Grana Padano DOP

Materia prima: latte di due mungiture, di cui una scremata per affioramento o centrifugazione. Alimentazione: erba verde e mangimi in primavera-estate; insilati, fieno e mangimi in autunno-inverno.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a 32-35 gradi, aggiungendovi siero-innesto più caglio liquido. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata (a dimensione di chicco di mais) si aggiunge dello zafferano e si cuoce in due fasi: prima a 45 gradi, si spurga e poi si riscalda fino a 55 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta con tele, previa eliminazione di gran parte del siero, e messa in mastelli di legno a spurgare per trenta minuti. Si deposita poi nelle fascere e si sottopone a pressione per 8-10 ore. La salatura si effettua a secco, ad intervalli di due giorni per 15 giorni, oppure in salamoia per 30-40 (tipo lombardo) o 15-20 giorni (tipo emiliano). Matura in circa 60 giorni, durante i quali le forme vengono periodicamente unte con olio di lino. Resa 7%. Additivi: formaldeide, nei limiti consentiti dalla legge.

Stagionatura: da 12 mesi fino a tre anni. Resa 6%.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 16-20; diametro: cm 40-45; peso: Kg 35-40; forma: cilindrica; crosta: dura, spessa, di colore giallo scuro; pasta: granulosa, a volte umida e attaccaticcia, di colore giallo chiaro.

Area di produzione: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, nelle provincie definite dal Decreto 30.10.1955 numero 1269.

Calendario di produzione: tutto l’anno, nelle sorti maggengo (primavera-estate) e invernengo (autunno-inverno).

Note: il Consorzio di tutela nasce il 18.6.1954. Da testimonianze del XIV secolo si deduce che la tecnica migliore per produrre il grana fosse appannaggio di Piacenza e dei piacentini. Benvenuto da Imola annotava che gli esperti mercanti, durante i loro lunghi viaggi per mare, si rifornivano di grana piacentino perché “più serbevole e resistente a tutte le malattie”. Il primo documento che parla di questo formaggio risale al 1184, mentre le prime fabbriche di formaggio detto “di grana” si localizzarono all’epoca del XII secolo nel quadrilatero compreso tra il Po, il Ticino, l’Adda e la latitudine di Milano. Dai ritagli delle forme del grana si ottiene il cosiddetto “tosello”, che consiste in fettuccine quasi gommose, di colore grigio paglierino tenue, dal gusto leggermente salato. I caseifici lo regalano, in quanto non ha mercato. Si consumava un tempo come “complimento” ammorbidito sulle fette di polenta abbrustolite sulle braci. Altro sottoprodotto del Grana è il “balon”, ossia formaggio grana mal riuscito, con sapore molto piccante provocato da particolari alterazioni fermentative. La maggior parte dei “balon” viene rilavorata per ottenere vari formaggi molli industriali o formaggi fusi. Va citato infine il “formaggio nisso”, costituito da Grana o formaggelle di montagna andate a male. In alcuni casi si accelerava il processo di fermentazione lasciandolo al sole spalmato di olio. E’ ricercato dai bevitori ed ha un gusto molto piccante. Nel Cremonese viene chiamato “tara”, ma è conosciuto, prodotto e consumato soprattutto in Emilia, nel Piacentino, in una quantità stimata di circa 50 quintali annui.

Taleggio DOP

Materia prima: latte intero.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte, solitamente crudo, a 30-36 gradi, aggiungendovi latte fermento selezionato più caglio liquido di vitello. Coagula in 20-25 minuti. Dopo la rottura della cagliata svolta in due fasi (a dimensione di guscio di nocciola), con intervallo e sosta finale di 5-10 minuti, la massa viene estratta e sistemata nelle fascere, o in teli per favorire lo spurgo. Si effettua poi la stufatura in locali a 22-25 gradi e umidità del 90% in cui le forme vengono spesso rigirate, per 18 ore. La salatura si effettua tolte le fascere, a secco o per bagno in salamoia, in locali a 10°C. Matura in 4-7 giorni, durante i quali le forme vengono rigirate e spolverate.

Stagionatura: da 25 a 50 giorni, in ambiente a temperatura di 4-6 gradi e umidità 85-90%. Durante questo periodo, le forme vengono ripulite e infine avvolte in carta pergamenata. Resa 13%.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 4-7; lato: cm. 20-25; peso: Kg 1,7-2,2; forma: quadrangolare; crosta: sottile, morbida, asciutta, giallognola o rosata; pasta: molle, un po’ filante, con leggera occhiatura, di colore paglierino; sapore: burroso, tendente al piccante con l’invecchiamento.

Area di produzione: province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Milano, Pavia. Sono comprese inoltre la provincia di Novara in Piemonte e la provincia di Treviso in Veneto.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: i maggiori produttori si sono costituiti in Consorzio che si è dotato di un marchio, ed ha compiti di vigilanza. (Decreto ministero Agricoltura e foreste e Industria del 13.1.1981 G.U. n. 89 del 31.3.1981). Originariamente compreso tra i formaggi tipici – producibile ovunque purché con norme leali – è stato riclassificato a denominazione d’origine con Dpr del 15.9.1988. Sono molto rinomate le forme stagionate nelle grotte naturali della Valsassina.

Asiago DOP

Materia prima: latte ottenuto da due mungiture, di cui una scremata per affioramento, da razza Pezzata nera (60%) e Bruno-alpina (40%).

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a circa 35 gradi, aggiungendovi caglio in polvere o liquido previa addizione, se necessario, di innesto-fermento. Coagula in 20-30 minuti. Dopo la rottura della cagliata effettuata con lo “spino” o con la “lira” (a dimensione di un chicco di riso o di frumento) si cuoce in due fasi: una prima a 40 gradi e una seconda arrivando fino a 47 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene lasciata riposare nel siero e quindi estratta e posta in fascere di legno, sostituite poi con altre in plastica per imprimere il marchio Doc. La salatura si effettua a secco sulle forme o per bagno in salamoia per alcuni giorni. Matura in 90 giorni, in ambiente a 17 gradi circa e 80% di umidità, dove le forme vengono girate ogni 3-4 giorni, unte con appositi oli una volta a settimana, spazzollate una volta al mese.

Stagionatura: 6-12 mesi fino a 2 anni circa. Resa 7-7,5%.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 9-12; diametro: cm. 30-36; peso: Kg. 8-12; forma: cilindrica; crosta: appena 3-4 mm., liscia e regolare; pasta: compatta, con occhiatura di piccola e media grandezza, colore leggermente paglierino; granulosa, a spaccatura concoide e colore paglierino, se la stagionatura ha superato l’anno. Sapore: leggermente piccante se ben stagionato. Grasso: 34% minimo.

Area di produzione: provincia di Vicenza, due zone del padovano (i comuni adiacenti alla provincia di Vicenza e fra Carmignano di Brenta e Rovolon) e del Trevigiano (la fascia collinare e sud-collinare fra il Piave ed il Vicentino). Comprende anche la provincia di Trento.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: si hanno notizie risalenti al Medioevo, circa la produzione casearia sull’Altipiano di Asiago. Il formaggio quivi ottenuto, fino al XIX secolo, era chiamato “pecorino” (“pegorin” ). La fabbricazione dell’Asiago (prevalente, alla fine del secolo scorso, sull’altopiano omonimo) a poco a poco si estese sulla parte pedemontana, nelle zone di pianura ed anche nelle vicine malghe trentine. E’ detto “di allevo” perché la stagionatura ne costituisce un vero e proprio allevamento. E’ detto “mezzano” o “Asiago mezzano” quando è di almeno 6 mesi; è “Asiago vecchio” quando ha superato l’anno di età; è “Asiago stravecchio” verso i due anni di età. Riconosciuto Doc con Dpr del 21.12.1978.

Latteria

Materia prima: latte intero (a bassa acidità).

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione e pulitura meccanica a circa 38 gradi, aggiungendovi latte-innesto e/o siero-innesto e/o fermenti selezionati più caglio liquido di vitello. Coagula in 18-20 minuti. Dopo la rottura della cagliata, di solito svolta in due fasi con sosta intermedia di 15 minuti circa (a dimensione di guscio di noce o nocciola), si lascia riposare per una prima estrazione del siero, quindi si cuoce a 42 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene raccolta su tela, sistemata in fascera e pressata per circa 30 minuti. La salatura si effettua per bagno in salamoia al 16-18% per 48 ore oppure al 18-20% per 24 ore. Matura in 15-60 giorni, in ambiente a 5-10 gradi e umidità 85-90%, dove le forme vengono girate e raschiate o spazzolate all’occorrenza. Resa 11-12%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 6-8; diametro: cm. 30-32; peso: Kg. 5,5-6; forma: cilindrica; crosta: liscia, sottile, bianca o paglierina; pasta: tenera con leggera occhiatura, bianca o leggermente paglierina. Sapore: dolce, con varie tonalità, a seconda dei fermenti usati.

Area di produzione: provincia di Treviso (ove si produce la maggior quantità) e di Belluno.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: formaggio di recente diffusione, a lavorazione semi-industriale. Quello prodotto in provincia di Belluno si divide in tre categorie organoletticamente differenti a seconda del tipo di fermenti usati:
– di sapore dolce aromatico, con fermenti termofili;
– di sapore dolce di latte, con fermenti mesofili;
– di sapore dolce piatto, con miscela di fermenti mesofili e termofili.
Vi vengono anche attribuite denominazioni complementari, che richiamano nomi di località appartenenti alla zona di produzione.

Casalina

Materia prima: latte intero, con alto grado di acidità (fino a 5,8 sh).

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 38 gradi, aggiungendovi latte-innesto acidificato e/o siero-innesto più caglio liquido. Coagula in 3 minuti. Dopo la rottura della cagliata effettuata a più riprese, con due o tre soste (a dimensione di una nocciolina) si spurga, si estrae il siero e si cuoce a 45 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta e messa nelle fascere. Tempo totale di lavorazione: 50 minuti. La salatura si effettua a secco sulle forme, fino ad assorbimento. Matura in 48 ore, in ambiente e umidità 85%, dove le forme vengono regolarmente girate.

Stagionatura: facoltativa fino a 2 mesi circa, in ambiente a 8-10 gradi, sempre umido. Resa 9,5%.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 6; diametro: cm. 15; peso: Kg. 1; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta; compatta, assai morbida, friabile se stagionata. Sapore: sempre leggermente acidulo.

Area di produzione: provincia di Treviso.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: prodotto tipico della Marca Trevigiana, nato per utilizzare al meglio anche il latte accidentalmente inacidito.

Casatella Trevigiana DOP

Materia prima: latte intero.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 40 gradi, aggiungendovi fermenti specifici in polvere, più caglio liquido di vitello. Coagula in 15-20 minuti. Dopo la rottura della cagliata (a dimensione di grossi grani), la massa viene estratta e subito messa nelle forme, senza subire alcuna cottura. Dopo una giornata vengono tolte le fascere. La salatura si effettua per bagno in salamoia satura di sale per 12 ore. Matura in 2 giorni, in cella frigorifera. Resa 14%.

Stagionatura: non si effettua, in quanto va consumato fresco.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8; diametro: cm. 8-10 o 20; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta: morbida, cremosa, bianca. Grasso: 58%. Sapore: dolce, tendente all’acidulo, caratteristico.

Area di produzione: provincia di Treviso. Comprende anche qualche comune del Pordenonese e della pianura friuliana.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è un formaggio tipico della Marca Trevigiana, anche se in espansione al di fuori dei suoi confini originali. Il nome sembra derivare dal latino “caseus”, formaggio. Qualche autore lo farebbe provenire invece da casa, per il fatto che un tempo era questa una produzione tipicamente casalinga.

Pannarello

Materia prima: latte intero a bassa acidità, arricchito con una piccola percentuale di panna (1-1,5% sul totale).

