Pannarello

Materia prima: latte intero a bassa acidità, arricchito con una piccola percentuale di panna (1-1,5% sul totale).

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte, solitamente previa pastorizzazione, a circa 38 gradi, aggiungendovi fermenti specifici e/o latte-innesto, la panna e il caglio liquido. Coagula in 18 minuti. Dopo la rottura della cagliata (a dimensione di un’albicocca), si continua a lavorare con lo spino per 12 minuti, quindi si lascia riposare per 10 minuti e si estrae il siero. Dopo queste operazioni, la massa viene cotta a 40-41 gradi, quindi estratta e messa nelle fascere, tipicamente rigate all’interno. Tempo totale di lavorazione: 55 minuti. La salatura si effettua per bagno in salamoia per 18-24 ore. Matura in 7-10 giorni, in ambiente a 4-7 gradi e umidità 85%, dove le forme vengono regolarmente girate. Resa 13%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 6-8; diametro: cm. 25-30; peso: Kg. 4-8; forma: cilindrica; crosta: sottilissima, rigata; pasta: morbida, compatta o leggermente occhiata, bianco crema. Sapore: dolce.

Area di produzione: provincia di Treviso. Comprende anche alcuni comuni della provincia di Pordenone, in Friuli.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è da considerarsi un formaggio emergente, non molto datato. Il nome richiama l’aggiunta della panna (fredda) effettuata dal suo inventore nel tentativo di salvare la cagliata dopo che ci si era dimenticati di controllare la temperatura della caldaia.

Latteria

Formaggio a pasta dura di colore paglierino, compatta e con leggera occhiatura sapore gradevole delicato

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi possono utilizzare due linee tecnologiche di produzione: la prima adottata in genere dai caseifici artigianali ed industriali, la seconda dalle latterie turnarie.

Cenni storici e curiositàIl formaggio latteria nasce con le latterie turnarie che hanno avuto una grande importanza nella vita e nel costume delle comunità rurali del Friuli-Venezia Giulia. La prima latteria sociale turnaria è stata costituita in regione dal maestro Caneva nel 1881 nel comune di Forni Avoltri.Nella “Relazione del gruppo di studio sugli aspetti zootecnici, microbiologici, tecnologici ed economici del settore lattiero-caseario della Regione Friuli-Venezia Giulia” pubblicato nel 1974 a cura dell’Assessorato dell’Agricoltura, delle Foreste, dell’Economia Montana della stessa regione è riportata una tabella con i censimenti delle latterie turnarie attive dal 1884.L’uso di trattamenti termici del latte ed il ricorso a fermenti selezionati sono stati introdotti progressivamente nella zona di produzione anche di questo formaggio a partire dai primi anni 70 come illustrato, con generico riferimento ai formaggi tipo latteria prodotti nell’intera regione, nella “Relazione del gruppo di studio sugli aspetti zootecnici, microbiologici, tecnologici ed economici del settore lattiero-caseario della Regione Friuli Venezia Giulia” prima citato.

Salato morbido friulano

Materia prima: forme di “casatelle” o altro formaggio morbido.

Tecnologia di lavorazione: la salina è un metodo, raffinato nei secoli, di conservazione del prodotto. Una salina pregiata non viene mai completamente sostituita, ma va “curata” aggiungendo di volta in volta, secondo dosi che restano segrete, i vari ingredienti, e girandola spesso per ossigenarla; può quindi essere vecchia di centinaia di anni. Nasce, probabilmente, dall’esigenza di conservare il formaggio, che rimane morbido, da consumarsi nel periodo in cui tutti gli allevamenti per tradizione venivano portati in malga e nei paesi non avevano latte per fare il formaggio. Dalle prime saline, formate solo da acqua e sale da cui veniva un “formaggio all’acqua” di cui ora si è persa la memoria, si è passati a saline con acqua, sale, latte e/o panna. È un prodotto di consumo quasi esclusivamente locale e destinato a diminuire, ora che è sempre più difficile trovare dei produttori di latte disposti a tenere separate le due mungiture.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8; diametro: cm. 20; peso: Kg. 2-5 circa; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta: tenera e morbida, con occhiatura uniforme, colore bianco. Sapore: leggermente salato.

Area di produzione: Val d’Arzino, Val Tramontina e Maniaghese (PN).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Salato duro friulano

Materia prima: formaggio “Latteria” fresco (prima della maturazione).

Tecnologia di lavorazione: matura in 2 mesi almeno, in bagno di acqua, sale, latte e/o panna, dove le forme vengono spesso rivoltate. Resa 10%.

Stagionatura: fino a 6 mesi circa.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8; diametro: cm. 20 circa; peso: Kg. 5-6; forma: cilindrica; pasta: particolarmente compatta, quasi dura, di colore bianco. Dopo la stagionatura è adatto alla grattugia.

Area di produzione: zona di Sauris (UD), con limitata diffusione in altre aree montane della Carnia e del Pordenonese.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: anche questo tipo di salato viene quasi esclusivamente commercializzato da produttori che acquistano le forme che vengono poi messe nelle proprie saline. Conosciuto come il salato di Sauris, ha trovato estimatori nella zona di Venezia, dove il prodotto viene commercializzato solo nei mesi autunnali. Il consumo è legato comunque al ricordo di una tradizione che va scomparendo.

Frico Balacia

Materia prima: latte intero.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a circa 35 gradi, aggiungendovi latte-innesto più caglio liquido. Coagula in 20-25 minuti. Dopo la rottura della cagliata (a dimensione di chicco di frumento), si cuoce a 45 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene lasciata depositare, quindi si estrae con le mani e l’ausilio di una stecca. A questo punto vi si versa sopra del siero caldo, quale ulteriore trattamento termico. La salatura si effettua, non sempre, a secco su una sola faccia. Matura in alcune ore. Resa 8-9%.

Stagionatura: non viene effettuata.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 5; diametro: cm. 15; peso: Kg. 2; forma: a cupola o quadrata (dimensioni cm. 15 x 15 x 5); crosta: grezza, chiara, dello stesso colore dell’interno; pasta: adatta per grigliate, in quanto non si fonde.

Area di produzione: Borgo Meduna e Val Cellina (PN).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è un formaggio particolare da piastra la cui tecnica di lavorazione è antica ed è tradizionale della zona montana della Val Cellina. Il formaggio è infatti conosciuto in Val Cellina anche con il nome di Balacin, per il quale non è previsto il trattamento termico finale. Anch’esso è un formaggio da tagliare a fette e da cucinare nell’olio o sulla piastra. La sua caratteristica è di assumere, con la cottura, un colore rosso bruciato.

Formai del Cit

Si presenta come un formaggio spalmabile, dall’odore forte e dal sapore un po’ piccante.

Territorio interessato alla produzione: Val Tramontina (comune di Tramonti di Sopra).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi macinano formaggi (Latteria o Montasio) di stagionatura variabile dai 2 ai 12 mesi, utilizzando un tritacarne (in passato spesso si grattugiavano) e si aggiunge latte impastando accuratamente il composto con le mani. Una volta, al posto del latte, si usava in molti casi la panna. Si lascia, quindi, riposare a temperatura ambiente per 6-7 ore e poi si ripassa per il tritacarne. Viene conservato in bacinelle di plastica in un apposito e fresco stanzino.

Cenni storici e curiositàQuesto prodotto deve il suo nome al “cìt” con cui veniva indicato il “vaso di pietra” usato per conservare l’impasto aromatizzato a base di formaggio. Ancora oggi il “formai del cìt” è preparato con il procedimento tradizionale, patrimonio famigliare tramandato oralmente da padre in figlio. Tuttavia questa piccola produzione gode tutt’ora di una certa notorietà, tanto che estimatori vengono appositamente a Tramonti di Sopra per acquistarlo, soprattutto d’estate e in prossimità di festività.

Formella del Friuli

Materia prima: latte intero, metà del quale lasciato inacidire per 12 ore a temperatura ambiente.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 37-38 gradi, aggiungendovi latte-innesto più caglio liquido. Coagula in 15 minuti. Dopo la rottura della cagliata effettuata con la “lira” (a dimensione di guscio di nocciola), la massa viene lasciata riposare per un po’, quindi si estrae e si pone in cestini di plastica ove viene rivoltata più volte. Quindi si opera la stufatura, ponendo le forme in ambiente a 35 gradi e saturo di umidità, per circa 2 ore. La salatura si effettua a secco, prima su una, poi sull’altra faccia per una giornata. Matura in una settimana. Resa 11%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 5; diametro: cm. 8-10; peso: Kg. 1 ;forma: cilindrica; crosta: morbida; pasta: a tessitura elastica e cremosa. Sapore: gustoso e dolce.

Area di produzione: alcuni comuni della provincia di Pordenone, con espansione in alcune zone della provincia di Udine.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: questo particolare tipo di caciotta è stato importato da un casaro di origine veneta che attualmente lavora in provincia di Pordenone. E’ una tecnica acquisita anche da altri casari del Friuli-Venezia Giulia grazie all’intermediazione di un tecnico dell’Ente di sviluppo (E.R.S.A.). Alcuni caseifici hanno dato un nome specifico a questo prodotto (Florio, Ugovizzella) che lo contraddistingue anche in senso locale.

Pastorino

Materia prima: latte intero.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte intero previa pastorizzazione a circa 34 gradi, aggiungendovi caglio di capretto e pepe macinato. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata, si cuoce a 48-49 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene tagliata, estratta e messa nelle fascere. La salatura si effettua a secco sulle forme per 2-6 giorni. Matura in 1 mese, in ambiente a 24-25 gradi (per i primi 3 giorni). Resa 9,5%.

Stagionatura: fino a 7 mesi circa, in magazzino.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 4, diametro: cm. 8-10; peso: Kg. 1-2,2; forma: cilindrica; crosta: color paglierino scuro; pasta: colore paglierino. Sapore: gustoso, forte, piccante.

Area di produzione: S. Martino di Campagna (PN).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è ottimo da grattugia. Pur essendo una produzione di recentissima introduzione (alcuni mesi) ha già il suo mercato. E’ previsto il deposito del marchio.

Crema del Friuli

Materia prima: latte intero arricchito con panna, nella percentuale del 4%.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a 40-41 gradi, aggiungendovi fermenti lattici. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata (a dimensione di guscio di nocciola), la massa viene estratta e messa in stampi, comprimendola bene. Questi vengono poi sostituiti da fascere. Le forme vengono messe quindi in locale di stufatura a 27-28 gradi per 4-5 ore, lasciandole poi riposare in ambiente fresco fino al giorno successivo. La salatura si effettua per immersione in salamoia durante 2 ore. Matura in 5-20 giorni in cella frigorifera a 4-5 gradi. Resa 15%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 5; diametro: cm. 20; peso: Kg. 4,5-5; forma: cilindrica; pasta: grassa, di colore leggermente paglierino. Sapore dolce, di latte e panna.

Area di produzione: S. Martino di Campagna (PN).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: prodotto messo sul mercato nella seconda metà del 1989, sempre per esigenze di diversificazione del mercato. In prospettiva verrà depositato il marchio. A 5 giorni ricorda i formaggi di una volta che sapevano di latte e panna, sui 20 giorni è ottimo da spalmare sul pane, sulle fette biscottate, per fare piccoli toast. Si mette anche a pezzettini nel brodo, non fila, lo si può dare ai bambini perché molto grasso ed energetico.

Formaggio di Montagna

Materia prima: latte intero (a bassissima carica batterica ed elevato tenore in proteine e grasso), da razza Pezzata rossa.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 35 gradi, aggiungendovi fermenti selezionati più caglio. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata (a dimensione intermedia fra un chicco di mais e uno di frumento), si cuoce in 2 fasi, la prima volta a 40 gradi, la seconda a 46 gradi, con riposo intermedio per lo spurgo parziale. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta e lasciata riposare fin che il siero residuo contenuto non raggiunge una certa acidità, quindi si pressa e infine si ripone in locale tiepido fino alla formazione della crosta e per l’ulteriore spurgo. La salatura si effettua per bagno in salamoia (21-22%) per 8 giorni. Matura in 2 mesi in ambiente a 12-13 gradi e umidità 86-87%. Resa 10,5%.

Stagionatura: fino a un anno circa.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 11; diametro: cm. 30; peso: Kg. 10-12; forma: cilindrica; pasta: grassa e gustosa. Grasso: 48-50% Sapore: leggermente piccante.

Area di produzione: S. Martino di Campagna (PN).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: questo è un formaggio recente il cui marchio (Gran Friuli) è stato depositato ai primi di ottobre 1989. Un formaggio di questo tipo era richiesto dal mercato anche al di fuori del Friuli-Venezia Giulia ed è infatti molto apprezzato. Quando la stagionatura raggiunge i 12 mesi, viene ad assomigliare un po’ al grana; il suo profumo non ha però le stesse caratteristiche, essendo un po’ più grasso il latte utilizzato per la sua preparazione.

Strica

Materia prima: scarti del Montasio o del Latteria.

Tecnologia di lavorazione: la pasta di Montasio e/o Latteria appena estratta dalla caldaia viene messa nelle fascere per assumere la forma tradizionale. Le forme compresse nelle fascere possono presentare, a seconda della fermentazione della pasta, delle sbavature che fuoriescono dai bordi delle fascere stesse. Quindi questi “eccessi” di pasta vengono rifilati per dare un aspetto uniforme e liscio alle forme. Ne risultano dei ritagli di pasta fresca dette “strisule” o “striche”, immediatamente pronte per il consumo.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: forma: strisce di lunghezza variabile; crosta: assente; pasta: colore bianco.

Area di produzione: tutta la regione.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: una volta questi scarti di formaggi erano considerati di poco conto. Attualmente, su iniziativa di alcuni casari, sono stati rivalutati e messi in commercio per essere consumati come formaggio fresco, oppure per essere cucinati, cioè fritti in padella senza aggiunta di grassi risultandone un particolare tipo di “frico”, più dolce di quello tradizionale che è fatto con formaggio latteria o Montasio, di varia stagionatura, grattugiato. Un tempo le strisce più lunghe venivano intrecciate.

Formaggio Asìno

Formaggio dal particolare gusto sapido, leggermente piccante, pronunciato per l’Asìno classico, più delicato per l’Asìno morbido

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Clauzetto, Vito d’Asio e Spilimbergo.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaAsìno classicoE’ ottenuto esclusivamente da latte bovino crudo o termizzato, eventualmente aggiunto di latto innesto naturale o di fermenti selezionati autoctoni della zona di produzione.
Asìno morbidoIl latte in questo caso viene sottoposto a pastorizzazione e la rottura della cagliata è molto più grossolana perché si vuole trattenere una maggiore quantità di acqua per ottenere una pasta molto morbida.

Cenni storici e curiositàLa prima fonte certa in cui troviamo notizia di questo prodotto è dello storico Enrico Palladio, scritta in latino Rerum Foroiuliensium nel 1659: “qui Asinum vocant ab Aso pago …” (che chiamavano Asìno dal paese Asio).Tra le memorie storiche vi è poi una lettera del 1749 che il Vescovo di Concordia, Giacomo Maria Erizzo, inviò ad un Pievano d’Asio per assicurarsi una adeguata scorta di formaggio Asìno: “…siamo ora al tempo delli formaggi asini, non vorrei che mi succedesse qualche disguido per tali frutti …”.Altri documenti, quali un bando del 1775 che riporta i prezzi del formaggio Asìno e i Calmieri su carni e formaggi del 1812, attestando la diffusione e l’importanza di tale prodotto sul mercato locale. Nel 1800 il Ponici scriveva in merito a tale produzione: “… la manifattura è così difficile ed esige tali squisite avvertenze che pochi possiedono l’arte sicura …”.

Scuete Frante

Materia prima: ricotta fresca.

Tecnologia di lavorazione: viene utilizzata la ricotta appena affiorata, che si estrae e si pressa coi pugni chiusi. Si impasta con sale e pepe e si mette in un tino con coperchio e un peso sopra. Alcuni produttori buttano sopra il tino acqua e sale per tenere sterilizzato l’ambiente e tenere lontana la mosca del formaggio che depone uova da cui nascono larve. Altri invece permettono a questa mosca di deporre le uova perché le larve aumentano la fermentazione e ne esce una ricotta con i vermi ancora più forte e gustosa. La salatura si effettua in pasta durante la lavorazione.

Stagionatura: si effettua in autunno, fino a 2-3 mesi circa.

Caratteristiche del prodotto finito: pasta dall’aspetto cremoso, di colore bianco sporco. Sapore: forte e piccante, se stagionata.

Area di produzione: Val d’Arzino, Val Tramontina (PN) e Carnia (UD).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: tradizionalmente questo era un metodo di conservazione della ricotta usato probabilmente in alternativa all’affumicatura. Si produce esclusivamente per autoconsumo.

Scuete Fumade

Materia prima: siero di latte vaccino (talvolta anche caprino).

Tecnologia di lavorazione: la ricotta destinata all’affumicatura segue grosso modo le fasi di lavorazione della ricotta fresca. L’unica differenza consiste nel portare il siero ad una temperatura più alta (sui 95-96 gradi) di modo che la ricotta risulti più spurgata e più compatta. Quando affiora viene estratta con mestoli e messa in sacchetti di lino a trama fitta. I sacchetti con la ricotta vengono lasciati sgocciolare per circa 30 minuti. Vengono quindi legati a un’estremità con spago e lasciati in pressa per circa 24 ore. La salatura si effettua a secco sulle forme. Matura in 1-7 giorni, in ambiente fumoso dotato di reticoli, dove le forme vengono affumicate con braci di legno di latifoglia. Resa 7-8% (sul siero).

