Slattato

Il prodotto finito si presenta in forme di Kg 0,4-1,8 di forma tonda, afflosciata su se stessa; crosta morbida, color panna, pasta omogenea, molle di colore bianco, sapore dolce acidulo.Si produce da ottobre a marzo nella zona del Montefeltro.E’ tradizionale mettere in commercio le forme avvolte in foglie di fico o di cavolo.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano e dell’Alto e Medio Metauro.

Caciotta

Territorio interessato alla produzione: Larga diffusione in tutto il territorio regionale, particolarmente nelle zone del Montefeltro (PU).Materia primaLatte vaccino con aggiunta in proporzioni variabili di latte ovino e/o caprino (tutto di provenienza locale).Descrizione del prodottoIl prodotto finito si presenta in forme cilindriche a scalzo convesso del peso di kg 0,7-2, altezza cm 4-7, diametro cm 10-22. La crosta è di color avorio scuro (maculata di bruno nel caso dell’utilizzo di foglie di noce), la pasta è compatta (con rare fessurazioni nella zona del Montefeltro, più occhiata nella zona del Fermano dove il prodotto viene consumato più fresco).Il sapore varia a seconda delle zone e della stagionatura dal dolce acidulo (Fermano) al pastoso, più sapido (Montefeltro).Lavorazione: Al latte crudo appena munto si aggiunge caglio. Coagula in 20-30 minuti. In alcuni casi si effettua la semicottura della cagliata fino a 43-44°. Dopo la rottura della cagliata, effettuata con le mani o con appositi attrezzi in piccolissime particene, si lascia riposare alcuni minuti. Poi la massa viene messa nelle fascere e pressata con il palmo delle mani per favorire lo spurgo del siero. Salatura effettuata a secco mettendo le forme sotto sale e rigirandole ogni 12 ore fino ad un massimo di due giorni. Al termine vengono scottate con siero bollente per alcuni minuti ed asciugate con un panno di cotone.Matura per 15-20 giorni in ambiente fresco ad umidità media, dove le forme vengono lavate a giorni alterni con acqua e siero tiepido. Il prodotto non va immesso in commercio prima di 10 giorni.Nella zona del Montefeltro la caciotta viene stagionata per un periodo variabile da due a sei mesi.Nella stessa zona si usa anche stagionare le caciotte (per almeno 40 giorni) in botti di legno, cassettoni di legno, bigonce, mastelli o anfore di terracotta, conciate con foglie di noce a strati.

Caciotta vaccina al caglio vegetale

Forma cilindrica, facce piane, crosta morbida, di colore giallo paglierino.Pasta compatta con rare occhiature. Sapore pieno, pastoso, con sentore di fermenti lattici vivi.Il formaggio ottenuto con il caglio vegetale sembra che dimostri una maggiore digeribilità rispetto a quello preparato con caglio animale.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nel territorio del Montefeltro.

Cenni storici e curiositàL’utilizzo del caglio vegetale nella produzione lattiero-casearia è comprovato dalla tradzione orale. La pianta, fiore di carciofo o del cardo, da cui si ricava il caglio vegetale, era detta “Erba cacia” – erba del cacio, ed era utilizzata da quasi tutti i pastori del territorio collinare del Montefeltro.

Formaggio di Fossa di Sogliano DOP

Materia prima: pecorini e caciotte di latte ovino e/o vaccino.

Tecnologia di lavorazione: quella normale per i pecorini e le caciotte, integrata dall’interramento in fossa.

Stagionatura: tre mesi in ambiente particolare, costituito da speciali fosse chiuse, dove le forme vengono sovrapposte e lasciate immobili per tutto il periodo.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg 0,8-1; forma: cilindro deformato; crosta e pasta: indistinguibili, compatte e friabili; pasta: fondente, morbida con fessurazioni colanti di grasso; odore: sui generis, ricco di aromi che ricordano l’humus del sottobosco; sapore: delicato, quasi dolce all’inizio, per poi diventare sempre più piccante con retrogusto amaro persistente.

Area di produzione: Sogliano al Rubicone e zone limitrofe (FO) con estensioni nel Ravennate e nell’alta Val Marecchia pesarese.

Calendario di produzione: novembre.

Note: le trasformazioni chimiche, fisiche e biologiche che il formaggio subisce durante la permanenza nelle fosse non sono del tutto note. Dopo ferragosto tali fosse vengono scoperchiate e si provvede alla loro ripulitura per eliminare cattivi odori ed altro. Nel frattempo si raccolgono le forme di cacio, chiuse dentro sacchi di candida tela, portate dai contadini, commercianti, ristoratori e gente comune. Il peso dei sacchi varia dai 10 ai 15 Kg. Il loro peso viene misurato ancora oggi in libbre, in base al quale si calcola il prezzo di noleggio della fossa. Sul sacco di tela viene scritto, con olio di lino e nerofumo, sia il nome del proprietario del formaggio che il peso delle forme. Il formaggio può essere di latte vaccino, ovino oppure misto. Rarissimi i caprini. Le fosse vengono intanto foderate con canne e paglia d’annata. Per isolare la fossa della parte superiore, a contatto con l’apertura, vengono messi dei sacchi di juta vuoti. L’apertura viene chiusa con un coperto di legno e sopra questo un 20/30 Kg di sabbia. Si ripristina poi l’acciottolato del portico. Le fosse si riaprono alla fine di novembre con una grande festa-fiera paesana (Santa Caterina).

Caciotta del Montefeltro

Materia prima: latte vaccino e/o ovino e/o caprino, da razze miste. Alimentazione: pascolo estensivo e mangimi.

Tecnologia di lavorazione: è identica a quella del pecorino, con una variante: la cagliata subisce una semicottura fino a 43-44 gradi. Resa 15%.

Stagionatura: da un minimo di 2 mesi a 6. Le forme vengono “calcate” per 8 giorni tra le foglie di noci e tenute ferme da pesi. Se consumate subito dopo la “calca” esprimono il massimo del potenziale gustativo.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 4-7; diametro: cm 14-22; peso: Kg 0,7-2; forma cilindrica a scalzo convesso; crosta dura color avorio scuro maculata di bruno (per il contatto con le foglie). Pasta bianca o leggermente paglierina, compatta con rare fessurazioni. Odore aromatico che ricorda il mallo di noce. Sapore pastoso, dolcemente sapido.

Area di produzione: in tutto il Montefeltro (PS); pregiato quello prodotto nella zona di Piandimileto, Talamello, S.Agata Feltria, Pennabili, Macerata Feltria, Carpegna, Sant’Angelo in Vado.

Calendario di produzione: da marzo-aprile a settembre.

Note: un tempo, non molto lontano, per la messa informa della cagliata si usava la “fasciola” di coccio munita di due soli buchi. Ora è stata sostituita da quella di plastica, ma questa, a motivo dei tanti fori presenti, non consente più di ottenere una crosta liscia e levigata. È la sorella gemella della caciotta di Urbino, cara alle leggi dello Stato.

Casciotta di Urbino DOP

Materia prima: tre quarti di latte ovino, un quarto vaccino; razza: Sarda e Appenninica, Bruna. Alimentazione: pascolo estensivo naturale integrato da mangimi.

Tecnologia di lavorazione: è la stessa usata per la Caciotta del Montefeltro, solo che la salatura viene effettuata alternando quella a secco all’altra in salamoia. Matura in 20-30 giorni in locali e temperature di 10-14 gradi e umidità del 80-90%. Resa 17-18%.

Stagionatura: non si effettua. Il prodotto viene consumato a 15-30 giorni di maturazione.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 5-7; diametro: 12-16 cm; peso: Kg 0,8-1,2; forma cilindrica a scalzo basso con facce arrotondate; crosta: sottile; pasta: compatta, di colore bianco paglierino, molto friabile e con lieve occhiatura; sapore dolce tipico.

Area di produzione: tutta la provincia di Pesaro, eccelle quella dei comuni di Urbino, Urbania, Mercatello, Sant’Angelo in Vado, Piobbico, Fermignano, Cagli.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: il consumatore più illustre della Caciotta – o della “Casciotta” per attenerci alla grafia ministeriale – è stato Michelangelo Buonarroti. Ghiotto di questo formaggio se ne volle garantire tutta la quantità richiesta dal suo robusto appetito, ma anche da offrire ai suoi aiutanti, agli amici e ai rari ospiti. Dette così mandato al suo collaboratore Francesco Amadori da Casteldurante – oggi Urbania – detto Urbino, perché affittasse poderi ove tenere pascoli. Ne affittò tre, come risulta dall’atto notarile stilato il 12 febbraio 1554, che fino ad oggi, a fede di Don Corrado Leonardi, non hanno cambiato il toponimo. Riconosciuta Doc con Dpr del 30.3.1982.

Ambra di Talamello

Materia prima: latte ovino e/o vaccino e/o caprino, da razze miste. Alimentazione: pascolo estensivo naturale integrato da mangimi.

Tecnologia di lavorazione: i formaggi che vengono infossati a Talamello sono di fatto i pecorini e le caciotte del Montefeltro.

Stagionatura: alla fine di agosto, i pecorini, i caprini e le caciotte fatte un paio di mesi prima vengono stipati in sacchi di fibre naturali (cotone, canapa) ed infossati in grosse buche scavate nel tufo, nei fondi delle vecchie abitazioni del borgo. Le buche foderate di paglia, vengono poi chiuse con un coperchio di legno, e sigillate con pasta di gesso. Si riaprono a fine novembre. Durante la stagionatura la forma può subire un calo, a volte vistoso, del 20% circa.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg 0,8-2; forma: le pezze si sono deformate, come sciolte su loro stesse e ricomposte poi caoticamente, assumendo le dimensioni più strane; crosta: tenera, ricoperta di varie muffe verdi, giallastre o bianche; pasta: soffice, scagliosa, friabile, di colore variabile dal bianco sporco al giallo paglierino al nocciola chiaro, odore intensamente aromatizzato; sapore: decisamente piccante e persistente, specie se il formaggio è di capra.

Area di produzione: Comune di Talamello.

Calendario di produzione: da agosto a novembre.

Note: il nome “Ambra di Talamello” è stato dato da Tonino Guerra, Omero dei dialetti italiani. Il suo spirito poetico così si è espresso: “Mi è sembrato che per analogia il nome giusto fosse questo dell’Ambra, perché anche questo formaggio ci arriva su da sotto terra. Va giù che è bianco e torna fuori quasi dorato… come l’ambra, che quando riemerge dalle viscere profonde ha un colore giallo luminoso, come se avesse una sua luce interna”.

Casècc

Latte vaccino e/o ovino di provenienza locale. Alimentazione: pascolo estensivo, foraggi, miscele di cereali e leguminose.Le forme, dell’altezza di 4-8 cm, del diametro di 14-22 cm e del peso di 0,7-2 kg, hanno una crosta giallo paglierina, liscia, traslucida.Pasta compatta priva di occhiature.Sapore deciso, pastoso, gradevolmente aromatizzato.Si produce da ottobre a marzo.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare è diffuso nella zona del Montefeltro.

Pecorino

Prodotto derivante da latte ovino crudo di provenienza locale. In passato era particolarmente utilizzato, nel territorio del comune di Visso e nelle zone limitrofe, il latte della pecora sopravissana ora in via di estinzione (il formaggio così ottenuto era conosciuto anche come pecorino Vissano). Ilprodotto finito si presenta in forme di altezza 6-10 cm, diametro 14-20 cm, peso kg 1-2,5; forma cilindrica a facce piane e scalzo leggermente convesso, crosta giallastra, pasta bianca scarsamente occhiata di sapore sapido e pastoso delicatamente aromatico (il formaggio stagionato ha la crosta unta di olio di oliva di colore tendente al rossastro, pasta compatta di colore giallo paglierino, gusto e aroma intensi).

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale con particolare diffusione nelle zone interne.

Cacio in forma di limone

Materia prima: latte ovino crudo e caglio naturale entrambi di provenienza locale.

Tecnologia di lavorazione: Al latte crudo si aggiunge il caglio. Coagula in 20-30 minuti.
La rottura della cagliata si effettua delicatamente con le mani o con attrezzi appositi in particene, dopodiché si lascia riposare per alcuni minuti. Dopo queste operazioni, la massa viene messa in stampi di terracotta forati a forma di limone. La salatura si effettua a secco con poco sale mischiato a buccia di limone grattugiata per due giorni. Al termine si elimina il sale in eccesso e si lava. Quindi le forme vengono spennellate con acqua e farina per farvi aderire scorze di limone.
La maturazione avviene in ambiente fresco ed umido per un periodo che va da quattro a dieci giorni.