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte, solitamente previa pastorizzazione, a circa 38 gradi, aggiungendovi fermenti specifici e/o latte-innesto, la panna e il caglio liquido. Coagula in 18 minuti. Dopo la rottura della cagliata (a dimensione di un’albicocca), si continua a lavorare con lo spino per 12 minuti, quindi si lascia riposare per 10 minuti e si estrae il siero. Dopo queste operazioni, la massa viene cotta a 40-41 gradi, quindi estratta e messa nelle fascere, tipicamente rigate all’interno. Tempo totale di lavorazione: 55 minuti. La salatura si effettua per bagno in salamoia per 18-24 ore. Matura in 7-10 giorni, in ambiente a 4-7 gradi e umidità 85%, dove le forme vengono regolarmente girate. Resa 13%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 6-8; diametro: cm. 25-30; peso: Kg. 4-8; forma: cilindrica; crosta: sottilissima, rigata; pasta: morbida, compatta o leggermente occhiata, bianco crema. Sapore: dolce.

Area di produzione: provincia di Treviso. Comprende anche alcuni comuni della provincia di Pordenone, in Friuli.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è da considerarsi un formaggio emergente, non molto datato. Il nome richiama l’aggiunta della panna (fredda) effettuata dal suo inventore nel tentativo di salvare la cagliata dopo che ci si era dimenticati di controllare la temperatura della caldaia.

Formaggio Moesin di Fregona

Territorio interessato alla produzione: Comune di Fregona (TV)

La storia: Il formaggio “Moesin” è prodotto artigianalmente con latte di vacca raccolto nella zona del Cansiglio e delle Prealpi Trevigiane. Viene prodotto esclusivamente in Comune di Fregona (TV), presso la locale Latteria Cooperativa Agrimontana, in precedenza denominata Caseificio Coop del Cansiglio.

Descrizione del prodotto: Il “Moesin” è prodotto con latte vaccino intero pastorizzato, con coagulazione presamica, a pasta semicota, semidura. La forma è cilindrica con scalzo diritto sul quale vengono impressi i numeri indicanti il giorno ed il mese di produzione, altezza circa 7 cm, diametro tra 30 e 33 cm circa e peso medio di circa 6 kg. La crosta è molle, liscia, sottile, regolare ed elastica. La pasta naturale, di colore leggermente paglierino, è morbida, compatta al taglio, con scarsa o inesistente occhiatura. Il profumo è gradevole, il sapore è dolce e delicato.

Processo di produzione: Il latte prima della trasformazione subisce un trattamento termico di pastorizzazione (74°C per 20 secondi); viene poi immesso nelle caldaie alla temperatura di 35°C e viene aggiunta una piccola quantità di panna, previa pastorizzazione, per dare la cremosità necessaria al prodotto. Vengono quindi aggiunti fermenti selezionati e caglio. Quando il coagulo ha raggiunto la consistenza desiderata, rilevata manualmente, viene rotto e sminuzzato alla dimensione di una nocciola. La cagliata viene quindi cotta a 42°C, in modo da favorirne lo spurgo e la selezione della flora microbica. Viene infine scaricata in stampi senza tela, preventivamente predisposti sui banconi. Segue la stufatura in sala lavorazione, la saltura per immersione e, dopo un breve tempo (1-2 giorni) di asciugatura, il prodotto viene portato nella cella di maturazione a 9-12 C° e 80-85% di umidità. La maturazione si ha in circa 20-25 giorni e mantiene le sue caratteristiche per circa 60 giorni.

Reperibilità: Il “Moesin” si può trovare tutto l’anno presso le latterie e i caseifici della zona di produzione.

Usi: Questo formaggio utilizzato in cucina dà buoni risultati, soprattutto per la preparazione di piatti dove i formaggi devono fondere: ad esempio la pasta ai formaggi e le lasagne al forno, ma è molto apprezzato anche sulla pizza.

Formaggio Tosella

Territorio interessato alla produzione: Sette Comuni dell’altopiano di Asiago (VI): Gallio, Rotzo, Conco, Lusitana, Roana, Foza, Enego.

La storia: La tosella è il formaggio fresco tipico di malga, che viene consumato subito o prodotto su richiesta costituendo un piatto tradizionale. Le metodiche di lavorazione sono le stesse utilizzate per la produzione del formaggio Allevo e non comportano operazioni di conservazione e stagionatura perché è un formaggio che viene consumato solo fresco. Il metodo di ottenimento è molto semplice perché consiste nel sottrarre una certa quantità di cagliata dopo la cottura. Questo metodo di lavorazione è tipico delle malghe vicentine e viene ancora oggi praticato in modo omogeneo e secondo regole codificate da tempo, che consentono di produrre un alimento apprezzato per le peculiarità organolettiche ma anche per la tradizione che rappresenta.

Descrizione del prodotto: La tosella è un formaggio fresco ottenuto solo con latte vaccino intero o parzialmente scremato crudo e caglio, in polvere (con minor frequenza quello liquido o in pasta), somministrato in base alla quantità di latte lavorato, per ottenere la coagulazione della cagliata. È un formaggio fresco a pasta molle e va consumato entro pochi giorni dal suo ottenimento. Si presenta di colore bianco candido e può essere salato a piacere, dal consumatore al momento della cottura.

Processo di produzione: Il latte munto alla sera viene filtrato, lasciato riposare tutta la notte in vasche di acciaio, ed al mattino successivo la panna affiorata viene tolta e versata nelle coppe o piane per ottenere il burro. Il latte così scremato viene messo nella caldaia e scaldato. Raggiunta la temperatura di 30 °C si aggiunge il latte della munta della mattina, il tutto viene mescolato e riportato a temperatura ambiente. Si addiziona il caglio in polvere sciolto in un po’ di latte o di acqua, miscelandolo accuratamente. Si lascia riposare fino a coagulazione della cagliata: il tempo di coagulazione varia a da 15′ a 30′, a seconda dell’andamento climatico della stagione. Si effettua allora la rottura della cagliata con la lira o lo spino ottenendo dei granuli delle dimensioni di un granello di riso, per favorire lo spurgo del siero; si riaccende il fuoco e si agita continuamente con la “battarella” perché non attacchi sul fondo, fino a raggiungere la temperatura di 38 °C. Si toglie dal fuoco e si continua a mescolare finché il formaggio “non asciuga” (significa che spurga ulteriormente e la cagliata diventa coesiva). Si raccoglie con le braccia la cagliata dal fondo o aiutandosi con la “smalsarola” e si deposita su tavoli d’acciaio dove viene tagliata in pezzi da forma. A questo punto la parte di cagliata destinata all’ottenimento di Tosella viene separata dal resto della cagliata che continuerà il ciclo di produzione fino a divenire “Allevo di malga”.

Reperibilità: Essendo un formaggio tipico delle malghe si trova durante il periodo dell’alpeggio presso le malghe dell’altopiano.

Usi: La tosella viene consumata solitamente cotta alla griglia, ma le ricette tipiche sono: la tosella impanà (impanata con farina, pane e sale e fritta) e la tosella brustolà (cioè cotta nel forno a grill fino all’ottenimento di una crosticina di colore ambrato).

Caprino stagionato

Materia prima: latte puro caprino, da razza Saanen.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione e pulitura centrifuga a 40-42 gradi, aggiungendovi preventivamente fermenti termophili e quindi caglio liquido di vitello. Coagula in 30 minuti. Dopo la rottura della cagliata svolta in 3 fasi, con altrettante soste di 10-15 minuti (a dimensione di guscio di noce), la massa viene estratta e sistemata negli stampi. La salatura si effettua per bagno in salamoia per 24 ore. Matura in 6 mesi, in ambiente a 10 gradi e umidità 85-90%, dove le forme vengono spazzolate ed unte per due volte con appositi oli.

Stagionatura: fino a un anno circa. Resa 7%.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 7; diametro: cm. 18; peso: Kg. 3; forma cilindrica; crosta, liscia, color ocra; pasta: compatta, granulosa, colore leggermente paglierino. Grasso: 42%. Sapore: piccante.

Area di produzione: comune di Farra di Soligo (TV).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: formaggio di latteria di recente introduzione locale.

Caprino fresco

Materia prima: latte puro caprino, da razza Saanen.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione e pulitura centrifuga a circa 40 gradi, aggiungendovi preventivamente fermenti lattici mesophili e quindi caglio liquido di vitello. Coagula in 20 minuti. Dopo la rottura della cagliata (a dimensione di grossi grani), la massa viene estratta e messa negli stampi. La salatura si effettua per immersione in salamoia per pochi secondi. Matura in 24-36 ore, in cella frigorifera a 5-7 gradi e umidità 85-90%. Resa 14-16%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 7; diametro: cm. 6,5; peso: Kg. 0,2-0,3; forma: piccolo tomo cilindrico; crosta: assente; pasta: morbida e bianca. Grasso: 37%. Sapore: dolce.

Area di produzione: comune di Farra di Soligo (TV).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: come per il Caprino stagionato.

Ricotta affumicata del Cansiglio

Materia prima: siero di latte, da razza Bruno-alpina. Alimentazione: fieno e/o foraggio fresco della zona.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero a circa 90 gradi, aggiungendovi acido citrico. Affiorato il coagulo viene “pescato” e messo a gocciolare in appositi cestelli forati. La salatura si effettua a secco in superficie. Matura in 8-10 giorni, durante i quali le forme vengono messe ad affumicare bruciando legna di faggio sul siero. Resa 8%.

Stagionatura: facoltativa, fino a 1 mese circa, in ambiente caldo e asciutto.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg. 0,5; forma: cilindrica irregolare; crosta: assente; pasta: color marrone chiaro. Sapore: caratteristico, “affumicato”.

Area di produzione: piana del Cansiglio, comune di Tambre (BL).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è un prodotto tipico delle malghe della zona.

Luganega trevigiana

Tecnologia di preparazione: le carni del collo e del guanciale del suino vengono tritate, condite e insaccate nel budello che viene legato e diviso in quattro spicchi. Questa preparazione consente di usare le carni vicine alla ferita (scannatura) del suino, impregnate di sangue, altrimenti inutilizzabili. La luganega si trova in due versioni: una più grassa, che va utilizzata cotta, l’altra più magra da fare alla brace. Si consuma appena fatta.

Composizione:
a) Materia prima: carni di seconda scelta più grasso corposo di guanciale di suini provenienti da allevamenti nazionali.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale e pepe.
c) Additivi:

Maturazione:

Periodo di stagionatura:

Area di produzione: provincia di Treviso, anche se un salume analogo si produce in tutto il Veneto.

Salsiccia bianca

Tecnologia di preparazione: il guanciale viene macinato, condito e insaccato nel budello suino per salsicce. Si consuma sia fresca che stagionata.

Composizione:
a) Materia prima: guanciale suino.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale, pepe, coriandolo, cannella in polvere, chiodi di garofano.
c) Additivi:

Maturazione: alcuni giorni in locali con stufa e ventilati.

Periodo di stagionatura: un mese circa in locali umidi e ventilati.

Area di produzione: tutto il Veneto; viene prodotta in quantità limitata, per soddisfare le richieste di un ristretto numero di consumatori buongustai.

Figalet

Territorio interessato alla produzione: Fascia pedemontana della provincia di Treviso

La storia: I “figalet” sono un prodotto tradizionale della pedemontana est e della Marca trevigiana, di origine molto antica. La loro realizzazione è ricordata nei manuali di cucina di cuoco Martino, nei libri del Savonarola, in quelli del Maffioli. Sono salsicce particolari, perchè prodotte utilizzando il fegato del maiale aromatizzato con spezie. L’uso delle spezie ha avuto variazioni condizionate dai gusti delle diverse epoche e dalle mode alimentari. Oggi il prodotto si aromatizza con vin santo ed uvetta.

Descrizione del prodotto: Questa salciccia è del tutto particolare essendo a base di fegato di maiale. Il sapore amarognolo del fegato, viene esaltato dalla presenza di parti dolci costituite da uva appassita che si fa rinvenire in vin santo. Un tempo, in alternativa, si inserivano pezzetti di buccia di limone o arancio canditi. Ha un profumo intenso, con assenza di odori anomali, mentre al palato si presenta pieno ed armonioso, leggermente amaro (con punti dolci se in versione con l’uvetta). Al taglio presenta un’omogenea distribuzione e proporzione di grasso e magro; è di colore rosso scuro per la presenza del fegato.