Stagionatura: fino a 30 giorni.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg. 1; forma: ovale; crosta: sottile, color ocra bruciato; pasta: compatta, colore bianco.

Area di produzione: tutta la regione. In particolare in montagna, nelle malghe.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: la pressa tradizionale consiste in due tavole di legno inclinate tra le quali viene incuneato il sacchetto con le ricotte. Sulla tavoletta superiore si mette un peso in modo che l’inclinazione permanga e faccia assumere alla ricotta la forma caratteristica. Insieme al Montasio e al Latteria è il prodotto più tradizionale della regione. A seconda dei luoghi di produzione porta nomi e forme diverse con procedure di affumicature diverse. È conosciuta anche con il nome di “puina”. Come prodotto emergente è poi da segnalare un tentativo di diversificazione della ricotta affumicata tradizionale, fatto in un caseificio di pianura da circa un anno. La ricotta viene messa, senza essere pressata, in piccoli cestini da tre etti e sottoposta ad affumicatura lenta per 7/8 giorni. Ne risulta un prodotto più morbido perché meno spurgato. È conosciuto localmente con il nome di ricotta affumicata Stella.

Tipo malga

Materia prima: latte intero.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa blanda pastorizzazione a circa 38 gradi, aggiungendovi fermenti lattici selezionati più caglio di vitello. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata (a dimensione di guscio di noce), nel corso di 20-30 minuti, la massa viene estratta e messa in cestini di plastica forati. Le forme rimangono a sgocciolare a temperatura ambiente, rivoltandole una o due volte, per 24 ore. La salatura si effettua per bagno in salamoia per 12 ore. Matura in 8 giorni, in ambiente a 10 gradi. Resa 13%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8; diametro: cm. 28; peso: Kg. 6; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta: cremosa, compatta o con qualche occhiatura, di colore bianco.

Area di produzione: zona pedemontana e pianeggiante dell’intera regione.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è da considerarsi un formaggio emergente, di recente introduzione, anche se nel nome e nell’aspetto si ricollega al più tradizionale prodotto delle malghe di montagna. Viene commercializzato con nome “Malga” o “Tipo Malga”. Nel Pordenonese è anche chiamato “Latte intero” e presenta minime varianti nella lavorazione. In altri caseifici viene commercializzato con un nome, a volte protetto da un marchio, che caratterizza maggiormente il prodotto: “Villa Dolt”, “S. Pietro”, “Val Corno”, “Matajur”, “Coderno”, “Malga Friuli”, “Gagliano”, “Agricola Alto Friuli”.

Flors

Materia prima: siero di latte vaccino o misto vaccino e caprino.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero a circa 80 gradi, senza aggiungere alcun acidificante. Appena affiora il coagulo, dopo la rottura della cagliata viene raccolto con un mestolo; va consumato immediatamente.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: pasta: semiliquida perché non del tutto separata dalla frazione acquosa.

Area di produzione: qualche malga, nelle aree più impervie.

Calendario di produzione: in estate, durante gli alpeggi.

Note: la tradizione di questo prodotto è legata ad un’economia di sussistenza, all’isolamento vissuto fino a pochi anni fa dai malgari nei periodi dell’alpeggio. Un tempo veniva prodotta e consumata un po’ in tutte le malghe della regione. Oggi, come un tempo, si produce solo per l’autoconsumo.

Caprino della Carnia (a pasta morbida)

Materia prima: puro latte caprino, da razze alpine.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 36-38 gradi, aggiungendovi latto-innesto più caglio liquido di vitello. Coagula in 30-40 minuti. Dopo la rottura della cagliata effettuata con la “lira” per circa 15 minuti (a dimensione di guscio di nocciola), si cuoce a 38-40 gradi. Si lascia quindi riposare per 20 minuti, durante i quali avviene lo spurgo. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta e messa in castelli cilindrici in plastica, forellati, a sgocciolare. Non si opera alcuna pressatura. Si porta quindi in locale di stufatura a 35-38 gradi e umidità 90-95% ove rimane per circa 3 ore rivoltando le forme 3-4 volte. La salatura si effettua per bagno in salamoia (l8%) oppure a secco sulle forme per 2-3 ore. Matura in 10-20 giorni, in ambiente a 8-15 gradi e umidità 80-85%. Resa 11-12%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8-10; diametro: cm. 11; peso: Kg. 1; forma: cilindrica; pasta: morbida, elastica, compatta di colore bianco, relativamente magra e facilmente digeribile. Sapore: dolce.

Area di produzione: zona montana e pedemontana delle province di Udine e Pordenone.

Calendario di produzione: da Pasqua fino a tutto Ottobre.

Note: è ripreso, con alcune modifiche, uno schema tecnologico proposto da un ricercatore sardo. La sperimentazione è iniziata nel maggio 1988 nell’ambito di un programma deciso dall’Ersa per favorire gli allevamenti caprini nelle zone montane della Carnia. Precedentemente il latte caprino era mescolato agli altri tipi di latte. In alcuni casi l’ambiente di stufatura è costituito da una cassa di legno lunga e stretta fornita di coperchio e di un foro laterale per la fuoriuscita del siero, nella quale viene versata dell’acqua molto calda.

Caprino della Carnia (a pasta dura)

Materia prima: puro latte caprino, da razze selezionate quale la Camosciata con nuclei di Saanen. Alimentazione: al pascolo libero, in area pedemontana e montana.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte – crudo o previa pastorizzazione – a circa 27 gradi, aggiungendovi latte-innesto più caglio liquido di vitello. Dopo la coagulazione la rottura della cagliata avviene prima a mano, con “spada”, quindi con la “lira” in modo da ottenere uno spurgo abbastanza finito. Si cuoce a 45 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta e messa nelle fascere o in cestini di plastica. Dopo un giorno di spurgo viene pressata e rivoltata più volte. La salatura si effettua in salamoia per 4-5 ore. Matura in 30 giorni circa.

Stagionatura: 5-6 mesi circa, in ambiente a 10 gradi. Resa 8-9%.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg. 2-5; forma: cilindrica; crosta: consistente, colore chiaro; pasta: friabile (più che nel Montasio), con occhiatura quasi assente, colore bianco.

Area di produzione: area montana e pedemontana della provincia di Udine e Pordenone.

Calendario di produzione: attualmente la produzione è limitata ai mesi estivi.

Note: è un prodotto di recente sperimentazione sul quale si punta per la valorizzazione del latte caprino e dei suoi derivati. Nell’intenzione dei produttori, con l’assistenza dell’E.R.S.A., dovrebbe diventare un prodotto tipico protetto da un marchio, che caratterizzi tutti i formaggi di latte caprino ottenuto da razze selezionate. La sperimentazione è iniziata nella tarda primavera 1988. Pur essendo migliore il latte crudo, recentemente si è preferito utilizzare latte pastorizzato a 65 gradi per ovviare ad alcuni problemi tecnici contingenti.

Caciotta caprina

Formaggio caprino a pasta semidura.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaQuesto formaggio si ottiene dalla lavorazione di latte caprino crudo o termizzato con l’aggiunta di fermenti preferibilmente selezionati in azienda oppure con lattoinnesto.

Cenni storici e curiositàL’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare, il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe insieme al latte delle bovine.Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e Fauna, I marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che inizio a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.

Ricotta caprina

Materia prima: siero di puro latte caprino.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero (residuo della lavorazione del formaggio) a 60-65 gradi, aggiungendovi latte di capra (nella misura massima del 50%) e sale inglese o aceto di mele. Coagula a 85-86 gradi. Dopo l’affioramento la ricotta viene estratta e sistemata negli appositi cestelli di plastica forellati, ove rimane a sgrondare fino al giorno successivo. È immediatamente pronta per il consumo.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 6-8; diametro: cm. 4-6; peso: Kg. 0,3-0,4; forma: tronco-conica; crosta: assente; pasta: bianca, delicata, morbida e cremosa.

Area di produzione: alcune malghe e alcuni caseifici della zona montana delle provincie di Udine e Pordenone.

Calendario di produzione: periodo di lattazione delle capre (5-6 mesi).

Note: in Friuli Venezia Giulia il latte di capra tradizionalmente veniva mescolato con latte bovino conferendo ai prodotti caseari di malga un caratteristico gusto di monte. Solo recentemente, da un anno circa, nell’ambito del programma E.R.S.A. si tendono a valorizzare i prodotti derivati dalla lavorazione del solo latte caprino, tra cui la ricotta caprina fresca la cui lavorazione è stata sperimentata per ora in esigue quantità.

Ricotta affumicata di malga

Formaggio a pasta bianca, asciutta e granulosa con gusto affumicato delicato.

Territorio interessato alla produzione: L’area alpina della regione Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Il siero residuo della lavorazione del formaggio di malga, eventualmente aggiunto di latte o latticello o crema d’affioramento, viene portato quasi al punto di ebollizione (80-90°C) all’interno della stessa caldaia in rame impiegata per la trasformazione del latte in formaggio di malga. Quando la massa raggiunge la temperatura desiderata si aiuta la coagulazione delle proteine del siero aggiungendo solfato di magnesio (sal di canal) o acido citrico.

Cenni storici e curiosità
Da sempre nelle malghe la produzione della ricotta affumicata accompagna quella del formaggio di malga ed una testimonianza dettagliata sulle metodologie di produzione anticamente impiegate e tramandate nel tempo fino ai giorni nostri è riportata da Giuseppe Faleschini nel libro “L’Alpeggio in Carnia” riprodotto nell’ottobre del 1970, si può verificare come confrontando la tecnologia ivi descritta con quella attualmente praticata, non sia possibile rilevare differenze sostanziali nelle pratiche di trasformazione. (L’Alpeggio in Carnia. Risultanze di una indagine effettuata dal dott. Giuseppe Faleschini. Ed. Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Assessorato dell’Agricoltura, Foreste ed Economia Montana, ottobre 1970).

Ricotta di capra

La ricotta ottenuta dal siero di latte di capra, può essere consumata fresca o può essere affumicata con fumo di essenze di boschi locali ed essenze aromatiche.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Prodotto ottenuto dalla coagulazione del siero di latte di capra, riscaldato a 85°C; in alcune zone viene aggiunto dal 5 all’ 8% di latte intero; come adiuvante può essere impiegato dell’acido citrico.Una volta formatasi, la ricotta viene raccolta nei cestini e lasciata spurgare, mentre il prodotto destinato ad essere affumicato viene raccolto in sacchetti di tela e compresso per ridurne l’umidità, raggiunta la richiesta consistenza, viene esposto al fumo prodotto dalla combustione di legname di specie autoctone preferibilmente di faggio, nocciolo e frasche di ginepro, abete ed altre essenze aromatiche. La fase dell’affumicatura dura circa 48 ore.

Cenni storici e curiosità
L’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare, il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe insieme al latte delle bovine.Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e Fauna, I marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che inizio a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.

Musetto

Misto di carne suina insaccata, in friulano ‘musèt’.

Territorio interessato alla produzione: Tutta la regione del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl Musetto si prepara con la carne magra, la cotica del lardo, i muscoletti interni teneri, il muso ed eventualmente un po’ di lardo sodo. Il tutto viene macinato e aromatizzato con sale, cannella, pepe, noce moscata e altro a seconda delle abitudini (sono frequenti anche il coriandolo e i chiodi di garofano) e poi insaccato in budello di maiale. Acquista caratteristiche organolettiche migliori se viene consumato dopo circa un mese di stagionatura.In alcune zone può essere sottoposto ad affumicatura. In questo caso il musetto viene affumicato per 10-12 ore, per un ottima affumicatura si dovrebbe impiegare il borestai, ovvero brace di legna secca che non libera micelle di fuliggine e che assicura la formazione di un sottile strato esterno più essiccato rispetto all’impasto.

Cenni storici e curiositàIl Musetto è un prodotto tradizionale della nostra regione, storicamente noto come il più classico insaccato friulano e frequentemente consumato con la brovada che è un altro piatto tipicamente friulano. Antiche ricette per fare il Musetto sono date dal co. Bernardino Beretta di Udine (B. Beretta. Nozioni pratiche per un possidente, agricoltore e padre di famiglia. Udine, Vendrame, 1851). Altro libro storico nel quale viene fatto riferimento alla produzione del Musetto è libro “la Carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Marcundela

Trito di interiora, conciate e salato, avvolto nell’omento (rete) del maiale ed appoggiate su un pianale cosparso di farina di polenta, oppure insaccato nel budello “torto”.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaUn impasto di carne trita viene lavorato con aggiunta di sale, pepe ed eventualmente aglio e vino e vengono fatte delle palle di circa 150 g., avvolte nella rete grassa del maiale. Per non farle attaccare vengono poste su vassoi cosparsi di farina di polenta.La marcundela viene consumata fresca oppure dopo un massimo di 8 giorni conservata sempre in cella frigorifera. Una volta veniva conservata all’interno dello strutto nei vasi.Il prodotto viene consumato dopo cottura. La cottura viene fatta in diversi modi. Il più classico è la bollitura nel vino rosso, ma posso anche essere fritte in padella ed irrorate sempre con del vino rosso. Un tempo, dopo essere state stagionate, le markundele venivano cotte in burro ed acqua e venivano consumate al mattino con la polenta, poiché la colazione doveva essere sostanziosa per sostenere la fatica del lavoro nei campi.

Cenni storici e curiositàTurus Ilario apre a Lucinico (Go) una macelleria-salumeria nel 1966, uscendo dalla gestione assieme al fratello Turus Terenzio della macelleria di Mossa (Go), menzionata sul Veronelli per salumi tipici e tradizionali nel 1980, comunque è noto che tutti i componenti della famiglia sono sparsi per l’isontino ad esercitare il “mestiere“, mestiere che appartiene ai Turus da almeno 5 generazioni.

Filon

E’ un salume che si ottiene dalla lombata (o carré) del maiale.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Pordenonese, più precisamente Val Tramontina, Valcellina, Val Colvera; in particolare il territorio dei comuni di Claut, Cimolais, Andreis, Barcis, Montereale Valcellina, Frisanco, Tramonti di Sopra e di Sotto, Meduno.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa lombata di maiale viene disossata e rifilata per ottenere un “filone” di carne magra. Viene quindi massaggiata con una concia di sale, pepe ed erbe e lasciata riposare in luogo fresco per 24 ore, affinché il sale penetri in profondità. Trascorso tale periodo, ripulita dal sale in eccesso, viene appesa nell’affumicatoio dove resta per 3-4 giorni, esposta ad un fumo controllato di legna di faggio (vengono aggiunti rami di ginepro per conferire il caratteristico profumo).

Cenni storici e curiositàEsistono ricerche effettuate da anonimi e citazioni in diversi libri che parlano della Valcellina, in particolare: Sergio Giordani “Claut”, 1981.

Lardo

Viene utilizzato il lardo ottenuto dalla regione dorsale del suino, il più solido e pregiato, dopo eliminazione del grasso molle.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:Il lardo viene lasciato riposare su una graticola per garantire l’areazione su tutti i lati, evitando la formazione di muffa sulla cotica. Viene adeguatamente salato. Dopo 4/5 giorni viene aggiunto del pepe macinato e quindi il lardo viene arrotolato, mantenendo esternamente la cotica ed assicurando una adeguata legatura al prodotto. Il rotolo, così formato, viene sigillato con lo strutto dello stesso suino per evitare lo sviluppo di processi ossidativi.La stagionatura ha una durata minima di tre mesi.Viene degustato in fettine sottili oppure viene utilizzato come condimento (radicchio con i ciccioli = lidric cu lis frizzis, pane con i ciccioli = pan cu lis frizzis, o per condire la brovada).In alcune zone del Friuli-Venezia Giulia non viene arrotolato, ma stagionato in tranci per circa due mesi dopo essere stato salato in salamoia ed eventualmente affumicato.

Cenni storici e curiositàGli anziani norcini ricordano che la preparazione del lardo arrotolato risale all’attività artigianale dei loro padri che operavano in numerose famiglie del territorio friulano.Tre anziani norcini dichiarano di aver svolto questa attività, inizialmente come aiutanti e poi in forma autonoma, a partire dagli anni ‘40-’50 macellando e lavorando le carni di suini in forma artigianale e tradizionale, tra le quali anche il lardo arrotolato.Si trova riferimento storico del consumo e della produzione del lardo nel volume del Cossar “La carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana”. Il folklore italiano del 1929 e nel volume di Giuseppina Perusini Antonini “Mangiare e bere friulano” del 1970.

Linguâl

Impasto per cotechino insaccato in budello grande con al centro dell’impasto la lingua intera del maiale.

Territorio interessato alla produzione: Intera Regione Friuli Venezia Giulia e, in particolare, Carnia e destra Tagliamento.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi prepara l’impasto usuale del cotechino (carne magra e cotiche macinate) con cui si avvolge una lingua di maiale intera o pezzi della stessa e poi si introduce il tutto in un adatto budello da salame. Prima di essere consumata può essere conservata in locali adatti per alcune settimane. E’ diffuso anche un tipo di forma sferoidale, in quanto insaccato nel budello gentile, nel quale al centro dell’impasto sono messi pezzi di lingua suina.

Cenni storici e curiositàIl Linguâl è un prodotto di origine molta antica che, nelle zone in cui la tradizione è maggiormente radicata, veniva consumato nel giorno dell’Ascensione. Questo uso tradizionale è riportato da Giuseppina Perusini Antonini (1874-1974) nella sua pubblicazione “Mangiare e bere friulano”, la cui prima edizione è dell’inizio del XX secolo.