Materiali e attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e condizionamento: La tradizione richiede l’utilizzo di caldaie in rame a banda stagnata (conformi alle normative vigenti), perché consentono una diffusione del calore in maniera più omogenea e graduale, ed attrezzi in legno (strumenti di lavorazione e ripiani per la maturazione) per favorire lo sviluppo di flore microbiche responsabili delle peculiarità del prodotto. Sono inoltre indispensabili gli stampi in terracotta per conferire la forma e le bucce di limone per il sapore. Attualmente vengono anche utilizzati utensili e attrezzature in materiali più moderni, conformi alle normative vigenti.

Descrizione dei locali di lavorazione conservazione e stagionatura: I locali per la lavorazione devono garantire caratteristiche igienico-sanitarie sufficienti e nel contempo assicurare l’attività della flora microbica responsabile dei processi di trasformazione del latte.
Locali per la maturazione: devono assicurare condizioni igienico sanitarie sufficienti unitamente a condizioni di temperatura, umidità e ventilazione adeguate.

Stagionatura: La stagionatura è assente.

Caratteristiche del prodotto finito: Il prodotto finito, a forma di limone, pesa 100-150 grammi, ha pasta fresca, bianca, con sapore di limone. Utilizzato prevalentemente come dessert o in alternativa al sorbetto.

Area di produzione: Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nella vallata del Metauro.

Calendario di produzione: Si produce da aprile a settembre.

Note: Alimentazione: pascolo estensivo, foraggi, miscele di cereali e leguminose.
II prodotto risale all’epoca medievale, presente nella lista delle vivande dal libro di Bartolomeo Scapi, cuoco del Papa nel secolo XVI, è stato riscoperto in occasione di una cena medievale organizzata a Mondavio (PU).
Il cacio a forma di limone è già stato individuato nella Delibera di Giunta Regionale n. 2985 del 30/11/1998 quale prodotto a base di latte con caratteristiche tradizionali, in attuazione dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 173/98.

fonte: Bollettino Ufficiale della Regione Marche. Anno XXXIII, n.° 63, 20 maggio 2002

Pecorino in botte

La materia prima è rappresentata da Pecorino per il quale si rimanda all’apposita scheda. Si predilogono pezzature medio-piccole. Il prodotto presenta esternamente una colorazione scura con una leggera crosta recante l’impronta delle foglie e presenza di muffe. L’interno è caratterizzato da una pasta bianco-dorata dalla fine, quasi impercettibile grana. Il sapore è deciso, leggermente amarognolo per le conce di noce e castagno, più dolce nelle conce con le erbe. Colore rossastro per le conce con vinacce di uve locali a bacca rossa.

Territorio interessato alla produzione: La maggiore diffusione è stata riscontrata nella provincia di Pesaro e Urbino. Presente anche nella provincia di Ancona.

Cenni storici e curiositàL’uso delle foglie a contatto con il formaggio è già citato da Castore Durante ne “Herbario nuovo” (1585).

Quark

Materia prima: latte caprino o misto caprino-ovino da razze miste. Alimentazione: pascolo estensivo naturale.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a circa 18-20 gradi aggiungendovi prima del latticello o del siero e poi del caglio liquido. Dopo la coagulazione (24 ore in ambiente a 20 gradi) la massa formatasi viene messa nelle garze a sgrondare per mezza giornata. La pasta viene salata e può essere lasciata stagionare come la ricotta, oppure consumata fresca addizionata con erba cipollina o rucola. Resa 25%.

Stagionatura: facoltativa.

Caratteristiche del prodotto finito: pasta: molle strutturata più o meno finemente della ricotta; sapore: acidulo e aromatizzato.

Area di produzione: comune di Urbino (PS).

Calendario di produzione: dalla primavera all’autunno.

Note: il Quark si può fare anche senza caglio. Se questo si adopera è per accelerare i tempi della coagulazione acida. Un tempo questa tecnica veniva utilizzata per recuperare il latte inacidito.

Caprino

Materia prima utilizzata: latte caprino di provenienza locale.Alimentazione: pascolo estensivo, foraggi, miscele di cereali e leguminose.Si produce in primavera – autunno.Altezza cm 6-10; diametro cm 9-14; peso Kg 0,5-1,5; forma cilindrica, crosta morbida increspata, se fresco; dura di colore nocciola di varie sfumature se stagionato; pasta compatta con rare o nessuna occhiatura, pastoso; sapore sapido e gradevolmente piccante.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pesaro e Urbino (in particolare è diffuso nella zona del Montefeltro) e alto maceratese.

Mazzafegato – Salsiccia matta

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.Materia prima:scarti della lavorazione del suino allevato con metodi tradizionali, sale, pepe, aglio e altri aromi.
Descrizione del prodottoForma tipica della salsiccia, legata con spago in tanti salsicciotti di circa 10 cm di lunghezza e circa 3 cm di diametro. Ha un aspetto marmorizzato (di colore variabile a seconda dei componenti: scuro per la carne rossa, chiaro per il polmone, ecc.).E’ un salume che si consuma fresco in quanto non si conserva a lungo.Può essere consumato previa cottura alla griglia e accompagnato da purè di patate, erbe di campo lessate o legumi. Alcuni produttori proseguono la lavorazione con una lieve affumicatura (facoltativa) e con un periodo di stagionatura che può durare fino a due mesi. In questo caso il mazzafegato va consumato crudo, a fette spesse, con del pane fresco.
Lavorazione: Nella tradizione casalinga della lavorazione del maiale l’ultimo insaccato che viene preparato è il Mazzafegato, o localmente chiamato Salsiccia Matta.Viene fatta con tutto ciò che non è stato utilizzato nelle lavorazioni precedenti, cioè le carni più sanguinolente, i pezzi di polmone e di reni, gli intestini, i nervetti, la lingua, ecc. ad esclusione del fegato.Il tutto viene conciato con sale, pepe, aglio e altri aromi a seconda della zona e delle tradizioni locali.Cenni storici e curiositàSi ritrovano con nomi simli in tutto il centro Italia.Rinomata la produzione a Fano, dove viene chiamato per lo più Salsiccia Matta.In alcune zone si aggiungono anche scorze d’arancio e/o semi di finocchioEsiste un Presidio Slow Food per la produzione tipica dell’Alta Valle del Tevere, in Umbria, tra Città di Castello e Umbertide (PG).

Prosciutto aromatizzato del Montefeltro

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano e dell’Alto e Medio Metauro.Materia prima: coscio di suino allevato nel Montefeltro, aglio, sale, zucchero, vino, rosmarino, alloro ed eventualmente farina per la stuccatura.DescrizioneHa l’aspetto del normale prosciutto, simile al più famoso Prosciutto di Carpegna.Si usa affettarlo a mano in senso longitudinale.E’ lievemente presente l’aroma dell’aglio a livello organolettico.Lavorazione: Il coscio di suino viene massaggiato ed aromatizzato con pepe ed altri aromi per facilitare l’uscita di sangue e acqua. Viene poi messo sotto sale grosso per venti-trenta giorni negli appositi sgocciolatoi opportunamente inclinati.Viene rimosso quindi il sale che tende ad indurirsi, si lava con acqua calda e si mette ad asciugare. Una volta asciutto il coscio viene bagnato con vino cotto e aromatizzato con aglio, alloro, zucchero e rosmarino. Si copre ancora con pepe macinato, quindi viene affumicato appeso ai travi e fatto stagionare. Il prosciutto matura per un mese sotto sale e per tre mesi in locali caldi e con “fumo”; nelle case di campagna erano presenti delle apposite nicchie, in comunicazione con la canna fumaria del camino, dove si effettuava l’affumicazione del prosciutto.Stagionatura: da uno a tre anni nei tradizionali sacchi di tela o panni di lino o di cotone.

Prosciutto di Carpegna DOP

Tecnologia di preparazione: il coscio di suino rifilato e tagliato viene messo sotto sale per un periodo di tempo che varia a seconda del peso e del clima, di solito dai venti ai trenta giorni, durante il quale viene spremuta la vena femorale e l’acqua dai tessuti. Viene poi messo a riposo dove perde parte dell’umidità rimasta, di nuovo lavato e asciugato, messo a stagionare, stuccato, ritorna nelle sale di stagionatura, per passare poi a completare la maturazione in cantina che si conclude verso i quattrordici mesi. Si producono prosciutti di due tipi: il San Leo e la Ghianda, aromatizzato anche al ginepro.

Composizione:
a) Materia prima: cosce di suini pesanti provenienti da allevamenti esclusivamente italiani e alimentati con siero di latte, granone, cruscone e orzo per almeno i sei mesi prima della macellazione. Si tratta di suini di 160-180 chilogrammi di peso e di circa dodici mesi di età.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale e pepe per il San Leo; sale, pepe e ginepro per il Ghianda.
c) Additivi:

Maturazione: centocinquanta giorni di lavorazione durante i quali i prosciutti subiscono diversi trattamenti che servono ad eliminare sangue ed acqua dai tessuti.

Periodo di stagionatura: sette mesi in sala stagionatura, l’ultimo mese in cantina. Complessivamente il prosciutto di Carpegna viene stagionato per non meno di quattordici mesi.

Area di produzione: comune di Carpegna, in provincia di Pesaro.

Coppa di testa – Tortella

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.Materia prima: carne suina, alloro, sale, pepe nero, olive verdi, bucce di arancio, mistrà, mandorle, pistacchi, pinoli.Descrizione del prodottoLa coppa di testa può presentarsi in varie forme e dimensioni, in base agli usi e consuetudini locali. Tradizionalmente di schiacciata a mattone, oggi si trova più spesso di forma cilindrica.La coppa ha un aspetto e un colore variegati. I colori, in prevalenza bianchi, grigi e marroni, sono quelli caratteristici della carne e del grasso cotti.Tecnologia di lavorazione: Le teste di suino vengono lessate per almeno 3 ore in appositi caldai di rame, con la sola aggiunta di sale e di altre parti del suino come le cotenne, le carni grasse ottenute dalla macellazione, le ossa, le orecchie, il codino, gli zampetti e altri parti, siano esse sanguigne e rosse che cartilaginose.Dopo la cottura le carni vengono disossate, sminuzzate e rigorosamente a mano vengono impastate, assieme a pepe e agli altri ingredienti e aromi.Il composto viene poi raccolto in un panno e pressato per circa 10-12 ore, per favorire la fuoriuscita del collagene e del grasso fusi.In tempi più recenti si utilizza un involucro sintetico che anziché pressato viene appeso per la fuoriuscita del collagene e del grasso fusi.

Fegatelli

Territorio interessato alla produzione:Intero territorio regionale.Descrizione del prodottoFegato di maiale tagliato a tocchetti, cotto e conservato in barattoli di vetro o terracotta, ricoperto di strutto.Tecnologia di lavorazione: Si taglia il fegato a tocchetti, che vengono cosparsi abbondantemente di sale e pepe e avvolti uno ad uno nella rete di maiale (che sarà stata preventivamente tenuta a bagno in acqua fredda per renderla più morbida) in modo da essere completamente ricoperti.Successivamente si preparano degli spiedini infilzando in un rametto di alloro i tocchetti di fegato alternandoli alle foglie di alloro. La cottura si può effettuare alla brace o al forno.A cottura ultimata i fegatelli sono pronti per essere consumati, oppure essere conservati in barattoli di vetro o terracotta ricoperti completamenente di strutto. In questo modo si conservano per tutto l’inverno.

Lardo del Montefeltro

Territorio interessato alla produzione:Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nel territorio del Montefeltro.Descrizione del prodottoParti di grasso suino salate, stagionate. Possono essere conservate in salamoia.Il colore è bianco, al taglio le fette sono compatte, con venature rosee, aroma gradevole.

Lavorazione: Riportiamo la ricetta recentemente pubblicata dalla sociologa rurale Graziella Picchi “spicca il lardo del maiale, lasciandovi attaccato meno carne che puoi; distendilo in cantina sopra qualche tavola, e spargici sopra un ettogrammo di sale per ogni chilogrammo di lardo: quando lo avrai sparso ugualmente dappertutto, porrai le mezzane le uno contro le altre, carne contro carne; indi poserai le tavole sul lardo, e sovr’esse metterai dei sassi. Quindici giorni dopo appenderai le tue mezzane in luogo asciutto per farle prosciugare”.Dopo la stagionatura, i pezzi di lardo venivano tagliati e sistemati in recipienti riempiti con la salamoia.