Processo di produzione: Vengono utilizzati il fegato del maiale (25÷30%), carni magre di spalla (35÷30%) e pancetta di maiale (40%), privata della cotenna, macinate con stampo a fori di 4 mm. L’impasto è fatto in parte con l’uso di macchina impastatrice ma completato in modo manuale; viene insaporito all’ 1.6 – 1.8 di sale (marino) e aromatizzato con pepe e profumo di cannella. Si unisce l’uva passa fatta rinvenire nel vin santo (per la specifica tipologia). Dopo accurato mescolamento, l’impasto viene insaccato in budello di maiale. L’insaccamento è fatto a macchina mentre la legatura si fa a mano. Le dimensioni dei rocchi variano di diametro dai 2,5 ai 3,5 cm e di lunghezza dagli 8 ai 12 cm. L’asciugatura si fa a temperatura di 11-13°C per un giorno.

Reperibilità: Nella zona di produzione il prodotto è rinvenibile direttamente presso i produttori o presso alcuni ristoranti e agriturismi che promuovono la cucina tradizionale.

Usi: L’accoppiamento gastronomico ideale per il figalet, cotto al tegame o arrosto, è la polenta, ma è eccellente anche per fare il riso all’onta (alla veneta).

Lengual

Territorio interessato alla produzione: I comuni della Pedemontana della Marca trevigiana.

La storia: Il “lengual” è un cotechino che contiene al suo interno la lingua salmistrata del maiale. È un prodotto tipicamente invernale, caratteristico di ogni posto in cui è allevato il maiale. Il cotechino è infatti un prodotto creato per utilizzare, a scopo alimentare, le parti più dure e grasse del suino come la cotenna, le orecchie e il muso. La tipicità è data dall’uso delle droghe di tradizione locale.

Descrizione del prodotto: Il linguale (lengual) della pedemontana viene prodotto utilizzando la lingua del maiale preventivamente salmistrata per qualche giorno (in sale e aromi). La lingua del maiale costituisce circa la metà del peso totale. Il macinato di contorno è formato per il 75% circa, carni suine grasse (tagli di cotenna per il 40-50%, tagli di gola per il 10-20% e spolpo testa per i rimanente 15-20%) ed il restante 25% da carni suine magre dai tagli di spalla. Le carni macinate sono passate con lo stampo a fori da 6 mm. Il prodotto ha forma cilindrica con diametro variante dagli 8 ai 10 cm, con lunghezza tra i 15 e i 25 cm. Il peso del prodotto finito è attorno i 500-600g.

Processo di produzione: L’impasto viene insaporito al 2.4÷2.8 % con sale (marino) e aromatizzato con pepe spezzato o con la dosa (allo 0.5%, contiene aromi di vari tipi tra cui cannella e chiodo di garofano). Dopo un’accurato mescolamento, l’impasto viene insaccato, ponendo al centro la lingua, in budello naturale e legato a mano. La lingua viene preventivamente salmistrata ponendola in salamoia per almeno un giorno. L’impasto viene fatto in parte con l’uso di macchina ma è completato in modo manuale. L’insaccamento è fatto a macchina mentre l’annodatura è manuale. La fase di asciugatura necessita di un paio di giorni a temperatura di circa 12°C. L’ideale per la maturazione è una settimana, dopo di che è consigliabile il consumo.

Reperibilità: Il “lengual” è un prodotto dalla reperibilità limitata, sia perché prodotto in modiche quantità, essendo possibile ottenerne solo uno per ogni maiale, sia perché prodotto solitamente per l’autoconsumo. Tuttavia si può occasionalmente trovare direttamente presso i produttori o degustare in alcuni agriturismi o ristoranti tipici della zona.

Usi: Il “lengual” si consuma dopo averlo bollito per alcune ore e si accompagna con polenta, cren o verdure al vapore.

Luganega da riso

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso.

La storia: La “luganega da brodo o da riso” è una salsiccia del tutto particolare essendo costituita, per la maggior parte, da lardo pregiato di suino che si caratterizza per il tipico gusto dato dagli aromi. È un prodotto specificatamente nato per condire minestre e risotti conferendo loro un sapore tipico e particolare. Il prodotto è ben descritto nel libro del Maffioli “La cucina trevigiana” , nel quale ne suppone una origine assai antica citando Giulio Tirelli “altro emerito cuoco”, il quale, nel “Discorso sopra gli animali quadrupedi tanto domestici quanto selvatici”, al capitolo “Porco domestico” dice fra l’altro: «…è questo animale molto utile per le cucine e gustoso per fare con le sue carni vivande e col suo grasso condirne. Io qui […] ma parlerò solo di una sorte di salsiccia, di cui nei mesi di luglio ed agosto me ne servo per condire minestre e zuppe, all’hora quando gli stomachi per il gran calore sono rilassati maggiormente. […] Quanto la minestra o zuppa sarà alla cottura vi si ponga dentro una di queste salsicce e quando sarà gonfia si trasformi con un coltello, e così ne uscirà un succo che condirà suavemente la minestra o suppa, e in un pasticcio fa il simile.».

Descrizione del prodotto: Sono salsicce di piccola dimensione (4-6 cm) e di peso ridotto (circa 50 g). Hanno colorito abbastanza chiaro che tuttavia varia in funzione della tipologia di spezie che contengono. Sapore e profumo sono intensi e gradevoli.

Processo di produzione: Per produrre queste salsicce vengono utilizzate le pancette di maiale, private della cotenna, macinate con stampo a fori di 5 mm. L’impasto viene quindi insaporito con sale marino al 2.5% e aromatizzato con la dosa allo 0.5%. Quest’ultima contiene aromi di vario tipo: cannella, chiodo di garofano, pepe, noce moscata, macis e coriandolo in diversa ed equilibrata proporzione. Dopo un accurato mescolamento, l’impasto viene insaccato, con l’ausilio di un apposito macchinario, in budellino di maiale e poi si procede manualmente alla legatura a nodi.

Reperibilità: Direttamente presso i produttori, o in alcune macellerie o ristoranti del trevigiano si possono trovare queste particolari salsicce durante i mesi invernali.

Usi: Il prodotto è un eccellente condimento e viene utilizzato, come del resto il nome fa presagire, per insaporire minestre zuppe o risotti.

Muset trevigiano

Territorio interessato alla produzione: I comuni della Pedemontana della Marca trevigiana.

La storia: L’allevamento del maiale si inserisce nell’alveo di una antica e diffusa tradizione contadina. Il suino era estremamente apprezzato perché nulla di questo animale veniva gettato e qualsiasi sua parte dell’animale trovava utilizzo in qualche particolare preparazione. Le soprèsse, così come musetti, salami e altri insaccati, venivano confezionati presso le famiglie agricole del trevigiano dall’esperto del luogo.

Descrizione del prodotto: Il cotechino della pedemontana viene ricavato utilizzando per il 75% circa carni suine grasse (tagli di cotenna per il del 40-50%, tagli di gola per circa il 10-20% e spolpo testa dal 15 al 20%) e per il restante 25%, carni suine magre (tagli di spalla). Le carni vanno macinate con stampo a fori da 6mm. Il prodotto ha forma cilindrica con diametro variante dagli 6 ai 10cm, con lunghezza tra i 15 e 20cm. Il peso del prodotto finito è attorno i 400-500g. Dopo la cottura mostra un colorito rosso scuro con la caratteristica irregolare marezzatura bianca dovuta alla componente di grasso che avvolge la parte proteica; presenta profumo caratteristico, gusto saporito e leggermente piccante. La tipicità di questo prodotto è data dall’uso delle droghe di tradizione locale.

Processo di produzione: Per ottenere il cotechino della pedemontana si utilizzano esclusivamente carni suine provenienti da animali nati e allevati in aziende zootecniche della provincia di Treviso che appartengono a razze tradizionali. I suini sono allevati in strutture ben coibentate e areate o allo stato brado e semibrado. Vengono alimentati senza l’utilizzo di farine di carne e di alimenti di origine animale non lattea, bensì mediante alimenti sotto forma liquida e di pastone con l’aggiunta di acqua e siero di latte. Le parti di carne selezionate per i cotechini sono quelle più dure: la carne nervosa, le orecchie e il muso. Si provvede, quindi, a macinare il tutto, con l’aggiunta dell’eventuale lardo secondo la necessità. Quindi vengono ben pestate e macinate più volte. L’impasto viene insaporito al 2,4-2,8% con sale (marino) e aromatizzato con pepe spezzato o con la dosa (che contiene aromi di vari tipi tra cui cannella e chiodo di garofano). Dopo una accurato mescolamento, l’impasto viene insaccato a macchina in budello naturale e legato a mano. La fase di asciugatura necessita di un paio di giorni a temperatura di circa 12°C. L’ideale per la maturazione è una settimana, dopo di che è consigliabile il consumo.

Reperibilità: Da dicembre e fino all’inizio della primavera sono reperibili presso ristoranti, agriturismi e macellerie in tutto il territorio della pedemontana trevigiana.

Usi: I cotechini, per essere mangiati, devono essere cotti e per questo possono essere consumati senza dover aspettare lunghi periodi di maturazione. Tradizionalmente il cotechino si accompagna con cren (grattugiato), o radicchio cotto.

Osocol di Treviso

Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali: OSOCOL DI TREVISO (Coppa di maiale)

Territorio interessato alla produzione: I comuni della pedemontana della Marca trevigiana

La storia: La coppa di maiale (localmente chiamata osocol) è uno dei più pregiati prodotti del maiale assieme al prosciutto e lo schienale. Già nel 1632 il canonico Giovanbattista Barpo menziona il confezionamento di ‘prosciutti e soppressa te’ nel suo volume “Le delizie dell’Agricoltura e della Villa”. Per ‘prosciutti’ si intendono qui le carni da pezzi interi (cosce, spalle, lombi) salate sottoposte a leggera pressione per favorire l’estrazione dell’acqua «Il porco, per la salatura, necessita di sale minuto e ben asciutto … Le carni salate (i prosciutti e le soppressa te), a volerle conservare in modo certo, sommergile (se vuoi) nell’olio o nel burro cotto dopo averle affumicate, che non si guasteranno mai: assorbono poco olio e la sporcizia va al fondo, cosicché l’olio non patisce e nemmeno la carne si fa rancida, ma sta morbida e fresca come il giorno che ve la ponesti, e meglio».

Descrizione del prodotto: La coppa (osocol) è una carne salata di maiale derivata dal muscolo dalla I alla VI vertebra, lavorato intero. La forma finale del prodotto è cilindrica (10÷12 di diametro per una lunghezza di 25÷30 cm). La tipicità del prodotto pedemontano è data dall’uso del Vin Santo (Prosecco passito) quale aromatizzante. Il peso finale è attorno ai 1500÷1600 g. Il prodotto finito ha profumo intenso e tipico, mentre al palato si presenta morbido, pieno ed armonioso. Al taglio mostra un colorazione uniforme con venature bianche e una buona tenuta della fetta.

Processo di produzione: Il capocollo intero del maiale viene disossato e quindi salato e aromatizzato esternamente con sale marino grosso (3.5-4%) e aromatizzato con pepe, cannella, chiodi garofano, ginepro, alloro e vin santo per 15 giorni ed umidità tra 75 e 85% . I locali di lavorazione sono stanze mantenute a bassa temperatura durante il ciclo di lavorazione. L’asciugatura avviene in una stanza appositamente adibita ad una temperatura di 12-23°C per 8 giorni. La successiva stagionatura avviene in un tempo minimo di 60 giorni con temperature comprese tra 11 e 13 °C ed umidità attorno al 78%.

Reperibilità: Il prodotto è reperibile durante tutto l’anno presso qualsiasi salumificio e rivendita al dettaglio in tutta la provincia trevigiana.

Usi: Il prodotto, col prosciutto e lo schienale, è tra i più pregiati del genere e si presta ottimamente ad essere usato, sia come prodotto crudo (affettato sottilmente), sia cotto (farciture), che in minestra (condimento per minestre di verdura o fagioli).

Salado della pedemontana trevigiana

Territorio interessato alla produzione: I comuni della Pedemontana est della Marca trevigiana (da Valdobbiadene a Vittorio Veneto).