Lujanie

Misto di carne suina insaccata ed eventualmente affumicata, chiamata anche salsiccia, luganica, luganega, lujania.

Territorio interessato alla produzione: Tutta la regione del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa salsiccia si prepara con la carne suine della costa o della spalla, con i resti di pancetta o di guanciale, con ritagli sottogola, resti di coppa o ossocollo. La carne viene tritata e miscelata con sale, pepe, cannella, coriandoli, noce moscata ed altro come da ricetta consolidata da ognuno.Il tutto viene insaccato in budello sottile e può essere eventualmente sottoposto ad affumicatura. Si tratta di un prodotto che va consumato fresco e va cotto.

Cenni storici e curiositàAntiche ricette della salsiccia friulana sono trovano nell’opera di Bernardino Beretta di Udine: B. Beretta. Nozioni pratiche per un possidente, agricoltore e padre di famiglia. Udine, Vendrame, 1851. Altro libro storico nel quale viene fatto riferimento alla produzione della salsiccia è libro “la Carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Pancetta arrotolata manicata

La parte dell’addome del maiale viene salata, speziata, arrotolata e introdotta all’interno di un tipo particolare di budello, chiamato in gergo “manica stagionata”.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaQuando si seziona il maiale l’operatore toglie la parte della pancetta, poi disossa anche dalle cartilagini presenti nella parte bassa, scotenna e quindi la appende in temperatura intorno ai 5°C.Il giorno dopo la pancetta è pronta per essere salata in strati una sopra l’altra.Dopo 8-10 gg. a seconda del tempo, più umido, più caldo si toglie, si lava bene in acqua fredda, si fa sgocciolare, si dà la concia, si arrotola, si ricopre con la “manica” si fanno le varie legatura per stringere e appendere il prodotto finito.Stagionatura: da 6 mesi a 13 mesi, a seconda della grossezza.

Cenni storici e curiositàLa pancetta è un insaccato tradizionale friulano e l’usanza di produrla è documentata nel volume del Cossar “la carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana”del 1929).

Pancetta con lonza

Viene utilizzata la pancetta privata della cotica con tranci di lonza. Si aggiungono sale e pepe, macinato e in grani. Il tutto viene insaccato in budello naturale di bovino.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa pancetta viene distesa e preparata nelle dimensioni volute; viene salata e riposta in recipienti adatti. Si stendono poi sulla pancetta i tranci di lonza già salati. Il tutto viene lasciato riposare per un giorno in locali a temperatura controllata. In seguito si aggiunge il pepe; poi la pancetta viene arrotolata, mantenendo all’interno i tranci di lonza. Infine il prodotto viene insaccato in budello naturale di bovino e opportunamente legato con spago o rete.La stagionatura ha una durata minima di 10 mesi.

Cenni storici e curiositàLa pancetta era un salume prodotto utilizzando solo la parte omonima, salata, arrotolata e insaccata. Nel Friuli pedemontano, soprattutto nel territorio di Artegna, in numerose famiglie (generalmente le più abbienti), il prodotto era arricchito con tranci li lonza (brusadule) che rendevano il salume assai più saporito e prelibato.La tradizione della “pansete cun brusadule” si è affermata soprattutto nel dopoguerra ed ora la “Pancetta con lonza” è una costante nella produzione artigianale suina di pregio in tutto il territorio regionale.Viene particolarmente ricercata anche perché è indubbiamente più magra della pancetta tradizionale.Tre anziani norcini dichiarano di aver svolto questa attività, inizialmente come aiutanti e poi in forma autonoma, a partire dagli anni ‘40-’50 macellando e lavorando le carni di suini in forma artigianale e tradizionale, tra le quali anche la pancetta con lonza.

Polmonarie

Insaccato ottenuto mediante la lavorazione di frattaglie di maiale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe frattaglie, fegato escluso, vengono macinate ed impastate con lardo macinato. Dopo la speziatura, eseguita solamente con sale e pepe, il trito viene insaccato, affumicato e stagionato per brevissimo periodo 10-15 giorni. Viene consumato dopo essere stato cotto in acqua. Per insaccare il prodotto viene impiegato budello di bovino precedentemente sgrassato, pulito, e lavato con acqua, aceto e limone e conservato sotto sale.

Cenni storici e curiositàProdotto tradizionalmente legato alla lavorazione per uso famigliare dei suini. Le caratteristiche metodiche di preparazione della polmonarie sono riportate da Cessar nel libro “La carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore Italiano” del 1929.

Salam di cueste

Costa di maiale disossata, tagliata o macinata grossa e insaccata.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine e Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa costa del maiale viene completamente disossata e, dopo essere stata tagliata a pezzetti o macinata grossa e opportunamente speziata, viene poi forzata in budello e posta a stagionare.

Cenni storici e curiositàIl salam di cueste è presente da tempo immemorabile nella tradizione “norcina” di tutto il Friuli.

Salame friulano

Carne di suino scelta, macinata e mescolata con lardo, speziata, insaccata e conservata.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa carne di suino scelta e disossata (carne di coscia, di filetto, di spalla, di braciola), viene mescolata in giusto rapporto con lardo sodo e ritagli di pancettone, tritata, speziata con sale, pepee, per chi lo gradisce, aglio schiacciato e macerato in vino bianco o rosso. L’impasto viene macinato a media grossezza ed insaccato in budello di bovino precedentemente sgrassato, pulito e lavato con acqua, aceto e limone e conservato sotto sale. Il tempo di stagionatura minimo è di circa 60 giorni. Il prodotto può anche essere affumicato. In questo caso, i primi tre giorni costituiscono la fase di asciugatura, eseguita in ambiente fresco ma non aerato e successivamente il prodotto può essere posto in affumicatoio e condizionato con fumo prodotto da alloro, pino silvestre e ginepro per un periodi di circa 6-7giorni per 2-3 ore/die; dopo tale periodo il prodotto viene posto in locale fresco con un buon tasso di umidità al fine i favorire l’asciugatura omogenea di carne e budello. Dopo circa 15 giorni viene posto in locale di stagionatura.

Cenni storici e curiositàProdotto da sempre in regione senza l’utilizzo di conservanti e per lo più derivato dalla lavorazione e trasformazione di suini allevati in loco.Radicato tradizionalmente proprio in funzione della abitudine all’allevamento e trasformazione di tale specie animale.Si trova riferimento storico di questa preparazione nel libro “la Carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Sbarbot

Guanciale di maiale speziato.

Territorio interessato alla produzione: Tutti i territori montani del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl guanciale suino, rifilato e pulito da parti non proprie (ghiandole e parti del sistema linfatico) viene posto in speziatura per 5 giorni in sale, pepe, aglio in vino, alloro e rosmarino; dopo due giorni di asciugatura, viene posto in affumicatoio. Questa fase di affumicatura ha essenzialmente la funzione di garantire il completamento dell’asciugatura e di dare sapidità particolare nonchè conservabilità migliore.

Cenni storici e curiositàProdotto tradizionalmente da sempre in tutte le zone montane non solo della regione.

Peta

(Petuccia, Petina o Pitina a seconda della località di produzione)

E’prodotta con carne di selvaggina; oggi, più spesso, di pecora o montone anche misturata con carne di manzo, tritata e impastata con una concia di sale, pepe, finocchio selvatico (caren in dialetto locale) o altre erbe, pressata o insaccata e quindi, fatta affumicare.

Viene prodotta nelle Valli del Pordenonese, più precisamente Val Tramontina, Valcellina, Val Colvera ed in particolare nel territorio dei comuni di Claut, Cimolais, Andreis, Barcis, Montereale Valcellina, Frisanco, Tramonti di Sopra e di Sotto, Meduno.

La carne viene triturata finemente (un tempo con il ‘manarin’, mannaia da macellaio, nella ‘pestedoria’, ceppo di legno con un incavo; oggi più spesso con il tritacarne elettrico) e insaporita con la concia, secondo la ricetta tradizionale che può anche variare da località a località e da famiglia a famiglia. La confezione può quindi avvenire in tre diverse modalità:
Si formano, a mano o con l’ausilio di stampi di legno, polpette tonde, di 10-12 cm di diametro e 3-4 cm di spessore, del peso di 200-250 grammi. Tali polpette vengono pressate, passate nella farina di mais, quindi posizionate nell’affumicatoio dove restano per 3-4 giorni, esposte ad un fumo controllato di legna di faggio ai quali vengono aggiunti rami di ginepro per conferire il caratteristico profumo).
L’impasto viene steso, con uno spessore di circa 2 cm, su una tela di etamina (che ha sostituito la tela juta dei sacchi che si usavano un tempo). La tela viene quindi ripiegata sull’impasto, che ne risulta avvolto; pressato per espellere l’aria, il ‘sacco’ (contenente una mattonella di peta di circa 20 x 20 centimetri) viene cucito sui lati e posto nell’affumicatoio.

Ad Andreis, in alternativa ai due sistemi precedenti, l’impasto viene insaccato nel budello di manzo; la peta si presenta quindi come un salame (20 cm di lunghezza, 4-5 cm di diametro) che viene appeso nell’affumicatoio.

Le attrezzature ed i materiali sono quelli classici nel norcino e/o del macellaio. L’affumicatoio è costituito da una camera in acciaio collegata per mezzo di un tubo di entrata munito di filtro al camino dove avviene la combustione. Il fumo lambisce il prodotto ed esce da un secondo tubo. Nella camera non vi è quindi ristagno di fumo; l’operatore può dosare la quantità di fumo aumentando secondo necessità la quantità di combustibile.

La lavorazione avveniva un tempo nei locali di casa (cucina o ‘camarin’); oggi avviene, seguendo le normali ‘buone pratiche di lavorazione’, nel laboratorio della macelleria. L’affumicatura, un tempo effettuata nel camino di casa, oggi viene fatta in appositi affumicatoi; con fumo ottenuto dalla combustione di legno di faggio e rami di ginepro, ad Andreis con rami di nocciolo.

Fonte: Turismo.fvg.it – I Prodotti Tipici della Regione Friuli Venezia Giulia.

Brusaula

Strisce sottili di carne secca affumicata, chiamate anche pindulis che vengono consumate al naturale, come antipasto o fuoripasto in accompagnamento ad un aperitivo.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Pordenonese, più precisamente Val Tramontina, Valcellina, Val Colvera; in particolare il territorio dei comuni di Claut, Cimolais, Andreis, Barcis, Montereale Valcellina, Frisanco.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa materia prima di partenza è costituita da polpa scelta di manzo, maiale o camoscio preferibilmente di coscia, senza nervi e senza grasso. La carne viene preparata in strisce sottili (max 5 millimetri di spessore), larghe un paio di centimetri e lunghe 15-20 cm. Vengono cosparse con una concia di sale, pepe ed erbe e quindi lasciate macerare 24 ore in luogo fresco. Trascorso tale periodo, vengono appese nell’affumicatoio dove restano per 3-4 giorni, esposte ad un fumo controllato di legna di faggio fino a quando sono completamente essiccate. Tolte dall’affumicatoio, sono pronte per il consumo; si conservano in luogo asciutto, per diversi mesi.

Cenni storici e curiositàEsistono ricerche effettuate da anonimi e citazioni in diversi libri che parlano della Valcellina, in particolare: Sergio Giordani “Claut”, 1981.

Sanganel

Insaccato preparato miscelando sangue suino rappreso in acqua bollente e macinato, con carne sanguinolenta e lardo freschi, sale e pepe, aromi naturali.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaInsaccato preparato, con piccole variazioni, a livello artigianale o familiare. Una delle ricette più diffuse è la seguente: si miscela sangue suino rappreso in acqua bollente e macinato, con carne sanguinolenta e lardo freschi, sale e pepe, aromi naturali. L’impasto viene insaccato in budello e consumato cotto, entro due settimane, dopo conservazione a temperatura inferiore a dieci gradi.

Cenni storici e curiositàLe ricette del sanganel si trovano in libri di cucina di vecchie famiglie friulane già dal secolo scorso; questo prodotto è citato in molti volumi, ultimo dei quali quello della scrittrice Perusini Antonini Giuseppina “Mangiare e Bere friulano”, la cui prima edizione risale agli inizi degli anni settanta.

Pan de frizze

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero, uova, ciccioli di maiale, burro, lardo, sale, lievito acido.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: si stempera il lievito acido in acqua tiepida, dove si aggiunge un pizzico di zucchero. Si versa nella farina insieme agli sfrizzoli o ciccioli del maiale o al lardo rosolato e tagliato a dadini, il burro fuso e il sale, si impasta a lungo fino ad ottenere un tutto omogeneo di media consistenza. Si lascia lievitare in luogo caldo per qualche ora. Si reimpasta di nuovo la pasta e la si divide in parti uguali formando dei filoncini la cui parte superiore verrà tagliata in modo trasversale. Si cuoce a forno caldo.

Area di produzione: in Friuli durante l’inverno solo a livello artigianale. E’ un pane della tradizione contadina.

Note: è un pane di stretta tradizione regionale, che viene fatto durante il periodo dell’uccisione del maiale. Un tempo questo tipo di pane che utilizzava grasso di maiale era diffuso anche nelle regioni dell’Italia Centrale. Oggi si trova solo sporadicamente. Frizze sta per ciccioli, del maiale.

Mais bianco Perla friulano

Area di produzioneSi produce, sebbene su limitate superfici, in un ampio territorio regionale, soprattutto nell’Alta e Bassa Pianura, nonchè in ristrette aree collinari e di fondovalle, nelle province di Pordenone, Udine e Gorizia.

DescrizioneIl Mais Bianco Perla Friulano è una varietà medio-tardiva, con durata del ciclo paragonabile a quella dei moderni ibridi di classe FAO 500/600, ovvero di circa 120 giorni, variabile in funzione delle caratteristiche pedoclimatiche della località di coltivazione e dell’epoca di semina. La pianta raggiunge un’altezza di 2,0-2,4 metri in condizioni di coltivazione tradizionale, ma può superare questi valori in funzione della fertilità del terreno, della concimazione azotata e dell’eventuale irrigazione. Ciascuna pianta porta una spiga, posizionata piuttosto alta; raramente su Mais Bianco Perla Friulano si osservano due spighe complete sulla stessa pianta (ciò avviene principalmente quando la densità di piante per metro quadrato è piuttosto contenuta).Il fusto, piuttosto esile (a paragone dei moderni ibridi), talora ha un andamento leggermente a zig-zag fra i diversi internodi; per la scarsa robustezza del fusto e per l’impalcatura alta delle spighe, alla raccolta si osservano frequentemente piante spezzate o allettate. La spiga ha forma pressocché cilindrica (senza allargamento basale), con una lunghezza di circa 18-24 cm, con 12 (14) ranghi di semi (cariossidi). Il seme è piuttosto grosso, di colore bianco perlaceo, brillante, a frattura semivitrea. Il tutolo è bianco.La varietà sembra adattarsi bene alla coltivazione con metodo biologico. Le rese sono decisamente più basse rispetto agli ibridi moderni e si attestano indicativamente sui 30-50 quintali di granella per ettaro.Il Mais Bianco Perla Friulano, così come molte varietà di mais tradizionali, è piuttosto sensibile agli attacchi della piralide del mais (Ostrinia nubilalis) e della diabrotica (Diabrotica virgifera).La farina Mais Bianco Perla Friulano viene confezionata e commercializzata per lo più in sacchetti di carta da 1 kg; più raramente viene venduta sfusa, ad esempio in sacchi di tela.

Il Mais Bianco Perla Friulano deve la sua tipicità alle caratteristiche della granella bianca e perlacea (da cui il nome della varietà) a frattura semivitrea, al colore della farina (bianca) e al gusto e aroma della polenta che se ne ricava. Poiché la varietà di mais deriva da impollinazione libera e dalla selezione massale condotta dai diversi agricoltori, lo standard qualitativo della granella e della farina che se ne ricava non è strettamente omogeneo. Pertanto, in Friuli Venezia Giulia sono coltivati diversi “biotipi” che, tuttavia, presentano medesime caratteristiche generali, in ogni caso affini ai diversi biotipi di Mais Biancoperla del Veneto.Inoltre, in Friuli Venezia Giulia è presente anche un ecotipo di mais affine al Bianco Perla Friulano che si caratterizza per la granella bianca “oleosa”, varietà un tempo nota com “Mais Bianco Olio Friulano” (Zapparoli, 1943).La farina di Mais Bianco Perla Friulano viene per lo più utilizzata come farina da polenta che accompagna piatti generalmente di pesce o carne bianca.Data la somiglianza con le varietà bianche tipo “Maizena o Maicena” centro-americane e sud-americane, il Mais Bianco Perla Friulano si presta anche molto bene alla preparazione della “masa” per il piatto tipico del continente latino-americano: la “tortilla”. La “masa” è la materia prima ottenuta dal mais a granella bianca, simile alla farina, ma di preparazione del tutto diversa, oggi molto richiesta e importata in genere dal Messico o da altre nazioni dell’America Latina.