Lonza – Capocollo – Scalmarita

Materia prima: carne di capocollo suino (muscoli cervicali superiori), vino rosso, sale e acini di pepe nero.La lonza, rivestita di budello naturale, ha una forma cilindrica della lunghezza di 30 – 40 cm e dal diametro di circa 10 cm; ha un peso variabile fra 1 e 2 Kg, di consistenza dura.Alla sezione presenta un aspetto variegato di colore rosso carne nelle parti muscolari e bianco latte nelle parti grasse.Quest’ultime hanno in prevalenza andamento centrifugo, con ramificazioni dall’aspetto irregolare che tengono separate le parti muscolari.La lonza stagionata va consumata esclusivamente affettata.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Lonzino – Capolombo

Territorio interessato alla produzione:Intero territorio regionale.Materia prima: Carne di capolombo suino (muscoli della lombata), vino rosso, sale, acini di pepe nero.Descrizione del prodotto:Il lonzino ha una forma cilindrica leggermente conica, ha una lunghezza di cm 40 con un diametro di circa 8 cm, si differenzia dalla lonza per il fatto che le parti grasse non sono intercalate alle parti magre ma le due componeti appaiono compatte e separate.Il lonzino, rivestito di budello naturale, ha un peso variabile fra 1 Kg e i 3 Kg, di consistenza dura.Il lonzino stagionato va consumato esclusivamente affettato.Lavorazione: Tagliato e rifilato a mano, il lonzino viene posto sotto sale e aromatizzato eventualmente con il pepe per uno o due giorni. Alla fine di tale periodo il prodotto viene lavato con vino rosso ed insaccato nel budello di maiale o bovino (fresco o essiccato). Esternamente viene fissato con canne tagliate in quarti appositamente legate ed appeso per la maturazione (un tempo sulle travi).La maturazione, in alti solai areati, avviene per almeno 4-5 mesi fino ad un massimo di 10.E’ diffusa anche la pratica, specialmente nell’ascolano, di affumicare il prodotto dopo la sua insaccatura in budello, in apposito locale per circa 12 ore, in presenza di fuoco alimentato con rami secchi di ginepro.Cenni storici e curiositàPer lonza, nell’Italia centrale s’intende l’insaccato che (con diverse varianti locali) al Nord è chiamato coppa e al Sud capocollo.La parte del maiale utilizzata per la lonza è quella compresa tra l’attaccatura del collo e la sesta o settima costola del carré; dal carré fino al lombo e alla coda si ottiene la pezzatura per il lonzino, che risulta con minori parte grasse.Il lonzino, essendo molto magro, era uno dei salumi che per primi venivano gustati in primavera.

Pancetta arrotolata

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.Materia prima:pancetta di suino, sale, pepe.
Descrizione del prodottoLa pancetta arrotolata ha una forma cilindrica della lunghezza di 30-40 cm ed un diametro di circa 10 cm.La sezione trasversale rivela, nel suo aspetto, la procedura di produzione arrotolata, in quanto la parte magra, di colore rosso vivo e la parte grassa, di colore bianco della pancetta si presentano nel classico aspetto a spirale.Lavorazione: Alla pancetta viene tolta la cotenna ed aggiunti il sale ed il pepe, si lascia riposare per 48 ore, quindi viene lavata con vino rosso.Per il confezionamento viene avvolta su se stessa ed immessa in budello di maiale essiccato, legata ed appesa per la stagionatura per almeno quattro mesi.Cenni storici e curiositàLa pancetta viene stagionata con tre diverse metodologie:- Arrotolata (con o senza cotenna). Se si rimuove la cotenna, la pancetta si insacca in un budello e legata; se all’interno si inserisce una parte di coppa (o “capocollo”) si avrà la “pancetta coppata”- Steccata, con cotenna (piegata e stretta tra due robuste assi tenute legate saldamente fra loro);- Tesa o Stesa con cotenna.Il bacon è una pancetta che subisce il processo di cottura a vapore e successivamente di affumicatura, può peraltro essere ricavato anche dalla schiena o dal fianco del maiale e non solo dalla pancia.

Porchetta

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.Materia prima:maiale di circa 150 Kg di peso vivo, sale, pepe, aglio e finocchio selvatico.

Descrizione del prodottoLa porchetta ha la caratteristica morfologia del maiale con forma cilindrica, crosta esterna di colore scuro tipo terracotta e molto croccante.Una porchetta deve risultare, oltre che croccante, anche molto saporita e speziata.Solitamente viene servita a temperatura ambiente e tagliata a fette ampie.Lavorazione: Il maiale macellato viene disossato (lasciando le coste e le vertebre per conferirgli più sapore), condito con sale, pepe, aglio e finocchio selvatico fresco o essiccato (in questo caso si fa bollire prima dell’utilizzo) e lasciato insaporire per circa 6-7 ore.Quindi si lega con spago attorno allo spiedo e si mette in forno, preferibilmente a legna, alla temperatura di circa 240° C, per circa 8 ore, posizionando sotto lo spiedo un padellone con acqua per la raccolta dei grassi.A metà cottura si mettono nel padellone la testa, le zampe, la coda ed i budelli del maiale.A fine cottura si lascia raffreddare a temperatura ambiente in “matre” con griglia per la sgocciolatura.Successivamente si trasferisce in altre “matre” e si destina alla vendita. Si degusta tagliata in fette dello spessore di circa mezzo centimetro preferibilmente calde, anche se risulta difficile la sezione, o a temperatura ambiente (posta a raffreddare a temperatura inferiore ai 4° C, perde gran parte del sapore tipico e dell’aroma).Cenni storici e curiositàIl termine porchetta deriva dal suo maschile, ovvero porchetto. Era usanza religiosa, infatti, sacrificare il maiale, in età ancora “giovane”, in onore degli Dei. Successivamente però si scoprì che la carne della femmina era più magra, sana e gustosa e così vennero lavorate principalmente i suini di sesso femminile. Da qui il nome “porchetta“.L’origine del prodotto è contesa fra diversi luoghi (Ariccia, Norcia, nelle Marche). Documenti antichi si trovano ad esempio a Campli (TE) dovegli Statuti comunali del 1575, rinnovati per opera di Margherita d’Austria, contenevano numerose indicazioni sull’uso, la vendita e la cottura della porchetta.La porchetta è diffusa anche in Romagna e nel Ferrarese. Nel novecento si è diffusa anche in Veneto, in particolare a Treviso e a Padova.Nel 1957 Carlo Emilio Gadda così scrive nel suo romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”: “La bella porca de l’Ariccia co un bosco de rosmarino in de la panza! Co le patatine de staggione!… Carne fina e delicata, pe li signori proprio! Assaggiatela e proverete, v’oo dico io..”

Prosciutto delle Marche

Materia prima: coscio di suino rifilato a mano e privato della cotenna superflua.Il prosciutto, ottenuto con metodiche tradizionali, presenta le seguenti caratteristiche:

presenza di nervo della zampa affinché possa essere appeso;
sporgenza di almeno 4 dita dall’osso della noce;
al gusto si presenta leggermente salato con percezioni aromatiche di aglio e pepe;
il prosciutto deve essere libero dalla cotica.


Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Salame lardellato

Carne suina di tagli pregiati di spalla, rifilatura della lombata e della coscia privata della parte grassa e nervosa. Il grasso, che costituisce circa il 20% del prodotto, è aggiunto sottoforma di cubetti.Salume di forma cilindrica, rivestito di budello naturale dal peso variabile fra 0,5 e 1 Kg. Si presenta compatto, di consistenza dura non elastica, di colore rossastro. Al taglio la fetta risulta compatta con uniforme distribuzione dei cubetti di grasso.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Salsiccia

Materia prima: carne suina sia magra che grassa, sale e pepe.La salsiccia ha forma cilindrica della lunghezza di circa 10 cm e del diametro di 3 cm.Colore e consistenza variabili in funzione della stagionatura.Il prodotto fresco manifesta spiccate caratteristiche di spalmabilità, mentre se stagionato ha una consistenza dura e un sapore forte e deciso.La salsiccia può essere consumata fresca, ottima accompagnata con la bruschetta, oppure secca, previo periodo di maturazione o anche conservata sott’olio.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Spalletta

Materia prima: spalla del maiale, aglio, pepe e sale.Il prodotto si presenta più grasso del prosciutto, colore rosso forte, sapore secco salato con percezione di aromi di aglio e pepe.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Cenni storici e curiositàLa tradizione contadina testimonia l’antica produzione della spalletta, in quanto spesso in passato, per le precarie condizioni economiche della famiglia contadina, i prosciutti venivano barattati con il maiale da allevare per l’anno successivo e la spalletta era considerata il “prosciutto povero” da consumare in famiglia.

Carne della razza bovina Marchigiana

Territorio interessato alla produzione:Intero territorio regionale, prevalentemente nelle zone interne.Materia prima: La razza bovina marchigiana, presenta le seguenti caratteristiche: Bovino da carne dì notevole sviluppo somatico e precocità, è caratterizzato da elevati incrementi giornalieri.Buono è lo sviluppo del treno posteriore, come pure la lunghezza del tronco. Il mantello è costituito da pelo corto, bianco porcellana. Si possono riscontrare gradazioni grigie diffuse nelle parti anteriori del corpo. La cute è pigmentata nera, sottile e morbida al tatto.La testa è ben conformata, a profilo rettilineo. Il collo è corto e muscoloso, gibboso nei maschi, con una giogaia ridotta. La struttura e lo sviluppo delle varie regioni sono armoniche ed aderenti al tipo da carne.
Tecnologia di lavorazione: La razza bovina marchigiana viene allevata allo stato brado o semibrado in stalle libere oppure in stalle a stabulazione fissa. La carne si prepara per tagli di carne fresca, molto apprezzata lessa, arrosto, brasata, in umido, alla griglia, o per preparare ragù, involtini, polpette, ecc..
Descrizione del prodottoCarne magra, succulenta e consistente alla masticazione, leggermente rosata e a grana fine, basso tenore di colesterolo ed elevato contenuto di proteine nobili.

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP

Tipo di prodotto:
Carne bovina fresca ottenuta da animali delle razze chianina, marchigiana, romagnola, di età compresa tra i 12 ed i 24 mesi. Il bestiame deve risultare nato da allevamenti in selezione e regolarmente iscritto alla nascita nel Registro Genealogico
del Giovane Bestiame. Dalla nascita allo svezzamento, è consentito l’uso dei seguenti sistemi d’allevamento: pascolo, stabulazione libera, stabulazione fissa; in seguito, sono consentite solo la stabulazione libera e la posta fissa.
Sono inoltre controllate l’alimentazione (negli ultimi mesi è vietato l’uso degli insilati) e la macellazione (che deve avvenire, secondo norme definite, in macelli idonei nella zona di produzione).
La carne di vitellone bianco dell’Appennino centrale deve essere immessa al consumo provvista di particolare contrassegno a garanzia dell’origine e dell’identificazione del prodotto; il logo deve essere impresso sulla superficie della carcassa, in corrispondenza alla faccia esterna di 18 tagli.

Zona geografica di produzione:
L’area geografica di produzione della carne di vitellone bianco dell’Appennino centrale è rappresentata dal territorio delle province collocate lungo la dorsale appenninica dell’Italia centrale. Più precisamente, la zona di produzione è rappresentata dai territori delle seguenti province: Bologna, Ravenna, Forlì, Rimini, Pesaro, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Teramo, Pescara, Chieti, L’Aquila, Campobasso, Isernia, Benevento, Avellino, Frosinone, Rieti, Viterbo, Terni, Perugia, Grosseto, Siena, Arezzo, Firenze, Prato, Livorno, Pisa.

Curiosità storiche e letterarie:
L’affermazione finale di questo brano può avere una duplice lettura. Da una parte, può significare che, come altre razze, anche la romagnola fornisce le carni adatte per le “giustamente celebri fiorentine”. Dall’altra, può suggerire che non esiste
una fiorentina migliore di quella che proviene da carni di razza romagnola.
La prima interpretazione è confermata dalla consuetudine, la seconda non poggia su basi più solide del gusto personale: noi la immaginiamo immediatamente contraddetta da tutti gli autori e gli appassionati provenienti dal versante toscano dell’Appennino.
La IGP Vitellone bianco dell’Appennino centrale comprende varie razze bovine, e quindi vorremmo, per parte nostra,
evitare di dare sostegno a qualsiasi vertenza campanilistica. Tuttavia, le poche note contenute in Romagna gastronomica – guida alla veritiera cucina romagnola, a proposito della ottima qualità della carne bovina di razza romagnola, possono costituire una interessante citazione, a conferma dell’apprezzamento di cui gode una delle pregiate cinque razze bovine italiane.

Il bovino di razza Gentile Romagnola, una delle più pregiate d’Italia, fornisce ottime carni, specie se allevato nei pascoli collinari. Dal vitello al vitellone, al manzo, al bue, infiniti sono i prodotti che ne ricaviamo per le nostre tavole: arrosti, stufati, stracotti, bolliti, bistecche, braciole, frattaglie, ecc., per cui sarebbe necessario un lungo discorso.
Il nostro vitellone, trasportato in Toscana, fornisce le giustamente celebri fiorentine.(*)

(*) Corrado Contoli, Romagna gastronomica – guida alla veritiera cucina
romagnola, Bologna, Edizioni Calderini, 1963, pag. 51

Fonte: Ermes Agricoltura – Regione Emilia Romagna

Carne del cavallo del Catria

La carne di cavallo del Catria è ricavata prevalentemente da puledri (macellati preferibilmente da circa 6 mesi a 18-20 mesi) appartenenti alla razza “Cavallo del Catria”, originaria dell’omonimo gruppo montuoso del Catria (zona dorsale centro-appenninica e zone collinari limitrofe).