La storia: Il salado della pedemontana trevigiana, come pure la soppressa della medesima area, sono famosi da tempi immemorabili come ‘marenda del contadin’, citata nei tipici proverbi ‘polenta sopresa e vin, medesine del contadin’, oppure ‘pan vin e sopresa … e de altro no me interesa’. I salumi trevigiani sono citati nei vari libri del Maffioli, come “La cucina trevigiana”. L’allevamento dei maiali è antichissimo e tipico della civiltà contadina caratterizzata da povertà e ristrettezze. È in questa particolare situazione storico economica che si inseriscono le varie lavorazioni delle carni dei suini atte alla conservazione di tutte le parti dell’animale.

Descrizione del prodotto: La forma del prodotto è cilindrica con un diametro variabile tra 6 a 8 cm ed una lunghezza dai 20 ai 30 cm. Il peso del prodotto finito si aggira sui 600 – 700 grammi. Il salame della Pedemontana travigiana è caratterizzato dal profumo conferito dall’uso del vino Prosecco con cui si bagnano le carni macinate. A prodotto finito presenta profumo accentuato e tipico con assenza di odori anomali. Per quanto riguarda la sensazioni gustative, si presenta morbido, pieno e armonioso. Al taglio mostra un’omogenea distribuzione e proporzione di grasso e magro, un colore rosso intenso per la carne magra e bianco per il grasso, nonché un buona tenuta della fetta al taglio.

Processo di produzione: Il prodotto è ottenuto utilizzando parti magre di maiale (spalla e trito per un totale del 65 – 70%) e parti grasse di maiale quali pancetta e gola (25% e 5-10% circa), macinate con stampo a fori da 6 mm. L’impasto viene insaporito al 2,4 – 2,8% con sale (marino), aromatizzato con pepe e vino Prosecco DOC. I locali di lavorazione sono stanze pulite e sanificate, mantenute a bassa temperatura durante il ciclo di lavorazione, durante il quale si utilizzano supporti e attrezzi in acciaio inox. Dopo una accurato mescolamento, finito a mano, viene insaccato in budello naturale. La legatura si fa a mano. L’asciugatura avviene in un locale a se stante, a temperatura variabile secondo un ciclo stabilito (da 12 a 23°C) per 6 giorni con una umidità tra 78 e 88%. La stagionatura, anch’essa in un locale a se stante, dura almeno un mese a temperature comprese tra 11 e 13°C.

Reperibilità: Il prodotto si trova facilmente in vendita, durante tutto l’anno presso la piccola distribuzione nella zona di produzione e della provincia trevigiana in genere.

Usi: Il salame è un insaccato da gustare crudo come stuzzichino o antipasto, ma è anche ottimo cotto alla brace e gustato con la polenta abbrustolita.

Salado fresco trevigiano

Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali: SALADO FRESCO DEL BASSO VICENTINO; SALADO FRESCO TREVIGIANO

Territorio interessato alla produzione: Comuni del basso Vicentino e della Marca Trevigiana.

La storia: Tradizionalmente il maiale si ammazzava nella corte della casa contadina, davanti alla stalla sotto el pòrtego, e si lasciava riposare sul posto (in qualche famiglia si ritirava in casa essenzialmente per paura dei ladri). Il periodo tipico d’uccisione e lavorazione del maiale inizia il 25 Novembre (De Santa Caterina còpa il màs-cio e istàla la bovina) e può continuare fino a Carnevale. Il salado fresco rientra a pieno titolo nell’ambito di un’antica tradizione culinaria ed è citato nei libri di Maffioli editi nel Novecento. Questo particolare insaccato, caratterizzato dall’essere più grasso degli altri, meno stagionato e quindi più morbido, può essere usato in maniera diversa rispetto agli altri salami ed è adatto ad essere quasi ‘spalmato’ o a condire minestre e sughi. Nel 1962 Eugenio Candiago scrive: “Nelle trattorie Riviera e sui Colli Berici si serve il salame arrostito sulla graticola, con polenta calda e fritta, o arrostita.” Successivamente cita la tipicità del salame alla graticola di una trattoria dei Colli Berici, (“Itinerari gastronomici Vicentini”, 1962).

Descrizione del prodotto: Il salame del Basso Vicentino viene prodotto utilizzando la selezione migliore delle carne di maiale, cioè la polpa senza terminazioni nervose, alla quale, se risulta un po’ magra, viene aggiunto un po’ di lardo, affinchè le parti magre e grasse risultino ben amalgamate e il prodotto resti morbido. A questo si addizionano il sale e la concia. Non viene invece aggiunto l’aglio perchè risulterebbe troppo evidente al gusto e all’odorato. Il tutto è insaccato in budelli abbastanza piccoli, in modo da avere un diametro finale di 6-7 cm, una lunghezza di 20-25 cm circa e un peso di 700-800g. Al taglio, la pasta del prodotto stagionato deve essere compatta ma allo stesso tempo tenera e di colore tendente al rosso opaco. Il salame fresco trevigiano è caratterizzato dal leggerissimo profumo conferito dal vino bianco aromatizzato all’aglio con cui si bagnano le carni macinate e per questo, a prodotto finito, presenta un leggerissimo profumo d’aglio. La forma del prodotto è cilindrica con un diametro variabile tra 6 a 8 cm ed una lunghezza dai 20 ai 25 cm. Il peso del prodotto finito si aggira attorno ai 6-700 grammi. Inoltre, essendo un prodotto che va consumato fresco si presenta molto morbido e gustoso. Al taglio mostra un’omogenea distribuzione e proporzione di grasso e magro.

Processo di produzione: La parte pregiata di carne del maiale (polpa senza terminazioni nervose) destinata ai salami viene macinata in un tritacarne, con una piastra dagli 0,6 agli 0,8 mm, a volte con l’aggiunta di lardo e addizionata con la concia: sale grosso, pepe, cannella e chiodi di garofano. Amalgamato il tutto vi inserisce nel budello con l’utilizzo di uno speciale imbuto applicato alla macchina tritacarne. Il budello viene punzecchiato con la c.d. sponciròla per far uscire il liquido e l’aria, che impedirebbe alle componenti di aderire e viene legato solo alle estremità. Dopo essersi asciugato in locali secchi (una volta era essenzialmente accanto al focolare domestico), si ripone in ambienti umidi, freschi e bui per la conservazione.

Reperibilità: Il salame è uno degli insaccati di più semplice reperibilità. Si trova facilmente presso i produttori e i rivenditori in tutta la zona del basso vicentino e del trevigiano, da dicembre fino all’inizio della primavera.

Usi: Il consumo tipico del salado è quello tramite cottura in un tegame con un po’ d’olio, per aver di che far pòcio con la polenta, oppure, ancora più diffusamente, aperto in lunghezza e cotto alla griglia. In quest’ultimo modo tende a piegarsi ad accartocciarsi costituendo un involucro per il gustosissimo sugo che si forma all’interno.

Schenal

Territorio interessato alla produzione: I comuni della pedemontana della Marca trevigiana

La storia: Il canonico Giovanbattista Barpo, già menziona il confezionamento di ‘prosciutti e soppressate’ nel suo volume Le delizie dell’Agricoltura e della Villa del 1632. Per ‘prosciutti’ si intendono qui le carni da pezzi interi (cosce, spalle, lombi) salate sottoposte a leggera pressione per favorire l’estrazione dell’acqua «Il porco, per la salatura, necessita di sale minuto e ben asciutto … Le carni salate (i prosciutti e le soppressa te), a volerle conservare in modo certo, sommergile (se vuoi) nell’olio o nel burro cotto dopo averle affumicate, che non si guasteranno mai: assorbono poco olio e la sporcizia va al fondo, cosicché l’olio non patisce e nemmeno la carne si fa rancida, ma sta morbida e fresca come il giorno che ve la ponesti, e meglio».

Descrizione del prodotto: Lo “Schenal” è una carne salata di maiale derivata dal lombo intero che viene trattato esternamente con sale e spezie e quindi leggermente affumicato per favorire la conservazione. La forma finale del prodotto è quella di un parallelepipedo schiacciato. Presenta una colorazione rosa-brunita e un sapore molto gradevole e aromatizzato.

Processo di produzione: Per ottenere lo “Schenal” si utilizzano esclusivamente carni suine provenienti da animali nati e allevati in aziende zootecniche della provincia di Treviso che appartengono a razze tradizionali. Dopo l’uccisione dell’animale, il lombo intero del maiale viene disossato mantenendo il suo lato grasso. Viene quindi salato e aromatizzato esternamente con sale marino grosso (3.5-4%) e aromi di pepe, cannella, chiodi garofano, ginepro, alloro per 15 giorni ed umidità tra 75 e 85% . L’asciugatura avviene in stanza specifica a temperatura di 12-23°C per 8 giorni. L’affumicatura è fatta con fumi di vite, frassino e rosmarino per 12 ore, mentre la stagionatura avviene per almeno di 60 gg a temperature comprese tra 11 e 13 °C.

Reperibilità: Il prodotto è facilmente reperibile presso ristoranti, agriturismi, produttori e macellerie in tutta la zona di produzione.

Usi: Il lombo di maiale affumicato è un ottimo prodotto che si presta ad essere consumato sia crudo che cotto nella preparazione di secondi piatti o come condimento per zuppe e minestre.

Soppressa trevigiana

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso

La storia: Le soppresse, così come musetti, salami e altri insaccati, venivano confezionati presso le famiglie agricole del trevigiano dall’esperto del luogo. Dopo l’uccisione del maiale si provvedeva alla lavorazione della carne e alla preparazione dei vari prodotti. Era quello un periodo di intenso lavoro comunitario ma anche di grande festa e abbondanza. Vari documenti testimoniano che già nel 1800 tali prodotti venivano appesi per 8-10 giorni nelle cucine in presenza di un braciere acceso, allo scopo di asciugare il prodotto fresco. Dopo questo breve periodo essi venivano posti in cantina o in un sottoscala fresco e sterrato per la conservazione.

Descrizione del prodotto: La soprèssa è un grosso salume con dimensioni variabili dovute alla variabilità delle budella del bovino in cui vengono insaccate. La forma è arcuata, il diametro và da 10 a 20 cm, il peso oscilla da 1 a 7 Kg. È prodotto con 70% di carne magra, con il grasso sapido e morbido con della pancetta, sale, pepe, cumino, talvolta un trito di chiodi di garofano e cannella. Alcune lavorazioni artigianali e familiari aggiungono all’impasto del vino Prosecco (1litro per quintale di carne), per ottenere una pasta più saporita oppure del vino rosso tipo Cabernet. La stagionatura fa assumere esternamente alla soprèssa il colore prima biancastro e poi grigio-marrone scuro della muffa di cui si ricopre. Al taglio, la carne appare di colore rosso tendente al rosaceo, con la caratteristica irregolare marezzatura bianca dovuta alla componente di grasso che avvolge la parte proteica.

Processo di produzione: La carne magra, in una percentuale intorno al 70%, viene macinata a grana media (6-8 mm) con il grasso della pancetta, ed insaporita con sale, pepe ed in piccola quantità cumino. L’impasto viene insaccato in un budello di vacca e assume una forma ad arco. Le soppresse vengono poi punte con un arnese chiamato “sponciarol”, per far uscire l’aria ed i liquidi dal budello, in seguito messe ad asciugare e stagionare. La stagionatura deve avvenire ad una temperatura costante, con un livello di umidita’ che non deve mai essere eccessivo, in modo tale da evitare che si formino muffe. La stagionatura può durare da cinque mesi a quasi due anni. La conservazione artigianale viene fatta in cantine fresche, possibilmente sterrate. L’azione delle basse temperature favorisce la maturazione degli insaccati poiché il grasso trova le condizioni adatte per rapprendersi.

Reperibilità: La soppressa trevisana è reperibile durante tutto l’anno presso i mercati al dettaglio, gli agriturismi e i ristoranti della zona di produzione.

Usi: La soppressa è un ottimo insaccato da consumare crudo tagliato a fette o cotto alla griglia.

Sopressa investida

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso

La storia: La soppressa trevigiana, come pure il salado della medesima area, sono famosi da tempi immemorabili come “marenda del contadin“, citata nei tipici proverbi “polenta sopresa e vin, medesine del contadin“, oppure “pan vin e sopresa … e de altro no me interesa“. I salumi trevigiani sono citati nei vari libri del Maffioli, come “La cucina trevigiana”. La soppressa in tegame, condita con l’aceto di vino, da accompagnare con polenta abbrustolita, era tipica del primo pasto. Salado o soppressa entravano anche negli impasti del pien, del ripieno per galline, capponi o faraone arrosti e persino in quelli del pesce (trota o carpa roversa). I salumi trevigiani sono citati nei vari libri del Maffioli editi nel Novecento dove la soppressa investida viene indicata come soppressa col cuor.