Coltivazione e lavorazioneI terreni sui quali avviene la coltivazione del Mais Bianco Perla Friulano sono per lo più mediamente fertili e talora irrigui. La concimazione di fondo viene effettuata con apporti di elementi nutritivi (N, P, K) più ridotti rispetto alle colture di mais ibridi e talora con l’utilizzo di sostanza organica (es.: letame). Una particolare attenzione viene rivolta alla concimazione con N (pre-semina e post-emergenza /levata), in quanto – se eccessiva – induce la crescita di piante con altezza oltre il voluto, che comporta spesso l’allettamento delle stesse in pre-raccolta.Le lavorazioni del terreno (aratura, sarchiatura e rincalzatura) sono quelle tradizionali.La semina avviene di norma con seminatrice meccanica o pneumatica a file distanti 75 cm. Se la semina è manuale, in piccoli appezzamenti, segue il diradamento, sempre manuale. La densità di semina di norma è inferiore a quella delle colture di mais ibridi, ovvero si attesta a (4)-5 piante per metro quadrato. Il seme utilizzato deriva da colture di Bianco Perla localizzate ad almeno 3-400 metri da altre colture di mais, per impedire la contaminazione da parte di polline estraneo. Le spighe da cui si preleva il seme per le semine vengono preventivamente selezionate per mantenere i caratteri tipici varietali desiderati sia della granella (grossezza e trasparenza perlacea), sia della spiga (forma cilindrica, dimensioni e numero di ranghi appropriati), attuando una “selezione massale”.La raccolta avviene di norma manualmente a spiga intera; le spighe vengono subito selezionate per eliminare quelle non conformi alla qualità voluta (es. spighe piccole, con muffe della granella evidenti, ecc.). L’essiccazione delle spighe della granella viene effettuata con metodo tradizionale, ovvero in cassoni friulani all’aperto, ma al riparo dalla pioggia, o in cumulo di spessore modesto in un solaio ventilato, o in trecce appese sempre in solaio oppure sotto le linde delle casse al riparo dalla pioggia in posizione sud.La separazione della granella dal tutolo avviene con sgranatrici manuali o elettriche tradizionali, dopo aver eliminato manualmente le brattee.La macinazione della granella, al giusto livello di umidità (circa il 14%) viene effettuata con modalità tradizionale, per lo più in mulini con macine a pietra (che in ogni caso garantiscono la massima igiene), in modo da conservare il profumo naturale e la qualità del prodotto. Dopo la macinazione si ottiene la farina, integrale o meno, di colore tendenzialmente bianco.

Cenni storici e curiositàIl Mais Bianco Perla Friulano è un’antica varietà coltivata da diversi decenni, soprattutto nell’Italia nord-orientale, ovvero in Veneto e in Friuli (Bressan et al., 2003); nonostante l’avvento dei mais ibridi, più produttivi, è rimasta in coltivazione per le particolari caratteristiche della granella e per la peculiare qualità della farina.Un accenno sulla coltivazione in Friuli Venezia Giulia del mais “a grano bianco” “Perla” si trova sul Bulletino dell’Associazione Agraria Friulana del 1914. Tale varietà veniva consigliata, assieme ad altre a granella bianca (es. “dente di cavallo o Caragua”) come mais da foraggio, “perchè sono di grande sviluppo fogliaceo” (Margreth, 1914).Una breve descrizione della pianta e delle caratteristiche di spiga e granella del Mais Bianco Perla viene riportata nel volumetto dal titolo “Granoturchi da seme per riproduzione da granella e per semine da erbaio” edito a cura del Consorzio Agrario Provinciale di Udine nel 1950. In questa pubblicazione si consigliava la diffusione e la coltivazione di questa varietà per la “ottima qualità delle sue farine” (Consorzio Agrario Provinciale di Udine, 1950).Negli atti del 1° Congresso Nazionale dei Mais Ibridi, tenutosi nel 1954 a Vicenza, si riporta che, nel 1950, la coltivazione del Mais Bianco Perla nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia era estesa su circa 58.200 ha ed era la principale varietà di mais coltivata, alla quale seguiva il Marano Vicentino (40.000 ha). In particolare, le superfici a Bianco Perla raggiungevano i 3.000 ha nell’allora assai vasta provincia di Udine (Montanari, 1954).Ancora nel 1960, il Mais Bianco Perla viene citato fra le “varietà italiane più note” delle “Venezie”: “Bianco del Piave, Bianco perla, Centogiorni, Friulotto, Marano vicentini, Rosso di Magliano, Gialloncino veronese del Sasso, Scagliolo del Frassine, Sesarale” (Fenaroli, 1960).Nella Banca del Germoplasma Autoctono Vegetale (BaGAV) presso l’Università di Udine è presente un’accessione friulana di Mais Bianco Perla. Altre tre accessioni sono conservate presso l’ERSA di Pozzuolo del Friuli. Molte accessioni del cosiddetto “Biancoperla” raccolte in Veneto sono conservate, invece, nella banca del germoplasma dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “Nazareno Strampelli” di Lonigo (Vicenza) (Bressan et al., 2003) e presso il CRA-MAC – ex Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Bergamo.

Anguilla del Livenza

Territorio interessato alla produzione: Complessivamente l’ anguilla del Livenza viene pescata in 17 Comuni, 3 nella provincia di VENEZIA (Caorle, S. Stino di Livenza, Torre di Mosto), 7 nella provincia di TREVISO (Cessalto, Motta di Livenza, Gorgo al Monticano, Meduna di Livenza, Mansuè, Portobuffolè, Gaiarine), 7 in quella di Pordenone (Pasiano di Pordenone, Prata di Pordenone, Brugnera, Sacile, Caneva, Fontanafredda, Polcenigo).La storia: L’anguilla (Anguilla anguilla) è un pesce del tutto particolare, sia per la sua forma allungata e serpentiforme, sia soprattutto per il suo particolare ciclo vitale. Essa infatti si accresce nelle acque dolci o salmastre, dove si trattiene fino al raggiungimento della maturità sessuale (da 9 a 12 anni), per ridiscendere poi al mare e compiere un lungo viaggio verso le zone di riproduzione, localizzate nel Mar dei Sargassi, nell’Oceano Atlantico. Dopo la schiusa le larve vengono trasportate dalle correnti verso le coste d’Europa, dove arrivano dopo un viaggio di circa tre anni. Fra dicembre e maggio le giovani anguille, le cosiddette “ceche”, penetrano nei fiumi dove rimangono fino alla maturità sessuale. Il Livenza è un fiume tra i più importanti della pianura veneto-friulana; esso è quasi del tutto navigabile e ha sponde ricoperte di abbondante vegetazione e acque limpide e fredde alimentate da risorgive. I fondali sono privi di ghiaia e molto puliti, ciò lo rende un habitat ideale per l’anguilla che qui assume caratterisctiche uniche, simili solamente a quelle che vivono nel Sile.Descrizione del prodotto: L’anguilla del Livenza ha testa piccola, pelle chiara e sottile, giusta quantità di grasso che ne fa un prodotto superbo. Le acque temperate di risorgiva consentono una crescita lenta dell’anguilla che permette di conferire alle sue carni un inconfondibile sapore. In funzione del periodo, delle modalità di pesca e delle dimensioni, vengono descritti 2 tipi di anguilla della Livenza:- Tipo “fiumano” o di “fraima” è pescato alla fine dell’estate e in autunno, quando le anguille mature scendono lungo il fiume per dirigersi verso il mare. Possono pesare da pochi etti a oltre il chilo e sono caratterizzate da pelle grossa, chiara e grassa per affrontare le profondità marine.- Tipo “marino” o “primaverile” è stanziale, pescato in primavera ed inizio estate, di dimensioni crescenti da mare a monte, ma comunque di dimensioni ridotte rispetto alla anguilla del tipo “fiumano”.Processo di produzione: L’anguilla vive e cresce liberamente nell’acqua del Livenza, senza interventi di acquacoltura. Si ciba di invertebrati, crostacei, molluschi, anfibi, pesci e carogne di animali. L’intervento dell’uomo è limitato alla pesca che avviene solitamente con i “bertovelli”, che sono piccole reti a forma di sacco. Dopo la cattura i pesci vengono mantenuti e commercializzati vivi.UsiIl piatto caratteristico si ottiene con l’anguilla pescata a maggio per la preparazione conosciuta in tutto il bacino del Livenza, il “bisato coi amoi”, in cui il pesce viene cotto in umido con successiva aggiunta dei frutti acerbi del prugno selvatico. Il tipo “fiumano”, di dimensioni maggiori del “marino”, viene preferibilmente cotto “allo speo” (allo spiedo) soprattutto a Caorle, ma anche ai ferri, e nelle trattorie anche in “umido con amoi”.Reperibilità nel mercatoReperibile nell’area di produzione nel periodo biologicamente compatibile con la cattura dell’animale.Sinonimi e termini dialettaliAnguilla del Livenza, anguilla della Livenza; a Venezia “anguila”, “bisato”, “burateo”; a Chioggia: “bisato” o “buràtelo”; a Caorle:“bisato”, a S. Stino di Livenza: “bisàt”.

Lidrìc cul pòc

Appartenente alla famiglia delle composite, i tipi coltivati sono riconducibili, in massima parte, alla “Cicoria bionda di Trieste” od al “Grumolo biondo”.

Territorio interessato alla produzione: Pianura friulana.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa coltura segue solitamente un cereale autunno-vernino.Il seme, nella maggioranza dei casi, è autoprodotto in azienda. La semina si effettua nel mese di luglio, sia a spaglio che a file.

Cenni storici e curiositàInnumerevoli sono i riferimenti storici che testimoniano la tradizionale coltivazione di questa composita nella pianura friulana.Una citazione del lidrìc cul pòc si trova sull’edizione del 1974 de “Enciclopedia Monografica del Friuli Venezia Giulia” edita dall’Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia (Udine).

Ràti

Il ramolaccio o rafano è simile al ravanello, ma più grande e con sapore più intenso e piccante.

Territorio interessato alla produzione: Pianura friulana.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaViene coltivato preferibilmente in successione a colture da rinnovo potendo sfruttare la fertilità residua del terreno. L’epoca di semina varia in relazione alla lunghezza del ciclo colturale.Le cultivar precoci si seminano fra aprile e giugno e completano il ciclo in 50 giorni.

Cenni storici e curiositàUna segnalazione viene fatta da G.A. Pirona, E. Carletti e G.B. Corgnali nell’edizione del 1934 del “Vocabolario Friulano”.

Radicchio rosa di Sacile

Area di produzioneComune di Sacile (PN)

DescrizioneRadicchio a forma di rosa, di colore che va dal fuxsia al rosso rubino. si presenta sfuso in piccoli cespi con dimensioni che vanno dai 4 ai 7 cm.La sua principale caratteristica peculiare è di essere dolce al primo impatto, con un retrogusto lievemente amarognolo, e la sua fragrante croccantezza.Possiede elevate proprietà nutrizionali, diuretiche e digestive, e contiene un’elevata percentuale di magnesio, potassio, calcio, fosforo e vitamine.

ColtivazioneIl prodotto si semina a metà luglio a pieno campo, non subisce trattamenti chimici, durante la crescita il controllo delle malerbe avviene attraverso lavorazioni manuali. In pre-semina vengono impiegati concimi ammessi nella coltivazione biologica e prevalentemente di origine organica. Per la raccolta, si aspettano i primi di dicembre dopo che il prodotto abbia subito almeno una settimana di brinate: la pianta viene tolta dal terreno, pulita e raccolta in mazzi che poi vengono riposti a dimora in un letto caldo per 15 gg al buio.Una volta che il prodotto ha subito l’imbiancatura, esso è pronto per il consumo viene pulito a mano, lavato, messo in cassettine e commercializzato.

Zucchino giallo di Sacile

Area di produzioneComune di Sacile (PN)

DescrizioneLo Zucchino giallo di Sacile è il frutto di una selezione americana (Golden Kennedy) in onore al Presidente. Alla fine degli anno ’60 è stata poi selezionata da nostri agricoltori per uso familiare e poi per il commercio. Il frutto si mangia immaturo ad una lunghezza massima di 20 cm, presenta caratteristiche uniche: dolcissimo, digeribile e diuretico, antinfiammatorio, ricco di potassio, fosforo e vitamina A e C.

ColtivazioneIl prodotto si semina prima in semenzaio (serra) a fine marzo; il terreno viene prima lavorato e arricchito solo con concimi organici di origine biologica.A fine aprile, le piantine vengono messe a dimora in pieno campo; il controllo delle malerbe viene fatto con una pacciamatura di paglia e non vengono effettuati trattamenti chimici.

Fagiolo antico di San Quirino

Area diproduzione: Pianura di San Quirino in provincia di Pordenone

DescrizioneFagiolo di piccole dimensioni, di forma allungata, colore marroncino con un occhietto di colore marrone scuro.Varietà di fagiolo nano con produttività media.Periodo di maturazione: luglio.Il fagiolo viene coltivato in fila a postarelle con 4-5 semi per postarella a distanza di 10-15 cm. Prima della fioritura la pianta viene rincalzata per consentire l’irrigazione a scorrimento e per mantenerla più stabile contro gli eventi atmosferici.

Vellutata di asparago verde

La vellutata di asparago verde è una crema ottenuta dalla cottura con erbe aromatiche e spezie di asparago e trattamento finale in passatrice.

Territorio interessato alla produzione: La zona interessata alla produzione è la pedemontana pordenonese, in particolare quella tra la Val Cosa e la Valcellina.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaGli asparagi vengono ripetutamente lavati in acqua corrente, quindi sgocciolati e tagliati a piccoli pezzi. Questi ultimi vengono posti in una grande pentola e cucinati secondo la ricetta tradizionale.Dopo la cottura gli asparagi subiscono un trattamento nella passatrice con setaccio molto fine tanto da ottenere una crema omogenea.Con la vellutata così ottenuta si riempiono vasi in vetro e dopo aver aggiunto un sottile strato di olio di oliva, i vasi vengono chiusi.

Cenni storici e curiositàNell’area interessata era consuetudine andare alla ricerca e alla raccolta dei turioni, parte edibile dell’asparago. Nei greti dei torrenti quali il Cosa, il Cellina ed il Meduna, gli asparagi crescevano allo stato selvatico nelle lenti di sabbia tra le ghiaie e le pietre di ogni dimensione. In seguito, su piccoli fazzoletti di terra negli orti di casa, è iniziata la coltivazione.

Brovada (o broada)

Materia prima: vinacce, rape.

Tecnologia di preparazione: su un tino di legno si dispone uno strato di vinacce sul quale si adagia uno strato di rape non sbucciate e private delle foglie, a loro volta seguite da un altro strato di vinacce e poi di rape e così via fino a completo riempimento del tino, terminando con uno strato di vinacce. Si lascia fermentare per 3-4 mesi o quanto basta per portare a maturazione le rape. Al momento dell’uso si prelevano le rape dal tino e si tagliano sul “gratti”, uno speciale attrezzo che le riduce in striscioline come i crauti.

Maturazione: 4 mesi e più.

Area di produzione: Friuli.

Calendario di produzione: autunno.

Note: le rape vengono cotte per 4-6 ore a fuoco lento con un po’ d’olio senza aggiungere acqua, ma solo guanciale e “musetto”, la coppia fissa della tradizione gastronomica friulana. Non meno tradizionale è la brovada con i fagioli i quali, una volta lessati, vengono insaporiti con le rape precedentemente cotte. Nell’evidente impossibilità di quantificare per indagine diretta le rape destinate alla conservazione si è provveduto ad attribuire ad essa un 20% della produzione di rape stimata per il Friuli Venezia Giulia dall’Annuario Inea 1990.

Carline sott’olio

Materia prima: carlina (acaulis).

Tecnologia di preparazione: i ricettacoli dei capolini delle carline vengono mondati
e fatti bollire in acqua e aceto per alcuni minuti, si fanno asciugare per alcune ore, si
aromatizzano con aglio, pepe, sale, foglie di alloro o chiodi di garofano e invasettati
si ricoprono di olio chiudendo ermeticamente.

Maturazione: circa due mesi.

Area di produzione: nelle zone montane del paese.

Calendario di produzione: fine estate-autunno.

Note: la carlina che, secondo leggende popolari, fu indicata da un angelo a Carlo
Magno (da cui il nome) come rimedio contro la peste, è una pianta erbacea tipica
dei pascoli montani e delle radure dei boschi di castagno e dei terreni di brughiera.

Asparago verde in agrodolce

Gli asparagi verdi interi vengono conservati in vaso di vetro con acqua, aceto di vino, zucchero, sale e con aggiunta di spezie checonferiscono un caratteristico gusto ed aroma.

Territorio interessato alla produzione: La zona interessata alla produzione è la pedemontana pordenonese, in particolare quella tra la Val Cosa e la Valcellina.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaDopo la raccolta vengono scelti gli asparagi migliori per la trasformazione in agrodolce.Gli asparagi vengono ripetutamente lavati in acqua corrente, quindi sgocciolati e tagliati della misura per essere contenuti nei vasi. Le punte così preparate sono messe nei vasi a mano. I vasi vengono riempiti con il liquido di governo fino a completa copertura delle punte e chiusi.