Territorio interessato alla produzione: Il territorio di maggior diffusione del cavallo si identifica con quello della Comunità Montana del Catria e Cesano e della Comunità Montana del Catria e Nerone.

Budellino di agnello o capretto crudo

Intestino di agnello strizzato manualmente in tripperia, lavato all’esterno, avvolto a matassa o a treccia ed inserito in sacchetti per alimenti.

Territorio interessato alla produzione: Diffuso su tutto il territorio regionale.

Cenni storici e curiositàI menù tipici delle zone di colline e montagna hanno la coratella di agnello tra i loro piatti tipici ed il budellino è parte principale di detto piatto.In tutti i mattatoi tradizionali il budellino di agnello veniva pulito e lavato come descritto in precedenza.Tutti i veterinari di una certa età sono in grado di confermare il consumo di detto prodotto nella tradizione alimentare.

Cappone rustico – Cappone nostrale

Il Cappone Rustico presenta le seguenti caratteristiche: cute di colore giallo, carena affilata e profonda conseguente allo sviluppo longilineo della muscolatura pettorale.Si utilizzano esclusivamente maschi provenienti da razze selezionate per la produzione di uova da consumo, di certificata provenienza, appartenenti a linee genetiche leggere a crescita lenta.Viene immesso al consumo esclusivamente macellato: parzialmente eviscerato o eviscerato senza frattaglie, con testa e zampe.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Cenni storici e curiositàNei mercati tradizionali del passato, soprattutto nel periodo natalizio, il cappone era legato strettamente ai galli maschi castrati chirurgicamente provenienti dalla campagne e quindi simili all’attuale Cappone Rustico.Il Cappone Rustico mantiene ancora oggi inalterate le caratteristiche tradizionali del passato: carni con consistenza, aromi ed sapore tipici, conferitegli da una dieta costituita per la maggior parte da cereali nobili, da un lento accrescimento legato alla prolungata attività motoria e dal raggiungimento della maturità sessuale e a quella del sistema scheletrico.

Gallo ruspante

Territorio interessato alla produzione:Intero territorio regionale.Materia prima: Il Gallo Ruspante presenta le seguenti caratteristiche: cute di colore giallo, lunghezza dalla base di impianto della lamina della cresta di cm. 3-5, carena affilata e profonda conseguente allo sviluppo longilineo della muscolatura pettorale.Si utilizzano esclusivamente maschi provenienti da razze selezionate per la produzione di uova da consumo, di certificata provenienza, appartenenti a linee genetiche leggere a crescita lenta.LavorazioneL’età minima di macellazione è 100 giorni, viene immesso al consumo esclusivamente macellato: parzialmente eviscerato o eviscerato senza frattaglie, con testa e zampe.Il peso minimo del singolo prodotto è il seguente: eviscerato senza frattaglie maggiore/uguale Kg 1,350; parzialmente eviscerato maggiore/uguale Kg 1,4.Allevamento a terra di tipo estensivo, al coperto con aerazione e illuminazione naturale. La lettiera utilizzata è in truciolo di legno e/o di paglia trinciata.Densità massima a fine ciclo: 12 capi per mq e comunque non superiore a Kg 25 di peso vivo per mq.La razione alimentare è composta da almeno il 65 % di cereali di cui non più del 15 % di sottoprodotti somministrata per la maggior parte del periodo di ingrasso.L’età minima di macellazione è 100 giorni comunque deve coincidere con il raggiungimento della maturità sessuale e rigidità della punta dello sterno (ossificata).La macellazione viene effettuata separatamente o in linee di produzione specifiche o in giorni stabiliti.La lavorazione prevede una eviscerazione totale o parziale, un raffreddamento ad aria ed un confezionamento adottando una procedura di rintracciabilità

Descrizione prodotto finitoIl Gallo Ruspante viene immesso al consumo esclusivamente macellato, parzialmente eviscerato o eviscerato senza frattaglie, con testa e zampe, raffreddato ad aria, confezionato singolarmente o in confezioni multiple comunque protette. Il prodotto va conservato a una temperatura compresa tra 0° e + 4°C.
Cenni storici e curiositàL’allevamento del Gallo Ruspante in passato era l’espressione di un allevamento contadino di tipo familiare, in cui i maschi, al raggiungimento della maturità sessuale, erano allevati per la carne, destinata sia all’autoconsumo che alla vendita.Il Gallo Ruspante mantiene ancora oggi inalterate le caratteristiche tradizionali del passato: carni con consistenza, aromi ed sapore tipici, conferitegli da una dieta costituita per la maggior parte da cereali nobili, da un lento accrescimento legato alla prolungata attività motoria e dal raggiungimento della maturità sessuale e a quella del sistema scheletrico.

Crescia – Crescia brusca – Spianata – Cacciannanzi

Ingrediente: pasta del pane.Forma piatta, rotonda o ovoidale, colore tipico della pizza, alta 2-3 cm.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale, con diverse varianti.Nell’ascolano prende il nome di “CACCIANNANZI” poiché originariamente veniva usata per valutare la temperatura del forno cuocendola subito prima di infornare il pane.Nella zona del Montefeltro è nota anche come “SPIANATA”, mentre nel pesarese come “CRESCIA BRUSCA”.Sull’intero territorio regionale, aggiungendo i grasselli o i ciccioli di maiale è nota come “PIZZA COI GRASSELLI”, pur con qualche differenza nella composizione.

Crostoli del Montefeltro

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro. E’ diffuso in particolare nel Montefeltro.Ingredienti: farina di grano tenero, uova, sale, pepe, strutto, acqua e latte, bicarbonato.Descrizione del prodotto:Forma a disco, di diametro variabile, colore chiaro e dorato. Si accompagna, in alternativa al pane, con con salumi, formaggi, carne e verdure grigliate di ogni tipo.Il prodotto ricorda la piadina romagnola, ma se ne differenzia per la pasta, che è sfogliata, unta e molto saporita.Lavorazione: Si impasta la farina con tutti gli ingredienti. Quando l’impasto è omogeneo si fa riposare per un’oretta. Poi si tira la sfoglia, la si unge con lo strutto, si arrotola a forma di un lungo “bigolo”, si attorciglia e si spiana dando la forma di un disco. Si cuoce sulla piastra di argilla arroventata o di ghisa da ambo le parti.Cenni storici e curiositàDa non confondere con i crostoli (o galani) tipici dolci fritti di carnevale del Veneto.

Filone «casareccio»

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero macinata nel mulino a pietra, acqua, sale, lievito acido o naturale, sale integrale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: il lievito acido viene sciolto in una ciotola con acqua tiepida e versato sulla farina. Si impasta fino ad ottenere una pasta spessa e consistente. Si lascia fermentare nella madia, al caldo, tutta la notte e al riparo dalle correnti. Il giorno successivo, alla pasta lievitata si aggiunge altra farina e poi ancora acqua tiepida leggermente salata. Si impasta fino ad ottenere un’amalgama morbida e compatta. Dopo un breve riposo si staccano dei pezzi di pasta e si modellano a forma di filone, incidendo con un coltello la parte superiore. Le forme di pane, allineate su una tavola di legno, in luogo caldo, vengono ricoperte con un telo e lasciate lievitare per un paio d’ore circa. Vengono cotte al forno a legna.

Area di produzione: in tutti i forni artigianali della regione Marche, nelle case rurali che dispongono ancora di forno a legna.

Note: nelle Marche la coltivazione dei cereali è sempre stata intensa e già al tempo dei Romani la regione era considerata un granaio che riforniva la capitale dell’Impero. Nel ‘600, quando altrove le condizioni delle popolazioni rurali e dei ceti popolari si fecero drammatiche per via della carestia e della peste, “il sistema mezzadrile riuscì quasi sempre a garantire – sostiene Renzo Paci – la sussistenza non soltanto ai contadini, che peraltro erano la maggioranza della popolazione, ma anche agli artigiani, pagati sempre più spesso con cottimi fissi a grano”.

Integrale

Composizione:
a. Materia prima: farina integrale di grano tenero, acqua, lievito acido, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: alla farina viene aggiunto del lievito naturale, proveniente dalla panificazione precedente, stemperato in acqua tiepida. Si impasta e si lascia lievitare per tutta la notte. Il giorno successivo viene di nuovo reimpastato aggiungendovi il quantitativo di farina necessaria per la panificazione prevista. Si impasta bene il tutto lasciando in riposo per diverse ore, terminate le quali si formano delle pagnotte da 0,500 e 1 kg. che, incise sulla parte superiore e dopo un ulteriore riposo, vengono cotte in forno. A cottura ultimata il pane è scuro di colore, la mollica è compatta, fittamente cosparsa di piccoli alveoli.

Area di produzione: S. Angelo in Vado, in provincia di Pesaro.

Note: questo pane viene venduto per lo più nei negozi dove si vendono alimenti provenienti dall’agricoltura biologica. Il consumo di questo pane nero è in costante aumento e i benefici, a livello nutrizionale, si avvertono soprattutto quando la lievitazione si ottiene con il lievito acido.

Pan nociato

Ingredienti: farina di grano tenero, latte tiepido, strutto, olio, gherigli di noci, pepe, pezzetti di fichi secchi, formaggio pecorino, lievito di birra, sale.Il prodotto si presenta come pagnottine da circa 50 gr.

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro.Il prodotto trova diffusione anche nelle province di Ancona e Macerata.

Pane del marinaio

Composizione:
a. Materia prima: pasta del pane, strutto, lievito di birra, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: alla pasta del pane viene aggiunto del lievito di birra, il sale, lo strutto emulsionato. Si lavora bene l’impasto facendone dei rotoli lunghi circa 20-30 cm. che, congiunti alle estremità, assumono la forma di ciambelline. Si cuociono al forno per circa un quarto d’ora. Poi sfornati vengono conservati in ambienti non umidi a “stagionare” per una settimana circa prima di essere messi in vendita.

Area di produzione: a Fano, in provincia di Pesaro.

Note: nel fanese questo era il pane che i marinai portavano in mare quando uscivano per la pesca. Veniva preparato dai fornai del porto che si facevano carico di approntare anche la versione che i pescatori amavano consumare quando si recavano a bere all’osteria: un biscotto tondo arricchito di semi di anice che si inzuppava nel vino locale. Il lievito per la panificazione successiva veniva conservato nella classica madia a cui la gente attribuiva virtù quasi divine per il mantenimento della preziosa pasta acida, tant’è che se un bambino non cresceva abbastanza lo chiudevano per qualche minuto nella madia, convinti che sarebbe “cresciuto” come la massa del pane. Se invece lo si chiudeva dopo aver fatto il pane, ciò lo avrebbe guarito da altri malanni quali l’insonnia o altri disturbi. Cfr. C. Papa (a cura di), Perugia, 1992.

Pane di mais

Composizione:
a. Materia prima: farina di granturco, acqua calda, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: la farina di granturco viene impastata con acqua calda leggermente salata. Si lavora con forza l’impasto e quando ha raggiunto la giusta consistenza, si formano delle pagnottelle alle quali viene data una forma ovale. Si segnano nella parte superiore e si mettono a riposo per breve tempo, al termine del quale verranno cotte in forno caldo.

Area di produzione: consumo residuale che si riscontra un po’ in tutte le Marche.

Note: il consumo di pane di mais, di fave e altre leguminose è stato molto intenso nel secolo scorso, nelle Marche. Non di meno l’inchiesta Jacini sottolineava come nella regione fossero rari i casi di pellagra, rispetto a quelli di altre regioni soprattutto del Nord d’Italia. Aumentarono comunque, e di molto, all’inizio del nuovo secolo.

Pane di ghianda

Composizione:
a. Materia prima: farina di ghiande, acqua, lievito naturale, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: le ghiande venivano bollite in acqua per un’intera giornata. Poi si facevano asciugare bene e si portavano a sfarinare nel molino. Successivamente la farina veniva stacciata e la parte fine che si otteneva era utilizzata per la panificazione. Questa si impastava con il lievito, l’acqua e il sale. L’elaborato veniva fatto lievitare per molte ore, poi si confezionavano dei panetti a forma di pannocchia che venivano cotti nel forno a legna per circa un’ora. Quando erano disponibili l’uva passita essiccata in casa e un bicchierino di mistrà, venivano aggiunti all’impasto, ottenendo un pane più “gentile”.

Area di produzione: in provincia di Pesaro, nelle zone montane dell’Alto urbinate.