Descrizione del prodotto: La soppressa investida della Pedemontana trevigiana ha la medesima forma della soppressa normale, cilindrica con un diametro variabile tra 10 a 13 cm ed una lunghezza dai 25 ai 35 cm. La particolarità che caratterizza il prodotto è data dal filetto di maiale intero che viene inserito all’interno della pasta macinata che si bagna con il vino Prosecco. Il peso del prodotto finito va da 1440 a 2500 g secondo la pezzatura. Si presenta con un profumo molto intenso e tipico, mentre al palato è morbida, piena ed armoniosa. Al taglio mostra un’omogenea distribuzione e proporzione di grasso e magro attorno al filetto e un colorito rosso intenso per la carne magra. C’è una buona coesione tra grasso e magro, una perfetta aderenza al filetto e una buona tenuta della fetta al taglio.

Processo di produzione: Il prodotto è ottenuto utilizzando parti di maiale sia magre (spalla e trito per un totale del 30% circa) che grasse (pancetta e gola rispettivamente 30% e 10% circa), macinate con stampo a fori da 6 mm. L’impasto viene insaporito al 2.4 -2.8% con sale (marino), aromatizzato con pepe e vino Prosecco DOC. Dopo una accurato mescolamento, finito a mano, all’interno della pasta di carne ottenuta si pone un pezzo ben asciutto di filetto di maiale (o di lonza) di peso equivalente al 30% circa (preventivamente salamoiato per 3-4 giorni e aromatizzato con pepe e spezie). Occorre fare attenzione che questo pezzo intero di carne venga ben centrato nella pasta che va insaccata in budello naturale. I locali di lavorazione sono stanze pulite e sanificate, mantenute a bassa temperatura durante il ciclo di lavorazione che utilizza supporti e attrezzi in acciaio inox. L’impasto viene fatto in parte con l’uso di macchina ma è completato in modo manuale. L’asciugatura avviene in un locale a sè stante, a temperatura variabile secondo un ciclo stabilito (da 12 a 23°C) per 6 giorni con una umidità % tra 78 e 88. La stagionatura, anch’essa in un locale singolo, dura dai 90 ai 180 giorni a temperature comprese tra 11 e 13°C.

Reperibilità: La soppressa “investida” è reperibile durante tutto l’anno presso alcuni agriturismi e i ristoranti della zona di produzione o direttamente da alcuni produttori.

Usi: La soppressa “investida” viene utilizzata sia come insaccato da mangiare crudo che cotta in tegame o alla griglia.

Vitellone padano

Territorio interessato alla produzione: Province di Verona, Padova, Vicenza, Venezia e Treviso.

La storia: La produzione del vitellone padano è realizzata nell’ampio arco territoriale che va dal basso Friuli al medio Veneto, alla bassa Lombardia, alla parte orientale del Piemonte ed alla pianeggiante Emilia Romagna. Nel Veneto la produzione è localizzata nelle aree pianeggianti: alluvionali con caratteristiche pedologico-ambientali adatte alla coltivazione intensiva di specie a destinazione foraggiera quali erba medica, prati polititi e monoliti, cereali foraggieri. L’allevamento del vitellone è una produzione tipica dell’area della Pianura Padana. Soprattutto nella seconda metà del secolo sono sorte numerose strutture cooperative tra allevatori aventi lo scopo di gestire direttamente una o più fasi produttive. Inoltre, l’evoluzione tecnologica avvenuta negli ultimi anni in questi allevamenti ha raggiunto livelli difficilmente riscontrabili in altri paesi, ponendo questo settore della zootecnia italiana ai primi posti in un’ipotetica graduatoria mondiale per quanto concerne la razionalità dei sistemi produttivi.

Descrizione del prodotto: La carne di vitellone padano deriva dalla macellazione di capi bovini adulti di sesso maschile, non castrati e di età inferiore ai 2 anni, o femminile di età inferiore ai 19 mesi, che hanno raggiunto un peso variabile da 400 a 600 kg. Le carni sono di colore rosso-rosa brillante, con una fibra sottile e poco grasso. È una carne molto saporita e apprezzata per l’elevata resa dei tagli magri e morbidi.

Processo di produzione: L’allevamento del vitellone padano avviene in strutture adeguatamente attrezzate alla densità degli animali, in grado di consentire sufficienti ricambio d’aria, distribuzione di acqua e alimenti e facilità di interventi sanitari e controlli. Per l’identificazione dei capi in allevamento si utilizzano marchi auricolari applicati agli animali. La materie prime utilizzate per l’alimentazione sono prevalentemente a base di farine di mais e orzo, crusca, farina di soia, eventualmente siero, se disponibile, e integrazioni vitaminico-minerali. Vanno esclusi dalla razione tutti gli elementi che incidono negativamente sulle caratteristiche del grasso o conferiscono odore sgradevole alla carne (pula di riso, oli e farina di pesce, fieno greco, ecc.). Le tecniche e i mezzi di trasferimento degli animali dalla stalla al macello hanno una forte influenza nella qualità, in particolare nella tenerezza della carne: è necessaria l’adozione di modalità di carico, scarico, trasporto e sosta al macello in grado di limitare al massimo lo stress del bestiame. Gli animali vengono trasportati in macelli che aderiscono al marchio e che hanno sottoscritto il “Disciplinare di Macellazione”. Per la commercializzazione, se il punto vendita non vende solo il vitellone padano, il prodotto deve essere debitamente separato da altri tipi di carne. Le carni vengono identificate apponendo sulle carcasse e sui tagli anatomici un marchio tramite striscia di carta o cartellino inamovibili o timbratura; sui prodotti confezionati l’apposizione del marchio avviene tramite prestampa sull’involucro, o, con etichetta inamovibile sull’involucro, o con cartellino all’interno dell’involucro.

Reperibilità: Presso i rivenditori al dettaglio specializzati in tutto il territorio regionale, il prodotto è reperibile durante tutto l’anno.

Usi: La carne del vitellone, magra e molto digeribile, è adatta a tutti i tipi di dieta. A seconda dei tagli trova in cucina differenti e numerosi utilizzi, sia cotta al forno, che alla brace, che in padella.

Vitellone ai cereali

Territorio interessato alla produzionetutta la Regione Veneto.Descrizione del prodottoLa specificità della carne del “vitellone ai cereali”, è legata all’utilizzo di animali della specie Bos taurus, esclusivamente appartenenti a razze da carne, a doppia attitudine e incroci fra tali razze, di età compresa fra 12 e 24 mesi, allevati tradizionalmente e alimentati prevalentemente a base di cereali.Si ottengono così animali maturi ad un’età più giovanile e, di conseguenza, caratterizzati da carni tenere di un colore chiaro e luminoso con buona attitudine alla conservazione.Processo di produzionePer ottenere le caratteristiche della carne tipiche del “vitellone ai cereali”, i vitelloni sono alimentati in modo da poter raggiungere la maturità ad un’età giovanile, attraverso l’utilizzo di diete ad alto livello energetico ed elevato indice di conversione, che promuovono un ottimale accrescimento giornaliero e permettono di ottenere una buona conformazione e una equilibrata costituzione e distribuzione del grasso di marezzatura e di quello di copertura.UsiLa carne di “vitellone ai cereali”, in base ai tagli, trova numerosi e differenti utilizzi in cucina, in particolare cotta al forno o alla brace.ReperibilitàÈ reperibile tutto l’anno presso la grande distribuzione moderna e tradizionale.La storiaIn passato il mais era usato prevalentemente per l’alimentazione umana mentre i sottoprodotti della sua lavorazione costituivano l’integrazione energetica nelle razioni dei bovini. A partire dagli anni ’50 del secolo scorso, con il miglioramento delle rese e l’evoluzione dell’alimentazione umana, quote elevate di cereali, in particolare di mais, sono entrate a far parte della razione alimentare dei bovini.La produzione veneta si è quindi specializzata, in particolar modo nel vitellone, in quanto l’utilizzo di tale cereale, ad elevato valore energetico, unito all’erba medica, ad alto valore proteico, permetteva di ottenere carni di maggior pregio da animali in età inferiore ai 24 mesi.Si sono così sviluppate delle filiere produttive dedicate al “vitellone ai cereali”, per la valorizzazione di questa peculiare tipologia di carne della pianura Padana.

Bresaola di cavallo

Tecnologia di preparazione: tagli di prima scelta (fesa, sottofesa, noce o lombata) di carni equine vengono conciate a secco con sale e aromi, poi legate molto strette con spago, infilate in un tessuto a rete fitta e messe ad asciugare.

Composizione:
a) Materia prima: carne magra equina di allevamenti nazionali o provenienti da Polonia e Jugoslavia.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale, pepe, spezie varie, che i vari norcini tengono segrete.
c) Additivi:

Maturazione: venti giorni in salamoia in locali a 18-20 gradi.

Periodo di stagionatura: da tre a cinque mesi in locali freschi e areati, a umidità costante.

Area di produzione: alcuni comuni delle provincie di Padova, Venezia, Treviso. Rinomate quelle prodotte artigianalmente di Saonara, Piove di Sacco e Vigonovo.

Salame di cavallo

Territorio interessato alla produzione: Padova e provincia

La storia: La storia gastronomica del cavallo ha radici lontane; il consumo della carne equina presso Greci e Romani aveva carattere occasionale, mentre ebbe carattere di consumo di massa presso le popolazioni barbariche e nomadi. È molto probabile che, essendo tendenzialmente consumato in condizioni di emergenza, quando la fame spingeva a non badare troppo alle condizioni di freschezza e conservazione, sia stato anche l’artefice di molte intossicazioni. Questo spiegherebbe la fama negativa che la sua carne ebbe in molti paesi: basti pensare che a Parigi veniva consumata clandestinamente e che ancora nel 1803 venne rinnovato un bando che ne proibiva la vendita e il consumo. Tutti gli elaborati con carne di cavallo, puledro e asino fanno parte integrante della cucina tipica padovana. L’utilizzo e la preparazione delle carni equine sembra aver avuto inizio utilizzando le carni degli animali uccisi (cavalli e asini da traino) nelle numerose battaglie medioevali particolarmente cruenti e nella pianura a sud e sud-est di Padova.

Descrizione del prodotto: La forma del prodotto è cilindrica con un diametro variabile tra 7 a 9 cm e una lunghezza dai 20 ai 30. Il peso del prodotto finito si aggira sui 800-1000 grammi. Per quanto riguarda la sensazioni gustative, si presenta morbido, pieno e armonioso. Al taglio mostra un’omogenea distribuzione e proporzione di grasso e magro, un colore rosso scuro per la carne magra e bianco per il grasso, nonché un buona tenuta della fetta al taglio.

Processo di produzione: Per ottenere il salame di cavallo si utilizzano animali allevati allo stato brado o semibrado alimentati in modo naturale con cibi proteici e a base di granaglie come il mais, l’orzo e l’ avena ma anche le bietole mescolate al pastone (granaglie cotte con semi di lino e crusca). Una volta sezionato il cavallo nelle varie parti, si procede al taglio a coltello delle pezzature che interessano alla produzione del salame e cioè spalla, pancetta e gola. L’impasto viene ottenuto selezionando le varie carni con particolare cura, tritandole con coltelli a piastra a fori di diametro di 6-8 mm, opportunamente salate e pepate, impastate e insaccate utilizzando budello naturale di bovino. Il tutto viene legato a mano, posto in cella di asciugatura su appositi carrelli, conservato in celle con temperatura, umidità e ventilazione controllate ed infine appeso a rastrelliere. Nella produzione contadina l’asciugatura avviene in locali debolmente riscaldati e la stagionatura in tradizionali granai aerati dove l’insaccato è appeso alle travi o su apposite “stanghe” (pali appesi al soffitto).

