma (si effettuano piccoli prelievi a brevi intervalli di pasta e si testa su fiamma per provare se si allunga in fibre elastiche, cioè fila). Successivamente la pasta viene tagliata a fette e viene poi sottoposta a successiva filatura in paiolo per circa 2 o 3 minuti con l’ausilio di una spatola, modellata manualmente fino a raggiungere la forma di una treccia. Le forme così plasmate vengono immerse in salamoia per un periodo di tempo che non supera le 24 ore. Tolte dalla salamoia le forme vengono lasciate asciugare su panni, su graticci di canne o su legno per circa due giorni, dopo averle eventualmente lavate. Da notare chel’asciugatura del prodotto è effettuata su panno, graticcio di canna o su legno, e quindi non nel siero come avviene per la Treccia o Mozzarella comune.La pezzatura della Trizza è di circa 1-2 Kg. e il consumo avviene entro 3 giorni dalla produzione. Non è quindi soggetta a stagionatura.

Cenni storici e curiositàUn autorevole studioso sardo, Felice Cherchi Paba, il quale visse per lungo tempo nel Montiferru, nella sua opera “Evoluzione Storica della Attività Industriale Agricola Caccia e Pesca in Sardegna – Vol. II” sposa la tesi che vuole l’origine etimologica della parola Trizza risalente al Greco Thiriccas del periodo Sardo-Bizantino (476-1054): “detti formaggi infatti nella chiesa Greca venivano largamente consumati in Quaresima, tanto che le ultime settimane di questa venivano chiamate settimane “Thirine”, da thiriccas.

Pecorino Romano DOP

Materia prima: latte intero, grasso dal 7% al 7,6%, acidità 10% in SH/100; da razza Siciliana, Comisana e Sarda. Alimentazione: 90% pascolo, 10% foraggio (granella e mangime).

Tecnologia di lavorazione: pulizia e pastorizzazione da 63 a 68 gradi; aggiunta di caglio di agnello pellettato. Dopo la rottura della cagliata si cuoce a 45 gradi. Dopo queste operazioni, la massa sosta in siero con i coaguli rotti per mezz’ora. La massa viene pressata e lasciata riposare per circa 24 ore. La salatura si effettua a secco con sale medio per la durata di 90 giorni, ed è spesso affidata a stabilimenti specializzati. Matura in circa 90 giorni, in capannoni con aria condizionata ad umidità dell’80%. Resa: 18%.

Stagionatura: da 10 mesi ad un anno, in ambiente di 8-10 gradi con umidità dell’80%. Al termine della stagionatura si effettua un lavaggio in acqua salata e viene aggiunto sulla crosta del conservante esterno dato da un involucro nero di finissima plastica per alimenti.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 20 circa; peso: Kg 33 circa; forma: cilindrica a facce piene; crosta: liscia di colore paglierino con riflessi verdi; pasta: sgranata; grasso: 38-40%; sapore: piccante caratteristico.

Area di produzione: Agro Romano.

Calendario di produzione: da novembre a giugno.

Note: le forme di 33 kg rappresentano circa il doppio del consentito dallo standard. Ciò talvolta provoca problematiche alla frontiera: ad esempio alla dogana Svizzera le forme per poter entrare vengono divise a metà. Il consorzio Doc ha sede a Macomer e per il 90% comprende produttori sardi. Ne fanno parte di diritto la regione Lazio e la regione Sardegna, rappresentate dagli Assessori all’agricoltura.

Fiore Sardo DOP

Materia prima: latte intero fresco di pecora di razza sarda. Alimentazione: pascolo naturale integrato con concentrati.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a 34-38 gradi e lo si coagula con caglio d’agnello o, più raramente, di capretto. La coagulazione si completa in 25-30 minuti. Dopo la rottura del coagulo, in granuli delle dimensioni di un chicco di riso o di miglio, si fa depositare la cagliata sul fondo della caldaia ove si forma la pasta che, suddivisa sotto siero, viene poi trasferita a pezzi nei caratteristici stampi tronco-conici nei quali viene modellata la forma. La salatura è del tipo misto (in salamoia e a secco) e si protrae per 50 ore o più a seconda delle dimensioni dei formaggi. La maturazione ha inizio presso il ricovero stesso del pastore, nel quale il formaggio subisce anche una leggera affumicatura, per completarsi poi in appositi locali seminterrati situati generalmente in zone di montagna.

Stagionatura: variabile, fino a 3 mesi per il formaggio da tavola e fino a 6 mesi ed oltre per quelli da grattugia. Durante questo periodo le forme vengono talvolta cappate con olio e grasso di pecora e la crosta assume così un colore marrone scuro.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 12-15; diametro: cm 12-20; peso: Kg 1,5-4; forma: due tronchi di cono uniti per la base maggiore; crosta: da giallo carico a marrone scuro; pasta: bianca o giallo paglierino, dura; grasso: minimo 40%; sapore: più o meno piccante a seconda dello stadio di maturazione.

Area di produzione: territorio della Sardegna e in particolare nel nuorese: Gavoi, Fonni, Mamoiada, Bitti, Ollolai, ecc.

Calendario di produzione: dicembre-luglio.

Note: formaggio dell’antica tradizione pastorale sarda, prodotto in massima parte a livello artigianale dai pastori. A denominazione di origine tutelata (Dpr 1269 del 30.10.1955 e Dpr 28.11.1974) iscritto nell’allegato A della Convenzione Internazionale di Stresa (1951) sulle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi.

Caciotte

Materia prima: latte intero di pecora di razza sarda. Alimentazione: pascolo naturale e integrazione con mangimi concentrati.

Tecnologia di lavorazione: previa pastorizzazione, si porta il latte a circa 36 gradi e lo si inocula con una coltura di fermenti lattici generalmente selezionati e quindi lo si coagula con caglio di vitello in 25-30 minuti. Si taglia il coagulo con la “spada” e lo si rompe poi delicatamente con la “spannarola” e la “lira” sino ad ottenere grumi delle dimensioni di una noce o di una nocciola. Ultimata la rottura del coagulo si trasferiscono cagliata e siero negli stampi nei quali si attua lo spurgo agevolato dalla stufatura in camera calda e dai ripetuti rivoltamenti. La salatura si effettua in salamoia per tempi variabili a seconda delle dimensioni dei formaggi. Resa, a 24 ore dalla fabbricazione: 2%.

Stagionatura: 20-30 giorni in ambienti a 6-7 gradi e con umidità relativa del 90-95%.

Caratteristiche del prodotto finito: dimensioni: variabili; peso: Kg 1-2,2; forma: cilindrica; crosta: liscia o un po’ rugosa, bianca o leggermente paglierina, sottile; pasta: bianca compatta o leggermente occhiata, morbida o mantecata; grasso: 51-55%; sapore: dolce, aromatico, delicato.

Area di produzione: tutto il territorio della Sardegna.

Calendario di produzione: da dicembre a luglio.

Note: per la Caciotta, così come per il Pecorino semicotto, è stato chiesto il riconoscimento della denominazione di origine tutelata: Pecorino sardo. La produzione sarda di caciotta, unitamente a quella del Semicotto, pari complessivamente a 200.000 q.li annui, eguaglia quella del Pecorino romano prodotto nell’isola.

Bonassai

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoFormaggio a pasta molle, di forma parallelepipeda a base quadrata di circa 18 cm di lato o rettangolare 9 x 18 cm e altezza di circa 6 cm. Pasta bianca, compatta, molle, sapore acidulo, odore e aroma di latte di pecora fermentato.

Metodo di lavorazioneIl latte filtrato è pastorizzato e raffreddato alla temperatura di circa 36°C, viene quindi inoculato con lattoinnesto. Quest’ultimo è preparato presso il caseificio stesso utilizzando latte di pecora pastorizzato, raffreddato a circa 45°C, eventualmente inoculato con ceppi di batteri lattici termofili autoctoni e incubato a 40-42°C per circa 18-20 ore (acidità ca. 45-50 °SH). La coagulazione del latte si effettua con caglio di vitello. Il coagulo viene quindi rotto sino ad ottenere granuli della dimensione di una nocciola. La cagliata viene trasferita in stampi forati di forma quadrata o rettangolare. Il formaggio é posto in ambienti caldo umidi al fine di favorirne l’acidificazione e lo spurgo del siero. Il Bonassai viene salato in salamoia per una durata di circa 1 ora per kg di formaggio. Il formaggio é stagionatoalla temperatura di circa 8°C e con elevata umidità relativa. Durante la stagionatura, che si completa in 20 – 30 giorni, le forma sono periodicamente rivoltate. Previa toelettatura, il prodotto è immesso in commercio, generalmente con la superficie cosparsa di fecola di patate che ha lo scopo di asciugare la crosta e migliorarne l’aspetto. L’eventuale conservazione si effettua a temperatura di 4-5 °C. Il Bonassai si presta ad essere surgelato e conservato per lungo tempo (6 mesi).

Cenni storiciLa tecnologia di produzione del Bonassai è stata messa a punto negli anni sessanta presso l’Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna (Murgia A., Marcialis A., Casu S.: Scienza e Tecnica Lattiero – Casearia, 1966). Dagli anni settanta la produzione del formaggio Bonassai è realizzata presso diversi caseifici della Sardegna.

Casu friscu, Formaggio fresco

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoFormaggio ovino fresco, preparato, da meno di una settimana, in piccole forme espressamente per la cottura alla brace o sul pane abbrustolito, o per essere utilizzato come ingrediente in varie ricette tradizionali sarde (formaggelle, ravioli, ecc.).

LavorazioneLe metodiche di lavorazione sono quelle tradizionali delle caciotte ovine.Si utilizza il latte intero che viene pastorizzato, raffreddato a temperatura di coagulazione (circa 35-36 °C), aggiunto di caglio liquido per la formazione della cagliata, che una volta formatasi, viene rotta in granuli delle dimensioni di una noce. Alla rottura della cagliata segue la fase di formatura (la pasta viene messa negli appositi stampi), la fase di stufatura ed infine la prima salatura. Il prodotto, se destinato alla vendita, viene confezionato nella carta pergamena e frigo conservato a 4-6 °C.

Formaggio di colostro ovino

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl colostro, denso latte frutto della seconda mungitura degli ovini appena filiati, era ed è considerato particolarmente pregiato, date le sue qualità altamente nutritive ed il suo gusto particolarmente gradevole. Tuttavia tale prodotto si può ottenere solo per 4/5 giorni dalla nascita dell’agnello per cui ci si affretta alla raccolta del prezioso liquido che oltre ad essere destinato al consumo diretto di bambini o anziani, viene trasformato in una ricotta ed un formaggio particolarmente prelibati.

LavorazioneIl colostro viene riscaldato in un recipiente di acciaio o alluminio (ma anticamente era il classico paiolo in rame) ad una temperatura di 35°C. Raggiunta tale temperatura e tolto dalla fiamma si aggiunge il caglio e, dopo una semplice rimestata per consentire una distribuzione uniforme dello stesso, si attende che il composto “quagli” diventando una forma unica, compatta ed omogenea. Lasciata lievemente raffreddare, la forma viene introdotta in un contenitore cilindrico bucherellato (attualmente in acciaio) e viene pressato, prima da una parte poi dall’altra, sino alla completa fuoriuscita del siero che viene raccolto e rimesso nel recipiente. Servirà per la ricotta. Si ottiene così una pezza dalla forma elicoidale dello spessore di circa 15/20 cm.A questo punto, al siero rimasto viene aggiunto del nuovo colostro e portato ad ebollizione sino all’affiorare dei fiocchi di ricotta, che viene così “pescata” e raccolta a parte negli appositi cestelli di plastica (fruscelle) che consentono la totale eliminazione del liquido in eccesso che tuttavia non viene ancora buttato. Infatti, in esso viene nuovamente immerso per pochi minuti il formaggio appena ottenuto che subisce nuovamente la fase di pressione per l’eliminazione di tutto il liquido in eccesso. Al termine, viene quindi fatto raffreddare dopodiché, preparata una salamoia satura, vi viene immerso per ventiquattro ore. Fatto, infine, seccare per 4/5 giorni è pronto per essere consumato.Nonostante tale elaborata lavorazione, il prodotto deve essere consumato abbastanza fresco (circa 7/8 giorni) ma attualmente viene anche posto nel congelatore e consumato all’occorrenza, preferibilmente cotto a fette nella brace.

Cenni storici e curiositàIl colostro è sempre stato considerato un latte molto ricco di elementi nutritivi per cui il consumo veniva destinato principalmente ai bambini od agli anziani, tuttavia il formaggio o la ricotta è sempre stata considerata una prelibatezza vista sia la limitata disponibilità della materia prima, sia il limitato tempo di consumo. Attualmente viene prodotta solo artigianalmente e direttamente dall’allevatore pur essendo rinomata e ricercata come specialità del luogo.Se ne conosce la produzione in piccole strutture come i mini-caseifici, che sono in genere gestiti da un piccolo gruppo familiare nel totale rispetto delle norme igienico-sanitarie.Per tradizione l’utilizzo del paiolo di rame per la bollitura del colostro, come pure la collocazione di due tavole di legno sul bordo del paiolo stesso e sopra di esse il contenitore cilindrico, bucherellato, detto “s’aiscu” dentro il quale il composto veniva pressato a mano, sino alla completa fuoriuscita di tutto il siero che non veniva così perduto, tornando all’interno del paiolo stesso per la lavorazione della ricotta.Inoltre, gli strumenti utilizzati per mescolare, il colostro prima e la ricotta poi si chiamavano “sa muriga” la prima e “sa muriga ‘e su regottu” la seconda.

Casu axedu

Altri nomi:Fruhe, Frughe, Frua, Merca, Fiscidu, Viscidu, Ischidu, Bìschidu, Vischidàle, Préta, Piéta, Casàdu, Cagiadda, Casu Agéru, Casu e fitta, Latte cazàdu, Latti callàu (sinonimi in lingua sarda che nelle diverse zone dell’isola indicano il formaggio fresco o stagionato).

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoFormaggio a pasta fresca (o stagionato e conservato costantemente in salamoia). Si presenta in forma di piccoli parallelepipedi irregolari di circa 10 – 15 cm di lato e 3 – 5 di altezza del peso di circa 150 – 300 g (dimensioni e peso sono molto variabili). Odore e aroma richiamano quelli del latte della specie di provenienza. Sapore acido nel prodotto fresco e piccante e salato in quello é stagionato.

LavorazioneLa fabbricazione del Casu Axedu è per massima parte effettuata presso l’azienda pastorale, anche se attualmente esistono caseifici artigianali che lo producono. Il latte crudo di capra o di pecora (termizzato o pastorizzato, nel caso della lavorazione artigianale) viene portato alla temperatura di circa 35 °C. A questo punto può essere aggiunta una coltura naturale in siero ottenuta lasciando acidificare spontaneamente per circa 24 ore a temperature decrescenti da 34-36°C fino a temperatura ambiente, il siero residuo della lavorazione precedente. Si aggiunge dunque caglio di vitello commerciale o caglio di capretto o di agnello in pasta. La coagulazione avviene in ca. 8-15 minuti, mentre per l’indurimento del coagulo sono necessarie 4-5 ore circa. Il coagulo viene dunque tagliato in fette che vengono lasciate acidificare e spurgare per sineresi sotto siero per circa 24 ore. Il prodotto viene normalmente consumato fresco, ma quando lo si vuole stagionare, lo si lascia spurgare, previa leggera salatura a secco, per circa 48 ore su una stuoia di canne e poi lo si mette in salamoia molto concentrata dove può essere conservato per molti mesi. Il prodotto così stagionato, dal sapore forte e piccante, prende il nome di Fìscidu o Vìscidu (Ogliastra) o altre denominazioni e viene normalmente impiegato come condimento nelle minestre o per la preparazione, in Ogliastra, del ripieno dei tipici ravioli di patate.

Cenni storiciSi veda quanto scriveWagner M. L. in “La vita rustica” Ia ed. 1921

Caprino a «pasta cruda»

Materia prima: latte intero di capra di razza sarda. Alimentazione: pascolo naturale e macchia mediterranea.

Tecnologia di lavorazione: i pastori portano il latte crudo a 36 gradi, scaldandolo a fuoco diretto nelle tipiche caldaie in rame stagnato, e lo coagulano con una soluzione di caglio di capretto. La coagulazione si completa in 25-30 minuti. Dopo la rottura del coagulo, che si effettua con la “chiova” o direttamente con la mano, si fanno depositare i granuli di cagliata (delle dimensioni di un chicco di riso) sul fondo della caldaia dove si forma la pasta che, suddivisa sotto siero, viene trasferita a pezzi in stampi generalmente tronco-conici (simili a quelli del Fiore sardo) nei quali viene modellata la forma. La salatura si esegue in salamoia, cospargendo anche con un po’ di sale il piatto affiorante, per 48 ore o più a seconda delle dimensioni dei formaggi. La maturazione ha inizio presso il ricovero del pastore dove il formaggio, disposto su un apposito cannicciato, subisce anche una leggera affumicatura. La stagionatura si completa poi in cantine seminterrate annesse all’abitazione della famiglia del pastore. Resa, a 24 ore dalla fabbricazione: 15%.

Stagionatura: da tre mesi fino a sei mesi circa.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: variabile; diametro: variabile; peso: Kg 1,5-3,5; forma: tronco-conica o cilindrica; crosta: gialla a tre mesi o marrone scuro (dopo i sei mesi); pasta: bianca o leggermente paglierina; grasso: 44-53% a seconda della stagionatura; sapore: caratteristico piccante più o meno intenso a seconda della stagionatura.

Area di produzione: tutta la Sardegna e in particolare nel Sulcis, in Ogliastra, nel Sarrabus e in Gallura.

Calendario di produzione: dicembre-luglio

Note: la tecnica di caseificazione può subire variazioni da un pastore all’altro, e così pure la pezzatura e la forma del prodotto.

Semicotto di capra

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoFormaggio di forma cilindrica a scalzo dritto o leggermente convesso, crosta liscia di colore paglierino, da giovane, che imbrunisce con la maturazione. Pasta bianca o paglierina, compatta o con lieve occhiatura, sapore dolce da giovane, tendente al piccante con il progredire della maturazione.Pezzatura da 2,5-3 kg.

LavorazioneNella produzione artigianale, generalmente, si utilizza latte crudo, mentre nella produzione industriale il latte è trattato termicamente.Viene coagulato a 37-39°C con caglio liquido di vitello o caglio in pasta di agnello o capretto.Normalmente viene utilizzata una scotta innesto proveniente dalla lavorazione precedente. La coagulazione avviene in circa 30 minuti, quindi si rompe la cagliata fino ad ottenere la dimensione di un chicco di mais. Si procede alla semicottura fino alla temperatura di 41-43°C.La pasta viene quindi separata dal siero e posta negli stampi di diametro 18-22 cm.Nella produzione industriale, segue l’acidificazione mediante stufatura, mentre artigianalmente avviene semplicemente, lasciando la pasta in un ambiente caldo. Dopo 24 ore, al raggiungimento di pH 5.1-5.3, si effettua la salatura in salamoia, con 22 gradi Bè, per 36 ore, oppure a secco. La stagionatura dura circa 60 gg per l’ottenimento del semicotto giovane e si protrae fino a 12-18 mesi per quello stagionato.

Biancospino

Materia prima: latte intero di capra di razza sarda. Alimentazione: pascolo naturale e macchia mediterranea.

Tecnologia di lavorazione: previa pastorizzazione si porta il latte a 35 gradi e lo si inocula con una coltura in latte di fermenti lattici selezionati e con una sospensione di spore di Penicillium candidum. Trascorse alcune ore, si aggiunge al latte una piccola quantità di caglio di vitello per ottenerne la lenta coagulazione. Il taglio del coagulo e la preparazione delle piccole forme si effettua il giorno successivo (dopo circa 20 ore). La salatura dei formaggi si effettua a secco cospargendone con un po’ di sale alternativamente i piatti. Asciugamento dei formaggi: per due giorni in locali a 16 gradi e con umidità relativa intorno al 60%. Resa a 24 ore dalla fabbricazione: 26%; a maturazione: 17%.

Stagionatura: da 15 a 30 giorni circa in ambienti a 8-10 gradi e con umidità relativa del 90-95%.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: gr. 200; forma: cilindrica; crosta: morbida e bianca; pasta: bianca e compatta; grasso: 53-54%; sapore: delicato e aromatico a 15 giorni; più pronunciato dopo un mese.

Area di produzione: San Nicolò Gerrei (CA), Tertenia (NU), Nurri (NU).

Calendario di produzione: dicembre-luglio.

Note: è un formaggio a “crosta fiorita” ottenuto per coagulazione acidopresamica (il latte coagula sia per effetto dell’acidità prodotta dai fermenti lattici e sia per effetto degli enzimi del caglio). Può essere consumato fresco, dopo 48 ore dalla sua fabbricazione, oppure dopo 15-30 giorni di maturazione quando la crosta viene ricoperta da un candido feltro di muffa bianca vellutata (simile a quello del Camembert). La tecnologia di fabbricazione è stata messa a punto dall’Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna.

Ircano

Materia prima: latte intero di capra di razza sarda. Alimentazione: pascolo e macchia mediterranea.

Tecnologia di lavorazione: previa pastorizzazione, si porta il latte a 36-37 gradi, lo si inocula con una coltura in latte di fermenti lattici selezionati e lo si coagula, in 25-30 minuti, con caglio di vitello. Si taglia il coagulo prima con la “spada” e quindi lo si rompe delicatamente con la “spannarola” e con la “lira” in grumi delle dimensioni di una noce o di una nocciola. Ultimata la rottura si trasferiscono cagliata e siero nei tipici stampi esagonali nei quali si attua lo spurgo facilitato dalla stufatura in camera calda e dai ripetuti rivoltamenti. La salatura si effettua in salamoia per circa due ore. Resa a 24 ore dalla fabbricazione: 15-18% e a maturazione (15 giorni) 14-16%.

Stagionatura: 15 giorni in locali a 6-7 gradi e con umidità relativa intorno al 90%.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 6-7; diagonale: cm 15-20; peso: Kg 1,2-1,4; forma: esagonale con lato di cm 8 (circa); crosta: sottile, bianca; pasta: bianca, compatta e mantecata; grasso: 50-51%; sapore: leggermente acidulo.

Area di produzione: San Nicolò Gerrei, Tertenia, Guspini.

Calendario di produzione: dicembre-luglio.

Note: la tecnologia di fabbricazione è stata messa a punto dall’Istituto Zootecnico e Caseario per la Sardegna.

Pecorino Sardo DOP

Zona di produzione: intero territorio amministrativo della Regione Sardegna

Tipologia: Formaggio semicotto prodotto con latte di pecora in due tipologie, dolce e maturo

Descrizione: Il Pecorino Sardo dolce è un formaggio a breve periodo di maturazione, presenta una pasta compatta o leggermente occhiata, di colore bianco, il peso va da 1 a 2,3 chilogrammi; nel tipo maturo la pasta è bianca o tendente al paglierino, compatta o con rada e minuta occhiatura, tenera ed elastica; con il tempo, acquista una struttura più consistente, dura, con qualche granulosità; il peso va da 1,7 a 4 chilogrammi

Note: Le prime notizie certe sulle sue origini risalgono alla fine del ‘700. A quell’epoca i formaggi venivano prodotti con latte crudo o riscaldato tramite l’immersione di pietre arroventate ed erano denominati bianchi, rossi fini e affumicati. Tra questi, il rosso fino e l’affumicato sono considerati i progenitori del Pecorino Sardo.

Riferimenti normativi: Prodotto DOP, Registrazione europea con regolamento CE n. 1263/96 pubblicato sulla GUCE L163 del 2 luglio 1996; riconoscimento nazionale con DPCM 4 novembre 1991 pubblicato sulla GURI n. 83 del 8 aprile 1991

Ricotta salata

Materia prima: è ottenuta dal siero della lavorazione dei formaggi prodotti esclusivamente con latte di pecora di razza sarda. Alimentazione: pascolo naturale integrato con mangimi.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero a circa 90 gradi e la ricotta affiorata si lascia rassodare per circa mezz’ora sulla superficie del siero prima di estrarla mediante spannarola. Costituite le forme negli appositi stampi o nei teli (come nel caso del tipo “testa di morto” ), la si sottopone a pressatura e a salatura a secco.

Stagionatura: da 20-30 giorni (se usata da tavola) ed oltre se usata da grattugia, in ambiente fresco, secco e ventilato.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 12-15; diametro: cm 15-20; peso: Kg 2 (circa); forma: cilindrica (nel tipo “toscanella” ); crosta: bianca, quasi inesistente; pasta: compatta, bianca, tenera; grasso: 60-67%.

Area di produzione: intera Sardegna.

Calendario di produzione: novembre-luglio.

Note: le ricotte pecorine salate a seconda della forma cambiano nome: moliterna, a forma tronco-conica; toscanella, a forma cilindrica; testa di morto, a forma tondeggiante.

Gioddu, miciuratu, mezzoraddu, latte ischidu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione autonoma dellaSardegna.

Descrizione sintetica del prodottoLatte fermentato di pecora o di capra, dal colore bianco porcellanato, consistenza cremosa, sapore acidulo, odore e aroma tipico del latte della specie di provenienza.

Cenni storici e curiositàL’abbamele è fra i prodotti gastronomici più antichi della cultura rurale isolana.Come derivato del miele è strettamente legato alle modalità di conduzione degli alveari fin da epoche remote. L’utilizzazione del “casiddu” o bugno villico in sughero, è databile al periodo punico (500 a.c.), ma certamente già il popolo nuragico raccoglieva i favi di miele da alveari selvatici costruiti nelle rocce, oppure all’interno delle “tuvas” (tronchi cavi di alberi).

Ricotta di pecora o di capra lavorata – arrescottu spongiau

Territorio interessato alla produzione: Tutto il terriotorio regionale con particolare riferimentoall’area del Basso Sulcis (comuni di Teulada, Santadi e Giba).

Descrizione sintetica del prodottoSi avvolge la ricotta appena preparata in un telo sottile, e si appende a sgocciolare per l’eliminazione del siero per uno o due giorni. Una volta che è sgocciolata bene, si mette in una conca bassa di terracotta (sa scifèdda ‘e terra) o in una damigiana di vetro. La damigiana va riempita di ricotta fino all’orlo. Nella conca si lavora, si gira e si schiaccia (si trabàllanta e si spòngiara) la ricotta con la mano. Alcuni aggiungono poco sale. La bocca del contenitore viene coperta con un velo di tulle (una zanzariera), a protezione dalle mosche e il contenuto lasciato fermentare per un mese o più. Il composto deve essere mescolato ogni giorno, con la mano oppure con un bastone o un mestolo di legno, controllando sempre che all’interno non vi siano insetti o larve.