Cenni storici e curiosità
Nell’area interessata era consuetudine andare alla ricerca e alla raccolta dei turioni, parte edibile dell’asparago. Nei greti dei torrenti quali il Cosa, il Cellina ed il Meduna, gli asparagi crescevano allo stato selvatico nelle lenti di sabbia tra le ghiaie e le pietre di ogni dimensione. In seguito, su piccoli fazzoletti di terra negli orti di casa, è iniziata la coltivazione.Il sistema di coltivazione era tradizionale: veniva eseguita un’aratura profonda ed una parte del terreno veniva tolta. Si poneva uno strato di fascine di legna, a garanzia di un sufficiente drenaggio, e nella terra riportata sopra, mescolata con letame maturo, venivano aperte delle fosse longitudinalmente al terreno. In questo strato soffice di terreno venivano adagiate le zampe di asparago. Il tutto era ricoperto lasciando, però, il terreno leggermente più basso per un rincalzo da fare l’anno successivo.Fin da quel momento si è cercato di risolvere il problema della conservazione del prelibato ortaggio per permetterne l’utilizzo in un’altra stagione.I metodi che venivano usati, per consentire la conservazione, almeno fino all’inverno, erano di tipo tradizionale e talvolta anche empirico. Ci si affidava a ricette che prevedevano, ad esempio, la conservazione in aceto o la conservazione come pezzi, più o meno grossi, cucinati e messi “sotto vetro”.Per la conservazione in aceto, si mettevano gli asparagi in vaso con acqua mista ad aceto di vino e si aggiungevano sale e spezie. I vasi, avvolti in stracci, venivano messi con tutte le precauzioni in un grande pentolone che era riempito d’acqua. Il fuoco della legna portava l’acqua ad ebollizione che veniva mantenuta, non troppo vivace, per mezz’ora circa, lasciando poi che il pentolone si raffreddasse da solo, lentamente.La famiglia Toneatti, prima, ed il titolare dell’azienda agricola, poi, sono riusciti con la tenacia tipica delle genti di quella zona a conservare antiche ricette. Quest’ultime sono state modificate e migliorate, adattando le metodiche di allora alle nuove tecnologie che permettono di ottenere risultati che conciliano brillantemente l’aspetto igienico della conservazione con il sapore ed il gusto.In particolare, nella preparazione dell’asparago verde in agrodolce, le variabili tempo/temperatura dell’autoclave sono state utilizzate in modo ottimale per lasciare ai turioni una serbevolezza e consistenza croccante tipica dei sott’aceto, da tutti riconosciuta e da sempre apprezzata. L’uso di particolari spezie, come la tradizione familiare Toneatti richiede, unitamente al tipo di salamoia usata, conferisce agli asparagi un gusto esclusivo.

Mela Zeuka, Zeuka, Seuka

Varietà di melo autoctona con frutti dalla pezzatura media e forma asimmetrica. Presenta una discreta produttività.

Territorio interessato alla produzione: Province di Udine e Pordenone, in particolare nelle Valli del Natisone (UD) e nel comprensorio di Castelnuovo del Friuli (PN).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione sommaria che consiste nella cernita e nella disposizione del prodotto in cassette. Il prodotto così confezionato è destinato esclusivamente al mercato locale.

Cenni storici e curiositàLa varietà deve ritenersi autoctona : il nome deriva da “Seuza”, frazione del comune di San Leonardo (UD), posto nel cuore delle Valli del Natisone. Alla fine del 1800 essa costituiva i due terzi della produzione melicola del Mandamento di Cividale – allora una delle più importanti zone frutticole del Friuli – ed assommava a 2.000 t/anno (Dorigo, 1909). Sebbene nel corso degli ultimi anni la coltivazione della Zeuka abbia subito una forte riduzione, dovuta principalmente alla diffusione delle nuove costituzioni straniere, essa costituisce tuttora la varietà di origine locale più diffusa in Friuli. La tecnica colturale è immutata, rispetto al passato, e fa affidamento a piante sparse, allevate in forme libere o a vaso, senza fare ricorso, generalmente, a trattamenti antiparassitari.

Pera Pêr Martìn

Area di produzioneGli alberi di Pêr Martìn sono presenti, di norma come piante singole o in filare, in un ampio territorio regionale, soprattutto in Carnia, ma anche nel Canal del Ferro (compresa la Val Resia e la Val Raccolana), in Val Canale e, sebbene in modo più sporadico, sulla montagna dell’Alto pordenonese.Sono interessati alla produzione della Pera Pêr Martìn agricoltori professionali e hobbisti delle province di Pordenone e Udine.

DescrizioneLa maggior parte dei dati relativi alla descrizione dell’albero e del frutto del Pêr Martìn sono tratti da una scheda inedita (a cura di Pietro Zandigiacomo) di prossima pubblicazione.Albero: Pianta di elevata vigoria e con portamento semiassurgente nella fase giovanile. La chioma diventa però di tipo globoso con rami procombenti nella fase adulta e di senescenza. Varietà molto lenta ad entrare in produzione, ma molto longeva. Le piante mature raggiungono altezze elevate e diametri del tronco notevoli (fino a 60 cm).Foglie e germogli: La pagina inferiore delle foglie e gli assi dei germogli presentano al germogliamento una tomentosità bianca molto evidente, indicando che questa varietà potrebbe appartenere alla specie Pyrus nivalis.Fiore: Fiori riuniti in corimbi, con numerosi stami dotati di grosse antere di colore rosso vivo.Frutto:- pezzatura: piccola (ca. 80 g)- forma: sferoidale, appiattita verso il calice (il calice è persistente)- peduncolo: lungo, dritto o leggermente ricurvo, inserito sul frutto verticalmente o leggermente obliquo- buccia: prima verdastra, poi – dopo l’ammezzimento – di colore marron cuoio- polpa: prima biancastra, di elevata consistenza e sapore tannico/astringente, poi marrone, morbida e dolce dopo l’ammezzimento in fruttaio- epoca di fioritura: mediotardiva- epoca di raccolta: fine ottobre-inizio novembre a seconda dell’altitudine- caratteristiche generali: varietà assai rustica (vegeta anche in vallate particolarmente fredde, ad es. in Val Resia e in Val Raccolana), interessante per i diversi usi tradizionali tuttora in atto; la produzione de singoli alberi è abbondante qualora regolarmente gestita con leggere potature ad anni alterni e con modeste concimazioni organiche. Non sono necessari interventi fitosanitari.

Il Pêr Martìn è un’antica varietà di pero che era diffusissima in tutta la fasci aprealpina e soprattutto alpina della regione Friuli Venezia Giulia, nonché nelle aree circostanti. Oggi gli alberi di questa varietà si trovano come piante isolate o in piccoli filari, negli orti delle abitazioni o al margine dei prati nei pressi degli stavoli. Si tratta per lo più di piante adulte, con produzione decrescente e/o incostante, perché in molti casi abbandonate o semiabbandonate.Per tradizione i frutti immaturi (non ammezziti) possono essere consumati cotti, quelli parzialmente ammezziti possono essere destinati alla produzione di succhi e, dopo la fermentazione in sidro, quelli ammezziti, invece, vengono destinati al consumo tal quali o, dopo essiccazione (al forno e/o all’aperto), alla produzione dei cosiddetti “persecs”, impiegati come componenti di dolci o dei tradizionali “cjarsons”. Inoltre, i panelli, derivanti dalla torchiature dei frutti nell’ambito della produzione del succo, e il sidro stesso possono essere utilizzati per produrre un tradizionale distillato di pere molto noto e apprezzato.

ColtivazioneLe tradizionali operazioni agronomiche, riferite per lo più a piccoli gruppi di piante di Pêr Martìn poste in aree prative nelle pertinenze di case e stavoli montani sono di seguito descritte.Produzione delle piante/astoni: piante di “selvatico” (derivanti da seme) vengono innestate a spacco con marze di Pêr Martìn a fine inverno, oppure a gemma dormiente a fine estate.Impianto: l’impianto si effettua in autunno oppure a fine inverno, quando il terreno non è ghiacciato o eccessivamente umido, utilizzando le piante innestate che hanno raggiunto una taglia appropriata. Le piante sono messe a dimora singolarmente o in fila con distanze fra una pianta e l’altra di almeno 4-5 metri.Potatura: le potature di allevamento, di norma molto leggere, portano alla costituzione della tradizionale forma assurgente a pieno vento. Anche le potature invernali di produzione, di norma, sono molto leggere. Non vengono effettuati interventi di diradamento dei frutti, anche perché le piante adulte raggiungono altezze elevate.Raccolta: la raccolta dei frutti verdi (ancora con polpa molto compatta) viene effettuata manualmente con l’utilizzo di lunghe pertiche per far cadere a terra i frutti dotati di buona resistenza agli urti. talora una persona sale sull’albero per scuotere i rami e far cadere i frutti. Raramente, sotto ciascun albero viene distribuito del fieno per attutire il danno (ammaccatura) da caduta dei frutti e impedire che gli stessi possano imbrattarsi di terra. I frutti vengono raccolti di norma a mano e movimentati con ceste e gerle.Conservazione: il frutto appena raccolto non viene utilizzato crudo, ma in taluni casi cotto. In generale, i frutti raccolti vengono selezionati per l’aspetto sanitario e vengono portati in locali freschi per l’ammezzimento a strato singolo su tavole o fieno. Periodicamente vengono effettuati dei controlli per eliminare i frutti con sintomi di marcescenza. I frutti parzialmente ammezziti (dopo alcuni giorni dalla raccolta) vengono avviati alla trasformazione in succo e, dopo fermentazione, nel tradizionale sidro di pere. completato l’ammezzimento, i frutti di migliore qualità possono essere avviati all’essiccazione nel forno e/o all’aperto per la produzione dei “persecs”.

Cenni storici e curiositàLa presenza di peri della varietà Pêr Martìn è attestata nella regione FVG da tempi molto antichi.Intorno al 1880, il Pêr Martìn (nominato come pere “Martini”) è presente in Carnia, come dimostrano due elenchi cartacei (Archivio privato) che illustrano le varietà di fruttiferi coltivate rispettivamente da Luigi De Cillia, di Siaio di treppo carnico, e da una famiglia Morassi di Cercivento (Molfetta, 1998).Lo stesso frutticoltore Luigi De Cillia presentò nel 1886 (il 23.10.1886) all’Esposizione permanente di frutta a Udine (organizzata dall’Associazione agraria friulana), frutti delle pere “Martino […] (da sidro)” (cv Pêr Martìn) meritando un “attestato di benemerenza” per la lunga e intelligente propaganda fatta in Carnia a favore della frutticoltura (Commissione per la frutticoltura, 1886).Nelle diverse aree della Carnia, i frutti di Pêr Martìn sono ancora ben conosciuti, legati soprattutto alla produzione di sidro e di distillati assieme ai frutti di altre varietà di pere tipicamente da sidro (es. Martinòns, Masonduj, Scjafoàcs, Salvadôrs, Baldi e altre). La distilleria del cav. Elio Cortolezzis di Treppo Carnico (chiusa nel 1977) era celebre per il suo distillato di pere prodotto con frutti delle varietà Pêr Martìn e Scjafoàcs (Molfetta, 1998).Alberi di pero della varietà Pêr Martìn sono stati identificati nel corso delle ricerche della Comunità montana della carnia sulle antiche varietà di fruttiferi che hanno condotto alla realizzazione del campo catalogo di Enemonzo (Sulli, 1988). Alberi annosi di Pêr Martìn vegetano in molte aree della Carnia, quali Paularo (Zandigiacomo, 1998), Treppo carnico (Pellegrini, 1998) e Verzegnis (F. Sulli, com. pers.).Gli alberi di Pêr Martìn sono ancora ben diffusi in altre aree montane del FVG: nel Canal del Ferro, dove la varietà è nota come Pêr/ Peruç di San Michêl e Clôce, e in Valcanale ove invece viene chiamata con un termine “tedesco”, Loze o Lotze (Governatori, 1992; Adduca, 1998; Zandigiacomo, 2014).In particolare, in Val Resia, ove alberi annosi sono ancora presenti anche accanto agli stavoli in quota (I. Pielich, com. pers.), i frutti sono denominati “te mìke rùske” (ovvero “piccole pere”) e, per tradizione, venivano utilizzati per produrre sidro (Longhino, 1988). La buona produzione di frutti (soprattutto di “Pêr Martìn”) da utilizzare per il sidro, è documentata dalla presenza di diverse strutture, comprensive di frantoio, torchio e di altre attrezzature, in Valle, ad esempio a Pòdklànaz e a Tàpod Làson (Longhino, 1988; Adduca, 1998).Infine, i peri della varietà Pêr Martìn sono noti anche nelle aree montane slovene a ridosso del confine con l’Italia. In questo caso, sono denominati Tepka; i frutti sono tipicamente utilizzati per la produzione di sidro. Già alla fine dell’Ottocento, in una relazione del prof. Carlo Mader (1898) si rendeva noto che alberi della varietà Tepka (“varietà locale”) erano presenti nella Valle superiore dell’Isonzo e Val d’Idria. Successivamente, in un articolo sulla frutticoltura del “Goriziano” (inteso come una vasta area che, nel primo dopoguerra, comprendeva molti territori a nord-est di Gorizia, compresa l’Alta Valle dell’Isonzo e la Valle del Vipacco) si ricorda, fra le varietà di pere coltivate “nella regione montana”, “una varietà locale, la Tepca” (Vallig, 1925). In particolare, il Pêr Martìn sembra corrispondere alla varietà attualmente denominata “Črna tepka” (ovvero “Tepka nera”), rappresentata e descritta sulle pagine di un recente manuale (AA. VV., s.d.). Questa varietà da sidro sembra essere diffusa anche in altre aree della slovenia ed in Austria (Carinzia e Stiria).In generale, è possibile che la varietà Pêr Martìn sia un’entità policlonale; in ogni caso i frutti sono tipici e tradizionalmente utilizzati per prodotti particolari (dal sidro e distillati ai “persecs”).

Persicata

Materia prima: pesche.

Tecnologia di lavorazione: le pesche ben mature, tenere di polpa, si immergono in acqua bollente per qualche minuto. Si sbucciano, si toglie l’osso e si riducono in purea con il passaverdure o altri attrezzi. La purea raccolta si porta ad ebollizione. Si aggiunge lo zucchero lasciando bollire ancora per 10-15 minuti. Si toglie il recipiente dal fuoco versando la purea di pesche su teglie bassissime foderate di carta oleata o stagnola, per uno spessore di un paio di centimetri. Si lascia asciugare il tutto per circa 24-48 ore o all’aria o a una fonte di debole calore. Una volta asciutta la persicata si taglia a pezzi e si cosparge di zucchero semolato.

Maturazione:

Area di produzione: Friuli, Trentino, Venezia Giulia, Lombardia e qualche altra regione.

Calendario di produzione: estate.

Note: é una variante della cotognata. Sembra che responsabile dell’abbandono di questa tradizione sia l’introduzione di pesche altamente selezionate, più ricche d’acqua che di fattori extranutrizionali, le quali non consentono una conservazione ottimale.

Castagna di Mezzomonte

Area di produzionezona prealpina dell’alta pianura pordenonese

DescrizioneFrutto pezzatura: medio-grossa (h =28,4 mm, l =35,1 mm, sp = 21 mm, peso medio = 11,6 g). Forma: tendenzialmente ellittica con apice poco appuntito e base arrotondata. Pericarpo: di colore marroncino-avana, percorso da striature più scure, evidenti, ma più distanziate rispetto al Marrone Striato.Cicatrice ilare: di medie dimensione (h = 11,3 mm, l = 23 mm).Seme: episperma: poco aderente, non penetra in profondità nel seme; solcature: rare; plurispermia: assente.

Raccolta e lavorazioneLe lavorazioni atte alla raccolta hanno inizio alla metà di settembre con lo sfalcio del cotico erboso del castagneto. Il fieno che ne deriva viene poi raccolto e ammassato in grossi mucchi in disparte al fine di ottenere una superficie di raccolta sotto i castagni il più uniforme possibile. Con i primi giorni di ottobre inizia la cascola dei ricci bacati dagli insetti carpofagi, che vengono destinati alla distruzione con la bruciatura degli stessi. La raccolta da terra del prodotto (castagne) viene fatta attraverso l’utilizzo di appositi attrezzi manuali moderni e con l’uso di tradizionali ceste in vimini e sacchi di juta.Il raccolto viene poi selezionato in un locale apposito per eliminare i frutti non idonei e infine disposto in locali freschi, aerati e lontano dalla luce diretta del sole, nei quali il prodotto viene rigirato quotidianamente grazie all’uso di rastrelli e di tradizionali sessole di legno. Inoltre, settimanalmente viene effettuata una veloce pulizia del sottobosco per eliminare i ricci vuoti, mentre, a fine stagione, si procede ad una più accurata ripulitura.

Cenni storici e curiositàIl nome di questa cultivar, e quindi quello del relativo frutto (castagna), deriva dalla frazione di Mezzomonte di Polcenigo, indicando la sua antica presenza in zona e il suo forte legame con il territorio. Al pari di altre varietà coltivate nella stessa zona, ha trovato ottimali condizioni pedoclimatiche nella fascia prealpina in esame, grazie all’adeguata altitudine, alla buona esposizione al sole e al terreno sub-acido, fattori che permettono alle piante di castagno di vegetare in modo ottimale e di fornire buone produzioni sia in termini quantitativi che qualitativi. La presenza del castagno nel passato risultò molto importante per le popolazioni della zona, le quali trovarono nei frutti una importante fonte di amidi, grassi, proteine, sali minerali e vitamine, tanto che le castagne e i marronifurono designati con l’appellativo di “pane dei poveri”, dati i loro molteplici impieghi compresa la trasformazione in farina. Al giorno d’oggi questa pratica in loco è ormai caduta in disuso.Le importanti dimensioni di alcuni castagni ultracentenari, le testimonianze orali degli anziani, le fotografie storiche, la toponomastica e le fonti bibliografiche antiche (a partire dal XIII secolo) (Fadelli, 2014), confermano la coltivazione secolare del castagno nelle zone prealpine del Friuli occidentale.Sono ancora vive nella memoria degli anziani di Mezzomonte e dintorni le persone, soprattutto donne, che fin dopo la seconda guerra mondiale scendevano al piano con le castagne e i marroni che venivano venduti o barattati con fagioli, farina di mais o di frumento (Fadelli, 2014).Le tecniche di allevamento del castagno, tramandate di generazione in generazione, si stanno lentamente modificando, grazie all’utilizzo della piccola meccanizzazione, rendendo così meno gravoso il duro lavoro dei produttori nelle varie fasi di lavorazione.L’importanza storica della castanicoltura nella pedemontana Pordenonese è attestata dalla tradizionale “Sagra della Castagna di Mezzomonte”, a Ottobre, che nel 2016 è giunta alla 31° edizione.