Reperibilità: Il salame di cavallo è un prodotto reperibile abbastanza facilmente presso qualsiasi punto di distribuzione al dettaglio e presso ristoranti, agriturismi e macellerie equine in tutta la provincia patavina.

Usi: Il salame di cavallo è un insaccato da gustare crudo come stuzzichino o antipasto, ma viene soprattutto utilizzato cotto alla brace e gustato con la polenta abbrustolita.

Coniglio veneto

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Il coniglio domestico europeo deriva dal coniglio selvatico. Pochissimi sono i reperti archeologici su cui ci si può basare per la ricostruzione della diffusione del coniglio nella preistoria. Tuttavia è probabile che i conigli, o i loro predecessori, fossero migrati dall’ Asia all’Europa all’inizio dell’era terziaria. I primi ad allevarlo furono i Fenici attorno al 1100 a.C. e successivamente i Romani. Dopo la caduta dell’impero romano, il suo allevamento fu abbandonato e ripreso soltanto verso il 1700 nei monasteri, dove furono selezionate razze per la produzione di pelliccia e di carne. È soprattutto nella seconda metà del secolo scorso che si sviluppò la differenziazione di nuove razze. Oggi esistono 50 e più razze di coniglio allevate in tutto il mondo. In Italia se ne contano una quarantina, ma se ne utilizzano solo alcune per effettuare incroci da cui ottenere animali vigorosi, produttivi e adatti per l’allevamento. La diffusione dell’allevamento del coniglio ha trovato interesse principalmente in tre province: Padova, Treviso e Venezia.

Descrizione del prodotto: La carne di coniglio per la sue proprietà alimentari e organolettiche ha mantenuto negli anni un’immagine salutista confermata tutt’oggi da studi dietologici. E’ una carne di colore rosa chiaro, gustosa, particolarmente magra e molto delicata. Il coniglio viene allevato fino ad una età di 84/90 giorni, al raggiungimento di 2,5kg di peso e prima della maturazione sessuale per evitare che la carne assuma un odore forte e caratteristico non apprezzato dai consumatori. Il coniglio, dopo la sua macellazione, può essere lasciato intero oppure porzionato in tre tagli caratteristici: spalle, carrè o lombo e cosce.

Processo di produzione: Le particolari tecniche di allevamento e soprattutto l’alimentazione dell’animale basata su materie prime di elevata qualità, garantiscono le buone caratteristiche della carne. L’alimentazione del coniglio si basa prevalentemente su erba medica ed è integrata con frumento, orzo, crusche, soia e girasole. L’animale è molto sensibile alla presenza di micotossine negli alimenti, per cui tutte queste materie prime devono essere di buona qualità e conservate con grande attenzione. La carne di coniglio è un prodotto che viene lavorato e commercializzato fresco entro cinque giorni dalla macellazione al fine di conservare inalterate le proprie caratteristiche. Trattandosi di prodotto fresco, la carne non subisce manipolazioni se non nella fase di confezionamento per la quale si utilizza materiale atossico per uso alimentare.

Reperibilità: La carne di coniglio è facilmente reperibile presso i produttori o presso qualsiasi rivenditore al dettaglio.

Usi: La carne del coniglio è molto ricca di vitamine e sali minerali (fosforo, magnesio, potassio) ad alto contenuto di acidi grassi polinsaturi con bassissimo contenuto di colesterolo e sodio. È molto digeribile e quindi indicata nell’alimentazione della primissima età, nello svezzamento e per gli anziani.

Anatra Germana veneta

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: L’anatra Germanata Veneta discende direttamente dal germano reale che è un’anatra selvatica. Essendo una specie rustica e poco esigente, si è adattata con facilità all’addomesticamento mantenendo intatta solo la colorazione, in quanto la selezione operata in cattività l’ha portata, a modificare le dimensioni originarie. Non sembrano esistere indicazioni bibliografiche specifiche riguardo a questa razza, tuttavia è certa la sua origine locale ed è probabilmente l’unica razza autoctona ancora presente sul territorio che gode di una buona diffusione. Questa razza fa parte del “Progetto di conservazione razze avicole con particolare riguardo verso quelle a rischio di estinzione”. Dal 1998 questo progetto è gestito da Veneto Agricoltura per conto della Regione Veneto, precedentemente, dal 1981 era controllato dal Consorzio per lo sviluppo avicunicolo e della selvaggina del Veneto di Rovigo e ancor prima (1917) dalla Stazione Sperimentale di Pollicoltura di Rovigo.

Descrizione del prodotto: L’anatra Germanata Veneta presenta un tronco leggermente cadente e carnoso, il collo lungo a forma di “S”, (leggermente più corto nella femmina), il becco forte di color verde chiaro, petto ampio, ali ben aderenti al corpo e zampe di media lunghezza di color arancio. Nel maschio il piumaggio è grigio, con sfumature marrone di varie tonalità su dorso, ali e coda, mentre testa e collo sono di color verde. Le femmine invece presentano colorazione marrone su tutto il corpo. I maschi adulti raggiungono il peso di 3-3,2kg, mentre le femmine sono leggermente più piccole pesando circa 2,6-2,8kg.

Processo di produzione: E’ un animale rustico che si adatta molto bene all’allevamento all’aperto. Le femmine possono essere impiegate nell’incrocio con maschi di anatra Muta (Barberia) per la riproduzione di Mulard, utilizzati per la produzione di fegato grasso. Questi animali sono ottimi pascolatori in grado di cibarsi anche di erbe che crescono sulle sponde o sui fondali dei canali di limitata profondità. I paperi dopo la schiusa vengono allevati per poche settimane in ambienti chiusi per poi essere liberati al pascolo. Per la loro alimentazione possono essere impiegate erbe e verdure di scarto. Nell’allevamento all’ingrasso non è necessaria la presenza di stagni o canali, ma l’acqua è necessaria nell’allevamento dei riproduttori che manifestano una maggiore fecondità se gli accoppiamenti avvengono nell’acqua. Sono animali rustici e facili da allevare, infatti a parte i primi giorni di vita, richiedono pochissime cure, specialmente se il loro allevamento è praticato vicino a corsi d’acqua. La maturità commerciale viene raggiunta a 4-5 mesi e le carni sono molto saporite.

Reperibilità: Diffusa in tutto il territorio regionale, è reperibile facilmente direttamente presso le aziende agricole o presso i canali di distribuzione al dettaglio.

Usi: La carne di anatra è molto utilizzata per la preparazione di arrosti.

Anatra mignon

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: L’anatra Mingon è una razza presente nel nord est d’Italia, allevata prevalentemente nelle aree lagunari dell’alto Adriatico. Le prime notizie ufficiali su quest’anatra, tuttavia, si hanno nel 1962 quando i soggetti di razza Mignon sono stati esposti ad una manifestazione avicola ad Ascoli Piceno. Selezionata definitivamente e migliorata durante gli anni ottanta, alla stazione Sperimentale di Pollicoltura di Rovigo, è stata inclusa nell’elenco “delle razze avicole italiane in pericolo di estinzione”: progetto realizzato nel 1985 su incarico del ministero dell’Agricoltura ed oggi gestito dall’Azienda Regionale Veneto Agricoltura, per conto della Regione Veneto.

Descrizione del prodotto: È un’anatra di taglia ridotta, di aspetto grazioso. Ha portamento orizzontale, cioè col dorso parallelo al terreno. Le zampe sono palmate, la pelle ed il becco di colore giallo. Il piumaggio si presenta bianco candido negli adulti, mentre gli anatroccoli, mostrano un folto piumino giallo. Il peso degli adulti, sia maschi che femmine, si aggira attorno agli 800g. Può venire confusa col germano reale bianco da cui si differenzia principalmente per la colorazione delle uova. Le uova della Mignon si presentano di colore bianco e di peso di circa 40-50 g, mentre quelle del germano sono verdi e leggermente più grandi.

Processo di produzione: Sono animali rustici e facili da allevare, infatti a parte i primi giorni di vita, richiedono pochissime cure, specialmente se il loro allevamento è praticato vicino a corsi d’acqua. La Mignon è una razza a lento accrescimento, che per dare i migliori risultati deve essere allevata con metodo estensivo all’aperto. Gli anatroccoli sono allevati al chiuso fino all’età di 40/60 giorni. Queste anatre devono poter disporre di pascolo per almeno 10 mq/capo. La presenza di acqua in stagno o pozze è importante ai fini dell’allevamento, soprattutto per i riproduttori, in quanto l’accoppiamento è facilitato e si ottiene un maggior numero di uova feconde. Viste le caratteristiche di rusticità, questa razza può essere allevata anche con metodo biologico. Le carni sono molto apprezzate perché saporite. La macellazione avviene solitamente dopo 12-13 settimane di vita, al raggiungimento di un peso medio di 750-800 g.

Reperibilità: Presso aziende agricole, agriturismi e rivendite al dettaglio specializzati, dislocati in gran parte del territorio regionale. Il prodotto è reperibile durante tutto l’anno.

Usi: L’Anatra Mignon viene utilizzata cotta arrosta o allo spiedo.

Faraona camosciata

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: La faraona domestica discende dalla faraona africana, ancora presente allo stato selvatico nella zona occidentale dell’Africa e della quale mantiene identica morfologia. I primi ad addomesticarla, nonostante le sue origini africane, furono i Greci, mentre in Italia arrivò grazie ai Romani. Tuttavia, con la caduta dell’Impero questa razza non venne più allevata e si ridusse drasticamente di numero; fu solo nel basso Medioevo (XVII secolo d. C.) che essa riapparve in Europa, grazie ai Portoghesi che riportarono nel continente alcuni esemplari africani. La razza camosciata fu selezionata a partire da un esiguo gruppo di soggetti presentati erroneamente come faraone bianche alla Esposizione Avicola di Parigi. Il Ghigi, osservando la pelle di questi soggetti, si rese conto di trovarsi di fronte ad una nuova mutazione e dopo aver acquistato gli animali visti a Parigi cominciò nel 1922 la selezione di questa nuova razza di faraone.

Descrizione del prodotto: Il corpo della faraona Camosciata ha un profilo curvilineo ricoperto da penne che presentano la caratteristica “perlatura”, ovvero il disegno formato da piccole e regolari macchie rotonde di colore bianco, che spiccano sulla colorazione delle penne. La pelle è pigmentata, presentandosi nerastra nella zona della gola e del collo. Le penne hanno una tinta fortemente bianca sfumata leggermente di gialliccio, sulla quale spiccano in modo evidente le macchie a perla. La testa e il collo sono nudi, con bargigli maggiormente sviluppati nel maschio. Il portamento nella femmina è quasi orizzontale, mentre nel maschio è più eretto. I pulcini di questa razza sono facilmente riconoscibili poichè sono di un tenue colore giallastro, e presentano sottili strisce dorsali di color camoscio. Le femmine, raggiungendo anche i 2 kg di peso, sono leggermente più grandi dei maschi che arrivano in media a 1,8kg. Depongono uova di colore rossastro e del peso medio di 45 g.

Processo di produzione: Le faraone Camosciate sono animali rustici, di indole gregaria e ottimi pascolatori, che per la produzione di carni di qualità si prestano all’allevamento estensivo all’aperto a lento accrescimento. I pulcini vengono allevati al chiuso fino all’età di 40/60 giorni, poi, una volta impiumati, vengono allevati in arche per l’allevamento all’aperto. Gli animali devono poter disporre di pascolo per almeno 10 mq/capo. Viste le caratteristiche di rusticità della razza può essere allevata anche con metodo biologico.

Reperibilità: Allevata da aziende agricole specializzate, la faraona camosciata è reperibile presso le aziende stesse o presso dettaglianti in tutto il territorio regionale.

Usi: La carne di faraona, gustosa e molto apprezzata, è usata prevalentemente cotta arrostita.

Galletto nano di corte padovana – Pepoa

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: I progenitori degli attuali polli domestici (Gallus gallus) abitavano la zona meridionale e centrale dell’India; furono portati in Cina verso il 1400-1500 e successivamente in Europa. In quasi tutte le civiltà antiche, i polli sono stati usati dapprima come animali da combattimento, poi hanno assunto significato religioso, infine, sono diventati una risorsa alimentare; da qui la storia del pollo è soprattutto storia di cucina e di ricette, ad iniziare dagli antichi Romani, che lo consideravano un piatto prelibato. Sino all’ottocento l’allevamento del pollo fu confinato nell’ambito dell’attività domestica, di competenza delle donne. Le razze si sono via via diversificate per morfologia, colorazione e zona geografico-climatica di “colonizzazione”. La razza “pepoi” è di origine Veneta, molto diffusa nella zona nord orientale del Veneto e del Friuli, ed è l’unica razza nana rurale da reddito attualmente disponibile sul mercato.