Cenni storici e curiositàS’arrescòttu spongiàu è prodotta da oltre un secolo, come rilevato attraverso le testimonianze orali degli anziani dei comuni di Teulada e Santadi. E’ ancora oggi preparata durante l’estate e consumata in autunno o in inverno, generalmente spalmata sul pane abbrustolito. Di consistenza cremosa, deve rimanere bianchissima, benché in primavera, quando è più stagionata, tenda a diventare di colore giallo. L’uso della ricotta di capra conferisce alla preparazione un gusto più delicato. Il prodotto finito si conserva per alcuni mesi entro vasi di vetro di piccole e medie dimensioni.La variante dolce era ed è consumata anche dai bambini. Le metodiche di lavorazione utilizzate in passato sono rimaste inalterate, pur presentando alcune varianti locali relative all’aggiunta o meno di sale e al contenitore usato per la produzione. Le informatrici hanno messo in evidenza come la buona riuscita di s’arrescottu dipende dalla materia prima, una ricotta proveniente da un processo di caseificazione tradizionale, fatta bollire più a lungo. Per quanto riguarda i contenitori, la conca in terracotta era usata anche in passato, mentre l’introduzione della damigiana di vetro è più recente, ed è dovuta a motivi pratici, in quanto semplifica la fase del controllo. In passato si adoperava anche sa pruina o bruina, la giara in terracotta.

Ricotta mustia

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoColore della superficie ambrato più o meno intenso; colore della pasta bianco; crosta quasi inesistente; consistenza della pasta tenera, compatta; aroma tenue di affumicato; gusto sapido; forma cilindrica (diametro dei piatti ca. cm 16-18, altezza dello scalzo ca. cm 5-6) o con scalzo e piatti irregolarmente arrotondati portanti i segni del telo utilizzato per la pressatura; forma di “pagnotta schiacciata” – (diametro medio dei “piatti” ca. cm 16-18, altezza media ca. cm 3-4).

Salsiccia sarda stagionata

Tecnologia di preparazione: le carni prevalentemente magre vengono tagliate a mano a pezzi piuttosto grossi, condite e insaccate nel budello precedentemente lavato con vino, aceto o vernaccia. La lavorazione della salsiccia è ancora, nelle zone rurali del nuorese e della Gallura, un momento di attività collettiva. Viene poi legata in rocchi di 40-50 centimetri che vengono piegati a forma di ciambella.

Composizione:
a) Materia prima: carni magre più grasso di suini allevati in Sardegna.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale, pepe, finocchio, aromi naturali che variano da zona a zona.
c) Additivi:

Maturazione: alcuni giorni in luogo fresco.

Periodo di stagionatura: un mese circa in luogo fresco o anche in cantina.

Area di produzione: tutta la Sardegna. È il salume sardo per eccellenza.

Musteba-mustela

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale con particolare riferimentoalla zona del Monte Linas.

Descrizione sintetica del prodottoSalume di forma cilindrica, allungato, di diametro variabile intorno ai 10-15 cm. e di lunghezza intorno ai 60-80 cm., di colore rosso scuro, odore gradevole, gusto dolciastro, esteriormente ricoperto di spezie (sale marino, pepe nero, aglio bianco fresco o granulare essiccato). Si tratta di un prodotto asciutto, senza un filo di grasso. In particolare per ottenere il prodotto finito, si utilizzano i seguenti ingredienti e tagli della carne: lombo suino di provenienza locale, sale marino, aglio bianco fresco o granulare essiccato, conservanti.

Cenni storici e curiositàIl prodotto musteba in passato era un prodotto pregiato, da consumare solo nelle grandi occasioni. Il salume in casa si preparava solitamente insieme alla salsiccia, si condiva insieme alla salsiccia (con aglio, pepe e sale), lavorata in una conca in terracotta, si faceva macerare dai 3 ai cinque giorni, separatamente si condiva una seconda volta con sale e pepe e poi veniva appesa per tutto il tempo necessario per la stagionatura.

Porcetto da latte, suinetto da latte, porcheddu, proheddu, porcheddeddu

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale

Descrizione sintetica del prodottoIl suino sardo da latte è caratterizzato da carni sode, compatte, sapide, con buona colorazione del muscolo, grasso di copertura consistente di colore bianco o rosato e leggera marezzatura.Sono escluse le carni pallide, flaccide, essudative e con grasso di copertura inconsistente, ossidato, untuoso e con colorazione anormale. Il suinetto da latte alla data della macellazione evidenzia un’età compresa fra i 30 e i 45 giorni.

Cenni storici e curiositàLa tradizione sarda, in fatto di arrosti, trova la sua migliore espressione proprio nel porchetto sardo. Sarebbe ampiamente sufficiente a riguardo consultare i testi riguardanti la gastronomia sarda editi in tale lasso di tempo per ritrovare puntualmente la precisa e puntuale descrizione delle metodiche di preparazione di questa specialità che non trova similari in tutto il territorio nazionale e comunitario.

Agnello di Sardegna IGP

Zona di produzione: intero territorio della regione Sardegna

Tipologia: Carne fresca nelle seguenti tipologie: ‘da latte’ (sino ai 7 kg), se proveniente da pecore di razza sarda allevate in purezza e alimentato con solo latte materno; ‘leggero’ (7-10 kg) o ‘da taglio’ (10-13 kg) se nutrito con alimenti naturali (foraggi e cereali) freschi e/o essiccati e proveniente da pecore di razza sarda allevate in purezza o mediante incroci di prima generazione con razze da carne altamente specializzate e sperimentate

Note: L’allevamento dell’agnello rappresenta per la Sardegna un’attività antica, frutto di una tradizione e di una cultura che si tramandano sin dal XVII secolo a.C.; la pastorizia sarda risale, infatti, al periodo prenuragico e sono numerose le citazioni rinvenute in epoca romana; inoltre, in documenti del Settecento si trovano riferimenti al commercio degli agnelli ‘da latte’. Gli animali sono allevati in ambienti del tutto naturali, caratterizzati da ampi spazi esposti a forte insolazione, ai venti e al clima della Sardegna, che risponde perfettamente alle esigenze tipiche della specie.

Riferimenti normativi: Prodotto IGP, Registrazione Europea con regolamento CE n. 138/01 pubblicato sulla GUCE L 23 del 25 gennaio 2001; riconoscimento nazionale con provvedimento 13 marzo 2001 pubblicato sulla GU n.73 del 28 marzo 2001

Lumache

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoMolluschi di terra delle specie Helix adspersa, Helix aperta, Eobania vermiculata.

Cenni storici e curiositàNonostante l’allevamento delle lumache (elicicoltura) in Sardegna risalga a pochi anni fa, è sicuramente tradizionale il consumo di questo mollusco, raccolto al pascolo nelle campagne.Bisogna anche considerare che il loro numero allo stato selvatico sta rapidamente diminuendo, a causa delle moderne tecniche dell’agricoltura.Sebbene tutti gli allevamenti in questione abbiano cominciato a produrre con fattrici selezionate negli stabilimenti di Cherasco (centro dell’Istituto Internazionale di Elicicoltura) nessun produttore esclude di poter allevare lumache locali, una volta affinate le tecniche di produzione.Non è da escludersi tuttavia che l’ambiente, il clima e il tipo di vegetazione offerta non influiscano sul gusto della lumaca, rendendo quindi il prodotto unico.Le lumache vengono consumate sia bollite in acqua aromatizzata con spicchi d’aglio, sia in verde cioè bollite e poi ripassate in tegame con olio, prezzemolo, aglio e pepe, sia al sugo cioè bollite e ripassate in tegame con olio, aglio, cipolla, pepe e passata di pomodoro.I lumaconi vengono gratinati al forno con olio, aglio, prezzemolo, pepe e pane grattugiato. Un tempo si cucinavano come le lumache.Le monachelle vengono raccolte chiuse nel loro opercolo, da qui il nome in sardo di “tuppadas” consumate arrosto, mangiate caldissime e salate al momento.

Coccoietto con l’uovo, Anguglia, Coccoi de pasca, Coccoi de ou

Area di produzioneTutto il territorio della Regione Sardegna

DescrizionePane tipo coccoietto, dalle forme stilizzate che riproducono animali domestici (uccellini, pesci, ochette, coniglietti, tartarughe, ecc.), con una o due uova incastonate nel cocoietto e sostenuto da treccine di pasta incrociate.

PreparazioneDisporre in una terrina la semola, lo zafferano, un mezzo bicchiere di latte e lievito. Impastare con acqua tiepida salata e lavorare fino a nitidezza. Lasciare riposare l’impasto per la lievitazione, poi tagliare i pezzi e formare i coccoietti con la forma desiderata; inserire sulla parte centrale dei coccoietti una o due uova intere con il guscio e sostenerle con una treccina di pasta a croce. I coccoietti così formati vengono poi decorati con lavorazioni sulla pasta, più o meno ricche, in maniera tale da costituire in certi casi dei veri e propri ricami. Infornare e cuocere come il pane.

Cenni storici e curiositàPane tipico preparato in occasione dei festeggiamenti Pasquali, che aveva la funzione dell’attuale uovo di Pasqua.La preparazione di questo pane avviene tradizionalmente nelle cucine casalinghe, o nelle panetterie autorizzate. Il pane può essere conservato per tre-quattro giorni in luogo asciutto (dispensa), senza che perda la sua originaria fragranza.

Moddizzosu

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Grossa pezzatura, di circa 500/1000 grammi ben lievitata, grigiastra, con mollica consistente e crosta bruna.Ingredienti: farina di grano tenero, sale, acqua e lievito naturale o chimico.Lavorazione:- amalgama degli ingredienti: in questa fase l’impasto viene costantemente inumidito in modo damantenere la necessaria elasticità;- lievitazione dell’intero impasto all’interno di una grossa madia per circa 60/90 minuti;- pezzatura a mano della pasta;- la cottura (che dura circa 60 minuti a 300° C) conclude il ciclo di produzione.

Pani cun edra – Pane con gerda (ciccioli di lardo)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Pane di forma triangolare, di colore chiaro dorato, con mollica, in media del peso di 300-350 g., con un gusto particolare conferitogli dalla presenza dei ciccioli (gerde=lardo del maiale a pezzetti) nella mollica.Ingredienti: farina di grano tenero tipo 00, acqua potabile, ciccioli, sale marino alimentare prodotto in Sardegna, fermenti naturali e lievito di birra (in piccola quantità).Preparazione delle gerde (ciccioli): Prima di tutto si taglia il lardo del maiale a pezzettini, si fa cuocere in pentola per circa 1 ora senza l’aggiunta di alcun ingrediente (niente sale) sino a totale scioglimento del grasso. La parte in superficie (strutto) viene spillato, mentre per la preparazione del pane si utilizza solo la parte solida (gerde).Preparazione dell’impasto: Nell’impastatrice si versano i seguenti ingredienti in ordine di quantità: farina di grano tenero tipo 00, condimento (gerde), acqua tiepida, fermenti naturali, lievito di birra e sale marino.Lavorazione: Nell’impastatrice il composto viene lavorato per un periodo di tempo variabile a seconda delle condizioni climatiche e della quantità di impasto ottenuto.Prima lievitazione: la pasta viene poi raccolta manualmente dall’impastatrice ed adagiata sui tavoli da lavoro per una prima fermentazione della durata di circa 1 ora.Tornitura: Successivamente si passa alla formazione dei pani (la tornitura viene realizzata a mano).Seconda lievitazione: ogni pezzatura così ottenuta viene adagiata, per la seconda lievitazione della durata di un’ora e trenta minuti, sulle teglie in acciaio siliconato. Dopo si procede alla cottura dei pani.Cottura: Per una cottura ottimale è necessario portare la temperatura del forno a 230-240 C per circa quaranta minuti.Note: In passato era un tipico pane che si confezionava in modiche quantità solo in occasione dell’uccisione del maiale allevato in casa, visto e considerato che dal lardo si cercava di ottenere la massima quantità di strutto da utilizzare come sostituto dell’olio di oliva (prodotto scarsamente reperibile sul mercato o del tutto inesistente). Per ottenere una maggiore quantità di grasso l’animale veniva alimentato con fave, piselli e ceci nell’ultimo periodo, prima della macellazione. Attualmente il pane con le gerde si trova di frequente nei panifici artigianali come specialità

Civraxiu, Civràxu o Civàrxu

Area di produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla zona del Campidano di Cagliari (il comune di origine è Sanluri).Descrizione:Pane di grossa pezzatura, oltre 2000 grammi (anche se si possono trovare di pezzatura inferiore, ma non al di sotto dei 1000 grammi), ben lievitata, di colore giallo ambrato, rispecchiante il colore del grano duro maturo.Composizione:Materia prima:semolato di grano duro sardo, acqua, lievito naturale (“su fermentu” o “sa mamma”)che deve essere rinnovato quotidianamente, sale. Attualmente nei panifici industriali vengono utilizzatianche lieviti chimici per poter ridurre i tempi di produzione.Tecnologia di lavorazione:– amalgama degli ingredienti: in questa fase, l’impasto composto da semolato di grano duro sardo, acqua, lievito naturale (“su fermentu” o “sa mamma”), viene costantemente inumidito in modo da ottenere la necessaria elasticità; – lievitazione dell’intero impasto all’interno di una grossa madia per circa 60/90; – pezzatura a mano della pasta che viene riposta dentro ai cestini, rivestiti di lino e cotone, che hanno la funzione di assorbire l’umidità della pasta e di dare, di conseguenza, il tipico colore dorato alla crosta del Civràxiu. Qui avviene la seconda e definitiva lievitazione della durata di circa quattro/sei ore; – la cottura (che dura circa 60 minuti a 300°C) conclude il ciclo di produzione.Note:Questo tipo di pane veniva consumato soprattutto da coloro che lavoravano in campagna, poiché era considerato il pane dei poveri e per il suo colore scuro era chiamato anche pane nero (pani nieddu) dal colore della farina scura.L’archeologo Giovanni Lilliu, nella prefazione del libro “In nome del pane” – Carlo Delfini Editore, afferma che tale lavorazione già prima del ‘700 era fortemente connaturata nella realtà quotidiana.Questo tipo di pane veniva consumato soprattutto da coloro che lavoravano in campagna, come storicamente citato nella pubblicazione del 1184 “topografia e statistica medico-storica” del Comune di Sanluri con note del Dott. Salvatorangelo Ledda (Pag.67, capoverso IV cita: “…il pane comune è il civraxiu – pani cibrarius degli antichi romani – assai grosso, tuttavia ben coto, gustosissimo e preferibile al miglio pane lavorato con il processo dell’arte, quale è usato dai genovesi e dai francesi….”;“Non temo di essere contraddetto s’io asserisco, scrisse uno scrittore degno di fede, non esservi migliorpane del sardo (Il Bresciani);In tutta la Sardegna è rinomato per grossezza, per bontà e grado di nutrizione il civraxiu di Sanluri.

Coccoi pintaus

Composizione:
a. Materia prima: semola di grano duro scelta o normale, acqua, lievito acido, lievito di birra, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: la farina viene impastata con acqua tiepida nella quale è stato aggiunto il lievito (matrike, fermentarzu). L’impastamento si effettua su un asse o una tavola. La pasta viene fatta riposare su piatti di terracotta. Dopo aver segnato con la croce la pasta si copre bene. Quando la pasta inizia a lievitare si reimpasta e si lascia fermentare ancora. Dopo la seconda alzata la pasta è pronta per essere messa in forma. Le forme sono in questo caso numerosissime, a seconda delle ricorrenze festive.

Area di produzione: in tutta la Sardegna.

Note: è il pane delle feste. Cotto nei forni tradizionali prende svariate forme e nomi diversi: è “aranada” quando è a melagrana, “pisci” quando a pesce, “pilloni” se a forma di uccello, “tostobuio” se di tartaruga, “arrosa” se di rosa, “cuaddu” se a cavallo stilizzato, “pippia” se a forma di bimba, “coccoi cun s’ou” se per le feste di Pasqua e molte altre ancora. I pani rituali sardi sono moltissimi ed è impossibile menzionarli tutti, come meriterebbero. Ogni donna, di volta in volta, poi, a seconda delle circostanze, inventa delle forme nuove cui dà un valore simbolico attinente al fatto che vuol solennizzare (cfr. G. Angioni, “Il pane nella Trexenta”, da Pani tradizionali, arte effimera in Sardegna, editrice Democratica Sarda, Sassari, 1994). Le donne munite di forbici, coltello e rotella riescono a creare delle elaborazioni molto complesse e raffinate. Le forme più ricorrenti sono quelle che riproducono animali domestici e motivi floreali.

Pagnotte di Osilo Sanluri

Composizione:
a. Materia prima: semolato rimacinato di grano duro, acqua, lievito naturale, lievito di birra, sale e malto.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: la farina, acqua calda, lievito, sale e malto vengono impastati fino a completa omogeneità degli ingredienti. Si lascia fermentare per qualche ora, poi si aggiunge ancora altra farina reimpastando il tutto, si formano dei pani rotondi del diametro di circa 70 cm. e lo spessore di 5 cm. Si lascia completare la seconda alzata e si cuoce in forno caldo.

Area di produzione: in provincia di Cagliari.

Note: le varietà di pane che vengono fatte in Sardegna sono molto diverse soprattutto nella forma e nel nome, che cambia da paese a paese. I pani si identificano a seconda del tipo di farina usata: pan ‘e simula, quando è fatto con la semola; poddina o podda quello fatto con fior di farina (che nel secolo scorso veniva chiamato farra limpia) consumato dai benestanti ma dai poveri solo nelle feste; kibarzina, o kibarzéddu, quello di cruschello fine o tritello; poddino o fuìfere, quello di crusca di frumento; gilinzone il pane di crusca d’orzo. (cfr. Aa.Vv, Pani tradizionali, arte effimera in Sardegna, Sassari, 1994).

Pistoccu

Area di produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento al Gerrei (prov. CA).
Descrizione:Piccola pezzatura rettangolare, schiacciata, croccante, poroso da un lato, di colore scuro ochiaro a seconda dell’utilizzo di farina integrale o di farina tipo 00, semola di grano duro – peso di ognisingola pezzatura: grammi 30/40 circa.Tecnologia di lavorazione: La produzione del Pistoccu tradizionale (colore chiaro) si ottiene con la miscelazione della farina 00 con semola di grano duro, lievito di birra, sale e acqua. La lavorazione è effettuata con apposita impastatrice, munita di specifiche caratteristiche tecniche, adatte a questa particolare produzione, che viene completata in due tempi della durata complessiva di circa un’ora.L’impasto ottenuto viene quindi trasferito in appositi recipienti ad esclusivo uso alimentare e lasciato riposare per circa un’altra ora. Quindi sul tavolo da lavoro, si formano dei pastoni di circa 5 kg ognuno, successivamente laminati in sfogliatrice e tagliati a strisce. Le strisce sistemate sul tavolo, vengono selezionate in piccoli rettangoli, della misura mai uniforme, in quanto tagliati artigianalmente.Il prodotto ottenuto viene poi, risistemato in apposite tavole di legno, che favoriscono la lievitazione naturale di questo tipo di pane, per essere poi infornato in forno a vapore a 200 C. per circa 20 minuti.Sfornato, ogni pezzo viene passato nella taglierina, che lo divide in due parti in senso orizzontale, per consentire l’asportazione della mollica in eccesso; quindi, viene biscottato al forno “rotor” a ventilazione, fino al punto voluto.Il Pistoccu rigorosamente controllato pezzo per pezzo, viene successivamente confezionato con apparecchio termoretraibile, in confezioni da grammi 500 e sistemato in cartoni da 6 kg, pronti per essere immessi sul mercato.Note: è il pane più antico della regione. Di lunga durata, era la riserva di cibo dei pastori che si allontanavano da casa, nei pascoli, anche per un mese. Durante l’estate, nelle famiglie contadine, era il solo pane che veniva fatto perché meglio conservabile. Oggi è consumato con pomodoro e basilico, origano, prezzemolo, aglio o con formaggio piccante.

Zichi

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Sardegna con particolare riferimento alla zona del Logudoro – MejloguDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO:Ingredienti: farina di grano duro, sale, acqua, su fremmentalzu o lievito. Lavorazione: La sera antecedente la panificazione si prepara “Sa madrighe” sbriciolando “Su femmentalzu” (pezzo di pasta conservato dalla panificazione precedente) nell’acqua tiepida sino al completo scioglimento. Vi si aggiunge quindi un po’ di farina ottenendo un impasto molto morbido; la superficie viene assolcata a croce in modo da poter valutare visivamente l’intensità del processo fermentativo. La farina è messa in un recipiente in terracotta dove viene aggiunta l’acqua preventivamente salata ad una temperatura compresa tra i 40 C (estate) e i 60 C (inverno). L’acqua deve essere aggiunta lentamente e si impasta. quando l’impasto raggiunge un minimo di omogeneità si aggiunge sa madriche e si continua ad amalgamare il tutto sino a formare su cumassu. Su cumassu viene lavorato fino ad ottenere un impasto omogeneo ed elastico. Dall’impasto vengono di volta in volta prelevate porzioni del peso di ca. 400/500 gr. rese di forma più o meno rotondeggiante che successivamente vengono spianate con l’uso del mattarello di legno sino ad ottenere dei cerchi di 0,5 cm. di spessore e 35/40 cm. di diametro. Il pane così ottenuto viene premuto su tutta la superficie con i polpastrelli delle dita (faghere in poddighe), viene timbrato con dei timbri in legno (sas marcas) per l’identificazione, nelle produzioni domestiche il pane è segnato con la rotella metallica, è quindi messo a lievitare per 10/12 ore in inverno e 6/7 ore in estate. AI termine della panificazione viene conservata l’ultima porzione di pasta per formare su fremmentalzu che ha la duplice funzione di essere utilizzato come starter nella panificazione successiva e allo stesso tempo come indicatore della avvenuta lievitazione prima di sottoporre il pane a cottura. Per avere una maggiore sicurezza dell’avvenuta lievitazione si prepara anche su prou che consiste in una piccola porzione di zichi, di forma triangolare che viene infornata prima del pane vero e proprio. Tradizionalmente la cottura avveniva in forni a legna ben caldi (450 /500 C.), dei cinque laboratori oggi esistenti solo uno fa uso del forno a legna. La particolarità di questo pane sta nel fatto che si presta ad essere cucinato. Quando il pane diventa duro, ora sono gli stessi produttori che lo realizzano pronto per tale uso, viene tagliato a pezzi piccoli, e cucinato per 10/15 minuti in brodo di pecora bollente o in un brodo ottenuto con il pesto di lardo e prezzemolo, pestati con una scure fino ad ottenere un impasto omogeneo, una volta cotto, il pane è condito con formaggio pecorino, insieme al pane vengono cucinate patate e cipolle. Una variante del pane uddidu è su pane a fittas, in questo caso i pezzi di pane sono tagliati più piccoli 3/4 cm. è conditi con sugo e formaggio pecorino abbondante.