Note: alcuni studiosi affermano che la polenta (puls) originaria non era di frumento, ma di ghiande e ritengono che la schiacciata di ghiande cotta sulle pietre roventi fu la prima “polenta” e forse la prima preparazione culinaria dell’umanità. Non sorprende dunque se nei momenti di carestia l’uomo vi abbia fatto ricorso, non tanto perché non avesse altra scelta, quanto invece perché alimento già collaudato. Ciò non rende peraltro meno tragica la denuncia fatta alla Camera dei Deputati il 2 febbraio 1903 da un illustre medico, Angelo Celli, eletto nel collegio di Urbino: “Sapete che cosa mangiano in questo inverno, molti nostri contadini ? Le ghiande, come i maiali”.

Quadrelli pelusi

Ingredienti: farina bianca, acqua, lardo e aglio.Il termine “pelusi” intende evidenziare la rusticità del prodotto derivante dal fatto che la sfoglia è ricavata senza utilizzare le uova.I quadrelli pelusi, di colore chiaro, hanno forma di piccoli quadratini e sono utilizzati per la preparazione di minestre in brodo.E’ un piatto tradizionalmente povero, tuttora apprezzato per il suo sapore semplice e caratteristico reso lievemente piccante dalla presenza di aglio, pepe e pecorino ben stagionato nel condimento.

Territorio interessato alla produzione: E’ un prodotto diffuso su tutto il territorio regionale, in particolare nelle province di Ancona e Macerata.

Tacconi – Tacon

Ingredienti utilizzate: farina di fava di provenienza locale, macinata a pietra, farina di grano tenero, uova.I Tacconi si presentano di colore giallo paglierino spento, con macchie più scure per l’effetto del sale e del pepe.Al palato il prodotto risulta sapido, pastoso, delicatamente dolciastro.Il prodotto finito si presenta a piccole strisce di 20 – 25 cm di lunghezza, 3-4 mm di spessore e 3- 4 mm di larghezza di pasta compatta e rugosa.

Territorio interessato alla produzione: In provincia di Pesaro e Urbino, particolarmente nel territorio del Comune di Fratte Rosa (PU) e dei Comuni limitrofi (principalmente Orciano di Pesaro e Barchi).

Cenni storici e curiositàAncora oggi tutte le donne di una certa età preparano in casa i tacconi. La farina di fava veniva utilizzata in passato per allungare la farina di grano la quale veniva risparmiata per il pane; la farina di fava era considerata meno pregiata ed era quindi meno costosa. Questo prodotto, fin dal 1970, viene riproposto nel menù di un ristorante locale.

Farro “Triticum Dicoccum”

Pianta resistente e rustica, ha spiga compatta con lemmi aristati e due file di spighette unite al rachide. L’altezza della pianta è mediamente 130 cm. La cariosside ha una dimensione simile a quella di un chicco di grano, forma ovoidale, a frattura bianca farinosa e rivestita dalle glume e dalle glumelle che, essendo aderenti, rendono necessaria l’operazione della brillatura.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale, prodotto prevalente con metodo biologico.

Orzo mondo tostato macinato

Materia prima: orzo mondo (orzo senza rivestimenti glumeali), varietà pregiata degli orzi, ed eventualmente semi di anice.L’orzo mondo è un orzo nudo in quanto i rivestimenti glumeali (lemma e palea) si separano completamente a maturità. Il pericarpo, non avendo protezione, è meno compresso e più robusto. Frequente l’uso dell’orzo come succedaneo del caffè mediante torrefazione e successiva macinaturadell’orzo.

Territorio interessato alla produzione: Diffuso in tutta la Regione.

Cenni storici e curiositàDocumentazione attestante la produzione di tale prodotto dagli anni ’50.

Acciughe marinate

Materia prima: acciughe.

Tecnologia di lavorazione: l’acciuga pulita, decapitata, eviscerata, tolta la coda, la lisca e la parte dorata viene messa nei contenitori di vetroresina con acqua corrente per ben tre passaggi. Fatta scolare, viene messa nel liquido di governo composto di una parte di aceto e una di sale e fatta marinare da 18 a 24 ore. Il pesce deve essere freschissimo e lavorato non oltre le 5 o 6 ore dalla pesca. Viene fatto sgocciolare e messo in fustoni o barattoli. Variamente aromatizzato con olive, capperi, pomodoro secco, origano.

Maturazione: 48 ore; scadenza del prodotto: dopo 8 mesi.

Area di produzione: costa tirrenica, alto e basso Adriatico, isole.

Calendario di produzione: da aprile ad ottobre.

Note: la perdita di peso del prodotto rispetto al fresco arriva fino al 55% di cui il 45% nella fase della pulitura ed il restante 10% nella marinatura. Questa viene anche detta scapece che, di origine spagnola (escabeche), qualcuno vuole corruzione di ex-Apicio, il leggendario gastronomo romano ed indica un tipo di conservazione fatta con l’ausilio dell’aceto e riservata soprattutto al pesce. Da regione a regione, variano le quantità e le varietà delle erbe aromatiche e degli altri ingredienti usati. La stima è relativa al prodotto artigianale espresso dalla ristorazione, sia costiera che interna.

Polipetti marinati

Materia prima: polipetti, o polipi tagliati a pezzettini, seppioline, ecc.

Tecnologia di lavorazione: il pesce cotto a fuoco lento per circa 25 minuti, si lascia raffreddare, mettendolo poi entro vaschette di vetroresina scura in un liquido di governo composto di sale, aceto e acqua. Si lascia riposare per un tempo variabile dalle 18 alle 24 ore. Viene poi invasato e aromatizzato con erbe tra cui, per il meridione, ricordiamo l’origano, il finocchio selvatico e l’aglio.

Maturazione: 48 ore.

Area di produzione: Adriatico centro-settentrionale, Sicilia.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: in Sicilia, a Sciacca, per aromatizzare adoperano la “saturedu” impiegata anche per il pesce azzurro sia salato che marinato. Oltre che ad aromatizzare, quest’erba riusciva a nascondere eventuali difetti della materia prima.

Sgombro sott’olio (I versione)

Materia prima: sgombro.

Tecnologia di lavorazione: gli sgombri decapitati ed eviscerati vengono lavati in soluzione di acqua e aceto leggermente salata. Si dividono a metà eliminando la spina dorsale. Si distendono su un panno pulito e su un piano inclinato cospargendoli di sale e altre spezie che variano da regione a regione (aglio, prezzemolo, ginepro, ecc.). Si lasciano in riposo per circa due ore al termine delle quali il pesce viene leggermente scottato in olio bollente, si lascia scolare e raffreddare; si ripongono nei vasi aromatizzando con grani di pepe, alloro, finocchio selvatico. Si copre d’olio e si sterilizza con il metodo Tyndal. Si conserva per lungo tempo se riposto in luogo fresco e buio, meglio se non umido.

Maturazione: 1 mese circa.

Area di produzione: costa marchigiana, Sicilia, Calabria, Sardegna, Toscana e Liguria.

Calendario di produzione: primavera, autunno, inverno.

Note: conserva ittica tipica dei pescatori che si è estesa anche ad altre famiglie, ma solo recentemente.

Sgombro sott’olio (II versione)

Materia prima: sgombro.

Tecnologia di lavorazione: gli sgombri eviscerati, essiccati e decapitati vengono lavati e lessati in acqua leggermente salata e acidula. Si lasciano asciugare per diverse ore. Poi si fa la toelettatura eliminando tutte le parti nere, le spine, le pinne, ecc. Si mettono i tranci interi nei barattoli, si aromatizza con i vari odori: aglio, prezzemolo, pepe, alloro, timo, ecc. Si copre d’olio e si sterilizza a lungo.

Maturazione: 1 mese circa.

Area di produzione: Sicilia, Sardegna, nei paesi costieri di Liguria, Toscana, Veneto, Marche, Abruzzo, Puglia e Campania.

Calendario di produzione: primavera-autunno, inverno.

Note: tra il pesce azzurro, lo sgombro è quello che è più ricco di quei grassi polinsaturi, gli omega 3, così utili alla salute del nostro apparato cardiocircolatorio.

Patè di trota

Materia prima: filetti di trota affumicati.

Tecnologia di preparazione: i filetti di trota, salati e leggermente affumicati, si riducono in una pasta omogenea che viene aromatizzata con vari gusti tra cui il tartufo, per lo più secondo ricette segrete. Messi in vasetti di vetro si sterilizzano, dopodiché sono pronti per il consumo.

Maturazione: qualche giorno.

Area di produzione: Trentino Alto Adige, Marche, Umbria.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: prodotto emergente che ha qualche difficoltà ad entrare nelle grazie del consumatore.

Cavolfiore “tardivo di Fano”

Pianta rustica e resistente al freddo, di maturazione tardiva, presenta infiorescenze di grana grossa, forma tendenzialmente semisferica appiattita, di colore bianco o bianco avorio, di struttura compatta, privo di pelosità.Le infiorescenze presentano pezzatura medie (diametro 14-18 cm) o medio piccole (da 12 a 14 cm).

Territorio interessato alla produzione: Fano (PU) e zone limitrofe della fascia costiera fino a Senigallia (AN).

Cenni storici e curiositàEpistolario della nobile famiglia fanese Ferri Montevecchio, propetari di vasti terreni nella valle del fiume Metauro.Foto risalenti alla lavorazione del cavolfiore di Fano nel 1972 pubblicate sull’Informatore Agrario.

Cicerchia

Leguminosa da granella simile alla pianta dei ceci, più rustica; cresce anche su terreni poveri e in condizioni climatiche difficili, resiste alla siccità e alle basse temperature.La cicerchia appare di aspetto minuto e spigoloso, con colorazioni che vanno dal grigio al marrone maculato, la buccia è poco coriacea.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale, particolarmente diffusa nelle zone agricole marginali.

Cenni storici e curiositàA Serra dè Conti ogni anno a fine novembre, si svolge una festa della cicerchia all’interno delle mura medievali.Pubblicazione della Regione Marche “Tre delizie Marchigiane” in cui si legge “nell’inventario dei beni di Antonio Cato, redatto dal notaio Clemente Angelelli nel 1622 e conservato nell’archivio notarile di Belvedere Ostrense (AN), è citata anche: ‘mezza coppa di cicerchia’.Ricerche di archivio effettuate dal Comune di Serra de’ Conti (AN) testimoniano la presenza della cicerchia nel 1620.

Taccole

Particolare varietà di pisello, denominata anche mangiatutto in quanto si mangia con l’intero baccello, caratterizzato, quest’ultimo, dal fatto che la membrana posta all’interno delle pareti del baccello è assente o comunque sottilissima.Di colore verde-chiaro, forma larga e appiattita è lungo circa 10-15 cm.Le taccole sono particolarmente apprezzate per il loro sapore dolce e delicato.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio regionale, particolarmente nelle zone pianeggianti della provincia di Ascoli Piceno.

Cenni storici e curiositàLe taccole sono presenti da moltisimi anni sul territorio regionale. Già all’inizio del Novecento erano largamente diffuse in alcune zone, in particolare nella Valdaso (Provincia di Ascoli Piceno) da cui venivano esportate anche nel Nord Europa.

Salsa di olive

La salsa di olive si presenta come una pasta dalla consistenza morbida e molto granulosa. Mantiene il colore verde tipico delle olive ed anche il sapore che risente solo leggermente dell’aggiunta di aceto.Materie prime: olive verdi, alloro, semi di finocchio, aglio, aceto, olio.

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 3 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e del Nerone, dell’Alto e Medio Metauro.

Cenni storici e curiositàE’ un prodotto tipico della tradizione contadina, spesso utilizzato nelle importanti occasioni, come la battitura, o nei giorni di festa, quando la carne di coniglio era molto diffusa nelle mense.La salamora nella tradizione contadina è un condimento utilizzato nella preparazione di piatti tipici come il coniglio in porchetta.

Germogli di tamaro sott’olio

Matria prima: germogli di tamaro, aceto, vino, aglio, piante aromatiche e olio.I germogli primaverili del tamaro hanno solitamente un gusto amaro e non del tutto piacevole che però perdono se associati ad altre erbe di gusto più mite, come accade appunto conservandoli sott’olio.

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro.

Germogli di vitalba sott’olio

Le cimette di vitalba sono tenere e fragili; se cotte per troppo tempo, tendono a disfarsi; mantenute sott’olio, conservano la loro consistenza e un delicato sapore.Materia prima utilizzata: germogli di vitalba, acqua, succo di limone, olio, sale, pepe, aglio e prezzemolo.

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro.