Descrizione del prodotto: I pulcini alla nascita hanno una colorazione marron chiaro con striature più scure sul dorso e sul capo. La colorazione del piumaggio degli adulti è “tipo dorato” con piccole differenze tra i sessi. Nel gallo, ad esempio, il petto deve essere scuro (nero) mentre nella gallina tende al dorato (salmone). La pelle e i tarsi sono di colore giallo. Gli animali adulti raggiungono pesi di 1,3-1,5 kg il maschio e 1-1,1 kg nella femmina. Le galline producono uova a guscio colorato di dimensioni abbastanza piccole (40-45 gr) con la particolarità di avere una percentuale di tuorlo superiore alle uova di altre galline. Hanno masse muscolari del petto molto sviluppate che ben si adattano alla preparazione allo spiedo o alla griglia e forniscono carni molto saporite.

Processo di produzione: Questa razza, rustica, a lento accrescimento e di dimensioni ridotte, si presta bene all’allevamento estensivo all’aperto. I pulcini devono essere allevati al chiuso per 40-60 giorni e successivamente all’aperto, in arche appositamente preparate, fino al momento della macellazione. L’alimentazione deve integrare, con apposite farine di cereali, gli alimenti che gli animali raccolgono razzolando. Le galline di questa razza, oltre a essere ottime produttrici di uova, possono anche essere utilizzate per la cova e l’allevamento naturale. I “pepoi” possono essere utilizzati per il consumo fresco già all’età di 4-5 mesi, e sono impiegati per la produzione del cosiddetto pollo/porzione al raggiungimento del peso di circa 600-700 gr. Nel passato gli esemplari maschi venivano frequentemente castrati per ottenere il “capponino”, utilizzato dalle massaie come balia al posto della chioccia e macellato in occasione delle feste natalizie.

Reperibilità: Questi polli sono reperibili presso le aziende agricole che li allevano o presso i rivenditori al dettaglio, in tutto il territorio regionale durante tutto l’anno.

Usi: Le carni magre e saporite di questa razza di polli sono molto apprezzate dai consumatori, utilizzate cotte allo spiedo o arrosto.

Gallina ermellinata di Rovigo

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: L’avicoltura italiana, negli anni Cinquanta del secolo scorso, avviò uno sviluppo teso a produrre carni sane e di qualità. Era però necessario selezionare una linea femminile in grado di trasmettere buone caratteristiche produttive senza “coprire” le tipicità delle linee maschili con le quali veniva accoppiata. A questo scopo presso la Stazione Sperimentale di Pollicoltura di Rovigo iniziò un lungo lavoro di selezione che terminò nel 1957 con la nascita di una nuova razza, l’Ermellinata di Rovigo, alla cui formazione hanno concorso le razze Sussex e Rhode Island. Verso gli anni 60 e 70 del secolo scorso questa razza fu diffusa in tutto il Veneto, e in altre regioni, dai Consorzi Agrari. Anche questa razza è inserita nella lista di razze avicole che fanno parte del “Progetto di conservazione razze avicole con particolare riguardo verso quelle a rischio di estinzione”, che, partito nel 1985 per volontà del Ministero dell’Agricoltura, è oggi gestito dall’Azienda Regionale Veneto Agricoltura.

Descrizione del prodotto: I pulcini alla nascita hanno un piumino giallo e soffice. Da adulti sia il maschio che la femmina portano il tipico piumaggio con disegno ermellinato, ossia mantello fondamentalmente bianco con mantellina, timoniere e remiganti macchiate di nero e coda perfettamente nera. I maschi si distinguono facilmente dalle femmine a partire dall’ottava settimana di vita, perchè più grandi e con postura più eretta. La pelle e i tarsi sono di colore giallo, produce uova con guscio di color roseo/bruno. Il peso dei galli adulti si aggira attorno ai 3-3,5 kg, mentre le femmine raggiungono un peso di 2,2-2,6 kg. Le uova pesano mediamente 55-60 grammi. Se i galletti vengono castrati si ottengono i capponi, ottimi per la produzione di carne da brodo.

Processo di produzione: L’Ermellinata di Rovigo è una razza rustica con buone attitudine al pascolo e in grado di adattarsi ai diversi ambienti agrari. Si presta bene sia per l’allevamento estensivo all’aperto, che per l’allevamento con metodo biologico. I pulcini vengono allevati al chiuso fino all’età di 40/60 giorni, poi, una volta impiumati, vengono allevati in arche per l’allevamento all’aperto. È una tipica “linea femminile” da utilizzarsi, per produzioni di nicchia e di qualità, in incroci di prima generazione con razze da carne leggere o pesanti. Incrociando, per esempio, un gallo di razza Livornese dorato con galline di razza Ermellinata di Rovigo si ottengono galletti (piumaggio ermellinato argentato) con un peso medio di 1,250 Kg per la produzione del pollo novello, mentre le pollastre presentano un piumaggio rosso dorato e sono delle ottime ovaiole medio – leggere (peso a 12 mesi 1,90-2,30 Kg.) eccellenti produttrici di uova a guscio avorio rosato. Per ottenere produzioni più pesanti si realizza l’incrocio tra gallo New Hampshire e gallina Ermellinata di Rovigo, ottenendo soggetti maschi ermellinati (che a 10 settimane raggiungono il peso medio di 1,350 Kg.) e femmine rosse ovaiole medio pesanti.

Reperibilità: Abbastanza diffusa in tutto il territorio veneto, e specialmente nella zona del Delta del Po, gli esemplari di questa razza sono reperibili presso aziende agricole e rivenditori specializzati.

Usi: I polli vengono consumati cotti alla brace o arrosto. I capponi vengono utilizzati per il brodo o per l’arrosto mentre la carne di gallina viene bollita e utilizzata per il brodo. Sono consumate e apprezzate anche le uova prodotte da questa razza.

Oca del Mondragone

Territorio interessato alla produzione: Comune di Tarzo (TV)

La storia: L’oca domestica deriva dall’oca cinerina selvatica che nidifica nel Nord Europa e d’inverno giunge in Italia ed in altri paesi meridionali. La sua addomesticazione è antichissima e risale all’epoca neolitica. La diffusione di questo volatile fu favorita, nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, dall’insediamento di comunità ebraiche nei territori di Venezia, di Ferrara e di Mantova, infatti l’oca nell’alimentazione ebraica è di fondamentale importanza perché sostituisce il maiale, escluso per motivi religiosi. L’oca del “Mondragone” deriva dall’incrocio tra individui di due razze: l’Oca Veneta (di colorazione bianca macchiata di grigio sulle ali e sulla testa) e l’Oca Romagnola (ottima produttrice di uova, è simile alla Veneta, dalla quale differisce per la totale colorazione bianca candida). Attualmente l’Oca del Mondragone viene allevata in maniera estensiva in qualche azienda agrituristica al fine di recuperare prati e pascoli in via di degrado.

Descrizione del prodotto: L’oca del “Mondragone” al momento della commercializzazione è un animale giovane, di 4-6 mesi con un peso tra i 4,5 e i 6 chili. La carne è magra grazie ai pochi mesi di vita e all’intensa attività motoria allo stato brado e semi-brado. Le sue carni risultano particolarmente pregiate proprio perché racchiudono gli intensi aromi di quanto è stato brucato (dal tarassaco al trifoglio, dalle more di gelso ai fichi selvatici) tra le colline e i boschi del Mondragon.

Processo di produzione: Le oche vengono allevate allo stato brado e semi-brado su prati, zone arbustive e di sottobosco. Il pascolo viene esercitato in turnamento per consentire il continuo rinnovo delle essenze vegetali più pregiate.

Reperibilità: Presso la zona del Mondragone, dove si allevano queste oche, è reperibile durante tutto l’anno.

Usi: Le oche vengono vendute a privati e ristoranti o impiegate direttamente nel ristoro secondo le più tradizionali preparazioni: cotte intere o in parti al forno, sobbollite nel loro grasso, allo spiedo, con ripieno, ecc. Recentemente viene proposta anche in preparazioni come il petto d’oca, il paté di fegato, il salame d’oca e la “serenissima” oca “in saor”.

Pollo rustichello della pedemontana

Territorio interessato alla produzione: Area della Pedemontana Trevigiana: Comunità Montana del Grappa, Comunità delle Prealpi Trevigiane e Montello.

La storia: Il pollo ruspante un tempo cresceva e prolificava, libero di razzolare e nutrito in modo sano, nelle aie delle case di campagna e nei campi limitrofi, era un animale da cortile talmente diffuso da costituire una risorsa alimentare di primaria importanza. La produzione del pollo rustichello avviene nelle aziende agrituristiche e agricole locali perché si è voluto ripristinare e sviluppare l’allevamento aziendale del pollo ruspante. Questo tipo di produzione era stata sostituita quasi totalmente da quella industriale, ma ora si asseconda una legittima richiesta dei consumatori che manifestano la necessità di ritornare alla qualità genuina di quelle carni. Lo scopo fondamentale di questa produzione è dunque quello di selezionare le razze più rustiche e resistenti al fine di garantire un prodotto di alta qualità.

Descrizione del prodotto: Sono tre le razze di pollo rustichello allevate nella pedemontana trevigiana: New Hampshire ha piumaggio di color rosso scuro. Il peso dei galli si aggira sui 2,7-3 kg, quello delle galline raggiunge i 2 kg ca. Questa razza è allevata per le sue spiccate doti di produttrice di carne e uova (di color rosato del peso di 60 gr. ca.), nonché per la produzione di meticci. Razza Maculata è la razza più diffusa nella fascia pedemontana. Il suo piumaggio è bianco con macchie nere su tutto il corpo, mentre le penne della mantellina sono argentate. Il peso dei galli varia tra i 3,8 e i 4,5 kg, mentre le galline non superano i 2,8-3,3 kg. Depongono uova dal guscio roseo di circa 60 gr. di peso. Ermellina di Rovigo ha un piumaggio di colorazione bianca con le penne timoniere e della mantellina scure. I galli pesano 3,7 kg ca., mentre le galline arrivano a 2,5 kg ca. Depongono uova a guscio roseo, del peso di 60 gr. circa. A 120 gg. i galletti e le pollastre raggiungono il peso di 1,8 kg ca.

Processo di produzione: Il vero pollo ruspante è tale solo quando viene allevato e cresciuto in un ambiente idoneo. I pulcini nelle prime settimane di vita vengono tenuti in un locale chiuso, pulito e ben disinfettato, lontano da correnti d’aria, riscaldato con lampade a raggi infrarossi o a gas, con le mangiatoie e gli abbeveratoi sistemati sopra uno strato di truccioli di legno. Dopo sei-sette settimane inizia la fase di allevamento all’aperto, in un ambiente che garantisce a ogni capo almeno 10 mq di spazio, allestendo per il riposo apposite strutture ad arca, capaci di ospitare dai 30 ai 40 capi, ciascuna con attorno circa 500 mq di terreno per il pascolo. L’alimentazione è naturalmente un altro aspetto determinante per poter allevare un pollo che si possa definire genuinamente ruspante. Per questo gli animali vengono nutriti con miscele equilibrate nel rapporto tra le varie sostanze, facendo in modo che l’animale si sviluppi attraverso un accrescimento lento e fisiologico, per assicurare alle sue carni la migliore qualità. Nelle prime settimane si somministrano miscele alimentari contenenti nuclei proteici formulati con proteine grezze.

Reperibilità: Presso gli agriturismi, gli allevamenti e le macellerie della zona di produzione si può facilmente trovare il prodotto durante tutto l’anno.

Usi: Le carni di pollo rappresentano un alimento facilmente digeribile e ricco di virtù nutrizionali, e sono composte per il 25% da proteine di alto valore biologico, utilizzate in modo completo dal nostro organismo, per il 10-15% da grassi e in buona quantità da sali di calcio, fosforo e ferro.