Coccoi a pitzus, Pasta dura

Denominazione del prodotto:Coccoi a pitzus – Pane decorato di semola di grano duro (Su scetti, Pasta dura, Coccoi de is sposus)Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione SardegnaDescrizione sintetica del prodotto:Pane di pasta dura, di forma complessivamente tonda (corona) di diametro intorno ai 35-40 cm., dello spessore di 6- 7 cm., con foro al centro di circa 20-25 cm., o a semicerchio; crosta croccante e di colore dorato, mollica compatta e di colore bianco. Si tratta di una specialità prelibata per l’ottimo gusto ed il profumo che ricorda quello del grano.Si contraddistingue per le tipiche decorazioni costituite da triangolini serrettati realizzati lungo tutto il perimetro inferiore del pane, e da ulteriori sporgenze (pitzus) ricavate sulla parte superiore del pane. E’ un tipo di pane pregiato che in passato si preparava per le grandi ricorrenze. Si ottiene da semole di ottima qualità derivanti da grano duro coltivato esclusivamente in Sardegna, acqua potabile, sale marino alimentare prodotto in Sardegna, fermenti naturali – si utilizza il fermento su fromentu (dal latino fermentu) cioè la pasta acida. Alcuni produttori panificano con l’aggiunta di una piccola quantità di lievito di birra. Nella preparazione meccanica si versano tutti gli ingredienti nell’impstatrice. L’impasto che si ottiene deve essere lavorato lentamente fino ad ottenere una pasta non troppo elastica. In seguito il composto viene cilindrato per ottenere una pasta liscia. La lavorazione manuale viene eseguita su tavoli in legno. La pasta viene raccolta dall’impastatrice e poi adagiata sui tavoli da lavoro e poi allungata a mano.Tornitura: si procede poi alla formazione dei pani, ogni pezzatura viene tornita sino a farle assumere la forma circolare o semicircolare (con foro al centro e schiacciata alle estremità).Decorazione: si procede alla decorazione manuale del coccoi in cui si richiede molta cura e abilità nell’uso degli attrezzi. Prima di tutto lungo il perimetro di base del coccoi vengono realizzati tanti triangolini, ricavati dalla stessa pasta. Le ulteriori decorazioni eseguite dal panificatore si ottengono mediante l’esclusivo utilizzo di due attrezzi: una serretta ed un coltellino (arrasoyedda o meglio gotteddu de pesai). La serretta si utilizza per realizzare is pitzus lungo il perimetro, il coltellino (arrasoyedda o meglio gotteddu de pesai) per intagliare la parte superiore.Lievitazione: la pasta così decorata viene adagiata su dei ripiani costituiti da lunghi teli in cotone scorrevoli (una sorta di nastro trasportatore), applicati a dei carrelli dotati di sistemi per l’aggancio di ciascuno dei ripiani ad un sistema di scorrimento che azionandolo permette il trasporto dei coccoi direttamente lievitare per 60-65 minuti. Successivamente si procede alla cottura dei pani
Cottura. E’ necessario portare la temperatura del forno a 200-220 C per circa 50 minuti (alcuni anche con temperature più elevate, intorno ai 310 C per 40 minuti, o più basse 180 C per 40 minuti).Durante la cottura l’impatto con il calore fa si che le parti intagliate si sviluppino facendo assumere al coccoi l’aspetto tipico a pitzus.Note: Il coccoi è un pane di qualità pregiata. In passato si preparava solo in occasione di particolari ricorrenze quali i matrimoni (“Coccoi de is sposus”) e la Pasqua.Regione autonoma della Sardegna – Ersat: Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica

Focacce di ricotta (Cozzulas de regottu, Pane e regottu)

SINONIMI: Pani cun arrescottuTERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Pane di forma triangolare, basso, gusto tendente al dolce, di colore chiaro dorato, con mollica chiara, in media del peso di 300/350gr.Ingredienti: farina di grano tenero 00, condimento (ricotta ovina), acqua potabile, sale marino alimentare prodotto in Sardegna, fermenti naturali (su Framentu cioè la pasta acida dal latino Fermentum) e lievito di birra (in modiche dosi).Preparazione de “Su Fromentu ”: si ottiene da una base costituita da un pezzo di pasta acida avanzato dalla panificazione del giorno precedente, a cui si aggiunge della farina di grano tenero tipo 00, si lavora per circa 30 minuti e poi lo si lascia riposare per 5/6 ore prima di esser inglobato nell’impasto.Ogni panettiere conserva “gelosamente”una parte dell’impasto del giorno del giorno per poterlo utilizzare il giorno seguente dome fermento per la successiva panificazione. Qualora malauguratamente dovesse restarne privo ricorre agli altri panettieri per ottenerne un poco. Dovendo realizzare “su Framentu ” ex novo, si rende necessario eseguire la seguente procedura: prima di tutto si impasta la farina tipo 00 con il lievito di birra, l’acqua ed il sale marino, in seguito, il composto cosi ottenuto viene lavorato per circa 30 minuti e poi lo si lascia riposare per 5/6 ore prima di essere inglobato nell’impasto per la panificazione.Lavorazione degli ingredienti: il composto ottenuto dall’impasto dei citati ingredienti deve essere lavorato nell’impastatrice per un periodo di tempo variabile a seconda delle quantità e delle condizioni climatiche. Prima lievitazione: la pasta viene raccolta a mano dall’impastatrice e adagiata sui tavoli da lavoro per una prima fermentazione della durata di circa 1 ora. Tornitura: in questa fase la pasta viene suddivisa in tanti pani all’incirca della stessa dimensione (la tornitura viene realizzata a mano). Seconda lievitazione: ogni pezzatura cosi ottenuta viene adagiata, per la seconda lievitazione della durata di 1 ora e 30 minuti, sulle teglie in acciaio siliconato. Cottura: quando la pasta ha raggiunto la giusta lievitazione, si passa alla cottura dei pani, che richiede dei tempi più brevi rispetto alle altre tipologie anche per via delle pezzature più ridotte. Per una buona cottura si richiede una temperatura del forno pari a 230/240 gradi, per circa quaranta minuti.NOTE: In passato il pane con la ricotta (arrescottu), si preparava mediante l’impasto della semola di grano duro con acqua, fermento naturale e sale, si lasciava riposare il composto a cui in seguito si univa la ricotta prima della lievitazione. La pasta veniva prima tornita (formazione dei pani) e in seguito ogni pezzatura si riponeva in cesti (is crobis) per la lievitazione, ricoperti da canovacci in cotone, e disposti in modo tale da creare delle pieghe che assicurassero una netta separazione delle varie pezzature l’una dall’altra. La cottura si effettuava con il forno a legna. Questo pane si confezionava in modiche quantità solo in certi periodi dell’anno quando era possibilereperire la materia prima cioè la ricotta prodotta artigianalmente.Attualmente il pane con la ricotta lo si può trovare nei panifici artigianali tutte le settimane come specialità.

Focaccia portoscusese

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Il Comune di Portoscuso e zone limitrofe del Sulcis Iglesiente della Regione Autonoma della Sardegna.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Focaccia rotonda, a base di farina e patate lievitate, si presenta come una pizza condita con pomodori, pecorino fresco, burro, latte, cipolla e olio.DESCRIZIONE DELLE METODICHE DI LAVORAZIONE, CONSERVAZIONE E STAGIONATURA: Lessare le patate in acqua salata, passarle e amalgamarle con la farina; incorporare all’impasto il latte e il lievito, lavorare sino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo, far lievitare e lasciare riposare per qualche ora. In una padella far sciogliere una noce di burro, aggiungere l’olio e far soffriggere la cipolla, aggiungere quindi il pomodoro a pezzi e lasciar cuocere fino a quando il condimento diventa denso. Stendere l’impasto sino a formare una sfoglia di un centimetro; disporre sopra il condimento, cospargere con abbondante pecorino grattugiato e cuocere in forno ben caldo per circa mezz’ora e poi servire la focaccia ancora calda.
La preparazione di questo piatto avviene tradizionalmente nelle cucine casalinghe. Il piatto va consumato subito dopo la preparazione.

Pane ‘e cariga (pane ‘e mendula)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla zona dell’Anglona.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Focaccia con fichi secchi e uva passa.Il “pane ‘e cariga” si presenta di forma rotonda, con un diametro di circa 25/30 cm di un colore giallo dorato per uno spessore di circa 2/3 cm ed un aspetto morbido ma consistente. E’ un prodotto tipico dell’antica tradizione culinaria anglonese che vedeva accompagnare le classiche focacce di pane di grano duro con altri ingredienti poveri ma gustosi e nutrienti come i fichi secchi, le mandorle, le noci e l’uva passa.Lavorazione: La farina di grano duro viene lavorata con acqua tiepida amalgamando gradualmente il lievito sino ad ottenere un impasto liscio, omogeneo ed elastico che verrà successivamente ammorbidito con acqua tiepida al fine di incorporare gradualmente i fichi secchi, tagliati a piccoli pezzi o a striscioline, sino ad integrarli tutti uniformemente.Alternando mandorle, noci e uva sultanina (che deve essere prima ammollata in acqua tiepida) si ottiene una variante molto delicata e gustosa della stessa focaccia.L’impasto viene, quindi, lasciato riposare sino a completare la lievitazione in un recipiente di terracotta, coperto da carta oleata e un panno di cotone pulito e asciutto. Il tempo di lievitazione dipende dalla quantità di composto e di lievito utilizzato.A pasta lievitata se ne stende una quantità pari ad un’arancia con le dita su di un disco di carta oleata con lo strutto, dal diametro desiderato ed infornare a circa 180 per 15/20 minuti. A cottura ultimata la focaccia deve. risultare un colore giallo dorato dal fondo chiaro ed uniforme.Si consuma ancora calda o surgelata previo riscaldamento di pochi minuti nel forno.
Note: Ovviamente tutti gli ingredienti provenivano dal territorio e venivano preparati scrupolosamente in casa. I fichi venivano seccati nei “canistreddi” e conservati in sacche ricavate dalle foglie di vite o del fico stesso e conservati al fresco nella dispensa di casa.La lavorazione piuttosto semplice era riservata alle donne di casa che per le feste, o in occasione di ricorrenze particolari, preparavano questi gustosi prodotti segno di festa e di abbondanza, nonostante la povertà degli ingredienti.Attualmente viene commercializzato un prodotto similare con la sostituzione dei fichi secchi con la sola uva passita.La tradizione vuole che il lievito sia prodotto artigianalmente (matrija) attraverso un processo di fermentazione naturale dell’impasto utilizzato per il pane, come pure la cottura deve essere necessariamente effettuata nel forno a legna componendo la focaccia direttamente nella paletta che viene introdotta direttamente nel forno.In particolare le focacce di mandorle, noci e uva passa venivano tipicamente preparate per il giorno diOgnissanti.E’ un prodotto quasi scomparso, del quale solo presso famiglie nelle quali ancora si trovano anziani si sente parlare o ancor più raramente se ne può gustare il sapore.

Uciatìni (Utzatini – Coccu ‘e jelda – Cozzula ‘e belda)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla Gallura.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Focaccia con ciccioliL’aspetto è quello di una specie di focaccia piuttosto schiacciata, dalla forma ovoidale con qualche variante leggermente più rotonda e dai bordi mai perfettamente rifiniti. Le dimensioni delle “Uciatini” (femminile) sono assai variabili: da un asse maggiore di circa 10 cm in alcune versioni si può arrivare fino a 20-25 cm. La consistenza al tatto del prodotto è soffice: esso si spezza senza fatica e nonostante la sua forma schiacciata, lo strutto che ne compone l’impasto dona questa morbidezza alla pasta.Ingredienti: farina, oggi di grano tenero (anticamente la farina di grano duro in Gallura soprannominata “Trigu saldu o ruiu”, zucchero, uva passa, saporita, scorza d’arancia, lievito di birra e piccoli pezzi di grasso di maiale ottenuti dopo aver sciolto lo strutto (Jelda).Lavorazione: preparare un impasto (rigorosamente a mano) unendo la farina con acqua salata appena intiepidita e lievito analogamente a quanto avviene per il pane. Si aggiungono quindi gli altri ingredienti e si continua la lavorazione fino a quando l’impasto è ben amalgamato. A questo punto è sufficiente abbozzare delle forme e lasciare i pezzi a lievitare naturalmente. La cottura avviene in forni a legna molto ben riscaldati. Il colorito e l’aspetto finale del prodotto è marrone chiaro ricoperto di uno strato di zucchero semolato nella versione “dolce”, piuttosto bruciacchiato alle estremità mentre mantiene una sufficiente morbidezza nella parte centrale. La conservazione avviene in semplici contenitori o cesti di vimini ricoperti esclusivamente da un velo, giacché il prodotto sembra mantenere inalterate le sue caratteristiche qualitative nel tempo senza la necessità di particolari accorgimenti.Una variante a tale metodo di preparazione è l’uso di cipolla tritata preparata in un curioso soffitto con i ciccioli. Con esso si mischia e si aggiunge la pasta quando è stata già fatta lievitare per un poco, quindi si completa lalievitazione e dopodiché si infornano. Questa peculiarità riguarda la versione “salata” delle Uciatini.Note: In origine le Uciatini venivano prodotte in occasione del periodo invernale in coincidenza con l’uccisione del maiale (pulchinatu). Tale occasione era necessaria perché in quel periodo si rendevano disponibili grandi quantità di lardo che peraltro non potevano essere conservate per lunghi periodi di tempo o almeno fino all’estate successiva. Attualmente le Uciatini possono essere prodotte lungo tutto l’arco dell’anno, anche se il loro più intenso consumo si ha prevalentemente ancora durante le stagioni più fredde.

Panada Assaminesa

Area di ProduzioneAssemini (CA)

Altri nomi del prodottoImpanadas, Panada di Assemini

Descrizione“Sa panada” è un piatto a base di pesce, solitamente anguille, o di carne di agnello, condito con patate o piselli, oppure carciofi. Nei mesi primaverili si può preparare con favette e/o piselli. Il termine culinario “Panada” viene associato, spesso, alla comunità di Assemini da tutto il territorio regionale.La panada ha forma rotonda, simile ad una pentola a pressione. E’ composta da una grande sfoglia di pasta rotonda lavorata come un recipiente, con bordi alti dai 5 ai 10 centimetri ed un diametro variabile dai 20 ai 40 centimetri, che contiene il ripieno – tassativamente crudo, richiusa poi da una sfoglia di pasta, idonea per dimensione a fungere da coperchio, con una chiusura eseguita manualmente simile ad un cordoncino che decora il bordo. A cottura ultimata, la panada assume un colore dorato ed un profumo intenso che rimanda agli ingredienti del ripieno come le anguille o l’agnello. Si serve ben calda, con porzione abbondante, dov’è presente sia il profumato e sostanzioso ripieno che la sfoglia di pasta con la tipica forma bombata della pentola. La sua altezza è in funzione della quantità di ripieno che si vuole usare o del numero di persone che la consumeranno: normalmente la panada ha una pezzatura variabile per il consumo da 2 a 3 persone o da 6 a 7 persone, ossia un nucleo familiare, anche perché, per tradizione, il giorno in cui si prepara la panada, essendo un piatto completo, sulla tavola non compare altro, neanche il pane.

PreparazioneLa lavorazione della pasta, composta da farina, semola, strutto, olio di oliva, acqua e sale, prevede un tempo di riposo di almeno 30 minuti. E’ seguita quindi dalla stesura compiuta con un mattarello al fine di ricavare due dischi di sfoglia: uno con diametro voluminoso per la base ed uno proporzionalmente più piccolo per il coperchio, considerando che la grandezza dei dischi è funzionale alla quantità di ripieno da inserire.Anticamente, la preparazione della panada prevedeva l’utilizzo del forno a legna per la cottura.Attualmente, con i nuovi forni, si procede in questa maniera: si pone il disco grande di pasta sfoglia all’interno di una teglia per creare la base, sollevando quindi i bordi come un contenitore e si aggiungono i condimenti quali olio di oliva, sale, pepe, pomodori secchi, prezzemolo e aglio. Sopra questi si posiziona quindi uno strato formato dalle patate o altre verdure e sopra esso lo strato di anguille o di carne di agnello.Si procede a perfezionare i bordi della pasta sfoglia creando delle piccole pieghe al fine modellare quasi una pentola, che per essere completamente riempita, può necessitare di ulteriori strati dei predetti ingredienti e condimenti fino allo strato che aderirà al coperchio di pasta sfoglia, generalmente composto dallo struttoper la carne di agnello oppure da un bicchiere di olio di oliva per le anguille. Si procede quindi alla chiusura dell’involucro, posizionando il coperchio di pasta. L’abilità tipica delle donne asseminesi nell’operazione di chiusura ermetica della panada prevede che con le due dita della mano sinistra si assottigli la pasta che unisce i due dischi mentre con indice e pollice della mano destra la si arrotoli creando un sottile cordoncino che chiude i due lembi di pasta che, oltre a sigillare la preparazione, funge da elemento decorativo della panada. Il prodotto si informa a 180 /190 gradi per almeno 90 minuti, verificando costantemente la temperatura. Al termine della cottura, per migliorare l’aspetto estetico si stende sopra la pasta dorata un velo di strutto di maiale per conferire lucentezza alla panada. La panada, lasciata riposare per almeno un’ora, è poi servita ben calda. L’esperienza degli anziani è in un detto “sa panada deppiri mattii “ cioè deve riposare per meglio valorizzare i sapori.La panada è un piatto versatile. Infatti, gli ingredienti quali l’agnello e le anguille possono essere variati, peresempio, con altre combinazioni di verdure di stagione, oltre le sempre presenti patate, come piselli, carciofi, fave, conferendo al prodotto caratteristiche di stagionalità.

Cenni storici e curiositàRisalire alle origini di questa peculiarità’ culinaria è praticamente impossibile per mancanza di dati precisi. Nellamemoria degli asseminesi è sempre stata una costante, si pensi ai modi di dire che ne dimostrano l’appartenenza alla comunità. Ecco alcuni modi di dire asseminesi: Asseminesu papa panada – asseminese mangiatore di panada; Potara una facci cumenti una de panada – ha la faccia tonda come una panada; pezza a mazza è panada – carne preparate con la stessa modalità del ripieno della panada; in sa ia su guaddu ha lasau is panadas – per strada il cavallo ha lasciato escrementi grandi e tondi come se fossero panade; è a facci de panada – è dorata come se fosse una panada .“Sa panada” nasce come piatto di un popolo semplice di pescatori e agricoltori che viveva nell’agro di Assemini, da cui traevano pescato, in particolare anguille nello stagno di S. Gilla, e carni di agnello o capretto dai pascoli circostanti.Tutto ciò faceva sì che questi prodotti costituissero il cibo principe per gli Asseminesi. “Sa panada” è un piatto molto saporito, un primo e secondo completo e appetitoso che riesce a rivelare i sapori del territorio. Le donne di Assemini il giorno che facevano il pane in casa approfittavano della accensione del forno a legna e oltre al pane, preparavano anche la panada.La consuetudine delle famiglie di Assemini per la preparazione della panada in ragione dell’arrivo di ospiti è sempre stata ben radicata. Infatti, oltre alla produzione destinata al consumo domestico, è possibile trovare la panada su prenotazione negli agriturismi locali, ristoranti e diversi negozi di gastronomia.La tradizione vuole anche che la panada sia presentata a tavola intatta, con la sopracitata forma di contenitore chiuso e sia quindi aperta davanti ai commensali per assaporane il profumo e, solo dopo, sia suddivida in porzioni.

Panadas (Empanada)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento ai comuni di Oschiri (comune capofila e di origine), Berchidda e Pattada.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Involtini con ripieno di carne di agnello, vitello o maiale.La panada si presenta di forma cilindrica alta cm. 4/5, dal raggio di circa cm. 5, ornata da un “cordoncino”. sul disco superiore e dal peso di circa gr. 150.Ingredienti per la pasta: Kg. 1 di semola di grano rimacinata, gr. 250 di strutto animale impastati ad acqua e un pizzico di sale.Lavorazione: L’impasto viene lavorato fino a quando diviene liscio e viene fatto “riposare” per circa due ore. Durante tale arco di tempo viene preparato il ripieno.Ingredienti per il ripieno: Kg. 1 di carne di agnello oppure da gr. 500 di carne di vitella egr. 500 di carne di maiale.Lavorazione del ripieno: la carne viene tagliata a dadini e ad essa si aggiunge gr. 400 di lardo macinato e pulito dal sale, un pizzico di pepe (particolarità sottolineata con vigore nella produzione casalinga oschirese della panada è che il pizzico è preso con tre dita – indice pollice e anulare – a significare un “pizzico abbondante”), prezzemolo a piacere e un particolare composto prodotto dall’acqua (due dita in un bicchiere) nella quale vengono fatti macerare per 30 minuti gr.27 di sale e uno spicchio d’aglio tagliato finissimo. Amalgamato per bene il ripieno si passa alla lavorazione della pasta.Lavorazione della pasta: la pasta viene stesa e ritagliata in tanti “dischi” di due differenti dimensioni: grande per la “base” e piccola per il “coperchio”. Il disco grande viene lavorato in forma di tazza e nella sua cavità si aggiunge il ripieno di carne e si chiude con il coperchio, ossia il disco di pasta più piccolo. Le dosi sopra indicate consentono di ottenere circa 20 panadas. La chiusura è operazione particolarmente delicata oltre che dimostrazione dell’abilità della massaia che infatti unisce con l’indice ed il pollice i bordi della pasta in modo funzionale e decorativo al tempo stesso a forma di cordoncino. Una panada ben chiusa non si aprirà in fase di cottura è manterrà un aspetto quasi di dolce.La panada va cotta in forno alla temperatura di 200 per circa 20 minuti. Il prodotto va consumato caldo o tiepido ed è commercializzato in confezioni (generalmente da due panadas in vaschette coperte da cellophane) precotto da riscaldare a cura del consumatore.Note: Prodotto arcaico noto dai tempi di Pietro IV d’Aragona nel XV secolo che ne parlava come “empanadas”, il prodotto ha subito qualche trasformazione nel tempo relativamente al ripieno. Pare che le panadas originali fossero ripiene di anguilla, pesce particolarmente grosso che abbondava nel vicino fiume Coghinas. Il ripieno era composto da un’unica fetta di anguilla di cm. 4 condita con un cucchiaio d’olio, prezzemolo, un pizzico di pepe ed aglio. Successivamente si diffuse il ripieno di agnello tagliato a “tocchi” con le ossa la cui presenza pare donasse un sapore più intenso e completo al tutto. Attualmente la panada è mediamente diffusa nel Monte Acuto: è presente nelle feste religiose (in particolare alla festa di Madonna di Castro in primavera nelle campagne di Oschiri) e nei banchetti nuziali oltre che nelle proposte dei menù agrituristici dove viene presentata a volte come antipasto a volte come secondo. Molti bar propongono la panada come break o pratico e veloce spuntino. Le problematiche legate alla mancata esportazione del prodotto sono relative ali durata limitata del prodotto per il quale non è stata efficacemente applicata nessuna tecnologia conservativa.

Pane con il pomodoro (pani cun tamatica, fogazza cun tamatica)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla zona del Basso Sulcis.Ingredienti per il pane: farina di grano duro (30%), semola di grano duro (70%), acqua, sale, lievito naturale.Ingredienti per il ripieno: sale, olio extra vergine di oliva, pomodori (preferibilmente tondi, rossi, tagliati a pezzi), pepe nero, aglio.Descrizione del prodotto:Attualmente gli ingredienti vengono amalgamati in una impastatrice elettrica per circa un’ora.Si lascia lievitare l’impasto per 20 min. e successivamente si riprende la lavorazione con la cadenza di un giro ogni 20 min. e si lascia riposare per due ore.Si formano i pani e si lasciano riposare per circa un’ora, dopo di che ciascun pane viene schiacciato al centro allo scopo di creare una cavità atta a contenere il ripieno di pomodori precedentemente tagliati a pezzi e conditi nei vassoi con pepe nero, sale, aglio e olio d’oliva. I pani si infornano e si lasciano cuocere per un’ora.Ingredienti per il pane: farina di grano duro (30%), semola di grano duro (70%), acqua, sale, lievito naturale. Ingredienti per il ripieno: sale, olio extra vergine di oliva, pomodori (preferibilmente tondi, rossi, tagliati a pezzi), pepe nero, aglio.Forma: tonda con un buco al centro; la variante presenta una forma chiusa a mezzaluna.Colore: dorato ricoperto di farina e rosso al centro; la variante è esternamente dorata.Consistenza: croccante l’esterno morbido il ripieno.Gusto: fresco e saporito con un buon aroma di basilico.Utilizzo: come antipasto o come primo piattoNote: Il pane col pomodoro viene prodotto da più di un secolo, come documentano le testimonianze orali. Nel passato le donne prendevano un pezzo dell’impasto del civraxu, lo dividevano in due nel senso della lunghezza così da creare una sorta di tasca all’interno della quale infilavano i pomodori precedentemente spaccati a metà, schiacciati e conditi con pepe, sale e aglio. Chi disponeva di olio di oliva condiva il pane in questo modo, i più poveri invece utilizzavano olio di lentisco (oll’e stinci).

Culurgiones (Culingionis)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento zona al territorio dell’ogliastra.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Il culurgione è una pasta ripiena. La sfoglia esterna ne racchiude il contenuto. Si pizzicano i due estremi della sfoglia fino ad ottenere una cucitura simile ad una spiga.La forma del “culurgione” è oblunga quasi a forma di chicco di grano dai 4 ai 10 cm di lunghezza e dai 3 ai 5 cm di larghezza massima.La sfoglia è composta da farina calibrata, semola, uova , acqua strutto e sale, viene impastata, stesa (con il matterello) sul tavolo di lavoro, e incisa con una formina di forma circolare (in legno o metallo).Il ripieno è composto da patate lessate e macinate , pecorino sardo fresco, stagionato o semi stagionato, grassi animali, aglio, olio d’oliva extravergine e foglie di menta naturale.Una volta lavorato con le sole mani o con l’ausilio di un’impastatrice, il ripieno viene messo in piccole quantità nei dischetti di pasta ottenuti incidendo la sfoglia con una formina, quindi chiuso con il metodo precedentemente descritto.NOTE: L’impasto della sfoglia viene fatto a mano lavorando all’interno di un recipiente di terracotta. Successivamente viene assottigliato manualmente l’impasto in piccole quantità su un piano di legno, per poi tirarlo con l’ausilio di un matterello (sempre di legno), quindi si procede all’incisione della sfoglia di pasta, ben lavorata e tirata, con una formina di metallo, all’intorno dei dischetti cosi ottenuti si posiziona il ripieno con l’utilizzo di un cucchiaio.

Puligioni – Ravioli dolci (Bruglioni – Pulicioni – Buldzoni)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla Gallura.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: L’aspetto finale dei puligioni è quello di un disco di circa 6-7 cm. di diametro (anticamente pare si raggiungessero dimensioni maggiori) rigonfio nella parte centrale (il ripieno di ricotta) chiuso da una sottile sfoglia di pasta fresca appiattita ai Iati per evitare la fuoriuscita del ripieno durante la cottura. Per quanto concerne gli ingredienti essi sono: farina di grano duro (“Trigu saldu o ruiu”, oppure in alternativa Trigu triminìa, sempre grano duro ma leggermente più piccolo) sale ed acqua molto calda per la pasta. Per il ripieno si utilizza ricotta fresca, uno o due uova massimo per ogni impasto, prezzemolo sale e zucchero nella ricetta più tradizionale. Si comincia col preparare la pasta sopra il tradizionale tavolo di lavoro in legno con gli ingredienti farina acqua e sale. A parte si lavorano i restanti ingredienti insieme fini ad una completa amalgama degli stessi. Una volta fatto il cumulo del ripieno si stende la sfoglia, appiattita con strumenti quali il matterello, fino a raggiungere uno strato dello spessore massimo di circa 2 mm. e della lunghezza variabile anche per le dimensioni del tavolo di lavoro. Sopra il primo strato, che rappresenta la base, va applicato il ripieno. Sopra va sistemata un’altra striscia di pasta uguale alla prima per chiudere il ripieno. Particolare attenzione va fatta nel far fuoriuscire l’aria dall’involucro che pertanto ermeticamente chiude il ripieno interno. Il tutto va fatto completamente a mano premendo dal centro del disco verso l’esterno con le dita. Per dare la forma rotonda ai ravioli si ricorreva già dal secolo scorso ad una rotellina bordata (“Iu rutìnu”), anche se nella maggior parte dei casi era tradizione tenere un semplice bicchiere di vetro allo scopo la cui pressione tagliava perfettamente i bordi della pasta e ne sigillava il contenuto. La cottura viene effettuata nell’acqua bollente anche se va tenuto presente che i ravioli vanno cucinati a piccoli gruppi di modo che nel sistemarli nel piatto di portata per il condimento, questo possa avvenire gradatamente e per strati sovrapposti a cui si aggiunge sugo di pomodoro semplice e formaggio pecorino o misto vaccino.Note: La tradizione vuole che questo tipo di ravioli fosse di largo consumo presso le famiglie degli stazzi galluresi principalmente nel periodo primaverile, vuoi per l’abbondanza di latte e quindi di ricotta che per la conseguente abbondanza di sagre o giorni di festa legate al culto di santi protettori delle chiesette campestri sparse nell’itero territorio.

Michitus nieddus

Area di ProduzioneCampidano di Cagliari, prevalentemente la sub regione del Parteolla e in particolare il comune di Dolianova.