Tartufo bianco

Territorio interessato alla produzione: Comune di Acqualagna e zone limitrofe. Il prodotto è anche diffuso nella Comunità Montana del Catria e Cesano.
Descrizione del prodottoAspetto irregolare, dimensione varia, ha peridio o scorza liscia, di colore giallo chiaro, polpa dal marrone al nocciola, profumo intenso e gradevole.Predilige terreni calcareo-marnosi e marno-argillosi. Vive in simbiosi con querce, tigli, salici, pioppi, noccioli.Preparazione: Matura da ottobre a fine dicembre. L’estrazione dal terreno avviene mediante l’uso di appositi badili. E’ un prodotto che si può conservare fino a svariati anni in semplici contenitori di vetro. Il prodotto viene ricercato e raccolto con l’ausilio di cani opportunatamente addestrati.
Cenni storici e curiositàLa presenza di tartufaie nel territorio regionale è attestata da numerosi documenti storici già a partire dal 1600.Ad Acqualagna si celebra fra ottobre e novembre la Fiera Nazionale del Tartufo Bianco.

Tartufo nero estivo o Scorzone

Territorio interessato alla produzione:Diffuso nelle zone interne dell’intero territorio regionale.
Descrizione del prodotto:Tartufo nero estivo (Tuber aestivum Vittadini) o ScorzoneForma per lo più rotondeggiante, dimensione varia, ha peridio o scorza nera molto grossolana e polpa dal giallastro al bronzo, con venature chiare, numerose, arborescenti che scompaiono con la cottura. Ha debole profumo, predilige terreni calcarei, vive in simbiosi con querce, pini, frassini e faggi.Preparazione: Matura da giugno a fine agosto, l’estrazione dal terreno avviene mediante l’uso di appositi badili. E’ un prodotto che si può conservare fino a svariati anni in semplici contenitori di vetro. Il prodotto viene ricercato e raccolto con l’ausilio di cani opportunatamente addestrati.

Cenni storici e curiositàLa presenza di tartufaie nel territorio regionale è attestata da numerosi documenti storici già a partire dal 1600.

Tartufo nero pregiato

Territorio interessato alla produzione: Diffuso nelle zone interne dell’intero territorio regionale.Descrizione del prodotto:Forma per lo più rotondeggiante, dimensioni variabili da una nocciola a una grossa patata; il peso può superare il chilogrammo. Ha peridio o scorza nera rugosa con verruche minute, poligonali depresse in sommità e gleba o polpa nera-violacea a maturazione, con venature bianche fini che diventano un po’ rosseggianti all’aria e nere con la cottura. Emana un profumo delicato e gradevole che lo rende particolarmente apprezzato. Vive in simbiosi con querce, carpini, ecc.PreparazioneMatura da dicembre a marzo nei boschi caratterizzati da un discreto grado di naturalità e nelle tartufaie controllate e in quelle coltivate. La ricerca viene effettuata con l’ausilio di cani addestrati.

Cenni storici e curiositàLa presenza di tartufaie nel territorio regionale è attestata da numerosi documenti storici già a partire dal 1600.Il Tartufo Nero Pregiato è chiamato anche “il re della tavola”: si presta ad una grande varietà di piatti e preparazioni nelle quali può essere usato sia crudo che cotto perché il suo aroma non si rovina ma si rafforza in cottura.Si differenzia dal Tartufo Nero estivo (detto anche Scorzone) perché matura in autunno/inverno ed è solitamente più profumato.

Pasta di tartufo bianco

Materia prima: tartufo bianco.

Tecnologia di preparazione: i tartufi raccolti c selezionati, vengono lavati e cotti in
autoclave. Dopo il raffreddamento si lavorano finemente e si condiscono con sale,
pepe, olio di semi o d’oliva. Invasettati vengono subito dopo pastorizzati e poi
confezionati.

Maturazione:

Area di produzione: Monforte d’Alba (Cn) in locali{a Rocca Manzoni, Piobesi
d’Alba (Cn), Alba (Cn), Acqualagna (Ps), Sant’Angelo in Vado (Ps), Scheggino
(Pg), L’Aquila.

Calendario di produzione: da ottobre a dicembre.

Note: i latini lo chiamavano terrae tuber. Per la nostra catalogazione scientifica è
il tuber magnatum pico. Ad esso sacrifichiamo cifre astronomiche per quantità
insignificanti e non per avere in cambio nobili proteine o introvabili vitamine, ma
solo per assaporare in un sublime istante l’aroma che sprigiona.

Salsa di funghi e tartufi

Materia prima: funghi (chiodini), tartufo nero.

Tecnologia di preparazione: i funghi si fanno bollire insieme al tartufo e all’olio di
soia, vengono macinati finemente e inscatolati. Si pastorizzano e si confezionano.

Maturazione

Area di produzione: Piobesi d’Alba (Cn), Monforte d’Alba (Cn), Alba (Cn),
Acqualagna (Ps), Sant’Angelo in Vado (Ps), Scheggino (Pg), L’Aquila.

Calendario di produzione: tutto l’anno da aprile ad agosto in quanto si adopera il
tartufo estivo (scorzone).

Note: per la salsa di funghi e tartufi si utilizza tartufo nero, mentre per alcune salse
a base di fegato si impiegano il nero e il bianco in eguale quantità, di solito rimasugli
di altre lavorazioni.

Tartufo in salamoia

Materia prima: tartufo sia bianco che nero.

Tecnologia di preparazione: i tartufi vengono selezionati a mano, ripuliti
dalla terra con uno spuzzolino uno per uno, lavati, messi in barattoli. Si
aggiunge la salamoia e si sterilizza in autoclave. Si conservano in lungo
fresco e buio.

Maturazione:

Area di produzione: Piemonte, Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo.

Calendario di produzione: autunno, inizio inverno.

Note: oltre al tartufo hianco (Tuber magnatum pico) e a quello nero (Tuber
melanosporum) anche il tartufo estivo scorzone (Tuber aestivum) è oggetto
di trasformazione. Di colore blu-nerastro con cuticola verrucosa, si
distingue dal più pregiato tartufo nero di Norcia per la carne più chiara
tendente al bianco nocciola marmorizzato. Il melanosporurm è invece nero.
Un altro (Tuber mesentericum) è molto diffuso nella zona di Ariano Irpino
oltrechè nel Lazio, in Toscana e nel sud delle Marche e dell’Umbria, dove
viene consumato insieme a formaggi freschi di capra in insalata.

Salsa di prugnoli selvatici

Materia prima: prugnoli.

Tecnologia di preparazione: i prugnoli raccolti dopo che hanno subito le prime gelate, vengono fatti bollire e passati al setaccio. Si aggiunge un po’ di zucchero, qualche chiodo di garofano e si lascia completare la cottura. Si mette nei barattoli e si conserva al buio.

Maturazione:

Area di produzione: Toscana, Marche e Umbria.

Calendario di produzione: inverno.

Note: questa salsa è ottima per accompagnare le carni di maiale, i lessi in genere e la cacciagione. È riproposta da alcuni ristoratori. Le proprietà del prugnolo sono straordinarie: ne sa qualcosa la tedesca Weleda. Meriterebbero un trattato a parte.

Funghi porcini sott’olio

Materia prima: funghi porcini.

Tecnologia di preparazione: i funghi porcini, dopo accurata pulitura,
vengono sbollentati per alcuni minuti in acqua, aceto e sale.
Si fanno asciugare per alcune ore. si condiscono con vari aromi, tra cui
l’aglio, che variano da regione a regione e si mettono nei barattoli ricoprendoli
di olio. Si conservano in luogo fresco al buio.

Maturazione: un mese circa.

Area di produzione: tutta l’ltalia appennica.

Calendario di produzione: autunno.

Note: con questo sistema vengono altresì conservate tutte le varietà di
funghi commestibili, a cui si aggiungono differenti erbe aromatiche.

Visciole e amarene di Cantiano

Materia prima: visciole, zucchero.La visciola è una ciliegia selvatica della varietà “prunus cerasus”, diffusa e disseminata nelle campagne e colline montefeltresche.E’ pianta rustica, adatta per valorizzare zone marginali, che può raggiungere anche dimensioni notevoli in altezza. La raccolta è tendenzialmente più precoce del ciliegio.

Territorio interessato alla produzione: Particolarmente nel comune di Cantiano in provincia di Pesaro e Urbino. La presenza del prodotto si riscontra anche nelle Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro.

Marrone del Montefeltro

Territorio interessato alla produzione: Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e del Nerone, dell’Alto e Medio Metauro.
Descrizione del prodottoAlbero longevo di elevato e maestoso portamento, alto mediamente dai 10 ai 20 metri. Presenta radice fittonante molto robusta ma di limitato sviluppo in profondità, si ancora al suolo con le sue radici laterali, poco numerose ma assai ramificate. Il frutto è un achenio incluso in un riccio molto spinescente. Nel Montefeltro, in particolare nell’Alta Valmarecchia si producono marroni da una varietà locale detta “Gentile” e che può essere indicata come “Marrone del Montefeltro”.Per descrivere questa varietà sono state identificate le caratteristiche di due suoi cloni (Botticella e Monte San Benedetto) dalle quali si sono desunti i seguenti elementi: Pianta di media grandezza e vigore, portamento dei rami espansi e chioma a globo. Tronco dal colore grigiastro con numerose lenticelle, grandi, rilevate, biancastre o grigiastre. Ilo grande, di colore nocciola chiaro, con contorno regolare, forma rettangolare-allungata. Caratteri del riccio: grande, con tre frutti. Pezzatura medio-grande. Forma ovale-ellittica. Pericarpo marrone con striature scure rilevate. Pelosità diffusa in prossimità della torcia e della cicatrice ilare.Frutto adatto al consumo fresco e per l’industria dolciaria
Cenni storici e curiositàLa presenza di castagneti ultra secolari, tuttora in attività, attestano la coltivazione di questo prodotto fin da epoca remota; si fa risalire l’introduzione della coltura all’attività di alcuni ordini monastici in epoca medioevale.

Salsa di corniole

Materia prima: corniole mature.

Tecnologia di preparazione: i frutti, lasciati maturare, vengono fatti bollire per alcuni minuti. Si passa la purea al setaccio rimettendola sul fuoco e completando la cottura aggiungendo qualche goccia di limone, una piccola quantità di zucchero e, a piacere, cannella o chiodi di garofano. Quando è densa, si mette in barattolo e si conserva al buio.

Maturazione:

Area di produzione: nell’alto pesarese dove ci sono le piante di corniolo.

Calendario di produzione: fine estate.

Note: è la salsa cara alla cucina della cacciagione, di rinascimentale memoria. Ha il raro pregio di rendere digeribilissime tutte le carni grasse facilitando l’eliminazione degli acidi urici. I frutti hanno proprietà febbrifughe.

Amarena di Cantiano

Materia prima: visciole.

Tecnologia di lavorazione: le ciliege, raccolte e ripulite dai gambi, vengono calibrate tramite setaccio e denocciolate. Si fanno cuocere nel loro liquido di governo aggiungendo lo zucchero necessario. Terminata la cottura la frutta viene imbottigliata, le bottiglie sono sterilizzate ad alta temperatura, etichettate e commercializzate.

Maturazione:

Area di produzione: Cantiano (Ps).

Calendario di produzione: giugno, luglio e agosto.

Note: nella zona di Cantiano (Ps),che si adagia ai piedi del monte Catria cresce spontaneo il Prunus cerasus, identificato da Linneo, arbusto o piccolo alberello che ama i terreni calcarei e argillosi con un ph (potenziale idrogeno) superiore a 7 ed il cui frutto acidulo è indicato per la preparazione di marmellate, vini, liquori, sciroppi ottimi sia per il consumo immediato che per la preparazione di dolci, bevande dissetanti e gelati. Nei secoli passati la polpa di visciole cotte accompagnava le carni grasse e la cacciagione di cui attenuava o stemperava il gusto forte di selvatico, facilitando la digestione della parte grassa e svolgendo quindi una funzione analoga a quella dei mirtilli nella tradizione gastronomica tedesca. Nel linguaggio comune visciola è sinonimo di amarena il che dimostra che Linneo è ancora lontano dalla cultura popolare.

Granita con pesche di Montelabbate – Grattamarianna

La granita ha carattere cremoso, presenta pezzi di frutta di dimensioni di circa 1 cm che, insieme al succo della frutta, sono amalgamati insieme con zucchero e acqua.Il prodotto si presenta di colore giallo, variabile a seconda del colore delle pesche.A differenza delle solite granite, ottenute con ghiaccio tritato e sciroppo, il ghiaccio non viene utilizzato.

Territorio interessato alla produzione: Litorale della Provincia di Pesaro e Urbino.