Marrone striato del Landre

Area di produzioneGli esemplari di questa varietà di castagno sono diffusi sotto forma di popolamenti quasi puri o di singoli alberi soprattutto nel comune di Polcenigo (PN), in particolare nella Valle del Landre e a Mezzomonte. Se ne trovano però anche nei comuni limitrofi di Caneva e Budoia, grazie probabilmente agli scambi di materiale d’innesto avvenuti in passato. Sono presenti per lo più in una fascia altitudinale compresa fra 250 e 400 m s.l.m.

DescrizioneAlbero Vigore: medio. Portamento: eretto-espanso con chioma ombrelliforme.Corteccia del tronco: profondamente solcata longitudinalmente.Rami: internodi lunghi, corteccia liscia di colore verde scuro con fini costolature più pronunciate nel terzo distale del ramo; lenticelle piuttosto serrate e di dimensioni variabili; gemme di forma subconica e di colore verde-giallastro.Foglie: lanceolate, medio-grandi (l = 18 cm, l = 6,5 cm) con base a graffa, apice appuntito, margine seghettato, dentatura piuttosto serrata, con i rispettivi denti che si prolungano in un corto filamento; lembo ondulato, pagina superiore verde scura, mentre quella inferiore più chiara, con tomentosità ridotta e nervature molto evidenti; picciolo medio-corto. Epoca germogliamento: intermedia, I decade di maggio.
FruttoPezzatura: medio-grossa (h = 29,5 mm, l = 35,5 mm, sp = 22,9 mm, peso medio = 14 g), uno o due frutti per riccio, raramente tre. Forma: ellittico-rotonda, con apice appuntito e base arrotondata leggermente concava. Pericarpo: di colore marrone scuro con striature più scure e alquanto distanziate tra loro. Cicatrice ilare: di grandi dimensioni (h = 12,5 mm, l =23 mm)Seme: episperma: abbastanza spesso, aderente; solcature: penetrano nella massa cotiledonare; plurispermia: assente.

Coltivazione e LavorazioneLe lavorazioni atte alla raccolta hanno inizio alla metà di settembre con lo sfalcio del cotico erboso del castagneto. Il fieno che ne deriva viene poi raccolto e ammassato in grossi mucchi in disparte al fine di ottenere una superficie di raccolta sotto i castagni il più uniforme possibile. Con i primi giorni di ottobre inizia la cascola dei ricci bacati dagli insetti carpofagi, che vengono destinati alla distruzione con la bruciatura degli stessi. La raccolta da terra del prodotto (marroni) viene fatta attraverso l’utilizzo di appositi attrezzi manuali moderni e con l’uso di tradizionali ceste in vimini e sacchi di juta. Il raccolto viene poi selezionato in un locale apposito per eliminare i frutti non idonei e infine disposto in locali freschi, aerati e lontano dalla luce diretta del sole, nei quali il prodotto viene rigirato quotidianamente grazie all’uso di rastrelli e di tradizionali sessole di legno. Inoltre, settimanalmente viene effettuata una veloce pulizia del sottobosco per eliminare i ricci vuoti, mentre, a fine stagione, si procede ad una più accurata ripulitura.

Cenni storici e curiositàIl nome di questa cultivar, e quindi quello del relativo frutto (marrone), deriva dalla valle del Landre a Mezzomonte di Polcenigo, indicando la sua antica presenza in zona e il suo forte legame con il territorio. Al pari di altre varietà coltivate nella stessa zona, ha trovato ottimali condizioni pedoclimatiche nella fascia prealpina in esame, grazie all’adeguata altitudine, alla buona esposizione al sole e al terreno sub-acido, fattori che permettono alle piante di castagno di vegetare in modo ottimale e di fornire buone produzioni sia in termini quantitativi che qualitativi. La presenza del castagno nel passato risultò molto importante per le popolazioni della zona, le quali trovarono nei frutti una importante fonte di amidi, grassi, proteine, sali minerali e vitamine, tanto che le castagne e i marroni furono designati con l’appellativo di “pane dei poveri”, dati i loro molteplici impieghi compresa la trasformazione in farina. Al giorno d’oggi questa pratica in loco è ormai caduta in disuso.Le importanti dimensioni di alcuni castagni ultracentenari, le testimonianze orali degli anziani, le fotografie storiche, la toponomastica e le fonti bibliografiche antiche (a partire dal XIII secolo) (Fadelli, 2014), confermano la coltivazione secolare del castagno nelle zone prealpine del Friuli occidentale.Sono ancora vive nella memoria degli anziani di Mezzomonte e dintorni le persone, soprattutto donne, che fin dopo la seconda guerra mondiale scendevano al piano con le castagne e i marroni che venivano venduti o barattati con fagioli, farina di mais o di frumento (Fadelli, 2014).Le tecniche di allevamento del castagno, tramandate di generazione in generazione, si stanno lentamente modificando, grazie all’utilizzo della piccola meccanizzazione, rendendo così meno gravoso il duro lavoro dei produttori nelle varie fasi di lavorazione.L’importanza storica della castanicoltura nella pedemontana Pordenonese è attestata dalla tradizionale “Sagra della Castagna di Mezzomonte”, a Ottobre, che nel 2016 è giunta alla 31° edizione.

Savor

Materia prima: mosto d’uva, mele cotogne, pere, fichi e zucca.

Tecnologia di lavorazione: al mosto si aggiungono le mele cotogne, i fichi, la zucca, le pere, talvolta anche le scorze d’arancio, senza aggiungere zucchero. Si lascia bollire fino a completa evaporazione dell’acqua, si conserva per anni nei vasi di vetro riposti al riparo dalla luce in luogo fresco.

Maturazione:

Area di produzione: Emilia Romagna, Veneto, Friuli e altre parti d’Italia con diverse varietà di frutta e di gusti. A Bologna e in altre aree emiliane ne esiste una versione semplificata senza scorze d’arancio, senza fichi e persino senza zucca.

Calendario di produzione: tutto l’autunno, periodo della vendemmia.

Note: il “savor” é la base dei tortelli di castagne e delle crostate familiari del modenese. Un tempo la conserva veniva fatta essiccare, al pari della cotognata, e conservata in scatole di latta. Si racconta che per neutralizzare i sali di rame provenienti dal recipiente di cottura – di solito il paiuolo di rame – le massaie ci mettessero una noce. Al gesto gli antropologi attribuiscono un valore apotropaico. Tradizionalmente il savor veniva utilizzato per accompagnare ogni tipo di bollito compresi cotechino e zamponi. Nelle altre regioni d’Italia era (ed é) ingrediente fondamentale di alcune preparazioni dolciarie.

Colaz

Dolce a forma di ciambella a base di farina di frumento, burro e zucchero. Si può presentare in diverse varianti.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine e Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaPreparare un impasto di farina di frumento (1 kg), burro (0,5 kg) e zucchero (0,2 kg) con un pizzico di sale e di cremor tartaro. Una volta che l’impasto è stato ben lavorato si formano ciambelle che vanno cotte a fuoco lento in forno non molto caldo. Si possono usare anche melassa e pepe garofalato che danno al biscotto un colore scuro e un sapore piccante.

Cenni storici e curiositàLa descrizione del processo di fabbricazione e le dosi sono tratte da una pubblicazione dell’Accademia Italiana della Cucina che, circa 10 anni or sono, ha raccolto ricette tradizionali inviate dalle delegazioni provinciali dell’Accademia stessa.Nella tradizione friulana i colaz erano dolci che si regalavano ai cresimandi e, al termine delle sedute, ai consiglieri comunali.

Sclopit o Erba di Sileno

È la Silene vulgaris Garcke (silene rigonfia), una caryophyllacea i cui nomi italiani sono anche bubbolini, strigoli, verzini, mentre in friulano è pure detta grisulò o sgrisulò e i suoi germogli, apprezzati in cucina, sono chiamati jerbucis.

Pianta erbacea perenne che predilige luoghi incolti, ha foglie ovate-lanceolate, fiori con calice rigonfio e reticolato e corolla a petali bianchi, raramente rosa. Il frutto è una capsula.
I germogli (2-3 paia di foglie sommitali) si raccolgono prima che la pianta fiorisca e solitamente si consumano cotti. Ne risultano gustose frittate, delicati risotti o gnocchetti, ottime minestre.

Le è stato attribuito il nome di Silene per il suo calice gonfio come il ventre del dio greco Sileno, compagno di Bacco.

Fonte: Cibario del Friuli Venezia Giulia – Atlante dei prodotti della tradizione – ERSA, 2002.

Ônt – Burro fuso di malga

Il burro ottenuto dalla crema di affioramento, viene cotto e lasciato a riposo ottenendo un prodotto che ha un leggero gusto di cotto e si può conservare a lungo a bassa temperatura.

Territorio interessato alla produzione: Area alpina del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl burro ottenuto dalla crema di affioramento, sottoprodotto della lavorazione del formaggio di malga, viene portato all’ebollizione e cotto fino alla completa scomparsa della schiuma che si forma fin dall’inizio del riscaldamento. La massa fusa viene poi lasciata a riposo per permettere la deposizione di un corpo di fondo che viene separato ed eliminato.

Cenni storici e curiositàTutte le persone anziane intervistate ricordano la pratica della fusione del burro da usare come condimento nei periodi in cui la maggior parte delle vacche erano in asciutta e, proprio perché questa usanza era comune nelle famiglie degli agricoltori e dei malgari ed il burro fuso era di uso familiare, non vi sono note a stampa su questo argomento.

Friuli Grave DOC

Zona di produzione: la fascia centrale del Friuli, attraversato dal fiume Tagliamento, in 59 comuni della provincia di Udine e in 35 della provincia di Pordenone. Sono da considerarsi idonei unicamente i vigneti ubicati in terreni prevalentemente ghiaiosi o sabbioso-argillosi, sono da escludere quelli umidi o freschi, di risorgiva.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Acidita’ totale minima: 5 per mille.

Tipologie: Cabernet, Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Chardonnay, Merlot, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Refosco dal peduncolo rosso, Riesling renano, Rosato, Sauvignon, Tocai friulano, Traminer aromatico, Verduzzo friulano

Miele millefiori della montagna friulana

Si presenta con colore che varia dal bianco-beige molto chiaro a beige scuro. Di norma ha un odore delicato e un sapore normalmente dolce.

Territorio interessato alla produzione: Si produce nelle aree montane del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. Per sfruttare le prime fioriture dei prati polifiti gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, controllo della sciamatura) per mantenere famiglie numerose.Le fioriture utilizzate per l’ottenimento di miele millefiori di montagna si svolgono fra la prima decade di maggio e fine luglio nella fascia compresa fra i 600 e i 1000 m s.l.m. e dalla prima decade di giugno a fine luglio oltre i 1000 m. s.l.m.; successivamente le fioriture sono molto più scarse, per cui il raccolto viene lasciato alle api per costituire le scorte invernali. La abbondante presenza di prati in fiore in alcune aree viene tradizionalmente sfruttata anche da alcuni apicoltori che operano il “nomadismo”.

Cenni storici e curiosità
Il miele millefiori di montagna deve la sua tipicità al gusto delicato, allo stato fisico (per lo più cristallizzato) e al colore (beige più o meno chiaro). Poiché il miele è poliflorale (deriva dal nettare di numerose piante), lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto ciò dipende dalle caratteristiche vegetazionali delle diverse zone e dall’epoca di smelatura.Il miele millefiori viene prodotto per lunga tradizione dagli apicoltori delle aree montane della regione Friuli Venezia Giulia, ivi costituendo da sempre il principale, e in molti casi l’unico, prodotto dell’apicoltura. L’apicoltura, nell’ambito delle attività agricole, veniva tenuta in gran conto anche nell’Ottocento, se la ritroviamo come argomento delle “Lezioni” (“Lezione xxxviii, Delle api o pecchie”) tenute dall’abate Leonardo Morassi nella “Scuola domenicale di Monajo e Zovello” in Carnia (Morassi, 1861).Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione complessiva di miele millefiori della provincia di Udine (ovvero miele “non caratterizzato”, prodotto dalla pianura alla montagna), rappresentava circa il 60% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).

Miele millefiori della pianura friulana

Se prodotto nella prima parte della primavera è tendenzialmente chiaro dato dal nettare di tarassaco; se prodotto nella prima estate è di color ambra per del nettare di acacia; se prodotto da luglio in poi è color ambra scuro per la melata.

Territorio interessato alla produzione: Si produce nelle aree di pianura e di bassa collina del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno.La fioritura utilizzata per la produzione di questo miele si svolge dai primi di aprile alla fine di luglio, raramente più tardi. Il maltempo (piogge persistenti, siccità) può incidere fortemente sulla produzione. Le fonti nettarifere di questo miele vengono sfruttate quasi esclusivamente dagli apicoltori con apiari stanziali.

Cenni storici e curiosità
Il miele millefiori della pianura friulana deve la sua tipicità al gusto, talora deciso, e al colore (beige chiaro se primaverile e ambra più o meno scuro se tardo estivo). Poiché il miele è poliflorale (deriva dal nettare di numerose piante), lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto ciò dipende dalle caratteristiche vegetazionali delle diverse zone e dall’epoca di smelatura.Il miele millefiori di pianura viene prodotto per lunga tradizione dagli apicoltori della pianura friulana. Un tempo rappresentava il principale prodotto dell’apicoltura.Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione complessiva di miele millefiori della provincia di Udine (ovvero miele “non caratterizzato”, prodotto dalla pianura alla montagna), rappresentava circa il 60% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).

Miele friulano di acacia

Ha odore molto delicato con un profumo che ricorda la pera cotta. Il sapore è molto dolce con una connotazione di frutta cotta.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venzia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di acacia gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, controllo della sciamatura) per mantenere famiglie numerose.La fioritura dell’acacia, che in ogni area si svolge per 10-15 giorni, inizia nella prima decade di maggio nella Bassa pianura friulana, e poi procede via via verso settentrione: si conclude comunque entro la prima decade di giugno nelle località a maggiore altitudine.

Cenni storici e curiosità
Solo sul Carso triestino il miele di acacia può presentare anche le caratteristiche organolettiche derivate dal nettare del ciliegio canino o ciliegio di S. Lucia (Prunus mahaleb), pianta arbustiva che in queste zone fiorisce prima dell’acacia; in zone limitate di pianura, invece, può in parte mescolarsi con il nettare di amorfa (Amorpha fruticosa), pianta arbustiva che fiorisce subito dopo l’acacia. Il miele di acacia viene utilizzato tradizionalmente nella preparazione di molti dolci locali tipici (es. gubana di Cividale); un uso tradizionale è anche quello di somministrarlo, alle persone affette da malattie da raffreddamento, nel latte caldo assieme a un po’ di grappa.Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione di miele di acacia della provincia di Udine rappresentavano circa il 67% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).Da una ricerca relativa al 1998 risulta che nella sola provincia di Udine il miele di acacia rappresenta circa il 30% della PLV relativa al miele.

Miele friulano di castagno

Miele di colore ambra chiaro se puro, con colorazioni scure quando è mescolato con la melata con un sapore amaro, persistente.

Territorio interessato alla produzione: Province di Pordenone e Udine

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodottoLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno.Il castagno condivide talora gli stessi habitat del tiglio e le due piante hanno fioritura pressoché contemporanea. La fioritura si svolge fra la prima decade di giugno e la prima decade di luglio. La abbondante presenza di castagno in alcune aree viene tradizionalmente sfruttata anche da numerosi apicoltori che operano il “nomadismo”.

Cenni storici e curiositàIl miele di castagno deve la sua tipicità al gusto particolare (amaro), allo stato fisico (liquido) e al colore (ambrato più o meno scuro). Poiché il miele non sempre è monoflorale (talora deriva oltre che dal nettare di castagno anche da quello di tiglio), lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto in assenza di tiglio si ottiene un miele amaro, scuro e liquido, mentre in presenza di tiglio si ottiene un miele più dolce e chiaro con tendenza alla cristallizzazione. Anche quando è mescolato con la melata perde in parte la sua connotazione amara assumendo un gusto più caramellato.Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione di miele di castagno della provincia di Udine, rappresentavano circa il 18% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).Da una ricerca relativa al 1998 risulta che nella sola provincia di Udine il miele di castagno-tiglio rappresenta circa il 23% della PLV relativa al miele (Celegon, 2000).

Miele friulano di tarassaco

Si presenta di colore giallo con riflessi ambrati. Ha un odore molto intenso e pungente.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine, Gorizia e Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodottoLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di tarassaco gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, riunione di famiglie) per ottenere famiglie numerose a inizio primavera.
La fioritura utilizzata per la produzione di questo miele si svolge per tutto il mese di aprile e talvolta anche nella prima metà di maggio. Il maltempo (piogge persistenti, siccità) può incidere fortemente sulla produzione; questa fonte nettarifera non viene sfruttata da apicoltori che operano il “nomadismo”.