Altri nomi del prodottoTagliatelle nere; tagliatelle integrali nere

DescrizionePasta fresca alimentare tipo “tagliatella”, con spessore di 2/3 mm, larghezza di circa 1,2 / 1,5 cm e lunghezza di circa 12 /13 cm e una colorazione tendente al marrone chiaro dovuto al colore della materia prima. La stessa materia prima conferisce alle tagliatelle una superficie leggermente porosa che permette un facile assorbimento del condimento. Gli ingredienti base sono la semola integrale o semi integrale di grano duro locale, acqua e sale.

PreparazioneLa preparazione è di tipo artigianale.L’impasto si ottiene miscelando lo sfarinato, l’acqua e il sale e, successivamente, viene steso su un piano con l’ausilio di un mattarello, in modo da ottenere una sfoglia non troppo sottile di circa 2 / 3 mm .Ottenuta la sfoglia, si procede con il taglio per formare le tagliatelle, taglio generalmente praticato con una lama di un coltello, come si faceva in antichità, oppure con la rotella dentata. L’ utilizzo della stessa non era previsto anticamente ma oggi viene spesso utilizzato per una questione pratica e in modo da conferire un aspetto frastagliato all’intero perimetro della tagliatella. Le dimensioni della tagliatella sono di circa 1,2 /1,5 cm. di larghezza e di 12/13 cm. di lunghezza.Dopo il taglio le tagliatelle vengono poste in un luogo asciutto per l’essicazione, sistemate su apposito graticcio fatto di canne .L’essiccatura fa si che la pasta possa essere conservata per un lasso di tempo non troppo lungo, ma può essereconsumata anche subito dopo la preparazione, procedendo ad una ulteriore stiratura delle tagliatelle.

Cenni storici e curiositàPiatto tipico di Dolianova , facente parte dei primi piatti tradizionali della zona e risalente, secondo le testimonianze scritte di alcuni anziani del paese, alla fine dell’ottocento. Questa pasta veniva cucinata prevalentemente la domenica e per le feste comandate.La tradizione vuole che venisse condita con salsa di pomodoro fresco e basilico, il tutto cosparso da una grattugiata di buon pecorino sardo o da ricotta salata.

Gnocchetti (Maccarones, Cravoas, Cigiones, Cigioni)

SINONIMI: Maccarones in dialetto campidanese, Cravoas in nuorese, Cigiones o Cigioni in sassarese.TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: I gnocchetti sardi sono una pasta a forma di conchiglia ovale vuota con il dorso caratterizzato da rilievi paralleli composta da semola di grano duro, acqua ed eventualmente con l’aggiunta di puro zafferano.Pastificazione: l’impasto di farina di semola, acqua salata ed eventuale zafferano viene lavorato fino ad ottenere una pasta priva di rugosità, alla quale si da la forma di bastoncino sottile, tagliato a piccoli tocchi che, fatti rotolare sul fondo di un canestro, assumono la forma ovale di conchiglia vuota con il dorso caratterizzato da rilievi paralleli. Nella tradizione l’impasto di Gnocchetti veniva aromatizzato con lo zafferano. Oggi si trovano in commercio anche in altre due versioni: al pomodoro e allo spinacio.Note: I gnocchetti sardi costituiscono un prodotto collaudato da secoli, considerato dagli intenditori della cucina tradizionale sarda come il più prestigioso piatto tradizionale dei sardi, imitati poi dalle altre regioni.Riferimenti bibliografici: Fernando Pilia, Nino Solinas, “I sapori di Sardegna” , Alfa editrice, 1999.

Li Chiusoni (Ciusòni)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla Gallura.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: L’aspetto del prodotto è di piccoli cilindretti dalla forma irregolare e dalla superficie piuttosto ruvida ed irregolare anch’essa. Le dimensioni dei “Chiusoni” (al maschile) sono di circa 3 -4 cm. La loro consistenza al tatto è elevata da momento che l’impasto con acqua abbondantemente salata ne aumenta la resistenza durante l’essiccazione. Gli ingredienti base di questo prodotto sono: la tipica farina di grano duro “Trigu saldu o ruiu” e l’abbondante uso di acqua bollente e salata. Durante la fase lavorativa si dispone la farina “a fontana” vale a dire a forma conica bucata, si versa l’acqua bollente e salata, quindi si procede alla fase della impastatura. Occorre parecchio lavoro interamente fatto a mano per far sì che la consistenza dell’impasto arrivi a formare dei cilindri lunghi dai quali si ricavano dei piccoli pezzetti della lunghezza definitiva di circa 3-4 cm. I dadini così ottenuti si sfregano contro un canestro o una grattugia apposita che con la sua superficie ruvida ne conferisce una uguale al prodotto. Tale procedimento viene ovviamente eseguito ad uno ad uno, lavoro che appare essere piuttosto minuzioso. Nei tempi antichi risulta che lo stesso cesto che veniva usato sul retro per la loro preparazione servisse, opportunamente lavato, alla loro conservazione per la fase di essiccazione. Il colorito e l’aspetto finale non si discostano molto da quelli della parte iniziale a parte un naturale indurimento della pasta dovuto alla perdita dell’acqua durante l’essiccazione e ad una conseguente colorazione più intensa.Note: Le notizie in nostro possesso sull’utilizzo in tempi passati della pasta alimentare Chiusoni ci indicano un uso della stessa in diversi periodi dell’anno anche se la data principale o quella per antonomasia della sua preparazione è la prima sera di Agosto. Ciò è testimoniato, anche da una tradizione che in alcune parti dell’isola resta ancora viva. Questo tipo di pasta veniva condito con un particolare sugo preparato con il pomodoro e le pernici.

Grano cotto, trigu cottu

Territorio interessato alla produzione: Sardegna Centro Meridionale

Descrizione sintetica del prodottoLa cariosside si presenta leggermente gonfia e aperta (come un Pop-corn).Per la preparazione del piatto si scelgono le cariossidi di grano duro ben mature e di un bel colore ambrato. Si procede alla pulitura, per eliminare eventuali impurità e al lavaggio in acqua tiepida, quindi si lasciano riposare in un contenitore con acqua a temperatura ambiente per 12 ore circa (comunque fino a quando non si noti un evidente gonfiore delle cariossidi), successivamente si risciacquano e si sottopongono a bollitura, in acqua e sale, per circa 5 min.Ultimata la cottura, al fine di far raffreddare il più lentamente possibile la pietanza, la pentola viene avvolta con delle coperte; il grano cotto può essere consumato tal quale, nel latte, condito con olio extravergine, con la sappa di mosto, con il miele, come componente di insalate e minestre e nelle torte. Il prodotto si conserva per diversi giorni in frigorifero oppure immerso in salamoia.

Cenni storici e curiositàLa preparazione è un rito di buon auspicio e si consuma quale primo pasto dopo la mezzanotte del 31 dicembre. Nelle famiglie, inoltre, è usanza distribuirne una manciata nel cortile per gli animali domestici, sul tetto per i volatili ed una sui campi come auspicio di un buon raccolto.

Grano duro varietà Senatore Cappelli, trigu Cappelli, su senadori, grano Cappelli

Territorio interessato alla produzione: Il territorio della Trexenta e Sarcidano, della RegioneAutonoma della Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl grano duro della varietà Senatore Cappelli, si distingue dalle altre varietà di grano duro sia nazionali che locali, per alcuni parametri qualitativi (indice glutine, proteine, acqua libera).La granella si presenta di un bel colore ambrato uniforme con il chicco leggermente allungato.

Cenni storici e curiositàLa varietà Senatore Cappelli è stata costituita nel 1920 circa, diffusasi rapidamente in Sardegna, da allora resiste e tuttora risulta ancora coltivata solamente in alcune regioni italiane, tra le quali la Sardegna, Puglia e Basilicata.

Riccio

Area di produzioneRegione Sardegna

Altri nomi del prodottoRiccio di mare, riccio femmina, bogamarì, arrizzoni

DescrizioneIl riccio (Paracentrotus lividus) ha uno scheletro rigido caratterizzato dalla presenza di lunghi aculei mobili su tutta la superficie ad esclusione della zona dell’apparato boccale e, sulla superficie ventrale, possiede tante piccole estroflessioni con estremità a ventosa, dette pedicelli ambulacrali, che gli consentono di spostarsi. La colorazione può variare da sfumature del viola e del marrone al verdastro. L’apparato boccale è situato nella parte ventrale. La parte edule è costituita da cinque gonadi che quando sono mature appaiono voluminose e di colore dal giallo, all’arancione, al rosso più o meno intensi. Il riccio destinato al consumo deve avere una taglia minima di 50 mm esclusi gli aculei.Dal punto di vista organolettico il riccio associa al gusto salato del mare un gusto dolciastro con un fondo amarognolo più spiccato nei soggetti con gonadi immature e più tenue nei ricci con gonadi gialle fino ad annullarsi nei ricci cosiddetti “ricci pieni” con gonadi arancioni tendenti al rosso o rosse.

PreparazioneIl sistema di cattura più diffuso e praticato fino a qualche decennio fa, consiste nel prelievo manuale dei ricci in presenza di fondale basso sabbioso. Altro sistema praticato era l’utilizzo di una apposita asta, generalmente costruita con una canna di fiume di misura adeguata alle esigenze. Su una delle estremità erano praticati solitamente 3 o 4 tagli longitudinali ampliati poi con l’introduzione e legatura di un sasso, fissato con spago, conferendo quindi una forma conica idonea al prelievo dei ricci presenti sia sui fondi sabbiosi che sugli scogli affioranti. Per la pesca in fondali più profondi, erano usati dei batiscopi rudimentali o accorgimenti come versare qualche goccia di olio sull’acqua per migliorare la visibilità delle zone di cattura.Questo tipo di cattura e raccolta, in passato condotta soprattutto nei mesi autunno-invernali, presupponeva l’esclusivo consumo fresco del prodotto attraverso un rapporto sostanzialmente diretto fra raccoglitore e consumatore.Attualmente la pesca del riccio è regolamentata in ragione del costante aumento della domanda del prodotto e della sua tutela. Essa può essere condotta da pescatori marittimi professionali, da pescatori professionali subaquei e da coloro che esercitano la pesca sportiva o ricreativa in apnea. Gli strumenti di raccolta daimbarcazione sono la cannuga (asta e specchio per ricci) e il coppo; per i pescatori subacquei professionali viene utilizzato qualsiasi strumento corto atto a staccare il riccio dal substrato e per coloro che esercitano la pesca subacquea è prevista la sola raccolta manuale.Come disciplinato a livello regionale, il prodotto una volta raccolto è disposto in ceste regolamentate per dimensione (altezza 35 cm, lunghezza 60cm, larghezza 50 cm) e portato al Centro di Spedizione, stabilimento aterra o galleggiante, dove sono svolte le procedure ricevimento, rifinitura, lavaggio, pulitura e calibratura, confezionamento ed imballaggio dei ricci idonei al consumo umano. Viene quindi posto un marchio di identificazione al prodotto da commercializzare.

Cenni storici e curiositàLa tradizione del consumo del riccio appena pescato ha origini antichissime, ma possiamo documentare che a partire dagli anni 50 del 1900, i componenti dei ceti più abbienti nei giorni di festa acquistavano i ricci dai pescatori e pagavano i ragazzi per aprire e pulire i ricci in acqua di mare per la degustazione del prodotto. Presso i centri costieri più popolosi o nel circondario di aree urbane quali quella di Cagliari, Alghero-Sassari e Oristano la pesca del riccio avevano un certo rilievo, garantendo ai pescatori un piccolo reddito nei mesi vernini in un generalmente erano poco occupati.Questa tradizione ha dato vita a diverse sagre, fra cui la sagra del “Bogamarì” di Alghero, che si ripete ogni anno tra febbraio e marzo a partire dai primi anni ’70. A Cagliari i mesi vernini sono occasione costante di degustazione dei ricci in appositi spazi dedicati e condotti dagli stessi operatori della pesca.

Acciughe marinate

Materia prima: acciughe.

Tecnologia di lavorazione: l’acciuga pulita, decapitata, eviscerata, tolta la coda, la lisca e la parte dorata viene messa nei contenitori di vetroresina con acqua corrente per ben tre passaggi. Fatta scolare, viene messa nel liquido di governo composto di una parte di aceto e una di sale e fatta marinare da 18 a 24 ore. Il pesce deve essere freschissimo e lavorato non oltre le 5 o 6 ore dalla pesca. Viene fatto sgocciolare e messo in fustoni o barattoli. Variamente aromatizzato con olive, capperi, pomodoro secco, origano.

Maturazione: 48 ore; scadenza del prodotto: dopo 8 mesi.

Area di produzione: costa tirrenica, alto e basso Adriatico, isole.

Calendario di produzione: da aprile ad ottobre.

Note: la perdita di peso del prodotto rispetto al fresco arriva fino al 55% di cui il 45% nella fase della pulitura ed il restante 10% nella marinatura. Questa viene anche detta scapece che, di origine spagnola (escabeche), qualcuno vuole corruzione di ex-Apicio, il leggendario gastronomo romano ed indica un tipo di conservazione fatta con l’ausilio dell’aceto e riservata soprattutto al pesce. Da regione a regione, variano le quantità e le varietà delle erbe aromatiche e degli altri ingredienti usati. La stima è relativa al prodotto artigianale espresso dalla ristorazione, sia costiera che interna.

Burrida alla Casteddaia, burrida alla cagliaritana

Territorio interessato alla produzione: Cagliari ed hinterland

Descrizione sintetica del prodottoÈ una pietanza consumata sia come secondo piatto che come antipasto, a base di pesce marinato in una salsa bianca di aceto con noci, pinoli, cipolle, ed altri aromi. Si serve fredda.

Cenni storici e curiositàAntica pietanza della tradizione popolare cagliaritana, che un tempo apparteneva alla cucina povera ed oggi servita come prelibato antipasto di mare nei ristoranti tipici del cagliaritano, di probabile derivazione fenicia.

Merca di muggine

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della regione con particolare riferimento alla penisola del Sinis (comuni di Cabras, Riola Sardo, Nurachi e Baratili S. Pietro).

Descrizione sintetica del prodottoIl prodotto presenta una colorazione giallo-verde, sapore molto aromatico, odore caratteristico di pesce e dell’erba nel quale è conservato, consistenza soffice e umido. Il prodotto risulta confezionato in valigette di erba palustre chiamata “Sa Ziba”.Gli ingredienti utilizzati sono: muggini locali di media grandezza (450 gr), sale, erbe palustri locali “Sa Ziba”.

Cenni storici e curiositàL’attuale promozione del prodotto è limitata alla sagra di San Salvatore che si tiene a Cabras il 31 agosto.

Sgombro sott’olio (I versione)

Materia prima: sgombro.

Tecnologia di lavorazione: gli sgombri decapitati ed eviscerati vengono lavati in soluzione di acqua e aceto leggermente salata. Si dividono a metà eliminando la spina dorsale. Si distendono su un panno pulito e su un piano inclinato cospargendoli di sale e altre spezie che variano da regione a regione (aglio, prezzemolo, ginepro, ecc.). Si lasciano in riposo per circa due ore al termine delle quali il pesce viene leggermente scottato in olio bollente, si lascia scolare e raffreddare; si ripongono nei vasi aromatizzando con grani di pepe, alloro, finocchio selvatico. Si copre d’olio e si sterilizza con il metodo Tyndal. Si conserva per lungo tempo se riposto in luogo fresco e buio, meglio se non umido.

Maturazione: 1 mese circa.

Area di produzione: costa marchigiana, Sicilia, Calabria, Sardegna, Toscana e Liguria.

Calendario di produzione: primavera, autunno, inverno.

Note: conserva ittica tipica dei pescatori che si è estesa anche ad altre famiglie, ma solo recentemente.

Sgombro sott’olio (II versione)

Materia prima: sgombro.

Tecnologia di lavorazione: gli sgombri eviscerati, essiccati e decapitati vengono lavati e lessati in acqua leggermente salata e acidula. Si lasciano asciugare per diverse ore. Poi si fa la toelettatura eliminando tutte le parti nere, le spine, le pinne, ecc. Si mettono i tranci interi nei barattoli, si aromatizza con i vari odori: aglio, prezzemolo, pepe, alloro, timo, ecc. Si copre d’olio e si sterilizza a lungo.

Maturazione: 1 mese circa.

Area di produzione: Sicilia, Sardegna, nei paesi costieri di Liguria, Toscana, Veneto, Marche, Abruzzo, Puglia e Campania.

Calendario di produzione: primavera-autunno, inverno.

Note: tra il pesce azzurro, lo sgombro è quello che è più ricco di quei grassi polinsaturi, gli omega 3, così utili alla salute del nostro apparato cardiocircolatorio.

Tonno sott’aceto

Materia prima: ventresca di tonno.

Tecnologia di lavorazione: la ventresca tagliata a fette dello spessore di circa 1 cm. viene salata e pepata. Si mette in una terrina aggiungendo alloro e zenzero e si lascia marinare per una giornata. Il giorno successivo si ricopre d’aceto aggiungendo foglie di alloro e facendo bollire adagio per 3-4 minuti. Si lascia raffreddare. Si mettono i tranci di ventresca nei vasi aggiungendovi scorzette di limone. Si ricopre con aceto fresco. Si chiude, si fa bollire per qualche minuto, si ripone in luogo fresco. Da consumare in tempi brevi.

Maturazione: 15-20 giorni.

Area di produzione: Sicilia e con leggere varianti Sardegna, Toscana e Liguria.

Calendario di produzione: primavera – estate.

Note: questa conserva casalinga è indicata per la preparazione di stuzzicanti antipasti. Non si trova in commercio, ma è espressa dalla dimensione familiare dei pescatori, depositari, in alcuni casi, di ricette per la conservazione del pesce davvero straordinarie.

Tomata Maresa

Area di produzioneMaracalagonis e zone limitrofe

DescrizioneTrattasi di una popolazione locale di pomodoro (lycopersicon esculentum Mill.) caratteristica della zona di Maracalagonis e in piccola percentuale nei paesi limitrofi, conosciuto come “Sa Tomata Maresa”. La pianta si presenta con una vegetazione espansa e con le foglie sottili.Esistono diversi ecotipi, con frutti di colore rosa/rosso che a maturazione si presentano con una media costolatura all’apice peduncolare e una leggera solcatura nell’intero frutto.Nell’ecotipo “Piriciolla” la colorazione della buccia è rosso/ violacea (colorazione vinosa) sottile e liscia , la polpa abbondante, granulosa e con pochi semi. La pezzatura è medio/grande con peso tra 200/300 grammi fino ai 500 gr. Veniva coltivato in asciutto in prossimità di zone umide e spesso salmastre (Su Staini) conferendo al pomodoro un sapore particolarmente marcato, impiegato come pomodoro insalataro, da sugo e per ottenere pomodori secchi. La produzione è in atto, prevalentemente condotta nel comune di Maracalagonis e zone limitrofe.

ColtivazioneSa “Tomata maresa” viene coltivata in pieno campo nel periodo tra il mese di marzo e novembre, ma la raccolta avviene da fine maggio.La coltivazione viene eseguita su piccoli appezzamenti con la preparazione del semenzaio, “sa tuedda” o in contenitori alveolari dedicati e successivamente avviene il trapianto in pieno campo su superfici precedentemente lavorate, in filari con interdistanza tra pianta e pianta di circa 60/70cm e con una densità di impianto mai superiore alle 20.000 piante per ettaro.Le piantine essendo a crescita indeterminata , vengono impalcate in apposita struttura in canne (raccolte nei mesi di gennaio e febbraio per preservarne la durata) e legate ad esse con degli spaghi (“Sa Troccia”) per permettere alla pianta uno sviluppo in verticale con una migliore aereazione e soleggiamento della vegetazione e degli stessi frutti, con ottimi benefici sanitari e organolettici del prodotto. Questo tipo di impalco a spalliera è caratteristico del luogo.Tutte le operazioni colturali vengono eseguite a mano (legatura, cimatura, scacchiatura – ossia l’eliminazione dei getti ascellari secondari, diserbo, lavorazione del terreno, raccolta). Oggi l’irrigazione viene eseguita col sistema a goccia e con il sistema a infiltrazione laterale. La produzione media per pianta si aggira intorno ai 6 fino ai 10 Kg.

Cenni storici e curiositàE’ una coltivazione tradizionale della zona di Maracalagonis praticata con tecniche di coltivazione pressochè invariate. La tradizionalità è documentabile attraverso foto e interviste ai quasi centenari del paese.Attualmente alla coltivazione di questi ecotipi autoctoni non ibridi, per la limitata resistenza ai patogeni, sono state affiancate varietà ibride F1, caratterizzate da una maggiore resistenza, uniformità di produzione, regolarità di allegagione, consistenza e serbevolezza della bacca e adattamento alle diverse condizioni pedoclimatiche. Questo prodotto è legato alla consuetudine rurale di Maracalagonis e, nel dopoguerra, diviene coltivazione intensiva affiancando la coltivazione della vite come complemento al reddito nei mesi estivi. Ottimo insalataro, è stato utilizzato sin dall’ottocento come ingrediente impiegato nell’alimentazione dei contadini, povera di condimenti, in genere come accompagnamento al pane “pani e tomata”.Le caratteristiche dei terreni vocati a tali produzione, la loro composizione fisico chimica e la vicinanza al mare conferiscono al pomodoro marese un gusto intenso e marcato che si esprime proprio nell’accompagnamento ai pani tradizionali locali. Attualmente tale coltivazione è condotta dalle generazioni successive ai cosiddetti “pionieri” di tale produzione degli anni ’50 e ’60.

Cipolla rossa

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale con particolare riferimentoalla zona della Marmilla.

Descrizione sintetica del prodottoLa cipolla rossa della Marmilla ha in media un diametro che varia dai sei ai dodici centimetri, un colore rosso e un sapore forte che deriva dalla bassa concentrazione di acqua che ne permette la conservazione per tutto l’anno.La cipolla rossa della Marmilla viene coltivata in terreni medio profondi, fertili, ricchi in sostanza organica, nonché in macro e microelementi nutritivi, che si trovano in genere nei fondovalle dei letti fluviali. Un aspetto tradizionale, ritenuto fondamentale dagli agricoltori, è rappresentato dall’inserimento del prodotto in esame in una rotazione quadriennale con fave, ceci e melone in asciutta per poi tornare sullo stesso appezzamento di terreno con la coltura della cipolla.

Cenni storici e curiositàUn sinonimo del prodotto in esame è “Cipolla di Zeppara”: probabilmente il prodotto è originario di Cepara, antico paese vicino ad Ales il cui nome in latino significa “orto”. Cepa e il suo diminutivo Cepulla inoltre in latino significano cipolla; inoltre ceppullarium, ceparium, campus ceparus o terra ce para indicano terra produttrice di ortaggi. In greco Kepos significa orto-giardino.

Finocchietto selvatico

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl finocchietto selvatico appartiene alla famiglia botanica delle Ombrellifere, il suo nome scientifico è Phoeniculum vulgare; è una pianta poliennale, con un unico ceppo, dal quale si dipartono circa due tre steli di altezza variabile a seconda del terreno e dell’umidità disponibile; il colore degli steli freschi è verde lucente, poi grigio quando seccano. L’infiorescenza, primaverile, ad ombrella presenta dei piccoli fiori gialli da cui si formeranno i semi di colore grigio scuro, di forma allungata con dimensioni di circa mm. 2.5 x 1.

Olive verdi in salamoia

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna (con particolareriferimento alle zone di Dolianova, Gonnosfanadiga e Oliena dove esiste una tradizione millenaria).

Descrizione sintetica del prodottoOlive verdi di cultivar differenti (per gusto, forma e compattezza della polpa) raccolte nei territori della Sardegna e sottoposte ad un processo di fermentazione.

Cenni storici e curiositàSecondo la tradizione sarda le olive non mancano mai nella dispensa di una casa sarda, spesso servite insieme ad antipasti e aperitivi, e un tempo erano l’unico companatico delle famiglie più modeste: quando la carne e la pasta erano un lusso, pane e olive rappresentavano spesso il desinare quotidiano. Inoltre si prestano a molteplici preparazioni fra cui la tipica lavorazione “a scabecciu”, eseguita su olive, fermentate al naturale o alla siviliana, condite con aceto, prezzemolo, aglio e olio vergine di oliva.

Pomodoro secco, Tamata siccada, Tomata siccada, Pilarda di pomodori, Pibarba, Pibadra

Area di produzioneTutto il territorio della Regione Sardegna

DescrizioneNome scientifico: famiglia solanaceae gen. Lycopersicon sp.esculentum. Il pomodoro, diviso a metà nel senso della lunghezza , si presenta esternamente di colore rosso scuro, morbido al tatto. Il gusto spiccatamente salato, esalta i caratteristici sapori e profumi propri del pomodoro fresco. Il prodotto, in passato destinato prevalentemente all’autoconsumo, attualmente è disponibile sul mercato, venduto in contenitori per alimenti sigillati di peso e grandezza variabile.

PreparazionePreparazione casalinga: i pomodori maturi di qualsiasi varietà, sono lavati in acqua corrente, asciugati e quindi tagliati nel senso della lunghezza avendo cura di non separare totalmente le due parti. I semi possono essere rimossi. Successivamente stesi su graticci esposti al sole, sono ricoperti di sale marino preferibilmente fino o medio grosso.L’azione del sale, oltre a insaporire il prodotto, ha diverse funzioni quali accelerare l’evaporazione dei liquidi presenti e contrastare il possibile sviluppo di alterazioni dovute all’attacco di funghi e batteri. Il periodo di essicazione varia fra i 7 e i 10 giorni.Le bacche essiccate possono essere farcite con foglie di basilico imbevute nell’olio extravergine di oliva, oppure con foglie di alloro. Dopo la farcitura le due metà sono richiuse e pressate manualmente.La conservazione del prodotto per autoconsumo avviene preferibilmente in contenitori di vetro con chiusura sigillata. Ancora, è possibile conservare il prodotto sott’olio , in particolare quando destinato all’utilizzo come antipasto.Produzione industriale: i processi produttivi per i pomodori secchi da destinare alla vendita prevedono l’utilizzo di macchine agevolatrici per il taglio, e di essiccatoi che garantiscono l’essicazione in assenza di contaminazioni e con tempi di lavorazione molto brevi di circa 24-48 ore.

Cenni storici e curiositàLe prime testimonianze certe sull’essicazione del pomodoro e della sua conservazione risalgono alla prima metà del 700, sicuramente retaggio di una tradizione di origine spagnola. Altre notizie sul commercio del prodotto riportano alla seconda metà dell’800, dove era usanza delle donne preparare i pomodori essiccati per poi venderli nei mercati locali. E’ tuttora diffusa la preparazione casalinga per l’autoconsumo.