Cenni storici e curiositàIl prodotto era conosciuto un tempo, soprattutto nel fanese, come “grattamarianna”. Il nome e il prodotto sono ancorati ad antiche figure della tradizione e dell’ambiente portuale fanese, allorchè il ghiaccio veniva tritato a mano prima di essere inserito nel prodotto. Inoltre la “Pesca di Montelabbate” ha una consolidata collocazione di primissimo livello sul mercato ortofrutticolo, grazie alla peculiarità ambientale in cui il frutto matura.Testimonianze di persone che dichiarano come questo prodotto, venduto nei carrettini a pedali, era particolarmente diffuso e apprezzato in passato, sia per la peculiare gradevolezza del prodotto sia per la tipicità del modo di vendita.

Miaccio – miaggio – migliaccio

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.Materia prima:sangue di maiale filtrato, latte, uova, zucchero, cioccolata fondente grattugiata, pane grattugiato, alchermes, chicchi di caffè, cannella, scorza di arancia, limone, mandorle, nocciole, burro o strutto.
Descrizione del prodottoE’ un piatto dolce contadino e montanaro, povero e legato alla stagione fredda e al maiale, allevato e macellato in casa, di cui si utilizzava tutto, compreso il sangue.Il termine migliaccio deriva dal miglio, un cereale storico utilizzato molto prima della coltivazione del mais per pane e polenta.Un tempo quindi il migliaccio, torta di sangue suino, si faceva con la farina di miglio.LavorazioneIl sangue è il componente tradizionale e peculiare, crudo, fresco, lavorato e setacciato fino a sfibrarlo, va unito allo zucchero, che può anche essere sostituito o integrato col miele, poi si aggiunge latte intero di fresca mungitura, canditi, cioccolato amaro e fondente grattugiato, pane grattugiato e scorza di limone e arancia.A scelta si possono aggiungere anche mandorle o nocciole, odore di noce moscata, cannella o chicchi di caffè, burro o strutto.Il tutto va versato in uno stampo basso, cotto a bagnomaria.Cenni storici e curiositàIl termine migliaccio deriva dal miglio, un cereale storico utilizzato molto prima della coltivazione del mais per pane e polenta.Un tempo quindi il migliaccio, torta di sangue suino, si faceva con la farina di miglio.D’altronde anche in Campania, nel napoletano, esiste una tipica torta di Carnevale chiamata Migliaccio, preparata con farina di miglio, peraltro completamente diversa essendo una classica torta, ben lontana da questo prodotto realizzato con il sangue suino.Secondo il Vocabolario Treccani, il termine Migliaccio significava “in origine, torta fatta di miglio o di sangue di maiale con miglio brillato (il termine acquistò poi sign. più generico: il Boccaccio, per es., nel Corbaccio parla di migliacci bianchi)”.L’uso del miglio per fare polente risale ai tempi preistorici e durò fino alla introduzione del mais per lo stesso uso (in Italia dal tardo Cinquecento). Col miglio si preparava anche il pane e gli gnocchi, ed inoltre piadine, focacce e torte (Camporesi, Introduzione all’Artusi, Einaudi).Nell’Artusi si trovano tre ricette di Migliaccio: il Migliaccio di farina dolce volgarmente detto castagnaccio (n. 240); il Migliaccio di farina gialla (n. 242) e il Migliaccio di Romagna (col sangue di maiale) (n. 702).Scrive l’Artusi: “ecco la ricetta del migliaccio di Romagna il quale, per la sua nobiltà, non degnerebbe di riconoscere neppur per prossimo quello di farina dolce che girondola per le strade di Firenze”,Oggi, specialmente in Toscana, il termine è diventato sinonimo di Castagnaccio (torta con farina di castagne).

Bostrengo

Territorio interessato alla produzione:Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro.Ingredienti:uova, latte, zucchero, riso, cioccolato, ma anche bucce di agrumi grattugiate o sminuzzate, cannella, frutta secca tritata e ancora uvetta, burro, farina di castagne, miele e strutto.
Descrizione del prodottoDolce tipico di tutto il Montefeltro viene preparato in vari modi diversi tra loro, a seconda non solo della zona ma anche del produttore.Lavorazione: La discriminante è data dagli ingredienti che vengono utilizzati per le varie preparazioni. Per alcuni aspetti della preparazione ricorda il fristingo dal quale si differenzia principalmente per la presenza del riso e della farina di castagne.Il riso va parzialmente bollito in acqua salata, poi mescolato agli altri ingredienti disponibili, ottenendo un impasto ben amalgamato e morbido. Il composto viene collocato in una teglia da forno oliata e imburrata e cucinato in forno a temperatura moderata per circa 60 minuti.Cenni storici e curiositàIl bostrengo o bustreng (in dialetto) è chiamato nella parte bassa delle Marche frustingo (o anchefristingo e frustenga).Viene preparato di solito nel periodo natalizio, a volte anche in quello pasquale. Diffuso soprattutto nel Montefeltro, e in particolare a Urbania, Apecchio e Piobbico.

Ciambelle all’anice o anicini

Ingredienti: pasta del pane, anice, strutto fuso, sale, lievito di birra.Tipica forma a ciambella. Il colore può variare dal dorato al bruno a seconda che sulla ciambella venga spennellato o meno il rosso d’uovo.

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro.E’ un prodotto diffuso anche nelle province di Macerata e Ascoli Piceno.

Ciambellone

Ingredienti: farina, uova, zucchero, latte, strutto o burro, buccia di limone, lievito, bicarbonato.Il ciambellone è un dolce semplice, si presenta come una torta ben lievitata.Viene consumato per la prima colazione e a metà pomeriggio, a volte farcito con altri ingredienti può essere servito anche alla fine dei pasti accompagnato con vino dolce.Nel Montefeltro esiste una variante al ciambellone, il BISCOTT, più rustico per l’assenza di grassi (strutto o burro).

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale. Trova grossa diffusione in provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano, dell’Alto e Medio Metauro dove, al ciambellone classico, vi è anche la produzione del BISCOTT.

Cenni storici e curiositàDa oltre 20 anni a Grottazzolina (AP) si tiene la Sagra del Ciambellone.

Cicerchiata

Ingredienti: farina, uova, burro (o olio di oliva), mistrà (utilizzato in provincia di Ascoli Piceno e Macerata) o cognac, zucchero, buccia grattugiata di limone, miele e, a piacere, buccia grattugiata di arancia, canditi, pinoli, mandorle tritate e abbrustolite.Dolce che un tempo veniva preparato nel periodo del carnevale, oggi lo si prepara tutto l’anno.La cicerchiata può assumere diverse forme: a filoncino, a cupola o a ciambella.Compatta e friabile, di colore dorato ma con variazioni di colore a seconda del composto con cui viene guarnita (mandorle, zucchero a velo, canditi, ecc.).Al gusto risulta gradevolmente dolce.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale, particolarmente nell’anconetano.

Biscotti di mosto

Ingredienti: mosto di giornata, farina di grano tenero, olio di oliva, zucchero, anice, lievito naturale.Ha forma di panetti di peso variabile tra i 50 e 150 gr, di colore bruno.Può essere venduto intero o affettato e abbrustolito per essere conservato in vasi di vetro e consumato a colazione.Oltre ai classici biscotti, il prodotto trova ampia diffusione anche nella forma a ciambella.Per la produzione di biscotti si utilizza la forma a filoncino, tagliata a fette.I biscotti così ottenuti vengono ripassati al forno ottenendo un prodotto secco.

Territorio interessato alla produzione: E’ particolarmente diffuso in provincia di Pesaro e Urbino nella zona del Montefeltro, ma viene prodotto anche nel maceratese e ascolano.

Biscottini sciroppati – biscutin

Ingredienti utilizzati:Biscotto: farina, uova, olioGlassatura: acqua, zucchero, buccia di limone grattugiato, farina, uova e olio vengono impastati ottenendo una pasta morbida ed elastica.Il prodotto finito si presenta a forma di piccolo biscotto cilindrico schiacciato ai poli di 4 – 5 cm di diametro e 20 -25 gr. di peso, ha colore biancastro all’esterno e giallo dorato all’interno.Il sapore dolce della glassa affievolito dalla freschezza del limone non copre la fragranza del biscotto.Si accompagna molto bene con il Vin Santo o con la visciolata.Il prodotto, per le caratteristiche, mantiene la sua fragranza anche per settimane purchè conservato preferibilmente in barattoli di vetro.

Territorio interessato alla produzione: In provincia di Pesaro e Urbino, particolarmente nel territorio del Comune di Fratte Rosa (PU).

Cenni storici e curiositàLe persone più anziane ricordano che i biscottini erano sempre presenti nei pacchi spediti dai familiari ai soldati al fronte durante le due guerre mondiali, in quanto era l’unico prodotto capace di mantenersi a lungo.

Cresciolina

Ingredienti: pasta del pane, sale.La cresciolina si presenta in forma di tanti piccoli dischi a forma appiattita, di colore chiaro. E’ fritta e croccante e presenta una superficie esterna irregolare.La crescolina è saporita dallo strutto in cui frigge ma è poco salata, in quanto non viene aggiunto altro sale a quello già contenuto nella pasta del pane utilizzata per confezionarla.

Territorio interessato alla produzione: L’intero territorio della provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e del Nerone, dell’Alto e Medio Metauro.

Sughetti – Sughitti – Sciugheti – Sapetti

Dolce ottenuto dal mosto bollito e farina nuova di granturco.Si aggiunge una buona quantità di noci e, a piacere, mandorle, pinoli e semi di zucca grossolanamente tritati.Il prodotto è di forma normalmente rotonda od ovale perché conservato e servito su normali piatti da cucina di cui assume la forma, essendovi stato versato ancora caldo.Il colore, generalmente sul marrone, varia sensibilmente a seconda della varietà di uva utilizzata.Di consistenza morbida, ha sapore poco dolce; si avverte chiaramente il contrasto tra il sapore vagamente acidulo del mosto e quello salato delle noci e degli altri semi uniti all’impasto.Si consuma quale dolce freddo con cucchiaio.A volte, soprattutto nel nord della Regione, anziché il granturco viene utilizzata farina di grano.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale, in particolare nella provincia di Ancona (“sciugheti”), di Macerata (“sughetti” e “sughitti”) e nell’ascolano dove il prodotto è conosciuto con il termine “sapetti” (dal prodotto sapa).

Castagnole, castagnoli

Ingredienti: farina, uova, zucchero, mistrà, buccia di limone grattugiata, alchermes, zucchero o miele, latte, olio di oliva e strutto.Coadiuvanti tecnologici: sale, lievito in polvere.Pur rimanendo invariati gli ingredienti le castagnole assumono forme diverse sul territorio: nel pesarese hanno forma allungata, irregolare e contorta, di colore dorato; l’alchermes, con cui vengono cosparse una volta cotte, dona loro un colore rosso acceso, mitigato dallo zucchero con cui vengono spolverate.Occasionalmente vengono anche farcite con crema pasticcera.

Territorio interessato alla produzione: Larga diffusione nell’intero territorio regionale. Nella zona di San Lorenzo in Campo (PU) prende il nome di Castagnoli.

Olio extravergine di oliva monovarietale Raggiola

L’olio è di un buon fruttato mandorlato, prevalentemente dolce, leggermente amaro e piccante, di colore verde tendente al giallo, con buon rapporto insaturi/saturi e buon contenuto in polifenoli in epoca precoce di raccolta.La varietà è localmente utilizzata anche come oliva da mensa per la polpa particolarmente dolce.

Territorio interessato alla produzione: Cultivar marchigiana diffusa soprattutto nella provincia di Pesaro.Sinonimi sono Ragiola, Vergiola, Corgiola, Correggiolo.

Olio Cartoceto DOP

Zona di produzione: La zona di produzione della denominazione di origine protetta Cartoceto interessa, nella provincia di Pesaro-Urbino, situata nella Regione Marche, i territori amministrativi dei Comuni di Cartoceto, Saltara, Serrungarina, Mombaroccio e parte di quello di Fano

Produzione: L’olio extra vergine di oliva Cartoceto è prodotto dalle varietà di olivo Raggiola, Frantoio e Leccino o altre minori come Raggia, Moraiolo o Pendolino. I metodi di raccolta delle olive sono di tipo tradizionale, con pettinatura a mano o sistemi meccanici come rastrelli pneumatici o elettrici; la raccolta per scuotimento, abbacchiatura o abscissione è vietata. La molitura viene effettuata non oltre le 48 ore dalla raccolta e le olive sostano solo poche ore nei frantoi. L’estrazione dell’olio tiene conto e pone in relazione il tipo di frangitura, le temperature e i tempi di gramolazione con il grado d’invaiatura ed il periodo di raccolta delle olive. Non è ammesso il metodo di trasformazione noto come “ripasso” e non è consentito fare uso di prodotti chimici o biochimici durante la trasformazione delle olive in olio. È consentito il solo uso d’apparecchiature di filtraggio di tipo meccanico. Gli oli prodotti sono stoccati, fino al momento dell’imbottigliamento, in botti di acciaio inox condizionati con azoto.