Cenni storici e curiosità
Il miele di tarassaco deve la sua tipicità al colore giallo crema, al gusto particolare (pungente e vegetale) e allo stato fisico (solido-cremoso) che lo rende facilmente spalmabile. I mieli di tarassaco in genere vengono raccolti prima dell’inizio della fioritura di Robinia pseudoacacia, per evitare che il loro aromatico nettare provochi il deprezzamento del miele di acacia. Lo standard qualitativo è abbastanza costante nelle diverse aree dove viene prodotto e nelle diverse annate, in quanto il tarassaco è la principale specie vegetale in fioritura nel periodo che presenta un buon potenziale nettarifero. Talvolta il miele di tarassaco può mescolarsi con quello di salice e di fruttiferi; in questi casi il miele si presenta meno pungente all’olfatto, più dolce e con un colore beige chiaro.Il miele di tarassaco viene prodotto per lunga tradizione da molti apicoltori della pianura friulana su appezzamenti destinati alla produzione agricola (Frilli et al., 1984). Il tarassaco (Taraxacum officinale) è una delle piante che in regione dà le maggiori quantità di miele “caratterizzato” (Simonetti et al., 1989).Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione di miele di tarassaco della provincia di Udine rappresentava l’1,2% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).

Miele friulano di rododendro

Area di produzioneIl miele friulano di rododendro si produce in un territorio ben circoscritto relativo alle aree montane vocate nelle province di Pordenone e Udine (Alpi e Prealpi Carniche e Giulie) ove, nella fascia subalpina, sono diffusi vasti arbusteti a rododendro o rodoreti (Rhododendron spp.). Le due specie di rododendro presenti sulle montagne friulane sono il rododendro ferrugineo o rosa delle Alpi (Rhododendron ferrugineum) su sostrati acidi (spesso associati ai mirtilli e all’ontano verde), ed il rododendro irsuto o rododendro peloso (Rhododendron hirsutum) su suoli carbonatici (spesso associati al cosiddetto rododendro nano o Rhodothamnus chamaecistus e al pino mugo. Sono interessati alla produzione di miele friulano di rododendro gli apicoltori delle province di Pordenone e Udine.

DescrizioneIl Miele Friulano di Rododendro deriva principalmente dal nettare di rododendro (Rhododendron spp.), ovvero di dododendro ferrugineo e rosa delle Alpi (Rhododendron ferrugineum) e di rododendro irsuto o rododendro peloso (Rhododendron hirsutum) che vegetano nella fascia subalpina delle Alpi friulane ad altitudini di norma comprese fra gli 800 e i 2000 metri.Le principali piante (alcune tipiche di praterie d’altitudine, di brughiere e di arbusteti alpini), le cui fioriture vengono utilizzate dalle api nell’area in esame, sono in ordine di fioritura: Rubus idaeus, Rhododendron hirsutum, Rhododendron ferrugineum, Satureja montanas.l., varie Umbelliferae (es. Carum carvi), Myosotis alpestris, Epilobium angustifolium, Cirsium eriophorum e varie altre (Simonetti et al., 1989).Il colore del miele allo stato liquido è da incolore a giallo chiaro/paglierino, mentre allo stato cristallizzato il colore varia dal bianco al beige chiaro). La cristallizzazione avviene spontaneamente in modo più o meno rapido, in quanto il nettare è ricco di saccarosio; si forma una massa compatta con cristalli sottili oppure pastosa con cristalli grossi. L’aroma è di debole intensità, delicato e leggermenre fruttato; il sapore è normalmente dolce, fine, poco persistente. Talora l’aroma e il sapore sono più intensi e ricchi per la presenza di altre componenti, quale il nettare di lampone che conferisce toni decisamente floreali e fruttati.Dal punto di vista melissopalinologico, nel Miele Friulano di Rododendro sono presenti principalmente pollini di Rhododendron (di norma polline iporappresentato), Rubus f., Lotus, Compositae forma T., Castanea, Trifolium repens gr., Papaver, Myosotis, Umbelliferae, Salix, Rumex, Plantago, Graminaceae, Campanula e vari altri (Grillenzoni et al., 2003). In particolare, l’origine botanica è caratterizzata principalmente dalla presenza di polline di Rhododendron, Umbelliferae, Trifolium repens gr., Salix, Rubus (lampone) e Myosotis (nontiscordardimè). Talora, per avverse condizioni meteorologiche durante l’estate (piogge frequenti, abbassamento prolungato delle temperature, estati calde e secche) che impediscono la raccolta prevalente del nettare di rododendro; il nettare prelevato in quota dà origine a mieli millefiori di alta montagna o milei millefiori con prevalenza di lampone (miele di lampone).Il miele friulano di rododendro viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite, per lo più da 250 g e più raramente da 500 g.

Il Miele Friulano di Rododendro deve la sua tipicità al gusto molto lieve, allo stato fisico (cristallizzato) e al colore molto chiaro. Il miele di rododendro in purezza monoflorale è piuttosto raro in tutto l’arco alpino italiano e non solo in Friuli Venezia Giulia. Invece, il miele di rododendro di norma deriva dal nettare di numerose piante montane associate al rododendro, e pertanto lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto ciò dipende dalle caratteristiche vegetazionali delle differenti zone e dall’andamento meteorologico stagionale, che condizionano l’entità delle fioriture e la produzione di nettare delle diverse piante.Il Miele Friulano di Rododendro è molto apprezzato per le sue caratteristiche organolettiche e per il fatto che viene prodotto in zone incontaminate di alta montagna.Il Miele Friulano di Rododendro viene utilizzato per lo più come miele da tavola, spalmato su fette di pane o su fette biscottate oppure come dolcificante nelle tisane.

Allevamento e lavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del miele friulano di rododendro, gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose ed attuano il nomadismo, spostando le famiglie dalla pianura o dal fondo valle alle aree altomontane, in particolare in quelle con abbondanza di rodoreti e servite da strade o piste forestali facilmente agibili.Le fioriture utilizzate per la produzione di questo miele si svolgono di solito da metà giugno a fine luglio. L’andamento meteorologico stagionale (es. estate piovosa e fredda, oppure eccessivamente calda e secca) può incidere fortemente sulle produzioni.Dopo la fine del raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Sucecssivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciao inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate.Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere il miele friulano di rododendro si effettua una smelatura in epoca appropriata (es. primi di agosto).

Cenni storici e curiositàIl Miele Friulano di Rododendro è un tipico miele prodotto in tutte le regioni dell’arco alpino, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia; occasionali produzioni si osservano anche in limitate aree dell’Appennino settentrionale.Il Miele Friulano di Rododendro è prodotto per tradizione ultratrentennale da un limitato contingente di apicoltori (poco più di una decina) della regione che operano il nomadismo estivo in alta montagna.Dal censimento del 1981-82 sull’apicoltura nella provincia di Udine, era risultato che la produzione di miele di rododendro, pur esigua, rappresentava un prodotto caratteristico della montagna friulana (Frilli et al., 1984). Alcuni apicoltori che allora dichiararono la produzione di miele di rododendro gestivano apiari collocati in quota nei comuni di Forni Avoltri, Ravascletto, Sauris e Arta Terme.Successivamente, nei lavori di Simonetti e Barbattini (1987) e di Simonetti et al. (1989), il valore apistico delle principali piante nettarifere e pollinifere presenti nella fascia subalpina è stato ampiamente sottolineato.Le informazioni raccolte presso alcuni apicoltori regionali delle province di Udine e Pordenone con lunga esperienza, riferiscono la pratica del nomadismo in varie aree alpine della regione al fine di produrre miele di rododendro e comunque il ricercato miele millefiori di alta montagna. Sono considerate, fra le altre, come aree vocate a questa produzione quelle dei prati e pascoli di Malga Moraretto e Monte Fleons (Comune di Forni Avoltri), Malga Montute di Mezzo (Comune di Ligosullo), Malga Lodin alto e Malga Dimòn (Comune di Paularo), Malga Mediana e altre Malghe di Sauris (Comune di Sauris) (compresa l’area di Casera Razzo), malghe del Monte Crostis (Comuni di Comeglians e di Ravascletto), Monte Tenchia (Comune di Cercivento), Piani di Montasio (Comune di Chiusaforte), nonché Casera Valine (Monte Raut, Comune di Frisanco) e Casera Teglara (Monte Valcalda, Comune di Tramonti di Sotto).In un articolo del 2002 sui diversi mieli prodotti in Friuli Venezia Giulia, si fa esplicito riferimento al “Miele di rododendro” prodotto in Carnia nella zona di Paularo (Gazziola, 2002). Relativamente alla stessa area (Canale di Incarojo) è nota la produzione tradizionale di Miele di rododendro (Poggetti e Zandigiacomo, 2013).Un altro articolo sull’apicoltura e la flora apistica di montagna ricorda per il FVG il tipico Miele di rododendro (Greatti e Barbattini, 2008).Oltre alla documentazione precedente al 1991 relativa a questa produzione in regione, si è proceduto a raccogliere la dichiarazione (in forma di autocertificazione) di un apicoltore che afferma di avere prodotto questo particolare tipo di miele, sempre prima del 1991, nelle aree di Malga Ombladet di sotto e di malga Moraretto in comune di Forni Avoltri (UD): mauro D’Agaro, Martignacco (UD) (classe 1957).

Miele friulano di ailanto

Area diproduzione: Il Miele friulano di Ailanto si produce per lo più in varie aree della Pianura Friulana nelle provincie di Pordenone e Udine, ma anche nel Goriziano e nel Triestino, ove sono diffusi i popolamenti naturali più fitti di Ailanto o Albero del Paradiso (Ailanthus altissima). Sono interessati alla produzione di Miele friulano di Ailanto gli apicoltori delle province di Pordenone, Udine, e in parte quelle di Gorizia e Trieste. In alcune aree il nettare di Ailanto va a costituire, assieme a quello di altre piante locali (arboree ed erbacee), mieli millefiori.

DescrizioneII Miele monoflorale di Ailanto, deriva dal nettare della pianta arborea nota come Ailanto o Albero del Paradiso (Ailanthus altissima, famiglia Simaroubaceae).Le caratteristiche del miele sono di seguito riportate.Stato Fisico. Il Miele friulano di Ailanto si presenta liquido, ma con il tempo (alcuni mesi dopo la raccolta) tende a cristallizzare.Colore. Il colore è ambra quando il miele è liquido, e ambra chiaro quando cristallizza. Odore/Aroma. L’aroma, di media intensità, ricorda i funghi secchi e i frutti freschi. Sapore. Il sapore, relativamente marcato, talora persistente, ricorda l’uva moscata e il thè alla pesca. In bocca il miele è mediamente dolce.Dal punto di vista melissopalinologico nel Miele friulano di Ailanto sono presenti pollini di piante entomogame, quali Trifolium repens, Rubus, Amorpha, Robinia, Clematis, Parthenocissus, nonché pollini di piante anemogame, quali Papaver, Filipendula, Plantago, Actinidia. Non infrequente è la presenza di polline di Castanea sativa.Il Miele friulano di Ailanto viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite per lo più da 250 g e da 500 g.

Allevamento e LavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del Miele friulano di Ailanto gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose e attuano anche il nomadismo, spostando le famiglie in determinate aree di pianura, in particolare in quelle con abbondanza di popolamenti di Ailanto.La raccolta della Miele friulano di Ailanto per la produzione di questo miele si svolge di solito in giugno, dopo la fioritura dell’acacia (Robina pseudoacacia L.) e quasi contemporaneamente a quella dell’amorfa (Amorpha fruticosa L.) del tiglio (Tilia spp.). L’andamento meteorologico stagionale (es. estate piovosa, oppure eccessivamente calda e secca) può incidere fortemente sulle produzioni. Dopo la fine del raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Successivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciaio inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate. Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere il Miele friulano di Ailanto si effettua una smelatura in epoca appropriata a seconda delle località (es. ai primi di luglio).

Cenni storici e curiositàL’Ailanto è una pianta decidua, nativa dell’Asia orientale, importata come pianta ornamentale alla fine del ’700 in Europa. È naturalizzata in tutta Italia e in altri Paesi europei. È presente anche negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda.L’Ailanto è stato coltivato nell’800 (anche in Italia e in Friuli) per l’allevamento del lepidottero chiamato Bombice dell’Ailanto (Samya cynthia Drury), il cui bruco, prima di trasformarsi in crisalide, produce un grosso bozzolo da cui si può ricavare una particolare seta. Il primo imprenditore friulano a coltivare l’Ailanto e ad allevare il Bombice fu il cav. Guglielmo Ritter intorno al 1860 a Straccis,quartiere di Gorizia (Anonimo, 1861).I fiori dell’Ailanto, piccoli e giallo-verdastri, compaiono dopo le foglie e sono riuniti in grappoli pendenti. I fiori possono essere solo maschili, solo femminili o anche ermafroditi; spesso i fiori maschili e femminili sono presenti su individui diversi (piante dioiche).Il Miele monofloreale di Ailanto viene prodotto in molte regioni italiane (Mieli d’Italia, sd.), in quanto la pianta che fornisce il nettare risulta ampiamente diffusa nella Penisola ed è in forte aumento.Molti mieli di Ailanto sono stati premiati al Concorso nazionale “Grandi Mieli d’Italia – Tre Gocce d’Oro” che si svolge annualmente a Castel San Pietro Terme (BO). I campioni di miele vengono analizzati da laboratori specializzati e poi valutati dal punto di vista organolettico da giurie composte da esperti iscritti all’Albo nazionale degli assaggiatori.L’Ailanto è ampiamente diffuso in molte aree del Friuli e tende ancora a diffondersi e ad aumentare la sua densità, formando talora popolamenti assai densi.In un volume pubblicato nel 1982, l’Ailanto viene inserito fra gli alberi e gli arbusti del Carso (Mezzena, 1982).Secondo l’Atlante corologico delle piante vascolari del Friuli Venezia Giulia del 1991, Ailanthus altissima è diffuso in buona parte della pianura friulana (Alta e Bassa), sul Carso isontino e triestino, nell’area dell’anfiteatro morenico, e risale il fondovalle di alcune aste torrentizie delle Prealpi Carniche e Giulie (Poldini, 1991) fino a quote di 700-800 m. s.l.m.; in particolare è presente su 31 “aree di base” del reticolo considerato

Miele friulano di melata di abete

Area di produzione:Il Miele friulano di melata di abete si produce in un territorio ben definito relativo alle aree montane vocate nelle province di Pordenone e Udine (Alpi e Prealpi Carniche e Giulie) ove sono diffusi i popolamenti naturali e d’impianto di abete rosso o peccio (Picea abies) e di abete bianco (Abies alba).Sono interessati alla produzione di Miele friulano di melata di abete gli apicoltori delle province di Pordenone e soprattutto di Udine.

DescrizioneII Miele friulano di melata di abete deriva principalmente dalla melata prodotta da insetti fitomizi (per lo più afidi dei generi Cinara e cocciniglie del genere Physokermes), che si nutrono su abete rosso (Picea abies) e/o su abete bianco (Abies alba) (Battisti et al., 2013).Le caratteristiche del Miele friulano di melata di abete sono di seguito riportate:Stato fisico. Il Miele di melata è molto vischioso e resta a lungo liquido (solo raramente cristallizza).Colore. Il colore va da ambra scuro ad ambra molto scuro, talvolta con riflessi rossastri (quando deriva principalmente da melata raccolta su abete rosso) o verdastri (quando deriva principalmente da melata raccolta su abete bianco).Odore/Aroma. L’aroma, piuttosto deciso, è balsamico, resinoso, di affumicato, di camino spento, con toni di caramello e di dolce cotto.Sapore. Il sapore è piuttosto resinoso, di malto, talora leggermente amaro. In bocca il miele è poco dolce.Di norma il Miele friulano di melata di abete presenta un tenore di acqua ridotto (circa 15 g/100 g) rispetto ad altri mieli.Dal punto di vista melissopalinologico nel Miele friulano di melata di abete sono presenti pollini di piante entomogame, quali Rubus, Trifolium repens, Umbelliferae, Clematis e Tilia, nonché pollini di piante anemogame quali Papaver e Acer. Frequente o molto frequente è anche il polline di Castanea sativa. Contiene anche elementi tipici di melata (es. ife e spore fungine, talora lieviti). Il rapporto fra gli indicatori di melata (IM) e i pollini di piante nettarifere (P) è maggiore di 3.Il Miele friulano di melata di abete viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite per lo più da 250 g e da 500 g.

Allevamento e lavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del Miele di melata di abete gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose e attuano anche il nomadismo, spostando le famiglie dalla pianura o dal fondo valle alle aree montane, in particolare in quelle con abbondanza di abeti e servite da strade o piste forestali facilmente agibili.La raccolta della melata di abete per la produzione di questo miele si svolge di solito da metà giugno a metà luglio per quanto riguarda la melata di abete rosso, da metà luglio a metà agosto per quanto riguarda la melata di abete bianco. L’andamento meteorologico stagionale (es. estate piovosa e fredda, oppure eccessivamente calda e secca) può incidere fortemente sulle produzioni.Dopo la fine del raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Successivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciaio inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate.Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere il Miele friulano di melata di abete si effettua una smelatura in epoca appropriata a seconda delle località (es. entro fine luglio per quanto riguarda la melata di abete rosso). La raccolta della melata di abete bianco, che avviene da metà luglio a metà agosto, spesso non dà luogo alla produzione del relativo miele, poiché molti apicoltori hanno già tolto i melari dalle arnie per iniziare i necessari trattamenti contro la Varroa.