Fave sott’olio

Materia prima: fave fresche.

Tecnologia di lavorazione: le fave fresche vengono sbollentate in acqua e aceto per qualche minuto. Scolate si lasciano asciugare per qualche ora o per qualche giorno a seconda del tempo, se umido o ventilato, si mettono in barattoli, dopo aver aggiunto sale, aglio, prezzemolo o piccole cipolle.

Maturazione: 20-30 giorni.

Area di produzione: tutta la Sardegna.

Calendario di produzione: primavera, inizio estate.

Note: per molti sardi è un prodotto prelibatissimo, ma non tutti lo possono mangiare. È riservato a coloro che non hanno problemi di anemia mediterranea e di favismo. Per favismo si intende la malattia scatenata in individui il cui globulo rosso è carente del cosiddetto fattore G6PD. Trattasi peraltro di eccezioni. Negli individui normali la fava offre un potente contributo di resistenza alla malaria e ciò spiega il successo di questa leguminosa presso le popolazioni mediterranee. Inoltre la fava contiene l-Dopa, una sorta di psicofarmaco utile nella lotta al morbo di Parkinson.

Cardi selvatici sott’olio, gureu aresti cunfittau, cardu gureu, cardu freu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl prodotto confezionato si presenta in vasi di vetro sigillati, contenente porzioni di coste della pianta di cardo selvatico conservate sott’olio.Il cardo selvatico (nome scientifico: Cynara cardunculus), è una pianta poliennale, a sviluppo cespuglioso, con foglie disposte a rosetta intorno all’apice vegetativo, di altezza variabile a seconda del terreno e dell’umidità disponibile.

Cenni storici e curiositàIl cardo selvatico è una pianta spontanea della Sardegna conosciuta ed utilizzata nella tradizione agroalimentare, come condimento e per la preparazione di contorni, come da testimonianze storiche verbali e scritte sicuramente dal secolo scorso.

Scapece

Materia prima: ortaggi vari.

Tecnologia di lavorazione: gli ortaggi vengono tagliati a strisce sottilissime e messi sotto sale in un recipiente con un peso per 24 ore. Si scolano, si strizzano e si scottano in acqua e aceto in parti uguali. Si scolano, si strizzano ancora e si mettono ad asciugare per altre 24 ore in un panno bianco con un peso sopra. Si condiscono con olio, aglio, menta e si mettono ben premute in vasetti ricoprendoli d’olio.

Maturazione: 2-3 mesi.

Area di produzione: Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia, Sardegna.

Calendario di produzione: estate-autunno.

Note: con questo sistema vengono conservate: melanzane, zucchine, fagiolini, carote, sedano, cavolfiore, pomodori verdi, carciofini, ecc.

Pianta del mirto

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna. L’impiegodi foglie, fiori e corteccia per la preparazione di oli essenziali predilige le produzioni degli arealimontuosi.

Descrizione sintetica del prodottoSinonimi:mulsta, multa, murta, murtin, murtizzu, muta, murtauccia, murtaurci, murtaucci.Pianta legnosa spontanea, poco eretta dal suolo, spesso ramificata fino al piede. Viene altresì coltivata per ornamento. Si presenta con foglie opposte, intere, di un verde intenso, ovali o lanceolate, cosparse di punte glandolose, con nervatura mediana saliente. L’altezza varia da 80 centimetri a 3 metri. Il tronco si presente eretto, di forma cilindrica, i rami sono eretti e presentano colorazione grigiastra quando sono adulti. La fioritura, che avviene nel periodo fra maggio e luglio, è costituita da fiori bianchi, regolari, profumati. Sono composti da cinque petali di forma triangolare. Il frutto è una bacca, si presenta globoso, di colore bluastro, sormontato dal calice più o meno spesso.I prodotti della pianta del mirto sono costituiti dalle bacche, cortecce, fiori e foglie che subiscono processi tesi al loro impiego medicinale, tintorio e aromatico.

Cenni storici e curiositàDocumenti storici attestano l’utilizzo di tutte le parti della pianta del mirto per finalità medicinali, tintorie e aromatiche. L’infusione delle bacche in alcol o in acquavite per la produzione del noto liquore è solo uno dei possibili utilizzi del M. communis L.., peraltro assai più recente rispetto agli usi in ambito domestico e farmaceutico delle foglie. Infatti, le proprietà antisettiche delle foglie, sia bruciate nelle stanze per disinfettare l’aria, o sotto forma di decotto per lavaggi, hanno radici antichissime.Inoltre, l’essenza dei tannini estratti dalle foglie con l’utilizzo del vapore, è impiegata in farmacia per le note proprietà astringenti. La diffusione sul territorio del M. communis L. e la reperibilità in grandi quantità ha anche consentito il massiccio impiego di foglie e corteccia per la concia delle pelli.

Ciliegio – carrufale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Sardegna con particolare riferimento al territorio gallurese.

Descrizione sintetica del prodottoL’albero presenta un vigore medio ed un portamento espanso con una produttività elevata e costante soprattutto sui dardi. La fioritura avviene intorno alla terza decade di marzo. Il frutto si presenta piccolo, dalla tipica forma sferoidale appiattita, base appiattita e apice arrotondato. Il polo peduncolare è mediamente ampio e profondo e la cucitura ventrale non appare molto pronunciata.L’epidermide durante la maturazione presenta un colore rosso chiaro, dalla media resistenza come anche per lo spessore ed aderenza. Le lenticelle sono dense e mediamente evidenti. La polpa presenta un color crema, molto succosa, meno aromatica sebbene sia alquanto gradevole. Il peduncolo risulta dalla curvatura leggermente pronunciata, appuntito, mentre la base è ottusa e la superficie delle facce laterali è liscia. Le creste ed il solco ventrale sono mediamente pronunciati, così come il solco dorsale.

Cenni storici e curiositàQuesta varietà è certamente presente nei territori dell’alta Gallura da almeno 50 anni. La tradizionalità è da riconoscersi nella costante presenza nei vecchi frutteti, dove è ancora possibile trovare degli esemplari in produzione.

Mela appicadorza – baccalana – baccalarisca – mela ‘e ferru

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoL’albero della Appicadorza è soggetto a cascola, il periodo della fioritura va dal primo al quindici di maggio, le mele sono raccolte alla fine del mese di settembre e, successivamente, sono lasciate maturare per ammezzimento. La conservazione del prodotto avviene in modo particolare. Si usa legare le mele a grappolo e poi appenderle fino al consumo (da qui il nome appicadorza), o, in alternativa, metterle in mezzo alla paglia a maturare. L’epoca di consumo ideale è individuata nel periodo di ottobre – dicembre, però, nel caso in cui il prodotto è ben conservato il periodo di mantenimento si allunga.

Cenni storici e curiositàLa presenza di questa e di altre varietà di melo sul territorio del Montiferru, è documentata fin dall’epoca Giudicale, infatti se ne possono trovare riferimenti nel CONDAGHE DI S. MARIA DI BONARCADO (da F. Cherchi Paba ” Evoluzione Storica della Attività Industriale Agricola Caccia e Pesca in Sardegna – Vol. II,”La tradizionalità del prodotto può essere attribuita alle metodiche di lavorazione).

Melo – melappia – melappiu – appio

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoAlbero di media vigoria con portamento medio, produttività elevata ma alternante; fioritura tardiva, fruttificazione su lamburde. Frutto di medie dimensioni, di forma appiattita, asimmetrica, circolare in sezione trasversale, con cavità peduncolare simmetrica, mediamente profonda e poco ampia, peduncolo di medie dimensioni e inserito regolarmente; cavità calicina asimmetrica, stretta e poco profonda; torsolo di medie dimensioni con tubo calicino conico allungato, piccolo e chiuso; calice chiuso e persistente. La buccia è di medio spessore, liscia e cerosa, di colore verde chiaro, tipicamente chiazzata di aree traslucide. La polpa è bianca, imbrunisce facilmente ed è mediamente soda e succosa, non molto dolce e piuttosto acidula, aromatica e di discreto sapore. Matura a partire dalla seconda decade di ottobre fino a dicembre inoltrato. Nell’ambiente di coltivazione si ritrova come coltura consociata in frutteti misti, mai o quasi mai in coltura specializzata.

Cenni storici e curiositàQueste varietà sono certamente presenti nei territori della Gallura almeno da 50 anni. La tradizionalità è da riconoscersi nella costante presenza nei vecchi frutteti, dove è ancora possibile trovarne degli esemplari in produzione.

Melo – noi unci

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Sardegna con particolareriferimento alla Gallura.

Descrizione sintetica del prodottoAlbero di medio vigore con portamento espanso e media produttività, dall’epoca di fioritura intermedia con fruttificazione prevalente su rami misti. Il frutto è grosso e di forma appiattita, simmetrico, circolare e di sezione trasversale; con cavità peduncolare simmetrica, mediamente ampia e profonda, peduncolo medio, grosso e inserito regolarmente; cavità calicina simmetrica, di media ampiezza e poco profonda. Lobi apicali accennati; torsolo grande; tubo calicino piccolo e conico, calice aperto e persistente. Buccia spessa, di colore giallo verde con sovra colore rosso striato sul 40% della superficie. Polpa di colore bianco crema che imbrunisce facilmente all’aria, soda e a tessitura intermedia, mediamente succosa e aromatica, molto acida e poco dolce, sapore gradevole. Matura a partire dalla terza decade di luglio.

Cenni storici e curiositàQueste varietà sono certamente presenti nei territori dell’alta Gallura almeno da 50 anni. La tradizionalità è da riconoscersi nella costante presenza nei vecchi frutteti, dove è ancora possibile trovarne degli esemplari in produzione.

Melone in asciutto – melone de jerru

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale in particolare nei comuni di Turri, Lunamatrona, Ussaramanna, Tuili, Setzu, Pauli Arbarei.

Descrizione sintetica del prodottoMelone dalla forma oblunga e dalla buccia color verde scuro, con striature marrone dal peduncolo verso la base quando maturo.

Cenni storici e curiositàIl melone coltivato in asciutto è sicuramente un prodotto molto antico, se non altro per la scarsità d’acqua che si è sempre registrata in Sardegna.Se quindi il processo produttivo è probabilmente arcaico, lo stesso non si può dire delle varietà di melone oggi utilizzate, in quanto provengono da un processo selettivo volto ad individuare una cultivar dalla conservabilità ancora più lunga.

Pera bianca di bonarcado – pira bianca

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento al Montiferru.

Descrizione sintetica del prodottoL’albero è mediamente vigoroso, con portamento espanso, di elevata produttività. La fruttificazione si ha in prevalenza sui rami misti e brindilli e l’epoca di fioritura è tardiva. L’epoca di maturazione cade attorno alla prima decade di settembre. La Bianca di Bonarcado viene colta e consumata a maturità, ha una polpa è di colore bianco brillante, di sapore buono, molto aromatica, di consistenza media, succosità medio-elevata, tessitura medio-fine e non presenta ammezzimento se non a maturità molto avanzata.

Cenni storici e curiositàLa Bianca di Bonarcado è stata individuata in numerose piante nel territorio del Comune di Bonarcado e così denominata, dall’Istituto per lo Studio dei Problemi Bioagronomici delle Colture Arboree Mediterranee del C.N.R. (1985) ed è riportata dal Dr. Mario Agabbio ne “Le vecchie varietà della Sardegna”. Ed. Delfino 1994. In precedenza essa compare nell’elenco delle varietà di pero contenute in un opera del 1700 “Agricoltura di Sardegna” di A. Manca dell’Arca. La tradizionalità del prodotto può essere attribuita moto alla sua antica presenza nei frutteti, sia alle metodiche di lavorazione.

Piru ruspu ( pero)

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale con particolare riferimentoalla zona di Tempio Pausania.

Descrizione sintetica del prodottoAlbero poco vigoroso dal portamento intermedio e dalla scarsa produttività; epoca di fioritura tardiva. Il frutto è grosso e di forma sferoidale. Il peduncolo è medio lungo e spesso, di colore completamente rugginoso con consistenza legnosa, inserzione sul frutto diritta e aspetto leggermente curvo. La buccia è ruvida con rugginosità diffusa per l’80% della superficie di colore verde chiaro e molto spessa. La polpa è di colore bianco crema, mediamente aromatica, di consistenza soda a bassa succosità dalla tessitura grossolana e poco sensibile all’avvizzimento il frutto matura entro la seconda decade di ottobre.

Cenni storici e curiositàQueste varietà sono certamente presenti nei territori dell’alta Gallura almeno da 50 anni. La tradizionalità è da riconoscersi nella costante presenza nei vecchi frutteti, dove è ancora possibile trovarne degli esemplari in produzione.

Pompia

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Sardegna. Principalemente i comuni di Siniscola e di Orosei.

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: La pompia (citrus mostruosa) è un agrume appartenente alla famiglia dei cedri e si presenta nell’aspetto esteriore abbasatanza simile: scorza gialla molto grossa, porosa e bitorzoluta; forma generalmente sferica, leggermente schiacciata; grandezza variabile, oscillatile tra quella di una grossa arancia e quella di un cedro; il frutto vero e proprio all’interno è molto piccolo e di sapore estremamente acre; il profumo, caratteristico, è agrumato. La pianta è piuttosto grossa e generalmente si carca molto di frutti, offrendo produzioni di diversi quintali. Come frutto la pompia non è commestibile per via del suo sapore sgradevole: è consumata esclusivamente come prodotto trasformato nelle sue diverse varianti di pompia intera, pompia prena e aranzada.

NOTE: Le origini di questo agrume e le ragioni della sua diffusione nel siniscolese sono abbastanza sconosciute: la coltivazione è da sempre molto diffusa a Siniscola; in modo più limitato a Orosei e, in tempi più recenti, in altri paesi del circondario come Torpè e Posada.

Mandorle arrubbia

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoLe mandorle possono essere consumate direttamente, tostate o crude, ma trovano soprattutto impiego nel comparto dolciario tradizionale della Sardegna (torrone, amaretti, gueffus, candelaus, ecc.) costituendone spesso l’ingrediente di base.

Cenni storici e curiositàIn Sardegna il mandorlo è coltivato da antica data e, specialmente nel passato, ha costituito un’importante fonte di reddito per molti agricoltori. Le prime coltivazioni specializzate, incoraggiate dal Ministero dell’Agricoltura, risalgono ai primi del ‘900, soprattutto nel retroterra di Cagliari e nell’agro di Sanluri. Ai primi del secolo il mandorlo era il fruttifero più coltivato, con 6000 ettari in colturespecializzate e 5000 ettari in coltura promiscua. A partire dagli anni ’50 è cominciato il declino di questa coltura in Sardegna. Attualmente è presente con 2500 ettari di colture specializzate e 7000 ettari di colture promiscue. La nostra regione è la terza produttrice di mandorle, dopo la Sicilia e la Puglia.

Ciliegia furistera – kariasa ‘e ispiritu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla zona del Montiferru.

Descrizione sintetica del prodottoL’albero è debolmente vigoroso, con portamento intermedio tra l’espanso e l’assurgente, di elevata produttività. La fruttificazione si ha in prevalenza sui dardi e l’epoca di fioritura è intorno alla prima decade di aprile. L’epoca di maturazione cade attorno alla seconda decade di giugno. La furistera viene colta a maturità, ha una polpa, di colore rosa pallido, ha una consistenza compatta ed un sapore poco aromatico e gradevole. Il suo sinonimo “kariasa ’e ispiritu” deriva dalla conservazione che si usa farne nel paese di Bonacardo, infatti essa viene colta, messa in barattoli di vetro e questi ultimi riempiti con ottima acquavite di vino.

Cenni storici e curiositàUno scrittore arabo del VIII secolo, Ibn at Atir nelle sue Cronache descrive la Sardegna come un’isola abbondantissima di frutta, e Abù-al-Maliasin conferma la notizia chiamandola ricca produttrice di ogni sorta di frutta. (M. Amari – Bibl. Arabo-Sicula, Torino 1880). Il Cherchi Paba nella “Evoluzione Storica della Attività Industriale Agricola Caccia e Pesca in Sardegna – Vol. II” riporta: “I Sardi chiamano grecalmente le ciliegie “Kariasa”, il che conferma che in Sardegna verso l’VIII secolo si coltivava il ciliegio”, e ancora nel volume III della stessa opera a proposito della frutticoltura del secolo XVIII: “i ciliegi erano comuni nei territori di Bonarcado, Santulussurgiu, Gadoni, Burcei, Laconi, Sorgono e Artzara”. La varietà Furistera è stata individuata in numerose piante nel Comune di Bonarcado, dall’istituto per lo Studio dei Problemi Bioagronomici delle Colture Arboree Mediterranee del C.N.R. (1985) ed è riportata dal Dr. Mario Agabbio ne “Le vecchie varietà della Sardegna” Ed. Delfino 1994. La tradizionalità del prodotto può essere attribuita alle metodiche di consumo e lavorazione. La maturazione del prodotto avviene sulla pianta ed il frutto è abbastanza ricercato per le buone caratteristiche organolettiche, per la pezzatura grossa, perché essendo una tardiva sono le ultime ciliegie della stagione e ricercatissime per l’uso di conservarle sotto acquavite (kariasa ‘e Ispiritu).

Pompia intrea, pompia

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Sardegna. Principalmente i comuni di Siniscola e di Orosei.

Descrizione sintetica del prodottoLa pompia (citrus mostruosa) è un agrume appartenente alla famiglia dei cedri e si presenta nell’aspetto esteriore abbasatanza simile: scorza gialla molto grossa, porosa e bitorzoluta; forma generalmente sferica, leggermente schiacciata; grandezza variabile, oscillatile tra quella di una grossa arancia e quella di un cedro; il frutto vero e proprio all’interno è molto piccolo e di sapore estremamente acre; il profumo, caratteristico, è agrumato. La pianta è piuttosto grossa e generalmente si carca molto di frutti, offrendo produzioni di diversi quintali. Come frutto la pompia non è commestibile per via del suo sapore sgradevole: è consumata esclusivamente come prodotto trasformato nelle sue diverse varianti di pompia intera, pompia prena e aranzada.

Ciliegie sott’aceto

Materia prima: ciliege (o marasche e visciole).Tecnologia di lavorazione: si scelgono delle ciliege di buona qualità, si taglia il peduncolo a metà e si mette in un vaso di vetro insieme alle spezie ricoprendo d’aceto precedentemente bollito. In alcune regioni (Sardegna) usano mettere un pizzico di zucchero. Si chiude il barattolo e si ripone in luogo fresco.Maturazione:Area di produzione: Sardegna e, in tono minore, in altre parti d’Italia.Calendario di produzione: estate.Note: questa preparazione, molto in uso fino a qualche decennio fa, serviva per accompagnare carni grasse e cacciagione, ma poteva essere consumata tale e quale, come un normale contorno, al pari dei peperoni o altri sottaceti.

Prugne in aceto

Materia prima: prugne.

Tecnologia di preparazione: si puliscono le prugne tagliando, ma non togliendo, il picciolo. Si forano con uno stecchino e si ricoprono con aceto precedentemente bollito con gli altri ingredienti. Si ripete l’operazione per ben tre volte e la terza volta si fanno bollire per 10 minuti anche le prugne. Si rimettono le prugne nel vaso e si fa bollire il liquido fino a renderlo denso. Quando gli ingredienti sono freddi riunirli in vaso. Chiudere ermeticamente e conservare al buio.

Maturazione: 1 mese circa.

Area di produzione: comprensorio di Carpi (Mo), Sardegna e, sporadicamente, in altre regioni.

Calendario di produzione: fine agosto, primi settembre.

Note: ricetta che si tramanda da una generazione all’altra presso alcune famiglie. Essa consente di eliminare ogni forma di microrganismo patogeno.

Uva sott’aceto

Materia prima: uva.

Tecnologia di lavorazione: gli acini d’uva, attaccati ai quali si lascia il peduncolo, vengono sistemati in un barattolo di vetro. Si ricoprono di aceto nel quale si è sciolto un cucchiaio di zucchero. Si ripongono al buio.

Maturazione: un mese circa.

Area di produzione: in tutta la Sardegna.

Calendario di produzione: autunno.

Note: anche questa preparazione trova la sua collocazione nella gastronomia dell’agrodolce. Sostituisce l’uva passa che – lavata con vino moscato e aromatizzata con anice, noce moscata, succo di limone – fu adoperata come salsa fino alla metà del secolo scorso.

Carapigna (Sorbetto al limone – astròre)

SINONIMI: Astròre (in sardo: neve)TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Sardegna con particolare riferimento alla zona di Tuili.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Sorbetto al limone di colore bianchissimo e dalla caratteristica consistenza simile a quella della neve fresca. Si prepara una limonata con acqua, zucchero e limone. La limonata viene inserita in un contenitore d’acciaio (un tempo di piombo e poi di alluminio) detto sorbettiera, che viene chiuso ermeticamente con un coperchio d’acciaio e dei panni. La sorbettiera viene inserita in un altro contenitore di legno a forma di barilotto (in sardo: barrile). Sul fondo del barilotto e intorno alla sorbettiera viene inserito del ghiaccio a pezzi, che viene poi cosparso di sale. A questo punto si inizia a girare la sorbettiera molto velocemente e con energia, di modo che il contenuto cominci a ghiacciare. Dopo circa 40 min. la sorbettiera può essere aperta e il contenuto sminuzzato, con delle palette d’acciaio prima e poi di legno, affinché il prodotto sia il più soffice possibile, di consistenza simile a quelle della neve fresca.NOTE: La carapigna viene preparata e servita al momento, normalmente durante le feste paesane.

Amaretto (Amarettos de mendula)

Territorio interessato alla produzione:Intero territorio della Regione SardegnaDescrizione sintetica del prodotto:Dolci morbidi composto da mandorle dolci (circa il 70%) e mandorle amare (30%), zucchero, albume d’uovo e scorza di limone, dalle forme svariate.Metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:La lavorazione risulta suddivisa nelle seguenti fasi :- pesatura degli ingredienti;- macinatura delle mandorle e amalgama degli ingredienti con impastatrice;- l’impasto viene modellato a forma rotonda o ovale e successivamente sistemato su teglie e infornato;- cottura nei forni elettrici a una temperatura di 200° per 20 minuti;- confezionamento del prodotto finito (vaschette di carta).Regione Autonoma della Sardegna – Ersat: Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica in agricoltura

Anicini (anicinus, anicinus sorresus)

Territorio interessato alla produzione:Intero territorio della Regione SardegnaDescrizione sintetica del prodotto:Biscotto secco di forma allungata o romboidale, dello spessore di circa 2 cm, croccante, di colore dorato più o meno scuro a seconda del grado di tostatura a cui è stato sottoposto.Metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:Per la preparazione dell’impasto amalgamare i seguenti ingredienti:- 600 gr farina di grano duro;- 4 uova – 250 gr di zucchero;- 100 gr di strutto;- 1 bustina di lievito;- liquore di anice;- 1 cucchiaio colmo di semi di finocchio selvaticoLavorare a lungo le uova con lo zucchero e il liquore, fino ad ottenere un impasto spumoso; aggiungere ora, poco per volta, la farina e lo strutto che deve essere morbido; unire all’impasto il lievito ed infine i semi di finocchio, precedentemente, lavati, asciugati e infarinati.Lavorare bene l’impasto e, una volta ben omogeneo, sistemarlo in una teglia unta e, aiutandosi con le mani, dare una forma di un pane allungato. Con questa dose si potranno ottenere diversi “pani allungati”.Cuocere nel forno alla temperatura di 200-220°C per 30 minuti. Ultimata la cottura, lasciare raffreddare, quindi affettare formando fette di circa 2 cm di spessore, che si rimetteranno nel forno, per pochi minuti, affinchè diventino più o meno dorate e croccanti.Cenni storici:Nella tradizione venivano preparati in occasione di matrimoni, battesimi e comunioni. Per le occasioni importanti venivano decorati e ricoperti, in parte, con la glassa bianca, oppure decorati con un disegno a zig zag.La tradizione vuole che gli uomini prediliggano questo dolce, in modo particolare, perchè poco zuccherino e secco così da poter essere bagnato nella malvasia o nel moscato. Nel Montiferru si preparavano gli anicini per utilizzare il tuorlo, rimasto, dalle uova della ricetta dei bianchini o degli amaretti.Regione autonoma della Sardegna – Ersat: Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica

Bianchittos (Marigosos, Bianchini, Suspiros, Bianchinus, Biancheddus)

Territorio interessato alla produzione:Tutto il territorio della Regione SardegnaDescrizione sintetica del prodotto:Dolce di forma piramidale irregolare, di colore bianco, friabile, talvolta, guarnito con mandorle e diavoletti colorati.Metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:A freddo, montare a neve gli albumi con lo zucchero (1kg per 12 albumi, incorporando a mano e molto delicatamente, le mandorle (tagliate a listarelle sottili e tostate) o le noccioline finemente macinate e la scorza del limone grattugiata. Ungere una teglia, o foderarne il fondo con la carta da forno, disporvi l’impasto in porzioni della dimensione di un cucchiaio, distanziandole tra loro in modo da ottenere la classica forma. Si cuociono nel forno, a circa 150°C, con l’accortezza di non chiudere completamente lo sportello, per evitare che prendano colore.Regione autonoma della Sardegna – Ersat: Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica

Biscotto di Fonni

Sinonimi:Biscotti di Fonni – Biscotto lungo e soffice (Savoiardo, Pistoccu, Savoiardone morbido).Territorio interessato alla produzione:Tutto il territorio della Regione SardegnaDescrizione sintetica del prodotto:Il biscotto di Fonni si presenta morbido e friabile dalla colorazione dorata, la forma è simile a quella dei classici “savoiardi”, rispetto ai quali risulta di dimensioni più grandi, pesa circa 13 g. Il suo gusto dolcissimo conserva la fragranza del biscotto appena sfornato, il profumo delle uova fresche addolcite con lo zucchero.Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:Materia Prima: uova, farina e zucchero.Preparazione dell’impasto: si procede con la separazione dei tuorli dagli albumi, questi ultimi vengono montati a neve con lo zucchero, i tuorli vengono invece sbattuti con la frusta elettrica o con lo sbattiuova. Gli impasti così ottenuti vengono poi miscelati assieme alla farina.Colatura del biscotto: la miscela ricavata viene versata nella colatrice, la quale attraverso particolari siringhe conferisce forma e dimensioni al biscotto.Zuccheratura: può essere eseguita manualmente mediante un setaccio o mediante un zuccheratore elettrico.Cottura: il biscotto viene messo in forno alla temperatura di 200 C.Confezionamento: finito il ciclo di cottura il prodotto passa alla cosiddetta “camera di raffreddamento” per poi essere imbustato.
Cenni storici:La produzione del biscotto fonnese rimanda a una tradizione centenariaRegione autonoma della Sardegna – Ersat: Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica

Cruxioneddu de mindua (Culungioneddos de mendula, Ravioletti dolci alle mandorle)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolci costituiti da ravioletti di pasta sfoglia, ripieni di mandorle, di colore giallo paglierino una volta fritti, ricoperti di un leggero strato di zucchero a velo. Varianti al ripieno di mandorle, sono la crema pasticciera o la ricotta.Pasta sfoglia, ingredienti:- 500 g. di farina di grano duro- acqua (quanto basta per impastare);- strutto suino (quanto basta per ammorbidire l’impasto.
Ripieno, ingredienti:- 500 g. di mandorle;- 300 g. di zucchero;- 1 cucchiaino di acqua fior d’arancio;- ½ bicchiere d’acqua.
Preparazione del ripieno: sbollentare le mandorle per pochi minuti in acqua calda; scolarle e sgusciarle rapidamente prima che si raffreddino; tritare le mandorle finemente con un coltello; in un tegame versare il mezzo bicchiere d’acqua con l’acqua fior d’arancio e lo zucchero, passare sufiamma molto bassa per far sciogliere lo zucchero, quando questo è completamente sciolto (non deve imbiondire), aggiungere le mandorle tritate, rimestare e continuare una leggera cottura sempre a fiamma molto bassa sino a che il composto non si è ben amalgamato.Preparazione della sfoglia: si dispone la farina di grano duro a fontana, all’interno si aggiunge l’acqua tiepida e si lavora sino ad ottenere un impasto duro, quindi si aggiunge gradualmente lo strutto per ammorbidire l’impasto; la pasta ottenuta si stende in una sfoglia sottile e sitaglia a strisce larghe circa 10-12 cm..Sulle strisce di sfoglia si dispone il ripieno, ormai freddo, lavorato a pallina delle dimensioni massime di una noce, distanziandolo di circa 10 cm.; quindi si richiude la sfoglia su se stessa e si procede alla formatura dei ravioletti esercitando una leggera pressione con le dita sulla pasta, poi si esegue il taglio con l’apposito strumento.I ravioletti così ottenuti vanno immersi nell’olio da frittura temperatura moderata, appena vengono a galla rivoltati e scolati, disposti su carta assorbente ed una volta freddi spolverati con lo zucchero a velo.NOTE: È una frittura tipica delle feste di carnevale e nel passato anche della festa di San Giuseppe.