Conservazione: L’olio deve essere conservato in ambienti freschi, asciutti e lontano da fonti di calore, a una temperatura compresa tra i 14 e i 20°C. In questa situazione ottimale la qualità del prodotto resta integra per oltre 36 mesi. Con le basse temperature l’olio può andare soggetto a congelamento, per cui, prima di iniziarne il consumo, occorre riportare i recipiente a temperatura ambiente (16-18°) per alcuni minuti e agitarlo ripetutamente, per agevolare il ritorno del prodotto allo stato naturale.

Consumo: L’olio di Cartoceto ha dimostrato di possedere tutte le qualità solitamente riconosciute ad un buon extra vergine; il suo sapore inconfondibile rende irresistibilmente appetitosa anche una semplice fetta di pane tostato. Baccalà e crostini all’olio di Cartoceto sono una semplice ma gustosa ricetta.

Note: Alcuni storici fanno risalire l’origine di Cartoceto, e dei paesi limitrofi, ai Cartaginesi che, scampati alla battaglia sul fiume Metauro (207 a. C.) e impossibilitati a ritornare in patria, si sarebbero stanziati sul posto formando i primi nuclei familiari. Così Cartoceto deriverebbe da ‘Carchidon’ o ‘Carthada’, nome greco di Cartagine, o dal latino ‘Carthaginensium coetus’, gruppo di Cartaginesi, da cui Carticetum. I territori, posti sotto la giurisdizione di Fano, costituivano una importante risorsa olearia e tra essi Cartoceto risultava di particolare importanza primeggiando per produzione. L’olio prodotto ha rappresentato da sempre uno tra i beni più apprezzati e la Comunità si preoccupò, fin dai primi tempi, di vendere l’olio in piazza nei giorni di mercato. L’olio non serviva solo al fabbisogno del paese, ma era richiesto e apprezzato anche fuori regione. Diversi documenti attestano la notorietà, fin dal 1500, che aveva acquisito l’olio prodotto a Cartoceto.

Riferimenti normativi: Prodotto DOP, Registrazione europea con regolamento CE n.1897/2004 pubblicata sul GUCE L.328/65 IT del 30/10/2004.

Fonte: Disciplinare di produzione della denominazione di origine Olio extravergine di oliva Cartoceto

Prunus di Valle Rea – Lacrima di spino nero

Materia prima: drupe di Prunus spinosa (prugnolo) ed altri frutti di bosco, vernaccia rossa di Pergola, zucchero.Bevanda di colore rosso rubino di scarsa intensità, bouquet fruttato (aroma di prugnolo ed altri frutti di bosco), di vena delicatamente dolce, buona gradazione alcolica (14°).Ottimo abbinamento con dolci al cioccolato, torroni, pasticceria secca.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nella Comunità Montana del Catria e Cesano.

Bianchello del Metauro DOC

Zona di produzione: la parte piu’ bassa della Valle del Metauro, in provincia di Pesaro.

Vitigni: Bianchello (o Biancame), con possibile aggiunta di Malvasia toscana fino al 5%.

Resa massima per ha: 140 qli.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Gradazione alcolica minima: 11,5%.

Acidita’ totale: 5,5-8 per mille.

Estratto secco netto: 16-24 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore giallo paglierino; profumo delicato, caratteristico; gusto secco, fresco, armonico e gradevole.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: nessuna.

Abbinamenti: pesci bolliti, crostacei cotti alla brace, primi piatti con salse a base di pesce e delicate

Colli Pesaresi DOC

Zona di produzione: la fascia collinare della provincia di Pesaro. Sono da considerarsi idonei i terreni di giacitura ed orientamento adatti, con esclusione di quelli di fondovalle.

Vitigni: Sangiovese 85%, Montepulciano e/o Ciliegiolo 15%.

Resa massima per ha: 110 qli.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Gradazione alcolica minima: 11,5%.

Acidita’ totale minima: 5 per mille.

Estratto secco netto minimo: 18 per mille.

Invecchiamento: nessuno.

Caratteristiche organolettiche: colore rosso granata non troppo carico, con riflessi violacei; profumo vinoso, delicato, caratteristico; sapore asciutto, armonico, con fondo leggermente amarognolo.

Qualificazioni: nessuna.

Tipologie: nessuna.

Abbinamenti: arrosti di carni bianche, maiale e agnello cotti alla brace, primi piatti con sughi forti ed a base di carne.

Miele delle Marche

Prodotto di colore da extra bianco ad ambra chiaro (secondo la classificazione impiegata nel commercio internazionale), di odore di debole o di media intensità, vegetale e/o fruttato e/o floreale, e/o vinoso e/o di leguminose e/o di girasole, e/o poco fine.Il sapore è variabile da delicato a mediamente intenso, vegetale e/o fruttato, e/o di miele di leguminose e/o di girasole, e/o leggermente aromatico, e/o poco fine (presenza di crucifere e/o cipolla).Lo spettro pollinico è caratterizzato dall’associazione, in proporzioni variabili, di girasole, rovo, leguminose quali capraggine, medica, trifoglio, ginestrino e lupinella, crucifere, erba strega. Talvolta rilevante la presenza della famiglia delle Umbellifere. Nella fascia alto collinare e nei suoli marnoso-arenacei non meno importante è la presenza di castagno (anche come miele uniflorale), di non-ti-scordar-di-me (Myosotis) e timo, associati alleleguminose.Oltre al millefiori, nel territorio regionale si producono anche mieli uniflorali quali: acacia, castagno, girasole, lupinella, melata, le cui caratteristiche chimico-fisiche, organolettiche e microscopiche rispondono ai requisiti previsiti dalla normativa vigente e dalle schede di caratterizzazione dei mieli uniflorali.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Cenni storici e curiositàAlla fine dell’ottocento, il Prof. Alessandro Chiappetti realizza l’arnia di “tipo marchigiano” che consente, per le misure standard di nido e melario, di eseguire interventi di manutenzione e di allevamento con maggiore facilità rispetto al passato.Ad Osimo (AN) nasce nel 1903 la FAI (Federazione Apistica Italiana).Nelle Marche vengono inoltre scritte e pubblicate a cavallo tra l’ottocento e il novecento, le seguenti riviste: “le api e i fiori” (1888), “il risveglio apistico” (1900), “l’apicoltura italiana” (1905) e successivamente “l’apicoltore d’Italia”.

Miele del Montefeltro

Il miele del Montefeltro può essere sia millefiori che di acacia.

Territorio interessato alla produzione: 49 comuni della Provincia di Pesaro e Urbino: Acqualagna, Apecchio, Auditore, Barchi, Belforte all’Isauro, Borgo Pace, Cagli, Cantiano, Carpegna, Cartoceto, Fermignano, Fossombrone, Fratte Rosa, Frontino, Frontone, Isola del Piano, Lunano, Macerata Feltria, Mercatello sul Metauro, Mercatino Conca, Mombaroccio, Mondavio, Monte Cerignone, Montecalvo in Foglia, Monteciccardo, Montecopiolo, Montefelcino, Monte Grimano Terme, Montemaggiore al Metauro, Orciano di Pesaro, Peglio, Pergola, Petriano, Piagge, Piandimeleto, Pietrarubbia, Piobbico, Saltara, San Giorgio di Pesaro, San Lorenzo in Campo, Sant’Angelo in Vado, Sant’Ippolito, Sassocorvaro, Sassofeltrio, Serra Sant’Abbondio, Serrungarina, Tavoleto, Urbania, Urbino.

Cenni storici e curiositàIl carattere tradizionale dell’apicoltura nel Montefeltro è attestato dalle numerose testimonianze storiche sulla costante presenza dell’apicoltura nel corso dei secoli a partire dall’antichità. E’ frequente anche l’utilizzo del miele nella preparazione di alcuni piatti tipici della zona: ci cerchiata, fichette, nociata, bustrengo.Il principale reperto storico che attesta la denominazione è rappresentato da vasi di ceramica da uno e da dieci kg, di proprietà della famiglia Luchetti di Pesaro, che riportano la dicitura “Miele del Montefeltro” e la data 1860. Il principale reperto fotografico è quello della famiglia Gabannini ripresa in prossimità di un apiario nel 1930.Altre testimonianze sono le fiere, mostre e feste organizzate costantemente in alcune località del territorio.

Crescia d’la Stacciola o crescia sa i’ngranagg

Ingredienti: farina di grano tenero tipo 0, lievito di birra, strutto, sale, zucchero, acqua calda. Impasto rigorosamento fatto a mano. Cottura su forno a legna.

Territorio interessato alla produzione: Borgo della Stacciola, frazione del comune di San Costanzo (PU)

Cenni storici e curiositàTestimonianza dirette locali tramandate nel tempo e raccolte dal Comitato Cittadino della Stacciola. Esse attestano l’utilizzo del forno a legna per la cottura del pane e della crescia già dai primi anni del 700 e fino agli anni 70 del secolo scorso.

Castagnolo al farro

Nella medio-alta Valcesano vengono chiamati CASTAGNOLI. Nella zona di San Lorenzo in Campo i castagnoli vengono preparati con farina di farro, fritti e poi completati con miele o zucchero. Di forma tondeggiante hanno un diametro di circa 4-5 cm e sono di colorazione marrone, tipica del farro.

Territorio interessato alla produzione: Nella zona di San Lorenzo in Campo (PU)

Cenni storici e curiositàIl castagnolo deriva dai “Globulos” (globuli) e dall’ “Encytum” che venivano impastati dagli antichi romani con formaggio e farina di farro e fritti nello strutto. Infine venivano spalmati di miele e cosparsi di semi di papavero.Queste ricette venivano utilizzate nei giorni festivi o in occasione di cerimonie come “De Agri Coltura” da Marco Porcio Catone detto il Censore.Questa nostra ricetta è giunta fino ai giorni nostri e dal 1955, a San Lorenzo in Campo si svolge la Sagra del Castagnolo, annualmente nel lunedì di Pasqua.

Caciotta in forma di limone

Materia prima utilizzata: latte ovino crudo e caglio naturale entrambi di provenienza locale.Alimentazione: pascolo estensivo, foraggi, miscele di cereali e leguminose.Il prodotto finito, a forma di limone, pesa 100-150 grammi, ha pasta fresca, bianca, con sapore di limone. Utilizzato prevalentemente come dessert o in alternativa al sorbetto.Si produce da aprile a settembre.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nella vallata del Metauro.

Cenni storici e curiositàIl prodotto risale all’epoca medievale, presente nella lista delle vivande dal libro di Bartolomeo Scapi, cuoco del Papa nel secolo XVI, è stato riscoperto in occasione di una cena medievale organizzata a Mondavio (PU).

Visner

Materia prima: visciole nere, vernaccia rossa di Pergola, zucchero, alcool 90°.Bevanda di colore rosso intenso con percezioni olfattive di visciola e frutti di bosco, dotata di buona gradazione alcolica (mediamente 14°-15°) e struttura, gusto prevalentemente dolce.Il “Visner” è utilizzato come vino da dessert ed è localmente conosciuto anche con l’impropria denominazione di “Vino di Visciole”. Si distingue tuttavia dall’altro prodotto presente nell’elenco regionale denominato “Vino di Visciole” nel quale, tra gli ingredienti, non viene aggiunto vino ma mosto.

Territorio interessato alla produzione: Nella provincia di Pesaro e Urbino, in particolare nelle 4 Comunità Montane, del Montefeltro, del Catria e Nerone, del Catria e Cesano e dell’Alto e Medio Metauro.

Moretta – Murèta – Muretta fanese – Muretta di Fano

La Moretta che oggi è stata riconosciuta a tutti gli effetti come cocktail dall’AIBES, è un caffè forte e robustamente corretto, originariamente solo dal rum e successivamente dal mix di rum, anice e brandy.

Territorio interessato alla produzione: Fano (PU)

Cenni storici e curiositàTipico del fanese sin dalla fine dell’800 (per lo meno è solo fino ad allora che si possono retrodatare le documentazioni cartacee) questo caffè dalla forte correzione calda nasce per i lavoratori dell’alba, per tutte quelle persone che dovevano affrontare le intemperie del duro lavoro mattutino (pescatori, spazzini, mercanti), che nella Moretta trovavano un buon corroborante e un modo per scaldarsi da dentro. È del 1908 la prima pubblicità di una “Moretta eccellente al Rhum” a L 0,10 di Caffè Cavour del centro di Fano a seguito del quale una lunga lista di bar fanesi si applicheranno a miscelare questa preziosa bevanda che si è raffinata e perfezionata nel tempo fino ad arrivare ai nostri giorni. Perdendo la sua originale caratteristica di bevanda per i “lavoratori”, la moretta è entrata nella quotidianità di tutte le case dei fanesi acquisendo quel valore di tradizionalità che la porta ad essere oggi un simbolo di “fanesitudine”, cioè un prodotto che parla della propria terra.