Cenni storici e curiositàIl Miele di melata di abete è un tipico miele di melata prodotto in tutte le regioni dell’Arco alpino dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia, e dell’Appennino settentrionale, sporadicamente viene prodotto anche in alcune aree delle regioni centro-meridionali della Penisola (Mieli d’Italia, s.d.)Le due conifere forestali (abete rosso e abete bianco) su cui le api raccolgono la melata prodotta da insetti fitomizi sono molto diffuse nel territorio montano del Friuli Venezia Giulia (Figg. 3 e 4). La prima tende a formare popolamenti puri nelle aree più interne, anche tendenzialmente aride, e alle quote più elevate, mentre la seconda (mescolandosi con il faggio e l’abete rosso), prevale generalmente nelle zone più fresche e umide a elevata fertilità stazionale (Perini, 2002).

Sciroppo di piccoli frutti

Bevanda di consistenza sciropposa, prodotta con lamponi, ribes nero, ribes rosso o mirtilli.

Territorio interessato alla produzione: Viene prodotto nell fascia collinare e montana della regione.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura1. Pulitura dei piccoli frutti/bacche.2. Schiacciatura e macerazione.3. Spremitura con torchio per ricavare il succo.4. Filtrazione del succo.5. Bollitura del succo con lo zucchero.6. Imbottigliamento del succo in bottiglie di vetro.

Cenni storici e curiositàDa sempre le popolazioni di montagna hanno raccolto, trasformato e conservato (ora sempre con meno frequenza) i frutti spontanei per ottenere prodotti idonei all’integrazione alimentare durante le lunghe stagioni invernali.

Patatis cojonariis

I tuberi sono di piccole dimensioni con buccia sottile; utilizzati per la cottura di norma interi senza sbucciatura, si caratterizzano per il leggero sapore di nocciola.

Territorio interessato alla produzione: Province di Udine, Pordenone e Gorizia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe Patatis Cojonariis vengono coltivate per lo più in orti familiari, in piccoli o piccolissimi appezzamenti. Si avvantaggiano dei terreni di medio impasto, freschi, a pH sub acido, che non subiscono l’aridità estiva.
La tecnica colturale tradizionale prevede le seguenti operazioni effettuate con attrezzi manuali: concimazione organica e/o minerale, preparazione del terreno di semina, piantagione, leggera rincalzatura, zappettatura (contro le malerbe), concimazione di copertura, eventuale irrigazione di soccorso, eventuali trattamenti antiparassitari, raccolta.

Cenni storici e curiositàLa coltivazione delle Patatis cojonariis in molte località della regione risale a tempi remoti. Moltissime persone anziane si ricordano tuttora perfettamente questa particolare varietà di patata (già ampiamente coltivata a livello familiare fra le due guerre), per le non comuni qualità organolettiche, associandola per lo più allo spezzettino.I pochi produttori-agricoltori che ancora coltivano questa varietà locale, scarsamente produttiva dal punto di vista quantitativo, dichiarano di voler proseguire con questa tradizionale coltura per le caratteristiche qualitative non comuni dei tuberi e per le richieste di un non trascurabile numero di appassionati.Negli anni immediatamente successivi al 1980, nell’ambito di iniziative coordinate dalla Provincia di Udine per lo sviluppo della montagna (es. incentivazione della coltivazione di piccoli frutti e di ortaggi), questa varietà fu coltivata con successo nella Piana di Cavazzo Carnico (UD) e negli orti familiari di Forni di Sopra (UD) (Costantini, com. pers.).L’origine di questa varietà di patata non è nota con sicurezza. Affinità notevoli si possono riscontrare con la varietà di patata piemontese denominata con vari nomi, quali “Patata del bur”, “Patata del bec” (in quanto allungata e ricurva), “Trifulot del bür” o “Ratin” (questa varietà di patata è già stata inserita fra i prodotti agroalimentari tradizionali della regione Piemonte).

Fico, Figo Mòro

E’ un fico nero caratterizzato da forma molto allungato rispetto al comune e da polpa tenera, sapida e notevolmente più dolce rispetto alle altre specie note.

Territorio interessato alla produzione: Le province di Pordenone e di Treviso (per piccolissima parte). In particolare il comune di Caneva ed il comune di Cordignano.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaE’ il punto più delicato dell’intero ciclo, va eseguita meticolosamente ed assolutamente a mano, pezzo per pezzo, staccando l’intero picciolo, e non rovinando in qualsiasi modo la buccia, sulla quale la presenza di una sola rottura in lunghezza che cicatrizza spontaneamente (sui fioroni) ne garantisce l’esatta maturazione.

Cenni storici e curiositàLa coltivazione del fico nero, localmente chiamato Figomoro, è diffusa nel comune di Caneva da tempi remoti, come dimostrano numerose testimonianze. Le principali note storiche della sua presenza, si ritrovano dal 1400 circa sui primi documenti di vendite, affittanze o doti, che erano solite accompagnare i primi atti notarili ritrovabili, ma già dalla nascita della città di Caneva (1139) per certo se ne ha nota. Dal XIV° al XIX° secolo e successivamente fino a qualche decennio fa, la sua esistenza era nota nella Serenissima Repubblica Veneta, nel Bellunese e nel Patavino, quando è citato nei documenti come “frutto speciale che i porta da Caneva”.

Cipolla rosa della Val Cosa, Cipolla rosa di Castelnovo del Friuli e Cavasso Nuovo

Cipolla dalla colorazione rosa accentuato, è particolarmente apprezzata per il sapore dolce e scarsamente piccante.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio della Val Cosa, in provincia di Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La tecnica di coltivazione in campo è riconducibile alle metodiche usualmente impiegate per le cipolle a giorno lungo. La raccolta è effettuata manualmente con l’ausilio di semplici attrezzature.

Cenni storici e curiosità
Da testimonianze locali emerge che, durante la prima metà del secolo scorso, la cipolla rosa era venduta nell’ambito dei mercati rionali di alcuni comuni della Val Cosa, da cui deriva appunto l’attuale denominazione attribuita al prodotto. Nel comune di Castelnovo del Friuli, in particolare, si ha memoria di personaggi femminili, note comerivendicules des semences, che si erano specializzate nella produzione del seme della cipolla rosa, oltre che di altre colture, dalla cui vendita ricavavano il guadagno per il proprio sostentamento.

Castagna marrone di Vito d’Asio

Castagna dall’elevata pezzatura e dalla buona produttività, risulta indicata sia per il consumo fresco, sia per l’industria alimentare.

Territorio interessato alla produzione: Fascia prealpina della provincia di Pordenone, ad un’altitudine variabile tra 350 e 400 metri sul livello del mare. La produzione, è concentrata, in particolare, nei comuni di Vito d’Asio, Forgaria, Clauzetto e Castelnuovo del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La raccolta viene effettuata manualmente, previo sfalcio del prato, con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione sommaria che consiste nella cernita e nella disposizione del prodotto in cassette.

Cenni storici e curiosità
La varietà, ne fa fede la denominazione, è originaria del territorio di Vito d’Asio, ove il castagno – come in altre zone caratterizzate da terreni acidi nelle Alpi – costituiva un importante apporto amilaceo alla dieta delle popolazioni locali. Le imponenti dimensioni di molti alberi testimoniano la loro età avanzata, sicuramente ultracentenaria. La tecnica colturale è immutata, rispetto al passato, e fa affidamento a piante sparse, allevate in forme libere ai bordi del bosco e nei prati.

Cavolo broccolo (di castelnovo del friuli, di orzano, di muez di remugnano)

Brassicacea a ciclo biennale largamente coltivata nella nostra regione fin dall’800.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Castelnovo del Friuli e Comuni limitrofi della Val Cosa; Comune di Orzano, località Remanzacco; Comune di Reana del Rojale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La tecnica di coltivazione è riconducibile a quella solitamente adottata per le brassicacee a ciclo autunno- vernino. La raccolta è effettuata manualmente, con l’ausilio di semplici attrezzature, prelevando dalla pianta le foglie più tenere non ancora soggette a lignificazione e il germoglio apicale. Il prodotto si consuma a breve distanza dalla raccolta, previa lessatura ed è dotato di marcate proprietà medicamentose e rinfrescanti per l’apparato digerente.

Cenni storici e curiosità
Testimonianze locali attestano che il Cavolo broccolo è un prodotto orticolo che è stato largamente coltivato in passato; lo storico Prof. Gianni Colledani, con particolare riferimento al territorio della Val Cosa in provincia di Pordenone, asserisce che il Cavolo broccolo è stato coltivato in loco per tutto l’800 e il ‘900. Si tramanda ancora il ricordo che esso è stato determinante per superare i famigerati “ anni della fame”, che ruotavano intorno al 1817, quando, raccontano, avevano mercato persino i sorci campagnoli. Alcune persone anziane continuano tuttora a riprodurre ed utilizzare il seme prodotto in loco. Il Cavolo broccolo friulano è un prodotto invernale e se ne consiglia l’utilizzo a partire dal tardo autunno, dopo essere stato soggetto alle prime gelate che contribuiscono a rendere più teneri i tessuti.

Miele friulano di amorfa

Miele friulano di Amorpha fruticosa

Territorio interessato alla produzione: Si produce in varie aree della pianura friulana e in ambito collinare, principalmente lungo il greto di fiumi e torrenti colonizzati da cespuglietti di Amorpha fruticosa.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di amorfa, gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura) per mantenere le famiglie numerose.

Cenni storici e curiosità
Il miele di amorfa deve la sua tipicità al gusto particolare, allo stato fisico (liquido o cristallizzato) ed al colore aranciato/rosato. Poiché è monoflorale (deriva in massima parte dal nettare di una sola pianta), lo standard qualitativo è abbastanza costante anno dopo anno e nelle diverse aree ove viene prodotto. Talora può in parte mescolarsi con quello che deriva dal nettare di acacia (Robinia pseudoacacia), pianta arborea che fiorisce subito prima dell’amorfa.Il Miele di amorfa viene utilizzato spalmato su fette di pane o su fette biscottate oppure come dolcificante nelle tisane.Il miele di amorfa viene prodotto per tradizione circa trentennale da diverse decine di apicoltori della regione, in aree di pianura e collina. Le informazioni raccolte presso gli apicoltori regionali con lunga esperienza, riferiscono che una delle prime aree ove già nella prima metà degli anni ’80 del secolo scorso era possibile produrre in abbondanza miele monoflorale di amorfa è quella del corso del torrente Torre a est di Udine (in questa area Amorpha fruticosa è attualmente assai diffusa, con estesi cespuglieti quasi puri).

Biscotto Pordenone

Il biscotto viene preparato con farina di grano duro, farina di mais, mandorle grezze che gli conferiscono il caratteristico sapore.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Pordenone.

Cenni storici e curiositàNel 1950 i coniugi Marisa e Riccardo Barison inaugurano la “Pasticceria Moderna” in viale Martelli a Pordenone e fin dall’inizio propongono, tra tutti gli altri mignon, un biscotto rustico da colazione, la cui ricetta era già presente in un ricettario del signor Riccardo Barison risalente agli inizi degli anni ’40.Nel 1988, i sigg. Barison cessavano l’attività di pasticceria e caffetteria, cedendo poi le autorizzazioni alla Gelateria Montereale.Una ricetta molto vicina a quella dei Barison compare nel 1978 e nella ristampa del 1980 del volume “Cucinare Benissimo” della Fabbri Editori, sotto il nome di “Torta Sbrisuluna”.Nel volume “Dolci all’Italiana – La Buona Tavola” della Rizzoli Libri SPA del 1986,vi è una ricetta similare per ingredienti e metodiche, sotto il nome di “Sbrisolona”.La famiglia Martin, titolare della Gelateria Pasticceria Montereale di Pordenone, a partire dal 1996 ripropone il biscotto, con piccole varianti ingredientistiche e di dimensione, alla clientela pordenonese.Nel Dicembre 2001 viene depositato il marchio “Biscotto Pordenone”.

Caprino stagionato, caprino invecchiato, vecjo di cjavre

Formaggio caprino a pasta dura.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaQuesto formaggio si ottiene dalla lavorazione di latte caprino crudo o termizzato con l’aggiunta di fermenti, preferibilmente selezionati in azienda, oppure con lattoinnesto.

Cenni storici e curiositàL’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare; il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe assieme al latte delle bovine.Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del Dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e fauna, I Marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che iniziò a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.

Pitina (sinonimi: peta, petuzza)

Carne di selvaggina tritata e impastata con sale, pepe, finocchio selvatico o altre erbe, pressata e quindi fatta affumicare.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Pordenonese, più precisamente Val Tramontina, Valcellina, Val Colvera; in particolare il territorio dei comuni di Claut, Cimolais, Andreis, Barcis, Montereale Valcellina, Frisanco, Tramonti di Sopra e di Sotto, Meduno.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa carne viene triturata finemente (un tempo con il “manarin”, mannaia da macellaio, nella “pestedoria”, ceppo di legno con un incavo; oggi più spesso con il tritacarne elettrico) e insaporita con la concia, secondo la ricetta tradizionale che può anche variare da località a località e da famiglia a famiglia. La confezione può quindi avvenire in tre diverse modalità: si formano, a mano o con l’ausilio di stampi di legno, polpette tonde, di 10-12 cm di diametro e 3-4 cm di spessore, del peso di 200-250 grammi. Tali polpette vengono pressate, passate nella farina di mais, quindi posizionate nell’affumicatoio dove restano per 3-4 giorni, esposte ad un fumo controllato di legna di faggio (vengono aggiunti rami di ginepro per conferire il caratteristico profumo). L’impasto viene steso, con uno spessore di circa 2 cm, su una tela di etamina (che ha sostituito la tela juta dei sacchi che si usavano un tempo). La tela viene quindi ripiegata sull’impasto, che ne risulta avvolto; pressato per espellere l’aria, il “sacco” (contenente una mattonella di peta di circa 20 x 20 centimetri) viene cucito sui lati e posto nell’affumicatoio.Ad Andreis, in alternativa ai due sistemi precedenti, l’impasto viene insaccato nel budello di manzo; la peta si presenta quindi come un salame (20 cm di lunghezza, 4-5 cm di diametro) che viene appeso nell’affumicatoio.

Cenni storici e curiositàEsistono ricerche effettuate da anonimi e citazioni in diversi libri che parlano della Valcellina, in particolare: Sergio Giordani “Claut”, 1981.

Pestât

Si tratta di un insaccato composto da tutti i profumi dell’orto, che dopo vengono mescolati del lardo macinato della regione dorsale del maiale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaNel corso delle macellazioni sui suini viene tenuto da parte il lardo della parte dorsale del maiale, viene tolta la cotica e privato della parte grassa molle e ridotto in striscioline che vengono lasciate al fresco prima di essere macinate con una granulometria simile a quella dei tradizionali salami.

Cenni storici e curiositàNel corso della manifestazione denominata Fieste dal Purcitar, tenuta a Fagagna in occasione del Santo Patrono dei Norcini (San Antonio Abate), è stato possibile intervistare norcini di Fagagna e della zona raccogliendo le ricette un tempo realizzate e che continuano ad essere utilizzate nelle normali macellazioni della zona. Queste tradizioni si tramandano da più di 100 anni nelle abitudini locali.

Pestadice

Si tratta di un insaccato molto particolare fatto dalla pasta del comune salame a cui vengono mescolati, in quantità variabile, ciccioli di maiale.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaAlla normale pasta di salame vengono mescolati i ciccioli di maiale, cotti e ben strizzati, nella proporzione di circa il 50%.Dopo aver mescolato accuratamente l’impasto si procede alla insaccatura nelle normali budella da salame. Anche in questo caso si forano le budella per favorire lo sgrondo dei liquidi in eccesso.

Cenni storici e curiositàNel corso della manifestazione denominata Fieste dal Purcitar tenuta a Fagagna (Ud) in occasione del Santo Patrono dei Norcini (San Antonio Abate), nell’occasione della formazione dell’Albo dei Norcini, è stato possibile intervistare norcini di Fagagna e della zona raccogliendo le ricette un tempo realizzate e che continuano ad essere utilizzate nelle normali macellazioni della zona. Queste tradizioni si tramandano da più di 100 anni nelle abitudini locali.

Grappe alle erbe ed ai piccoli frutti

Grappe aromatizzate ottenute dall’infusione di una o più piante officinali o piccoli frutti lasciati macerare in grappa di vinaccia.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio montano del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe piante officinali, raccolte al “momento balsamico” e dopo attenta pulitura, vengono messe in infusione nella grappa di vinaccia ed eventualmente edulcorate con zucchero, per un tempo variabile dai 15 ai 30 giorni in ambiente caldo; per alcuni preparati i recipientii vengono esposti al sole. Trascorso questo periodo, si passa alla successiva fase di conservazione durante la quale il prodotto è mantenuto per altri 15/30 giorni in ambiente fresco e buio. Trascorso questo periodo, il prodotto ottenuto viene filtrato ed imbottigliato.

Cenni storici e curiositàDalle informazioni assunte nelle vallate della Carnia, intervistando diverse persone anche di una certa età, è emerso che l’aromatizzazione della grappa con diverse piante officinali e con i piccoli frutti è radicata nella cultura popolare, da tempo immemorabile.