Gallettinas (Pistoccheddus grussus – Gallettine)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento al Monte Linas.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Biscotto friabile al gusto di limone; di forma ovale e allungata, zuccherati sopra (senza glassa), molto friabili, leggeri e dorati, con intenso gusto di limone e medesimo aroma.In passato era considerato il biscotto tipico da mangiare imbevuto con il latte.Fasi di lavorazione:
Ingredienti:zucchero semolato locale, uova fresche locali, scorza di limoni, strutto vegetale, latte a lunga conservazione, ammoniaca in polvere, farina tipo 00.
Lavorazione: in un contenitore in acciaio inox si lavorano le uova con lo zucchero mediante il frullatore. Nel mentre si fa scaldare il latte in un tegame in acciaio senza portarlo ad ebollizione, si scioglie lo strutto in un altro tegame. Successivamente la scorza grattugiata dei limoni viene unita alle uova precedentemente lavorate con lo zucchero, si versa lo strutto nell’impasto. In contemporanea si versa l’ammoniaca nel latte intiepidito (ma non tropo caldo) e poi il tutto nell’impasto e si attende per alcuni minuti rimestando lentamente sempre a freddo. In seguito si unisce la farina all’impasto nel contenitore in acciaio, si rimesta con la macchina che funge sia da frullatore che da impastatrice percirca 10-15 minuti sino ad ottenere un impasto morbido ed elastico (consistenza media). A fine lavorazione l’impasto viene prelevato manualmente con l’ausilio di una spatola in plastica, e riposto su di un ripiano in acciaio inox precedentemente infarinato.Tornitura: Si tornisce l’impasto a mano formando delle grosse palline che vengono adagiate sulla sfogliatrice elettrica per stendere e assottigliare la pasta, operazione ripetuta meccanicamente per due volte e poi ultimata a mano con un mattarello in legno naturale per raggiungere lo spessore desiderato e per evitare che la sfoglia, se troppo sottile, si attacchi alla macchina.Taglio della sfoglia: La sfoglia viene poi adagiata sul ripiano, tagliata con una rotellina apposita per la pasta, dando la tipica forma ai biscotti.Cottura: I biscotti, prima di essere infornati, vengono spennellati con del liquore (es. Maraschino). Poi si prende un biscotto per volta, si passa nello zucchero, contenuto in un recipiente, viene riposto in apposite teglie e poi infornato per circa 15 minuti alla temperatura di 220 C.Una volta raffreddati, i biscotti vengono tolti dalle teglie e riposti in apposite confezioni trasparenti per alimenti per evitare che gli stessi si induriscano.

Orilletas

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla Baronia.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Sfoglia di pasta fritta ricoperta di miele, dolce tipico prodotto in particolare nel periodo di carnevale.Ingredienti: uova, farina di grano duro, strutto, acqua, miele sardo.Lavorazione: Uova, farina e strutto vanno miscelati insieme con l’aggiunta di un pò d’acqua e lavorati fino ad ottenere un impasto omogeneo da cui si ricava una sfoglia molto sottile. La stessa viene poi tagliata in strisce della larghezza di circa cm. 2 con l’ausilio di una rotella per pasticcere. La pasta così tagliata viene lavorata in modo tale da dare al dolce la caratteristica forma. Il dolce viene poi fritto nell’olio e lasciato raffreddare. Una volta raffreddatosi lo si ripassa con il miele secondo il seguente procedimento: in un recipiente dalle pareti basse viene sciolto a fuoco lento il miele con l’aggiunta di un pò d’acqua. In detto recipiente con il miele, tenuto sempre sulla fiamma per impedirne la condensazione, vengono adagiate le orilletas che andranno girate in modo tale che vengano ricoperte da tutti i Iati da uno strato sottile di miele. Il dolce viene lasciato raffreddare prima della consumazione. E’ consigliabile ripassare le orilletas con il miele pochi giorni prima della consumazione in quanto il miele tende a scivolare lentamente dal dolce. La pasta fritta, non ancora ripassata con il miele, ha lunghi tempi di conservazione. Il sapore delle orilletas, quando ancora non sono state ripassate con il miele, è simile a quello dei tradizionali dolci preparati nel periodo di carnevale denominati chiacchere. Il gusto caratteristico viene conferito al dolce dal miele.

Pirikitos (Piricchittos)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolci ricoperti di glassa di zucchero, di forma rotondeggiante appiattita di 4-5 cm di diametro, di consistenza morbida.Ingredienti: farina di grano tenero, zucchero, strutto, uova, lievito, buccia di limone o arancia grattugiata, uva passa e latte.Preparazione: le uova vengono lavorate con lo zucchero ed in seguito addizionate con lo strutto all’interno di un recipiente di terracotta smaltata. A questo composto vengono uniti i restanti ingredienti. Il prodotto viene fatto lievitare per una ventina di minuti. Le teglie per la cottura vengono preparate con carta da forno, sulla quale, con l’uso di un cucchiaio, vengono deposte le dosi del composto, messe al forno e cotte a temperatura media (180 C). A fine cottura i pirikitos vengono tuffati nella glassa, ripescati e adagiati su delle teglie e rimessi in forno per asciugare.

Pistoccheddus de cappa (Pistoccus incappausu)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Le zone del Medio e Basso Campidano della Regione Autonoma della SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolce tipico di piccole dimensioni, si tratta di un biscotto dalla pasta dura e croccante di colore dorato, dalle forme stilizzate che riproducono animali domestici (uccellini, pecorelle, ochette, coniglietti, ecc.), ricoperto di glassa bianca decorata con mascarponi dorati o argentati e con fregi dorati.Biscotto, ingredienti:- 350 gr. di farina di grano duro;– 350 gr. di farina 00;– 6 uova intere e 6 tuorli;– Strutto suino (un cucchiaio);- Scorza di un limone.Glassa e decori, ingredienti:- 400 gr. di zucchero;- 6 albumi;- succo di limone.Preparazione del biscotto: miscelare uniformemente i due tipi di farina e disporre la miscela a fontana, aggiungere le uova e mescolare lentamente, quindi lavorare manualmente l’impasto ottenuto, che presenta una certa consistenza, incorporandovi lo strutto e la scorza del limone finemente grattugiata. Quando la pasta risulta ben lavorata, liscia ed omogenea, si ritagliano dei tocchetti delle dimensioni di una grossa noce, e si modellano dandogli le forme citate al punto 6, con l’ausilio delle forbici e di un coltellino. I biscotti si adagiano su una teglia e si cuociono in forno a 180 °C per circa 15-20 minuti, ancora oggi, come in passato, laddove esiste ancora il forno tradizionale sardo, vi si effettua la cottura subito dopo quella del pane.Preparazione della glassa e decorazione: in un recipiente a bagnomaria si lavorano gli albumi, montati a neve, con lo zucchero e il succo del limone, sino ad ottenere un impasto consistente, lucido di colore bianco candido. Quando la glassa non è più calda, si spalma sui pistoccheddus, utilizzando un pennello per dolci in maniera tale da ricoprirli completamente, dopo di che si adagiano con attenzione su una teglia e si ripassano in forno tiepido (50 °C) per poco tempo, al fine di favorire l’indurimento della glassa. Una volta sfornati si possono abbellire i pistoccheddus decorando ulteriormente la glassa con moscardini (tragera) e fregi di carta dorata a base di ostia (spumi oru).Note: Questo dolce, nella tradizione era preparato in occasione dei festeggiamenti Pasquali, per tale giorno si preparava oltre al normale biscotto anche una sua variante che prevedeva l’aggiunta di un uovo fresco con la buccia, il tutto veniva poi cotto al forno e guarnito come detto prima. Si ottenevano così i “Coccoiedus cun s’ou” o “Sangui” (biscotti con l’uovo), che venivano offerti nella tradizione sarda, ai bambini come uovo pasquale.

Ravioli dolci ripieni di formaggio fresco acido (S’azza de casu – Coccias de casu)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla zona del Sulcis
Descrizione del prodotto:Ravioli dolci ripieni di formaggio di capra fresco acidoForma: rettangolare o romboidale, aperte ai latiColore: dorato esternamente, bianco-giallo all’internoConsistenza: croccante esternamenteGusto: dolceUtilizzo: dessert
Ingredienti per la sfoglia: farina, strutto, acqua; per il ripieno: formaggio fresco di capra leggermente acido, uova, zucchero, limone. Olio o strutto per friggere, zucchero.Lavorazione: Si prepara la pasta con la farina, l’acqua e lo strutto (s’ollu ‘e proccu), L’impasto lavorato si tira in sfoglia sottile (su pillu) in un tavolo di legno. A parte si prepara il ripieno con il formaggio fresco di capra, uova , zucchero e poco limone. Sulla sfoglia inferiore si dispone il ripieno ad intervalli regolari, si ricopre con un’altra sfoglia e si taglia il tutto con un coltello formando dei ravioli dalla forma romboidale ma aperti ai lati.I rettangoli o rombi così ottenuti si friggono in abbondante olio o strutto, si spolverano di zucchero e si servono caldi. La particolarità di questi dolci consiste nel fatto che la sfoglia rimane aperta su tutti i lati, senza perdere il ripieno che aderisce alla pasta gonfiandosi durante la cottura.Note: Is coccias de casu vengono prodotte da oltre un secolo, come attestato dagli anziani di Santadi. Generalmente si preparavano per Natale e durante il Carnevale.

Raviolini dolci ripieni di melacotogna (Culungioneddus de melairanni)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento al comune di Santadi (CI).Descrizione prodotto.Raviolini dolci ripieni di melacotognaForma: rettangolare (circa 4×3 cm).Colore: Dorato esternamente, all’interno di colore giallastro.Consistenza: croccante fuori, morbido dentro.Gusto: dolce.Utilizzo: dessert.
Ingredienti per il ripieno: melecotogne, zucchero.Ingredienti per la sfoglia: farina, acqua, strutto.Lavorazione: Si sbucciano le melacotogne e si mettono a bollire con lo zucchero, sino ad ottenere un impasto cremoso di colore rosso. Quando l’impasto è pronto si lascia raffreddare. Intanto si prepara la sfoglia (su pillu), con farina, acqua e strutto (oll’e proccu). A questo punto si depone il composto di melacotogne nella sfoglia precedentemente stesa sul tavolo da lavoro. Si richiude la sfoglia e con la rotella (s’arretta) si ritagliano dei raviolini di varie dimensioni, i quali vengono fritti.Note:dolci sono attualmente prodotti all’interno del circuito domestico,is culingioneddus de melairanni sono prodotti nel comune di Santadi da oltre un secolo.

Sos pinos

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla zona del Goceano (SS).DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolce fritto lavorato con il miele, di forma sferica, del diametro di 4-5 cm, di colore giallo oro, ottenuto dall’unione di piccoli pezzi di pasta fritta a forma di pinolo cementati fra loro dalla cottura con il miele.Ingredienti: semola di grano duro, uova fresche, acqua, olio di semi o d’oliva, miele sardo.Lavorazione: L’impasto va preparato amalgamando la semola con le uova (1 kg di semola per 6/7 uova). Questo va lavorato per bene fino ad ottenere un prodotto liscio ed omogeneo; in seguito viene tagliato in piccole parti e lavorate con le mani ricavando delle strisce sottili simili a degli spaghetti, dai quali si ottengono dei piccoli pezzi a forma di pinolo, (da tale forma ne deriva il nome: sos pinos), della lunghezza di un centimetro, che andranno in seguito fritti nell’olio (in passato si usava s’ozu casu ossia il burro). A fine cottura, vanno rimessi in padella e addizionati di miele fino a fargli assumere un colore dorato ma non troppo scuro. I piccoli pezzi di pasta vanno modellati e uniti durante la cottura fino ad ottenere svariate forme.Note: fa parte di tutta una serie di prodotti che venivano preparati in occasione del matrimonio.

Sospiri di Ozieri

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento al comune originario di Ozieri (SS).DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO:Dolci molto piccoli, di forma rotonda, glassati in superficie, soffici all’interno, di colore chiaro, preparati con mandorle tritate, zucchero, miele e limone. Ne esiste una versione moderna avvolta nel cioccolato e aromatizzata al liquore di mirto.Lavorazione:- pesatura degli ingredienti;- macinatura e amalgama degli ingredienti con impastatrice a forcella che ripete il movimento delle mani;- creazione delle forme con eventuali stampi in rame;- cottura nei forni elettrici o a gasolio;- glassatura con zucchero fondente;- confezionamento: si presentano avvolti in carte variopinte .

Casada, colostra

Area di produzioneRegione Sardegna

DescrizioneLa casada, dal latino caseus, ossia formaggio, si produce con il latte dei primi tre giorni di lattazione della pecora. Tale latte è munto a parte, destinato quindi alla preparazione della casada o “budino dei pastori” poiché per il sapore troppo forte e la massiccia presenza di colostro, non si presta bene alla caseificazione. La casada è una preparazione casalinga, in uso nelle famiglie pastorali: si ottiene facendo scaldare a bagnomaria in un recipiente di acciaio inox il colostro dolcificato con zucchero e la buccia-tagliata a listarelle o a pezzi – di un limone. Il colostro appena coagulato viene versato in stampi o in scodelle e consumato tiepido o freddo.Ha la consistenza di un budino, color crema pallido, con note olfattive e gustative fini, sentori di latte fresco, note dolci dovute anche alla presenza di zucchero, accompagnate dal sapore caratteristico della buccia di limone.

PreparazioneIl picco della produzione della casada avviene in corrispondenza della produzione degli agnelli sardi, grossomodo tra novembre ed aprile, e in particolare a Natale e Pasqua. Il colostro della pecora, munto a mano dal pastore, viene posto in un recipiente di acciaio inox, filtrato per togliere eventuali impurità con un retino a maglie sottili e arricchito da alcuni cucchiai di zucchero, in proporzione alla quantità: 4-5 cucchiai di zucchero ogni due litri di colostro circa e con la buccia – tagliata a listarelle o a pezzi di un limone. E’ quindi messo a scaldare a bagnomaria in una pentola bassa in acciaio inox. Sono due le tecniche di realizzazione: la prima vuole che venga rimestato delicatamente con una frusta in acciaio, la seconda consiglia di lasciare coagulare la casada senza toccare il composto liquido, sino ad avvenuta condensazione. A quel punto si spegne il fornello.Si può anche porre direttamente il colostro al fuoco, rigorosamente con fiamma bassa. in una pentola, con l’avvertenza di controllare meticolosamente la temperatura e il processo di coagulazione: il colostro si coagula attorno ai 70-72 gradi, e in tali condizioni si addensa.Dopo qualche minuto, tempo variabile per la temperatura dell’ambiente di preparazione, quando inizia il processo di coagulazione del colostro, ormai divenuto sa casada, viene posto in vaschette o scodelle o un piatto con i bordi leggermente rialzati e lasciato intiepidire. Si può consumare con il cucchiaio così o con l’aggiunta eventuale di miele sardo o sapa sarda.

Cenni storici e curiositàIl colostro è sempre stato considerato un latte ricco di elementi nutritivi per cui, tradizionalmente, il consumo veniva destinato principalmente ai bambini o agli anziani fin da epoche remote.Infatti, secondo l’antropologa culturale Alessandra Guigoni, la casada o colostra, come viene chiamata nel Nuorese, è un dolce antico, probabilmente medioevale. E’ infatti di gusto tipicamente medioevale preparare dolci che mescolano prodotti lattiero caseari ad agrumi e/o miele.Viene, inoltre, citata a casada nel dizionario di Vittorio Angius e Goffredo Casalis (1833-56) ed in alcuni passi di letteratura e di scritti scientifici sulla Sardegna degli anni 70, – dove si rimarca la pratica tradizionale di donarlo e consumarlo

Torrone di mandorle

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio regionale con particolare riferimento alla Provincia di Nuoro (Tonara, Desulo ecc.).DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Prodotto dolciario a panetti di varie dimensioni variabili dai 100 g. ai 20 kg., di colore bianco, con intenso profumo e gusto di miele, consistenza semi – morbida ed elastica.Varianti: torrone al miele dolce, torrone al miele amaro di corbezzolo (tipico e più pregiato).Ingredienti: il torrone si ottiene dalla lavorazione dell’albume dell’uovo, del miele (amaro- di corbezzolo o eucaliptus, dolce- millefiori), con aggiunta di mandorle tostate, e scorza di limone.Lavorazione:Preparazione delle mandorle: In particolare le mandorle, da utilizzare sia per l’impasto (intere) che per le decorazioni esterne, vengono lessate, pelate, asciugate nel forno su delle teglie e poi tostate a forno spento ad una temperatura iniziale di 150 C e successivamente intorno ai 120 C per circa 2 ore, durante le quali le stesse vengono sfornate e girate una per una per ben 4 volte durante la tostatura. Si presta una particolare attenzione alla selezione manuale delle mandorle al fine di eliminare quelle eccessivamente tostate che potrebbero danneggiare la qualità del prodotto (gusto,aspetto esteriore).Prima fase della lavorazione: preparazione dell’impasto. Nell’impastatrice dotata di una caldaia in rame, si versano l’albume dell’uovo ed il miele. L’impasto inizialmente è allo stato liquido ed assume un colore scuro (influisce la colorazione del miele).Lavorazione. Il composto viene poi lavorato per un periodo di tempo variabile che si aggira dalle 2 alle 5 ore a seconda delle condizioni climatiche (il caldo dilata i tempi di lavorazione) fino a che dall’unione del miele e dell’albume dell’uovo non si arriva ad ottenere una massa colante candidissima. In principio la lavorazione dell’impasto avviene ad una temperatura che raggiunge circa i 65 C “a bagno maria” per 1,30-2 ore; successivamente viene ridotta la velocità dell’impastatrice e contemporaneamente si abbassa anche la temperatura sino a raggiungere circa i 40 C.Aggiunta delle mandorle all’impasto: A lavorazione ultimata al composto, contenuto nella caldaia dell’impastatrice, si uniscono le mandorle intere, precedentemente pelate e tostate, e la scorza del limone grattugiata finemente, rimestando il tutto lentamente e per pochissimo tempo.Raccolta dell’impasto: Dall’impastatrice il composto caldo viene raccolto manualmente con l’ausilio di un mestolo e versato negli stampi precedentemente rivestiti sul fondo e ai lati con dell’ostia. Si è soliti guarnire i lati anche con della pergamena argento per uso alimentare.Decorazione: Il panetto di torrone viene guarnito disponendo le mandorle lungo tutta la superficie superiore. E’ da sottolineare che il torrone deve essere versato subito a fine lavorazione negli appositi stampi quando è caldo.Confezionamento: Una volta versato e guarnito negli stampi, il torrone lo si lascia raffreddare naturalmente nelle rispettive vaschette riposte su dei tavoli da lavoro all’interno del laboratorio.Imballaggio: Le vaschette in seguito vengono sigillate meccanicamente con dei fogli trasparenti per uso alimentare, impermeabili agli agenti atmosferici-fisici ed inquinanti. La confezione può essere costituita da scatole in cartoncino realizzate appositamente per alimenti, in legno prodotteartigianalmente, oppure il torrone, in blocchi (panetti) da circa 20 kg., guarnito con ostia e mandorle, viene venduto al taglio durante le sagre e manifestazioni religiose.Note: In occasione di particolari ricorrenze (es. per la Sagra del Miele che si tiene annualmente a Montevecchio) la lavorazione del torrone viene effettuata interamente a mano. Si tratta di un’attività artigianale e di una ricetta molto antiche, tramandate di generazione in generazione da oltre 100 anni. I primi documenti cartacei che testimoniano la presenza di tale produzione risalgono al 1851.

Picchirittusu

Area di produzionecomune di Seulo (CA)

DescrizioneDolce di forma tipica romboidale, di piccole dimensioni, ricoperto di glassa bianca decorata con diavoletti.

PreparazioneIl dolce si realizza con :• farina tipo 00;• semola;• strutto;• uova;• acqua;• zucchero;• mandorle dolci;• scorza di limone grattugiata;• liquore.La pasta si lavora manualmente o con l’ausilio di impastatrici di piccole dimensioni fino a ottenere una massa omogenea e ben amalgamata.Il ripieno si ottiene lavorando le mandorle con lo zucchero, il liquore ed il limone.La sfoglia viene stesa, anche con l’ausilio di una macchina stira pasta; viene ritagliata in cerchi o quadrati, al centro dei quali si colloca una pallina di ripieno. La pasta viene quindi pizzicata agli angoli per conferirle la forma di rombo, caratteristica del dolce finito.La cottura avviene nel forno a legna su teglie in metallo.A cottura ultimata viene stesa la glassa impreziosita di diavoletti.Il dolce prima di essere consumato deve asciugare e riposare per alcune ore.

Cenni storici e curiositàil dolce viene preparato e servito a Seulo in occasione delle principali feste fin dai primi del ‘900

Pistoccu de Nuxi

Area di produzioneComune di Seulo (CA)

DescrizioneSu Pistoccu e nuxi può essere definito come un dolce di montagna dal carattere agreste e dal sapore deciso. E’ di forma irregolare e assume il colore del suo ingrediente principale: la noce. Viene abbellito con una guarnizione di glassa bianca e con dei diavoletti colorati.

PreparazioneGli ingredienti del “pistoccu de nuxi” sono pochissimi: le noci, il limone, lo zucchero e l’albume d’uovo. L’impasto viene realizzato unendo le noci tritate allo zucchero e al limone grattugiato ed infine aggiungendo l’albume dell’uovo montato a neve. Si amalgama il tutto fino ad ottenere un composto spumoso che viene suddiviso in tante piccole porzioni che verranno poi cotte nel forno a legna.

Cenni storici e curiosità“Su pistoccu de nuxi” è un dolce tipico della cucina seulese. La ricetta tradizionale del dolce di noce è tramandata oralmente da madre in figlia da generazioni perciò la sua origine si perde nella notte dei tempi. L’ ingrediente principale è costituito da un prodotto del bosco, la noce, che da la denominazione al dolce stesso. L’albero del noce è da sempre molto apprezzato infatti testimonianze scritte del XIX° secolo ci rivelano che già nell’Ottocento la sua coltivazione era notevolmente diffusa a Seulo. Ancora oggi le aie e i cortili privati dell’abitato, le piazze e i viali pubblici sono spesso adornati da questa tipica pianta di montagna.

Candelaus (Candelaus prenu)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla zona del Campidano.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolce tipico e antichissimo composto da una sottilissima sfoglia di pasta di mandorle, glassata, che ricopre un morbido impasto di mandorle fresche, tagliato a scaglie, dal sapore finissimo e aromatizzato con l’acqua di fiori d’arancio. Esiste una varietà di forme: dalla classica forma di cestino o scodellina a quella di tronco, cono o piccolo animale. La decorazione avviene con confettini colorati o foglie dorate. Ingredienti: mandorle, zucchero, acqua di fiori d’arancio.La lavorazione risulta suddivisa nelle seguenti fasi:- pesatura ingredienti;- sfogliatura e macinatura delle mandorle;- amalgama degli ingredienti;- lavorazione delle forme;- cottura a fuoco lento per circa 30 minuti;- glassatura e decorazioni.
NOTE: Questo dolce è uno dei più prelibati e antichi della Sardegna, sempre presente in circostanze particolari: battesimi, fidanzamenti e matrimoni soprattutto presso le famiglie benestanti dei proprietari terrieri che coltivavano mandorleti.

Caschettas (Tiliccas)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Sardegna con particolare riferimento alla BarbagiaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Sfoglie di pasta sfoglia violata ripiene di miele, zafferano e mandorle.Presenta le forme più svariate (ferro di cavallo, ellisse, mezzaluna, cuore), il peso varia intorno ai 16/17 g, la superficie esterna è friabile e bianca, l’interno presenta una colorazione giallo-paglierino, conferita dalle modiche quantità di zafferano in esso contenute, profuma di mandorle.Materia prima:farina, acqua, zucchero, strutto, mandorle, miele, zafferano, buccia di limone grattugiato.PreparazioneLa preparazione del ripieno rappresenta la prima fase della lavorazione del prodotto. Prima di procedere alla preparazione dell’impasto il miele, lo zucchero, lo zafferano e la buccia di limone vengono fatti bollire in un tegame. Per qualche minuto, prima di spegnere si aggiungono le mandorle. Si lavora l’impasto così ottenuto fino ad ottenere dei bastoncini di 6/7 mm di diametro, e della lunghezza di 10/12 cm. Preparazione della pasta: si impasta la farina con lo zucchero e lo strutto, si lavora accuratamente la pasta fino ad ottenere una sfoglia sottilissima da cui si ricaveranno dei rettangoli con il bordo smerlato. In ogni rettangolo di pasta si sistema un bastoncino di ripieno e si chiudono gli estremi dando varie forme (ferro di cavallo, mezzaluna, ellisse); vanno quindi messi in forno alla temperatura di 160° C.
NOTE: Di tradizione antichissima, risalente al rito propiziatorio in onore di San Antonio Abate, nell’occasione era uso all’interno della comunità Mamoiadina preparare diversi dolci tra cui le caschettas per donarli alle famiglie in lutto.

Copuletas (Copuletta)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione con particolare riferimento alla zona di Ozieri e Goceano.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolci di pan di Spagna alle mandorleIl prodotto si presenta di forma tronco conica con le basi ovali (minore alla base inferiore e maggiore in quella superiore), alto cm. 2,5 e lungo cm. 7/9, di colore bianco sporco al bordo zigrinato e bianco sulla superficie quanto ricoperto di glassa. Il peso della copuleta è di circa gr. 40. Le dosi per ottenere kg.1 di ripieno sono dieci uova, gr.150 di farina 00 (una pasticceria ha specificato l’utilizzo del composto del grano “granito”), gr. 150 di zucchero, successivamente si monta l’albume che viene incorporato alle uova e allo zucchero assieme alla farina e quindi alle mandorle aggiungendo, infine una scorza di limone grattugiato. Tale composto costituisce il ripieno. Si procede quindi alla lavorazione de “guscio” grazie ad un composto costituito da farina 00 e da strutto animale, sale ed acqua che viene “steso” e fatto aderire alla formina in acciaio. Una volta fatto ciò viene versato il ripieno.La copuleta cotta in forno a 200 gradi per 15 minuti viene fatta raffreddare e quindi decorata con della glassa sottilissima (albume, acqua e zucchero) e fatta asciugare per 2 minuti al forno e quindi raffreddare nella teglia su carta da forno per oltre 2 ore.Il prodotto che si ottiene ha un aspetto compatto ma al tatto friabilissimo e morbido grazie al ripieno che ha la consistenza di una sorta di pan di Spagna.
NOTE: Il prodotto di tipica lavorazione casalinga si tramanda di generazione in generazione conservandone gelosamente dosi ed essenze aromatiche. Pare che la lavorazione particolarmente attenta e meticolosa fosse a totale carico delle donne anziane. Qualche anno fa una pasticceria di Ozieri ha recuperato la ricetta reintroducendo la produzione sul mercato e sollecitando così alla produzione altre pasticcerie locali. E’ un prodotto che va consumato in giornata per gustarlo meglio e che può durare massimo tre giorni. Da qualche anno tornato in auge è parte integrante nelle cerimonie nuziali accompagnato alla classica torta degli sposi.

Gateau (Su Gattò de mendula)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Croccante di mandorle che possono essere tostate intere o tagliate a filetti.Ingredienti: mandorle nazionali tagliate a filetti e tostate, zucchero semolato.In alcuni centri dell’isola vengono aromatizzati con scorza d’arance.Preparazione: vengono amalgamati i filetti di mandorle con lo zucchero già sciolto in precedenza. Il tutto viene cucinato in un paiolo di rame al fornello per 20 minuti. A fine cottura, l’impasto viene tagliato manualmente conferendogli così, la caratteristica forma di rombo. Dopo che il prodotto si è raffreddato sul banco di lavoro, viene confezionato nei pirottini.NOTE: Si tratta di un dolce tradizionale citato anche nei romanzi di Grazia Deledda.

Gueffus (Guelfos, Guelfus)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Piccolo dolce di forma rotonda composto da zucchero semolato, mandorle e limone.Preparazione: amalgamatura e cottura delle materie prime nell’impastatrice. Dopodiché l’impasto viene lasciato raffreddare e, successivamente, si passa alla modellatura manuale del prodotto. Si ottengono tante palline che vengono inzuccherate econfezionate con carta colorata.

Pani ‘e saba (Pani ‘e sapa)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla zona del Campidano di Cagliari e del Nuorese.DESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Piccola pezzatura del peso di 200/300 gr. caratterizzata dal colore scuro del vino cotto, intensamente fragrante, composto da farina bianca, lievito e “sapa” (un liquido ottenuto dal vino di uva fatto raffinare in cottura) e uva passa. Gli ingredienti possono variare con l’aggiunta di frutta secca (solitamente noci). La forma della pasta può variare: rombo, rettangolo e anche forma circolare.
Lavorazione- pesatura degli ingredienti;- amalgamare gli ingredienti con impastatrice;- lievitazione dell’impasto per circa 8 h. in locali con temperatura superiore ai 20° C;- cottura nel forno sardo, elettrico o “rotor” (a gasolio), per circa 40 minuti a temperatura moderata;- confezionamento con macchina termoretraibile e materiali di cellophan.Note: Si tratta di una delle prime trasformazioni del pane in dolce, di origine rurale antichissima. Corrisponde ad un tradizionale ricco dolce, legato ad un rituale sardo in quanto in tempi antichi, le donne usavano prepararlo insieme in occasione della festività dei Santi e per Natale.

Papassinos

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla zona centrale.
Descrizioneil nome “Papassinos” deriva dal dialetto ‘Papassa’ ossia uva passa
Ingredienti: farina 00, uva sultanina, zucchero, uova fresche, vino cotto (sapa), margarina vegetale, mandorle nazionali, latte e lievito chimico.

LavorazionePreparazione manuale delle materie prime, pesatura, amalgama delle stesse nell’impastatrice.Stesura della pasta nel banco dove si procede alla formatura manuale o meccanica del prodotto.Disposizione dello stesso nelle teglie dove viene lasciato lievitare e, successivamente, infornato alla temperatura di 200°C per 15 minuti.

Pardulas (Formagelle, Casadinas)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Ricotta (o formaggio pecorino fresco di giornata), zucchero, uova, farina 00, semola, margarinavegetale, limone, lievito di birra e sale. Per la zona di Sassari si aggiunge l’uva passa. In alcune zone sono aromatizzate con zafferano o altro.

LavorazionePreparazione manuale delle materie prime relative all’impasto del ripieno, pesatura e amalgama delle stesse con impastatrice. Preparazione delle materie prime per la sfoglia e amalgama delle stesse con impastatrice. Formatura e modellatura manuale al banco del prodotto, sistemazione dello stesso nelle teglie e successiva cottura al forno alla temperatura di 220° per 25 minuti.

Pastine di Mandorle (pastissus)

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Le zone del Medio e Basso Campidano della Regione Autonoma della SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolci tipici e particolarmente elaborati, si presentano come dei cestinetti tondi, ovali, romboidali, ecc., di dimensioni variabili dai 5-6 cm. di diametro, agli 8×4 cm. per le altre forme. Sono costituiti da una sottilissima sfoglia, ripiena di un soffice pan di spagna alle mandorle, la superficie ricoperta di uno strato di glassa reale, viene decorata con delicati fiori di zucchero foggiati a mano, variopinti o bianchi, abbellita con scritte o ricami di glassa bianca o dorata, o più semplicemente ricoperta con diavoletti di vari colori, argentati e/o dorati.Pasta sfoglia, ingredienti:- 500 gr. di farina di grano duro;- Acqua (quanto basta per impastare);- Strutto suino (quanto basta perammorbidire l’impasto);
Ripieno, ingredienti:- 300 gr. di mandorle- 300 gr. di zucchero;- 6 uova;- Un limone;- Un bicchierino di liquore secco (acquavite)–Lievito per dolci, dose per ½ Kg. di farina;Un pugno di farina di grano duro;Preparazione del ripieno: sbollentare le mandorle per pochi minuti in acqua calda; scolarle e sgusciarle rapidamente prima che si raffreddino; tritare le mandorle finemente con uno sminuzzatore; in un contenitore sgusciare le uova separando i tuorli dall’albume, aggiungere lo zucchero ai tuorli e sbattere il composto sino a perfetta frullatura delle uova; di seguito incorporare la scorza del limone finemente grattugiata, il liquore e la farina; a questo punto si aggiungono le mandorle e in ultimo a pioggia il lievito, per non formare grumi. Il composto ottenuto deve presentarsi ben amalgamato e di consistenza semi fluida.Preparazione della sfoglia: si dispone la farina di grano duro a fontana, all’interno si aggiunge l’acqua tiepida e si lavora sino ad ottenere un impasto duro, quindi si aggiunge gradualmente lo strutto per ammorbidire l’impasto; la pasta ottenuta si stende in una sfoglia sottilissima e si suddivide in porzioni di forma quadrata. Le porzioni di sfoglia si fanno aderire perfettamente all’interno delle formine, che avremmo precedentemente spennellato con dello strutto, quindi si preme sui bordi delle formine per tagliare ed eliminare la sfoglia in eccesso.A questo punto si versa con un mestolino il composto ottenuto per il ripieno, riempiendo il cestinetto per non più di ¾ . Le formine vengono quindi disposte ordinatamente su una teglia da forno e passate in forno caldo a 180° C, sino a che il ripieno ben lievitato non risulta dorato. Ultimata lacottura si lascia che le pastine raffreddino leggermente e si procede al distacco, con delicatezza, del cestinetto dalla formina, quindi si dispongono su canestri ricoperte con un telo. Trascorse almeno 12 ore, affinché il cestinetto ben freddo risulti più resistente alle manipolazioni, si procede alla decorazione.Il dolce pronto può essere conservato per quattro o cinque giorni in luogo asciutto (dispensa), senza che perda la sua originaria fragranza.Note: E’ un dolce che vanta una tradizione antica come dolce per le feste e ricorrenze importanti, quali i matrimoni, i battesimi, comunioni, cresime e festività natalizie e pasquali. A seconda della ricorrenza si adeguavano in passato come ora, i decori, che possono essere allegri e colorati per il dolce di pasqua, ricamati con scritte e disegni bianchi e dorati per i matrimoni.

Pistiddu

TERRITORIO INTERESSATO ALLA PRODUZIONE: Tutto il territorio della Regione SardegnaDESCRIZIONE SINTETICA DEL PRODOTTO: Dolce tradizionale di forma tonda e di colore giallo paglierino.Ingredienti per l’impasto: 3 l di acqua, 1 kg di zucchero, 1,5 kg di miele e 0,700 kg di semola di grano duro.Lavorazione: Mettere, in una pentola capiente, l’acqua e tutti gli altri ingredienti, portare ad ebollizione e lasciare bollire per circa due ore, quindi, aggiungere la scorza grattugiata di un limone e di un arancio, dei chiodi di garofano, della cannella e 150 gr di sapa.Continuare la cottura per circa 30 minuti, quindi suddividere in piccoli porzioni e lasciare raffreddare. Ricoprire il tutto con della pasta di semola fatta con acqua, semola, lievito di birra e mettere in forno a 180°C per 12 minuti.

Aranzada

Denominazione del prodotto:Aranzada– – Scorza d’arancia candita e mandorleTerritorio interessato alla produzione:Tutto il territorio della Regione Sardegna con particolare riferimento alla provincia di NuoroDescrizione sintetica del prodotto:Dolce d’arance candite nel miele e mandorle di circa 1 cm di altezza e porzionato in piccoli pezzi romboidali. Colore, aroma e gusto sono di agrume dolce. La consistenza è complessivamente gommosa e di compattezza variabile a seconda delle proporzioni e del taglio degli ingredienti.Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:Dopo l’eliminazione della polpa la scorza del frutto viene tagliata in grossi spicchi; si aggiungono le mandorle intere, pelate e tostate, che entrano nel composto durante la fase di canditura con miele o sciroppo di zucchero e miele.A cottura ultimata il composto viene rovesciato su un piano di legno e steso in una forma quadrata o rettangolare; una volta raffreddato il composto viene tagliato a piccoli pezzi romboidali; si conserva in frigorifero.Cenni storici:E’ considerato molto raffinato. La sua produzione, a livello familiare, era un tempo legata ai festeggiamenti in occasione di particolari ricorrenze.Oggi il prodotto è commercializzato dai laboratori di pasticceria sarda ed è piuttosto noto.Regione Autonoma della Sardegna – Ersat: Ente Regionale di Sviluppo e Assistenza Tecnica in agricoltura

Mirto di Sardegna tradizionale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale

Descrizione sintetica del prodottoll Mirto ha diverse denominazioni dialettali, Mulsta (Ittireddu), Multa (Berchidda, Ittiri, Oschiri, Padria, Pattada, Sassari, Tempio, Alghero), Murta (Bitti, Bolotana, Fluminimaggiore, Oliena, Orani, Orgosolo, Quartu), Murtiu (Carloforte), Murtizzu (Bono) e Muta (Burcei e Villacidro).Il Mirto di Sardegna è un liquore dal colore rosso ottenuto dall’infusione idroalcolica di bacche di mirto, di cui conserva il caratteristico profumo, con l’aggiunta esclusivamente di dolcificanti come zucchero o miele. E’ dotato di particolari proprietà digestive e viene consumato preferibilmente freddo. Il grado alcolico è compreso fra 28% e 36% vol.

Cenni storici e curiositàIl liquore di Mirto ha origini molto antiche, infatti viene prodotto in Sardegna da più generazioni; non esistono però in proposito fonti scritte ma solo tradizioni orali dato che la bevanda veniva prodotta ad esclusivo uso familiare. La ricetta è stata tramandata dai genitori ai figli per cui anche in una ricerca storica la tradizione orale non può essere trascurata in assenza di fonti scritte. Solo a partire dalla metà degli anni settanta si hanno notizie di una produzione del liquore di Mirto a livello commerciale.

Acquavite, filu’ e ferru, file e ferru

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale

Descrizione sintetica del prodottoBevanda ad elevata gradazione alcolica, incolore, non aromatizzata i cui sentori ricordano in modo più o meno marcato i profumi dei vini e delle vinacce d’origine. Varianti al distillato base sono l’acquavite aromatizzata con essenze spontanee tipiche della Sardegna quale corbezzolo, i semi di finocchietto selvatico.

Cenni storici e curiositàBevanda ad elevata gradazione alcolica, incolore, non aromatizzata i cui sentori ricordano in modo più o meno marcato i profumi dei vini e delle vinacce d’origine. Varianti al distillato base sono l’acquavite aromatizzata con essenze spontanee tipiche della Sardegna quale corbezzolo, i semi di finocchietto selvatico.

Sapa di fico d’india (saba e figu morisca)

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale

Descrizione sintetica del prodottoDenso liquido di colore marrone chiaro, ottenuto dalla prolungata cottura della polpa e del succo dei frutti del fico d’india, utilizzato per la preparazione dei dolci.

Cenni storici e curiositàLa sapa di fico d’india era ed è un prodotto sostitutivo della sapa di mosto d’uva. Un tempo, essa era preparata solo dalla popolazione povera che, non possedendo vigne e quindi mosto, poteva in tal modo realizzare quei dolci tradizionali (in particolare il pane ‘e saba) che si basano su questo ingrediente di base.E’ un prodotto che si conosce da almeno 100 anni, secondo la memoria delle persone molto anziane che ne hanno tramandato la ricetta e il savoir faire.Oltre che come ingrediente di base, nei passati periodi di miseria, veniva consumata anche per imbeverci il pane, quindi come alimento che contribuiva a sfamare non solo i bambini.Attualmente viene ancora prodotta a livello familiare per l’uso dolciario e talvolta viene pure commercializzato su un circuito decisamente informale.

Nuragus di Cagliari DOC

Zona di produzione: tutta la provincia di Cagliari e numerosi comuni in provincia di Oristano ed alcuni comuni in provincia di Nuoro. Sono da considerarsi esclusi i terreni situati oltre i 500 metri sul livello del mare, quelli con microclima umido o ventoso, i suoli idromorfi, salsi, eccessivamente liscivati, poco profondi, rocciosi e quelli sabbiosi delle zone costiere.

Vitigni: Nuragus minimo 85%, con eventuali aggiunte di altri vitigni a frutto bianco raccomandati o autorizzati per la zona.

Resa massima per ha: 200 qli.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Gradazione alcolica minima: 10,5%.

Acidita’ totale minima: 4,5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 16 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore giallo paglierino tenue, talvolta con leggeri riflessi verdolino; profumo vinoso, gradevole; sapore secco o amabile, sapido, armonico, leggermente acidulo, gradevole, di buona beva.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: si produce anche il tipo “Frizzante naturale”.

Abbinamenti: antipasti magri e di pesce, minestre e torte di verdure, fritture e zuppe di pesce condite con salse delicate.

Sardegna Semidano DOC

Zona di produzione: l’intero territorio delle province di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano. La zona di produzione del Sardegna Semidano Doc designato con la sottozona “Mogoro” comprende l’intero territorio dei comuni di Baressa, Gonnoscodina, Gonnostramatza, Masullas, Mogoro, Pompu, Simala, Siris e Uras, in provincia di Oristano e Collinas, Sardara e Villanovaforru, in provincia di Cagliari

Vitigni: uve del vitigno Semidano per l’85%. Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca non aromatica, raccomandati o autorizzati per le province di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano e presenti nei vigneti fino a una percentuale massima del 15%

Gradazione alcolica minima: Sardegna Semidano Doc 11 gradi. Spumante 11,5 gradi. Passito 15 gradi

Tipologie: Bianco, Spumante, Superiore, Passito e Mogoro (sottozona)

Caratteristiche organolettiche: Sardegna Semidano Doc: colore giallo paglierino con riflessi tendenti al dorato, profumo delicato di fruttato e caratteristico, sapore morbido, sapido e fresco. Sardegna Semidano Doc Spumante: colore giallo paglierino con riflessi tendenti al verdognolo, perlage fine e persistente, odore caratteristico e delicato, sapore sapido, fresco, secco o amabile o dolce e leggermente aromatico. Passito: colore giallo oro, odore intenso, etereo di frutta matura, sapore dolce, pieno e mielato.

Abbinamenti: Sardegna Semidano Doc: conchigliacei anche crudi, minestre e risotti sia di terra che di mare, fritture e grigliate miste di pesce. Sardegna Semidano Doc Spumante: dolci da forno, dolci a pasta lievitata, soprattutto a base di frutta. Passito: prodotti da forno.

Riferimenti normativi: Il riconoscimento della Doc Sardegna Semidano è avvenuto con DM del 28.08.1995, pubblicato sulla GU n. 248 del 23.10.1995

Malvasia di Cagliari DOC

Zona di produzione: la provincia di Cagliari e numerosi comuni della provincia di Oristano. Sono da considerarsi esclusi i terreni freschi, male esposti e quelli di debole spessore derivati da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivanti da alluvioni recenti interessati dalla falda freatica ed infine i terreni situati oltre i 400 metri s.l.m..

Vitigni: Malvasia di Sardegna.

Resa massima per ha: 110 qli.

Resa massima di uva in vino: 65%.

Gradazione alcolica minima: 14% di cui almeno il 12% svolto ed un minimo da svolgere del 2%; 14% di cui almeno il 13,5% svolto ed un massimo da svolgere dello 0,5% il tipo secco o dry.

Acidita’ totale minima: 4,5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 20 per mille.

Invecchiamento obbligatorio: 9 mesi.

Caratteristiche organolettiche: colore giallo paglierino tendente al dorato; profumo intenso, delicato, caratteristico; sapore dal dolce al secco, alcolico, con retrogusto amarognolo di mandorle tostate.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: Liquoroso dolce naturale e liquoroso secco o dry

Moscato di Cagliari DOC

Zona di produzione: la provincia di Cagliari ed alcuni comuni della provincia di Oristano. Sono da considerarsi esclusi i terreni freschi, male esposti e quelli di debole spessore derivati da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivati da alluvioni recenti interessati dalla falda freatica ed infine i terreni situati oltre i 400 metri sul livello del mare.

Vitigni: Moscato bianco.

Resa massima per ha: 110 qli.

Resa massima di uva in vino: 65%.

Gradazione alcolica minima: 15%, di cui almeno il 12% svolto ed un minimo da svolgere del 3%.

Acidita’ totale minima: 4 per mille.

Estratto secco netto minimo: 22 per mille.

Invecchiamento obbligatorio: 5 mesi.

Caratteristiche organolettiche: colore giallo dorato brillante; profumo intenso e caratteristico; sapore squisitamente dolce, vellutato, che ricorda l’uva.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: Liquoroso dolce naturale

Nasco di Cagliari DOC

Zone di produzione: l’ambito della provincia di Cagliari e numerosi territori in provincia di Oristano. Sono da considerarsi esclusi i terreni freschi male esposti e quelli di debole spessore derivati da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivati da alluvioni recenti interessati dalla falda ed infine i terreni situati oltre i 400 metri sul livello del mare.

Vitigni: Nasco.

Resa massima per ha: 100 qli.

Resa massima di uva in vino: 65%.

Invecchiamento obbligatorio: 9 mesi.

Gradazione alcolica minima: 14,5% di cui almeno il 12% svolto ed un minimo da svolgere del 2,5%; 14% di cui almeno il 13,5% svolto ed un massimo da svolgere dello 0,5% il tipo secco o dry.

Acidita’ totale minima: 4 per mille.

Estratto secco netto minimo: 22 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore dal giallo paglierino al giallo dorato; profumo delicato con un leggero aroma di uva; sapore dal dolce al secco, gradevole con punta lievemente amarognola, caratteristica.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: Liquoroso dolce naturale e liquoroso secco o dry

Vermentino di Sardegna DOC

Zona di produzione: l’intero territorio della regione. Sono da considerarsi esclusi i terreni male esposti e quelli di debole spessore derivati da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivati da alluvioni recenti interessati dalla falda acquifera ed infine i terreni situati oltre i 600 metri sul livello del mare.

Vitigni: Vermentino con eventuali aggiunte di altri vitigni a frutto bianco raccomandati o autorizzati per la regione fino ad un massimo del 15%.

Resa massima per ha: 200 qli.

Resa massima di uva in vino: 65%.

Gradazione alcolica minima: 10,5%, di cui almeno il 9,5% svolto.

Acidita’ totale minima: 4,5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 14 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore dal bianco carta al giallo paglierino tenue, con leggeri riflessi verdolini, brillante; profumo caratteristico, delicato e gradevole; sapore secco (zuccheri ridotti fino a 4 gr/l), o amabile (zuccheri ridotti fino a 20 gr/l), sapido, fresco, acidulo, con leggero retrogusto amarognolo.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: Spumante

Monica di Sardegna DOC

Zona di produzione: l’intero ambito territoriale della Sardegna. Sono da considerarsi esclusi i terreni male esposti e quelli di debole spessore derivati da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivati da alluvioni recenti interessati dalla falda freatica ed infine i terreni situati oltre i 400 metri sul livello del mare.

Vitigni: Monica con eventuali aggiunte di altri vitigni a frutto rosso raccomandati o autorizzati per la regione, massimo 15%.

Resa massima per ha: 150 qli.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Gradazione alcolica minima: 11%.

Acidita’ totale minima: 4,5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 18 per mille.

Invecchiamento obbligatorio: 6 mesi.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino chiaro, brillante, tendente all’amaranto con l’invecchiamento; profumo intenso, etereo, gradevole; sapore asciutto o amabile, sapido, con retrogusto caratteristico.

Qualificazioni: con un invecchiamento di un anno ed una gradazione alcolica minima del 12,5%, puo’ portare la qualifica “Superiore”.

Tipologie: puo’ essere prodotto anche il tipo “Frizzante naturale”.

Abbinamenti: primi piatti con sughi saporiti, carni bianche arrosto e alla griglia, agnello brodettato e allo spiedo, stufati di manzo.

Carignano del Sulcis DOC

Zona di produzione: il territorio del Sulcis, nell’estremita’ sud-ovest dell’isola, da Capo Teulada a S. Antioco, compresa l’isola di Carloforte. Sono da considerarsi esclusi i terreni male esposti, di scarso spessore o fortemente erosi, particolarmente umidi e quelli ubicati al di sopra dei 400 metri s.l.m..

Vitigni: Carignano. Possono concorrere i vitigni Monica e/o Pascale e/o Alicante Bouschet fino ad un massimo del 15%.

Resa massima per ha: 160 qli.

Invecchiamento obbligatorio: 5 mesi.

Qualificazioni: con 11 mesi di invecchiamento, può portare la qualifica aggiuntiva “Invecchiato”.

Tipologie: Rosato, Rosso.

Cannonau di Sardegna DOC

Zona di produzione: l’intero ambito territoriale della Sardegna. Sono da escludersi i terreni non idonei, tra cui specialmente quelli eccessivamente calcarei, quelli a debole spessore ed alta pendenza, quelli derivati da alluvioni recenti in particolare se interessati dalla falda freatica nonche’ i suoli idromorfi delle zone costiere quando interessati da fenomeni di alcalinizzazione e salinizzazione.

Sottodenominazioni: se le uve provengono dai vigneti ubicati nel territorio comunale di Oliena e parte di Orgosolo, ha diritto alla denominazione geografica “Oliena” o “Nepente di Oliena”. Se provengono dai territori comunali di Muravera, San Vito, Villaputzo e Villasimius, ha diritto alla denominazione “Capo Ferrato”.

Vitigni: Cannonau con eventuali aggiunte di Bovale Grande (denominato localmente Girone) e/o Bovale sardo (Muristello) e/o Carignano e/o Pascale di Cagliari e/o Monica e/o Vernaccia di San Gimignano 10%.

Resa massima per ha: 132 qli.

Resa massima di uva in vino: 65%.

Gradazione alcolica minima: 13,5%, con un contenuto massimo in zuccheri di 20 gr/l.

Acidita’ totale minima: 4 per mille.

Estratto secco netto minimo: 25 per mille.

Invecchiamento obbligatorio: un anno in botti di rovere o castagno.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino piu’ o meno intenso tendente all’arancione se invecchiato; profumo gradevole, con leggero aroma di uva; sapore dal secco all’abboccato, sapido, caratteristico, caldo, armonico.

Qualificazioni: con invecchiamento di 2 anni ed una gradazione alcolica complessiva minima naturale del 15%, puo’ essere qualificato “Superiore”. “Naturalmente secco” con un minimo di alcol svolto del 15% ed un contenuto massimo di zuccheri di 10 gr/l; “Superiore naturalmente amabile” con un minimo di alcol svolto del 14% ed un contenuto di zuccheri da 10 a 25 gr/l; “Superiore naturalmente dolce” con un minimo di alcol svolto del 13% ed un contenuto minimo di zuccheri di 40 gr/l.
Con un invecchiamento di tre anni, puo’ portare la qualifica “Riserva”.

Tipologie: mediante la fermentazione in bianco, si produce il tipo “Rosato”, dal colore rosa brillante. Con aggiunta di alcol di origine viticola al mosto o al vino naturale si ottiene il tipo “Liquoroso”, con una gradazione alcolica del 18% svolto con zuccheri residui non superiori a 10 gr/l. il tipo “Secco”; 16% svolto con zuccheri residui di 50 gr/l. il tipo “Dolce naturale” e un invecchiamento di 2 anni in botti di rovere o castagno.

Abbinamenti: primi piatti con sughi di carne, arrosti di carni bianche e rosse, agnello allo spiedo, formaggi ovini stagionati.

Girò di Cagliari DOC

Zona di produzione: la provincia di Cagliari e numerosi comuni in provincia di Oristano. Sono da considerarsi esclusi i terreni freschi, male esposti e quelli di debole spessore derivanti da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivati da alluvioni recenti interessati dalla falda freatica ed infine i terreni situati oltre i 400 metri s.l.m..

Vitigni: Giro’.

Resa massima per ha: 120 qli.

Resa massima di uva in vino: 60%.

Gradazione alcolica minima: 14,5% di cui almeno il 12% svolto ed un minimo da svolgere del 2,5%; 14% di cui almeno il 13% svolto ed un massimo da svolgere dello 0,5% il tipo secco o dry.

Acidita’ totale minima: 4,5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 22 per mille.

Invecchiamento obbligatorio: 9 mesi.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino tenue brillante; profumo delicato, con leggero aroma di uva; sapore gradevole, caldo, vellutato.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: Liquoroso dolce naturale e liquoroso secco o dry.

Monica di Cagliari DOC

Zona di produzione: la provincia di Cagliari e numerosi territori della provincia di Oristano. Sono da considerarsi esclusi i terreni freschi, male esposti e quelli di debole spessore derivati da rocce compatte, le dune attuali, i terreni salsi, quelli derivati da alluvioni recenti interessati alla falda ed infine terreni situati oltre i 400 metri sul livello del mare.

Vitigni: Monica.

Resa massima per ha: 110 qli.

Resa massima di uva in vino: 65%.

Invecchiamento obbligatorio: 9 mesi.

Gradazione alcolica minima: 14,5% di cui almeno il 12% svolto ed un minimo da svolgere del 2,5%; 14% di cui almeno il 13,5% svolto ed un massimo da svolgere dello 0,5% il tipo secco o dry.

Acidita’ totale minima: 4 per mille.

Estratto secco netto minimo: 22 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso rubino tenue tendente all’aranciato con l’invecchiamento; profumo etereo, intenso e delicato; sapore gradevole, morbido e vellutato.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: Liquoroso dolce naturale e liquoroso secco o dry

Moscato di Sardegna DOC

Zona di produzione: l’intero ambito territoriale della Sardegna. Sono da escludersi i terreni salsi, quelli interessati dalla falda ed infine quelli posti ad una altitudine superiore ai 450 metri sul livello del mare.

Sottodenominazioni: se le uve provengono dai vigneti ubicati in Gallura, ha diritto alla denominazione geografica “Tempio Pausania” o “Tempio” e “Gallura”.

Vitigni: Moscato bianco con eventuali aggiunte di altri vitigni a frutto bianco autorizzati o raccomandati per la regione, massimo 10%.

Resa massima per ha: 130 qli.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Gradazione alcolica minima: 11,5%, con alcol svolto minimo 8%.

Acidita’ totale minima: 5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 17 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore giallo paglierino, brillante; profumo aromatico, delicato, caratteristico; sapore dolce, delicato, fruttato, caratteristico di Moscato.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: nessuna.

Abbinamenti: frutta e piccola pasticceria.

Miele sardo di asfodelo, cadilloni

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl miele di asfodelo è uno dei tipi di miele tipici della Sardegna, dal colore chiaro trasparente, quasi incolore che si produce in marzo -aprile dai fiori di Asphodelus species, una pianta spontanea dei terreni incolti e dei pascoli, che fiorisce in primavera. Il sapore dolce e il profumo sono molto delicati e per apprezzarlo va gustato senza accostarvi altri sapori che lo sovrasterebbero. L’aroma è poco persistente e leggermente acido e la cristallizzazione è molto fine.

Miele sardo di cardo, cardu pintu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl Cardo è una pianta erbacea tipica della Sardegna che cresce in terreni incolti e fiorisce a tarda primavera. Il suo miele, raccolto dalle api nel periodo aprile – maggio, è chiaro in trasparenza, tendente all’ambrato con tonalità verdognole, dal sapore dolce ma lievemente piccante ed intenso per la presenza di ferro, dall’aroma gradevole, profumato e persistente. La cristallizzazione è normalmente fine. Curativo per gli anemici. E’ un ottimo dolcificante per il latte e la ricotta.

Miele sardo di corbezzolo, melalidone olione

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoIl miele prodotto in Sardegna è ottenuto quasi esclusivamente dal nettare dei fiori di piante spontanee (in prevalenza) o coltivate. In particolare, la Sardegna può vantare un’ampia gamma di produzioni uniflorali.

Cenni storici e curiositàL’allevamento e la cura delle api, le cui origini sono molto antiche, hanno sviluppato positivamente la produzione del miele che è divenuto una delle risorse produttive del popolo sardo il quale ha adoperato, e adopera tuttora, il miele soprattutto nella confezione dei dolci e di certi piatti di gala, come scrisse lo studioso tedesco Max Leopold Wagner nella sua opera di storia e di glottologia “La vita rustica della Sardegna riflessa nella lingua”.

Miele sardo di eucalipto

Territorio interessato alla produzione: Il Territorio della Sardegna dove sono presenti le fasce di eucaliptus

Descrizione sintetica del prodottoE’ un miele di un tenue colore ambrato, ha un gusto marcato e un profumo speziato; è un ottimo miele da tavola, è caratterizzato da una spiccata azione balsamica per le vie respiratorie, presenta qualità elevate per la sua purezza, proprio perché, nel periodo estivo, è l’unica fioritura presente.

Cenni storici e curiositàIn Sardegna, le piante di Eucaliptus sono state impiantate all’inizio della riforma agraria, nelle zone coinvolte, verso gli anni ‘50 dall’ETFAS.

Miele sardo di rosmarino

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale con particolare riferimentoalla zona di Montiferru.

Descrizione sintetica del prodottoIl miele di rosmarino viene prodotto da sciami di api tenute a pascolo esclusivamente in aree di vegetazione spontanea. Viene scelto il periodo più opportuno per il pascolamento, in coincidenza della fioritura del rosmarino (febbraio-marzo), e quando non c’è la “concorrenza” di pollini di altre essenze della macchia locale.

Cenni storici e curiositàL’allevamento delle api in Sardegna, ebbe soprattutto nel Medioevo un notevole incremento, nei monasteri sardi (fonte “Condaghe di S.Maria di Bonarcado) infatti erano stati istituiti i cosiddetti “ortus de abis” per l’allevamento delle api e ricavarne da ciò tutti i derivati come la cera per le candele e il miele per la preparazione dei medicinali, dei dolci e per la vinificazione, perché come all’uso greco si chiarificavano i vini col miele.La tradizionalità e la tipicità del prodotto è legata a due fattori principali: il pascolo è effettuato esclusivamente in aree di vegetazione spontanea, nei periodi in cui c’è la fioritura della specie botanica caratterizzante e, quando non c’è la “concorrenza” di pollini di altre essenze della macchia locale e in zone non contaminae da inquinanti chimici.

Ravanello lungo, arreiga e sestu, arreiga

Territorio interessato alla produzione: Sestu e comune limitrofi.

Descrizione sintetica del prodottol Ravanello lungo è una delle numerose varietà appartenenti alla specie Raphanus sativus L., famiglia Brassicacee. Presenta diverse tonalità di colore, dal rosa pallido al rosa intenso, a volte con caratteristiche striature o punteggiature bianche. Può raggiungere la lunghezza di 40 cm. e 7 cm di diametro ma, normalmente, la sua maturazione commerciale avviene alla dimensione di 30 cm di lunghezza e 2 cm di diametro. La polpa è bianca, compatta e croccante, dagli aromi decisi. Il sapore dolce, diventa poi fortemente piccante consumando la radice per intero, buccia compresa. Non necessita di aggiunta di sale da cucina come invece avviene per le varietà tonde. Questo ortaggio, di cui si consuma esclusivamente la radice, accompagna tradizionalmente i piatti a base di carne suina e ovina della tradizione culinaria sarda.

Prezzemolo, perdusemini

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna.

Descrizione sintetica del prodottoIl prezzemolo sardo rappresenta una delle numerose varietà appartenenti alla famiglia delle Umbrelliferae gen. Petroselinum. E’ una pianta erbacea originaria del Sud-Europa e, secondo alcuni studiosi, proprio della Sardegna. Dal punto di vista morfologico il prezzemolo sardo presenta, rispetto alle altre varietà oggi in commercio, dimensioni ridotte e foglie piccole, frastagliate e di colore verde scuro. Aroma e gusto sono intensi. Il prodotto viene venduto in mazzi di grandezza e peso variabili.

Cenni storici e curiositàGli anziani del paese sostengono che nel comprensorio di Sestu la coltivazione del prezzemolo sia tradizione antica. La sopravvivenza di questa tipologia di prezzemolo fino ai nostri giorni si deve principalmente all’usanza delle donne sarde di predisporre piccoli appezzamenti dedicati alle coltivazioni di erbe aromatiche nei quali il prezzemolo non mancava mai. Nel Comune di Sestu questa aromatica ha assunto, nel corso del tempo, una importante valenza economica tanto da guadagnarsi l’appellativo di “oro degli ortolani”, in virtù della sua capacità di garantire un reddito costante durante tutto l’arco dell’anno. Il seme, autoprodotto nelle aziende orticole, era tramandato di generazione in generazione nella maggior parte delle famiglie di orticoltori sestesi. Oggi sopravvive solo tra coloro che lo coltivano per consumo familiare o per la vendita diretta.Le tecniche di coltivazione sono rimaste tradizionali ed improntate ai seguenti principi: limitate lavorazioni; assenza di trattamenti antiparassitari; ridotte concimazioni minerali; diserbo manuale; raccolta manuale. Questa particolare tipologia di prezzemolo è stata soppiantata da varietà selezionate dalle industrie sementiere più produttive e meno soggette a fiorire.

Pesca di San Sperate

Territorio interessato alla produzione: La Pesca di San Sperate viene coltivata nel territorio del Comune di San Sperate e zone limitrofe (Monastir, Decimomannu, Assemini, Villasor e Sestu).

Descrizione sintetica del prodottoIl frutto è una drupa rotonda, di pasta gialla o bianca, con buccia di color giallo con sopracolore rosso più o meno intenso. La pesca di San Sperate è diffusa nel mercato locale da Maggio ad Ottobre.Vengono coltivate diverse tipologie; pesche, nettarine e pesca piatta

Cenni storici e curiositàLa produzione peschicola Speratina risale agli anni ‘30 del secolo scorso. Alla fine degli anni ‘50, la coltivazione delle pesche nell’areale di riferimento raggiunge una estensione ragguardevole in coincidenza della prima sagra delle pesche di San Sperate (1961).

Pero de su dura, cento doppie – del duca

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione della Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoVarietà locale con frutti piccoli di forma sferoidale. La buccia è spessa e si presenta di aspetto ruvido, di colore verde-giallo con sovracolore rosso sfumato ed una rugginosità reticolare ampiamente diffusa. La polpa è di colore bianco, soda e con una tessitura medio-grossolana, è molto succosa, mediamente aromatica ed ha un sapore gradevole. I frutti maturano dalla seconda alla terza decade di ottobre. L’albero è di medio vigore, con portamento eretto e produttività solitamente elevata.

Cenni storici e curiositàLa presenza della pera De su Duca nei frutteti del territorio della provincia di Nuoro, risale a molti anni addietro. Questa cultivar viene citata già da Manca dell’Arca (1780), nel suo “Agricoltura in Sardegna”, proprio con la denominazione di cui sopra, mentre Targioni Tozzetti (1853) ne parla in termini di “Cento doppie” o “Del Duca”. Dunque questa varietà viene coltivata già dal secolo scorso ed ha continuato ad essere apprezzata oltre che per le sue caratteristiche organolettiche anche in virtù della sua elevata fertilità.

Melone verde

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoFrutti di pezzatura medio-grande, con un peso compreso tra 1,4 e 4 Kg caratterizzati da una forma ellissoidale ovoidale, con buccia color verde intenso dalla superficie liscia o leggermente rugosa con rettatura più o meno marcata e macchie più scure tendenti al giallo, giallo-verdastro. La polpa è bianca, o bianca cremosa croccante con un alto contenuto di zucchero ed un’ottima conservabilità.Per le diverse esigenze commerciali può essere confezionato in imballaggi di plastica o di cartone.

Cenni storici e curiositàLa produzione dei meloni verdi nelle aree vocate e con le tecniche produttive sopradescritte, avviene da oltre 25 anni, in quanto, nella naturale evoluzione della pratica colturale, la tecnica irrigua era andata gradualmente a innovare e sostituire la produzione praticata in asciutto, peraltro ancora presente in diversi areali tradizionalmente vocati. La coltivazione del melone verde, quindi, viene realizzata secondo metodiche che, pur migliorandosi nel tempo, conservano comunque la loro tradizionalità. La tradizione emerge già dalla descrizione che Goffredo Casalis, nella sua memorabile opera del 1840 (Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna) fa di alcuni paesi dell’Isola, specificandone le attività agricole.

Mandorle schina de porcu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoLe mandorle possono essere consumate direttamente, tostate o crude, ma trovano soprattuttoimpiegonel comparto dolciario tradizionale della Sardegna (torrone, amaretti, gueffus, candelaus, ecc.) costituendone spesso l’ingrediente di base. Le varietà sarde hanno un minor contenuto di acqua ed un maggior contenuto di olio.

Cenni storici e curiositàIn Sardegna il mandorlo è coltivato da antica data e, specialmente nel passato, ha costituito un’importante fonte di reddito per molti agricoltori. Le prime coltivazioni specializzate, incoraggiate dal Ministero dell’Agricoltura, risalgono ai primi del ‘900. soprattutto nel retroterra di Cagliari e nell’agro di Sanluri. Ai primi del secolo il mandorlo era il fruttifero più coltivato, con 6000 ettari in colture specializzate e 5000 ettari in coltura promiscua. A partire dagli anni ’50 è cominciato il declino di questa coltura in Sardegna. Attualmente è presente con 2500 ettari di colture specializzate e 7000 ettari di colture promiscue.

Mandorle olla

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della regione con particolare riferimento alla zona di Sinnai, Dolianova e Villasimius.

Descrizione sintetica del prodottoLe mandorle possono essere consumate direttamente, tostate o crude, ma trovano soprattutto impiego nel comparto dolciario tradizionale della Sardegna (torrone, amaretti, gueffus, candelaus, ecc.) costituendone spesso l’ingrediente di base. Le varietà sarde hanno un minor contenuto di acqua ed un maggior contenuto di olio.

Cenni storici e curiositàIn Sardegna il mandorlo è coltivato da antica data e, specialmente nel passato, ha costituito un’importante fonte di reddito per molti agricoltori. Le prime coltivazioni specializzate. incoraggiate dal Ministero dell’Agricoltura, risalgono ai primi del ‘900, soprattutto nel retroterra di Cagliari e nell’agro di Sanluri. Ai primi del secolo il mandorlo era il fruttifero più coltivato, con 6000 ettari in colture specializzate e 5000 ettari in coltura promiscua. A partire dagli anni ’50 è cominciato il declino di questa coltura in Sardegna. Attualmente è presente con 2500 ettari di colture specializzate e 7000 ettari di colture promiscue.

Mandorle cossu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della regione con particolare riferimento al comune di Quartu Sant’Elena

Descrizione sintetica del prodottoLe mandorle possono essere consumate direttamente, tostate o crude, ma trovano soprattutto impiego nel comparto dolciario tradizionale della Sardegna (torrone, amaretti, gueffus, candelaus, ecc.) costituendone spesso l’ingrediente di base.

Cenni storici e curiositàIn Sardegna il mandorlo è coltivato da antica data e, specialmente nel passato, ha costituito un’importante fonte di reddito per molti agricoltori. Le prime coltivazioni specializzate risalgono ai primi del ‘900, soprattutto nel retroterra di Cagliari e nell’agro di Sanluri. Ai primi del secolo il mandorlo era ilfruttifero più coltivato, con 6000 ettari in colture specializzate e 5000 ettari in coltura promiscua. A partire dagli anni ’50 è cominciato i declino di questa coltura in Sardegna. Attualmente è presente con 2500 ettari di colture specializzate e 7000 ettari di colture promiscue.

Capperi e capperoni di Selargius, tappara, tapparono

Territorio interessato alla produzione: Selargius e comuni limitrofi.

Descrizione sintetica del prodottoPianta arbustiva suffrutticosa perenne con tronco legnoso che raggiunge un’altezza di 1,5 metri in esemplari di 70/80 anni. La fioritura è durevole, inizia da maggio e termina a settembre. I fiori in bocciolo sono i capperi; il frutto è una bacca monoculare (capperone), di colore verde e deiscente a maturità.

Cenni storici e curiositàLa coltivazione intensiva della pianta del cappero nella zona di Selargius era nota fin dai primi del 1800, aveva uno scopo prevalentemente terapeutico. I medici empirici, infatti, utilizzavano le scorze della radice della pianta per preparare dei decotti atti a curare le varici femminili. A metà dell’ottocento, la famiglia selargina di Domenico Dentoni, allora sindaco, attuò uno sviluppo intensivo della coltivazione dei capperi, sia per l’utilizzo fitoterapeutico che per uso alimentare, tale da creare un mercato locale di produttori e commercianti. In annate povere di raccolto (uva, grano e olive), erano i produttori e i commercianti di capperi a tenere attivo il mercato selargino. Tradizionalmente acquistati in grandi quantità dalle donne venivano disposti nelle ceste dette “is corbis” e portate sulla testa nei mercati di Cagliari. Nel territorio selargino è assai diffusa la presenza di piante di cappero, alcune delle quali hanno oltre 70 anni di età. Questo tipo di coltivazione intensiva ebbe un grave declino, riconducibile agli anni ’70 e ’80, dove il mercato impose i capperi nordafricani a prezzi concorrenziali.E’ solo su impulso dell’iniziativa privata che ormai da diversi anni è ripresa la coltivazione e la raccolta dei capperi, utilizzando le pratiche di coltivazione del passato, che peraltro non prevedono l’impiego di fitofarmaci, e cosippure l’utilizzo delle antiche metodiche di trasformazione del prodotto (“Selargius, l’antica Kellargius”, Gino Camboni).

Asparago selvatico, ispàrau, sparàu, ipàramu

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione della Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoI turioni vengono raccolti teneri, mediamente lunghi 20-30 cm. e utilizzati per il consumo fresco.Più sottili e amarognoli rispetto all’asparago coltivato, vengono preparati lessati e poi conditi con olio d’oliva, in frittate, per la preparazione di risotti e minestre e come contorno per l’agnello in umido.Per la vendita è uso comune confezionare i turioni in mazzetti di 40-50 legati alla base con una foglia di asfodelo.

Cuppetta, lattuga

Territorio interessato alla produzione: Comune di Sestu e comuni limitrofi.

Descrizione sintetica del prodottoAppartenente alla famiglia delle compositae, genere Latuca, questa varietà di lattuga è di colore verde chiaro e presenta un cespo voluminoso, che può raggiungere il peso di 800/1000 grammi, composto di foglie bollose ed arricciate, tendenti a chiudersi a coppa a maturazione commerciale. La caratteristica che la contraddistingue, rispetto alle varietà simili, risulta essere l’intenso gusto dolce, tipico della lattuga romana e la croccantezza caratteristica delle varietà iceberg. L’aroma è intenso. E’ un ortaggio particolarmente digeribile, indicato perciò nella dieta dei bambini ed anziani.

Arancio di Muravera

Territorio interessato alla produzione: Si tratta di un prodotto commercializzato allo stato fresco, che proviene da un gruppo di varietà di arancio coltivate nel Sarrabus (Comuni di Muravera, San Vito, Villaputzu e Castiadas).

Descrizione sintetica del prodottoArancia a polpa bionda, prevalentemente ottenute da cultivar ombelicate.

Cenni storici e curiositàLa produzione agrumicola nel Sarrabus in forma “intensiva” si è iniziata a sviluppare a partire dagli anni ’60, seppur vanti una tradizione ultracentenaria in tal senso. Tale impostazione colturale e metodologica ha assunto ormai la forma della tradizionalità nella normale pratica agricola locale. A riprova di ciò si consideri la numerosa letteratura a riguardo (Della Marmora A., 1860; Follesa B., 1963; Pilia P., Sagra degli Agrumi di Muravera, 1997). Gli aspetti caratterizzanti il metodo di produzione consolidato, a partire dagli anni ’60, fra gli agrumicoltori del Sarrabus è incentrato fondamentalmente sui seguenti aspetti: limitate lavorazioni, bassi apporti di concime, potature a mano, raccolta a mano, limitati interventi di fitofarmaci e utilizzo di acqua di falda. Tale metodica di produzione rappresenta una costante che si tramanda di generazione in generazione come è possibile riscontrare sul campo.La Sagra degli Agrumi che si tiene a Muravera, giunta ormai alla 32° edizione, richiama ogni anno diverse decine di migliaia di persone che sanciscono con la loro presenza la conferma del primato di qualità raggiunto dall’arancia locale.

Latte di capra alimentare, latti de craba, latti e’ craba

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoE’ di colore bianco intenso e leggermente più dolce del latte di vacca. La composizione chimico fisica è più simile a quella del latte umano rispetto a quanto non lo siano il latte di vacca e di pecora. Il tipo di allevamento tradizionale e l’alimentazione prevalentemente al pascolo conferiscono a questo latte caratteristiche chimico fisiche che variano nel corso della lattazione. E’ un eccellente alimento, altamente digeribile, ideale per bambini, convalescenti e anziani. E’ ben tollerato anche da chi è allergico al vaccino.

Abbamele

Territorio interessato alla produzione: L’intero territorio regionale.

Descrizione sintetica del prodottoIl prodotto si presenta con una consistenza simile al miele, colore bruno scuro prossimo al nero e gusto dolce, caramellato e con una persistenza gradevolmente amara.

Cenni storici e curiositàL’abbamele è fra i prodotti gastronomici più antichi della cultura rurale isolana.Come derivato del miele è strettamente legato alle modalità di conduzione degli alveari fin da epoche remote. L’utilizzazione del “casiddu” o bugno villico in sughero, è databile al periodo punico (500 a.c.), ma certamente già il popolo nuragico raccoglieva i favi di miele da alveari selvatici costruiti nelle rocce, oppure all’interno delle “tuvas” (tronchi cavi di alberi).

Casu in filixi, Formaggio in felce

Territorio interessato alla produzione: Territorio dei Comuni di: Seulo, Olzai, Esterzili,Villagrande Strisaili, Seui, Ussassai.

Descrizione sintetica del prodotto“Su casu in filixi” (il formaggio in felce) è un formaggio a pasta molle. La sua particolarità sta nell’uso delle foglie della pianta di felce che aromatizza il formaggio e lascia su di esso la sua impronta. Il prodotto ultimato apparirà come un profumato fossile, perché nella sua pasta bianca rimane impresso in negativo, il disegno del ramo della felce verde. Da consumarsi fresco, ha il gustoso sapore muschiato delle felci ed il caratteristico profumo del formaggio caprino e ovino.

LavorazioneProdotto con il latte estivo nel periodo compreso tra Giugno ed Agosto. La lavorazione di questo formaggio inizia con la mungitura delle capre o delle pecore. Il latte ottenuto viene filtrato e versato in apposito paiolo dove vi si scioglie il caglio di capretto o agnello. Dopo circa mezz’ora si materializza una candida e consistente cagliata. A questo punto, nelle forme si pone un telo di lino o cotone e vi si stendono le foglie di felce alla base. Con un mestolo bucato si raccolgono strati sottili di cagliata e si adagiano nella forma. Altro strato di felce e strato di cagliata e così per 4-5 strati. Si ripiega il telo, si chiude legandolo alle estremità e si appende per favorire la fuoriuscita del siero. Qualche ora di colatura ed il formaggio è pronto per essere sfogliato.
Cenni storici e curiositàIl formaggio, oggi ancora prodotto dai pastori sardi, è come un intatto reperto archeologico. Nella sua forma e preparazione racchiude, perfettamente conservata, tutta la sua storia. Il capraio, infatti, deve vagare continuamente inseguendo le sue bestie al pascolo nelle montagne ancora incorniciate da foreste primarie e campi di felce. Il suo ovile ha un’architettura preistorica di una sola stanza rotonda “su Pinnettu”, con una copertura a forma conica con travi di ginepro o leccio. All’ interno si creano dei graticci per conservare, affumicare e stagionare il formaggio. Il tetto all’esterno viene ricoperto da frasche, che garantiscono una perfetta copertura.In questo contesto ha la sua naturale territorialità storica “su casu in filixi” prodotto dai pastori nel periodo estivo e realizzato con l’ausilio delle felci che ne conferiscono la particolare forma.

Sanguinaccio

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Regione Autonoma della Sardegna

Descrizione sintetica del prodottoSinonimi: sanguedd’e porcu, sanguinedda, sanguineddu, sambene durche, sambene salidu.Il prodotto è un insaccato a forma di salsiccia con lunghezza compresa fra i 15 e i 60 centimetri, ripiena di un impasto a base di sangue di maiale, aromatizzato con spezie, con variante dolce o salata, successivamente sottoposto a lessatura, e consumato arrostito su graticole alimentate da brace viva.