Tacchino comune bronzato

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Il tacchino comune bronzato è una razza veneta assai diffusa in ambito locale. “Attualmente alcune aziende venete, orientatesi verso la produzione di pollame biologico, commercializzano questo tipo di animale durante le festività natalizie ottenendo un certo riscontro. Il tacchino Bronzato Comune conserva una buona attitudine materna e una discreta deposizione, potendo quindi essere utilizzato nella cova di razze meno propense all’allevamento naturale.” (M. Arduin). Il tacchino Bronzato dei Colli Euganei si differenzia dal Bronzato Comune per un piumaggio più ricco di riflessi bronzati.

Descrizione del prodotto: Il tacchino Bronzato appartiene ad una razza di tacchini “leggeri”; i maschi raggiungono il peso di 6-7 kg, mentre le femmine pesano circa 3-3,5 kg. Presentano piumaggio di colore nero brillante, con riflessi bronzei intensi. Le penne della coda sono molto larghe, di colore bruno nero con fasce nere. Testa e collo sono privi di piumaggio e sono ricoperti da escrezioni carnose (caruncole) di colore rosso acceso; la pelle invece e di color biancastro o a volte giallastra. Le femmine producono uova di color rosato del peso di 70-85 g e sono in grado di portare a buon fine anche 4 o 5 covate consecutivamente, rimanendo nel nido complessivamente per più di 100 giorni. Possono covare uova anche di altre specie come pollo, faraona, fagiano e anatra, funzionando da “incubatrice” naturale. Il tacchino Comune Bronzato è utile anche per l’allevamento destinato all’autoconsumo in quanto la piccola mole degli animali è adeguata per soddisfare le esigenze di una famiglia poco numerosa. La carne del tacchino è molto apprezzata perchè saporita e soda, simile a quella del pollo.

Processo di produzione: Animali rustici, a lento accrescimento, i tacchini Bronzati sono ottimi pascolatori e cacciatori di insetti, cavallette e serpi. Sono allevati con sistema intensivo all’aperto, ma possono anche essere allevati con metodo biologico. Non necessitano di particolari cure e vengono alimentati con mangimi e lasciati liberi di integrare la loro dieta con quanto recuperano pascolando. La macellazione deve avvenire non prima dei 140 giorni di vita.

Reperibilità: Presso le aziende agricole che li allevano, ma anche presso i rivenditori al dettaglio in tutto il territorio regionale, il prodotto è reperibile durante tutto l’anno.

Usi: La carne del tacchino è abbastanza magra, tenera, facilmente digeribile e contiene una buona quantità di ferro. Ottima cotta arrosto può anche essere lavorata per ottenere salami e petti affumicati. Piatto tipico e particolare è il “tacchino in onto”: la carne dell’animale viene tagliata a pezzi, introdotta in contenitori, ricoperta da grasso fuso di maiale o di oca e utilizzata dopo alcuni mesi per la preparazione di zuppe o di secondi piatti.

Tacchino ermellinato di Rovigo

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Il tacchino è originario del continente americano, dal quale fu importato in Europa nel XVI secolo. Presso la Stazione Sperimentale di Pollicoltura di Rovigo, nel 1958 per migliorare le prestazioni del tacchino Comune Bronzato, si iniziò l’introduzione di sangue della razza americana “Narra Gansett”, ottenendo soggetti con piumaggio grigio e tarsi color bruno rossastri. Nel gruppo, per mutazione, comparvero alcuni soggetti con piumaggio ermellinato e tarsi color carnicino. La selezione di questi animali portò alla formazione di una nuova razza denominata Tacchino Ermellinato di Rovigo, di taglia media, precoce e a rapido impennamento. Anche questa razza avicola è inserita nell’elenco delle razze a rischio di estinzione ed è tutelata da uno specifico Progetto di Conservazione portato avanti dall’Azienda Regionale Veneto Agricoltura.

Descrizione del prodotto: Il tacchino è il più grosso gallinaceo da cortile, ha testa e collo nudi con pelle ricoperta da escrescenze rosse ed è provvisto di un bergiglio sottogolare. È caratterizzato da un piumaggio bianco con striature nere; le piume della coda terminano con una fascia nera e striature bronzate; la pelle invece è bianca. I pulcini presentano piumaggio completamente giallo. Gli animali adulti raggiungono pesi di 10-12 kg il maschio e 4-6 kg nella femmina. Le tacchine producono uova di 70/80g con guscio leggermente rosato. Ha carni saporite e sode, molto apprezzate dai consumatori.

Processo di produzione: I tacchini ermellinati sono animali rustici, a lento accrescimento, ottimi pascolatori e cacciatori di insetti, cavallette e serpi. Si prestano bene per l’allevamento all’aperto o con metodi biologici. Inoltre si adatta molto bene anche negli allevamenti ad alte quote. I pulcini vengono svezzati al chiuso per i primi 40-60 giorni di vita e successivamente sono allevati in arche all’aperto. Gli animali devono poter disporre di pascolo per almeno 10-15 mq/capo. L’alimentazione deve contemplare sia gli alimenti che gli animali si procurano razzolando che miscele di mangimi cereali. Dopo 140 giorni di vita è possibile procedere alla macellazione degli animali.

Reperibilità: Il prodotto è reperibile presso le aziende produttrici e presso i rivenditori al dettaglio in tutto il territorio regionale.

Usi: Dall’allevamento del tacchino si ottengono sia ottime carni per il consumo fresco, sia prodotti stagionati da consumarsi nel tempo. Anche le uova possono essere utilizzate per l’alimentazione umana.

Bovolo

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero, acqua, sale, lievito naturale e di birra.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: la farina viene impastata a lungo con il lievito e l’acqua tiepida nell’impastatrice. Quando l’impasto ha raggiunto una giusta consistenza si divide in grossi pezzi che si lasciano lievitare a lungo in appositi contenitori. Successivamente si reimpastano e si formano tante pagnottelle del peso di 150 gr. a cui viene data la forma di chiocciola. Pane oblungo con le due estremità circolari. Si inforna e si cuoce.

Area di produzione: tutto il Veneto.

Note: il nome deriva dalla forma di chiocciole – lumache – che in dialetto veneto si chiamano bovoli. La caratteristica della pasta dura è quella di avere una bassa percentuale di umidità, quindi impastare la farina diventa cosa molto faticosa, tant’è che in passato, prima dell’impastatrice elettrica, si utilizzava una macchina di legno girata a mano. Dove anche la macchina era un lusso, nelle case contadine più povere e in quelle operaie, la farina si impastava con i piedi utilizzando un paio di zoccoli fatti apposta per questa operazione. Si segnala che anticamente anche a Roma c’era un panino che assomigliava al bovolo chiamato “ciumachella”, piccola chiocciola, che oggi non c è più.

Rosette

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero, strutto, acqua, olio, chiara d’uovo, lievito acido e di birra, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici: pizzico di zucchero.
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: alla farina viene aggiunto il lievito acido, di birra sciolto in acqua, lo strutto, l’olio, un pizzico di zucchero. L’impasto viene lavorato fino a quando l’elaborato non risulti omogeneo ed elastico. Si lascia lievitare per qualche ora fino a che non raddoppia di volume. Si taglia poi in tanti pezzi ai quali viene data, tramite abili manipolazioni, la forma di rosetta. Si lascia alzare per altro tempo e si cuoce in forno caldo.

Area di produzione: le rosette, tipiche in tutto il Veneto, sono fatte manualmente solo nella zona di Venezia.

Note: rispetto alle rosette industriali, quelle veneziane artigianali hanno l’interno pieno. Questi panini o piccoli pani, fatti con burro o strutto, hanno origine nelle regioni settentrionali dell’Italia romana. Secondo Plinio (N.H., XVIII, 105) essi potevano essere fatti solo da gente pacifica, che aveva molto tempo da perdere e non doveva più pensare alla guerra. Nella cucina romana il burro, che Plinio chiama “cibum lautissimum barbarorum”, cibo molto nutriente dei barbari, era infatti assente, così come non si conosceva l’uso dello strutto nella panificazione. Lo stesso manufatto a Firenze prende il nome di “Semelle”.

Zoccoletti

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero, acqua, lievito naturale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: è la stessa lavorazione della ciabatta (vedi scheda). Cambia solo la forma, che è quella di un piccolo panino irregolare, dal peso di 120 gr., dall’interno quasi cavo, croccante.

Area di produzione: in tutto il Veneto e altre parti d’Italia, dove viene fatta anche la “ciabatta Italia”.

Note: fruisce della stessa tecnologia della ciabatta. Essendo più piccolo della ciabatta, viene detto “zoccoletto”, termine usato in passato per indicare un tipo di scarpa. Questa terminologia oggi è quasi in disuso.

Bibanesi

BANANA COMUNE (Padova e provincia);
CORNETTI (Padova e provincia);
MANTOVANA (Padova e provincia);
BIBANESI (Treviso e provincia);
CIOPA VICENTINA (Provincia di Vicenza);
MONTASÙ (tutti i comuni dell’alta padovana).

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Tipo di pane risalente all’immediato dopoguerra, quando il consumatore, stanco della classica pagnotta del periodo bellico, pretese forme di pane di singola porzione alle quali vennero dati nomi di fantasia a tutt’oggi utilizzati.

Descrizione del prodotto:
Banana comune: pane di forma allungata formata da quattro o cinque giri di impasto attorno al pane stesso, assai morbida, composta da farina di grano tenero tipo 0, acqua, lievito di birra, sale, malto con o senza aggiunta di strutto o olio di oliva.

Cornetti: pane caratteristico formato da due parti arrotolate, attaccate con rialzi nella parte apicale, prodotto con farina di grano tenero tipo 0, acqua, lievito, sale e malto.

Mantovana: pane a forma di due conchiglie appaiate, prodotto con farina di grano tenero tipo 0, acqua, lievito, sale e malto.

Bibanesi: bocconcini di pane stirati a mano, di lunghezza e spessore variabili, friabili, leggermente salati e secchi, prodotti con olio di oliva di qualità, con quantità ridotta di semi di sesamo in superficie, colore giallo dorato. Al bibanese classico si affiancano diverse versioni alla pizza, rosmarino, ecc.

Ciopa Vicentina: pane realizzato con un impasto di farina, acqua, lievito acido e sale.

Montasù: pane con crosta consistente prodotto con farina di grano tenero tipo 0, acqua, lievito naturale, sale.

Processo di produzione: Il processo di produzione dei pani è simile per tutti i prodotti in elenco e si differenzia solo per alcuni tempi di lievitazione o la temperatura di cottura, oltre che, ovviamente, per le diverse forme date alle pagnotte. Quest’ultima, assieme all’umidità, determina la fondamentale differenza dei pani per quanto riguarda la consistenza. Generalmente gli ingredienti vengono impastati alla sera, lasciati riposare e lievitare; vengono quindi reimpastati, infornati e successivamente lasciati raffreddare.

Pan biscotto veneto

Territorio interessato alla produzione: E’ un prodotto è tradizionale per quasi tutto il territorio del Veneto, ma è ancora oggi particolarmente prodotto e consumato nel Basso Vicentino e nel Polesine.

La storia: Nel Polesine il pan biscotto era tradizionalmente preparato nelle “casade” (fattorie) di campagna, dove vi era un forno a legna che veniva adoperato dai salariati. Mediamente si faceva il pane per la famiglia ogni 15 giorni, ed era quindi necessario ottenere un prodotto facilmente conservabile. Nel Basso Vicentino il pan biscotto viene fatto da molte generazioni in tutti i panifici proprio dove si trovano antichi mulini ad acqua.

Descrizione del prodotto: Pane di pasta molto dura, ottenuto da farine di media forza. Gli ingredienti caratteristici sono i seguenti: lievito di birra, una volta e in qualche esempio ancora oggi, si conservava dal precedente impasto un 10% di pasta da aggiungere al nuovo perché contribuiva alla lievitazione (detta bìga), sale fino, acqua, farina, olio extravergine d’oliva o strutto, utilizzato soprattutto un tempo.

Processo di produzione: Si ottiene un impasto molto consistente, duro, del peso di 30-40 kg. Dopo la lunga lievitazione, della durata di 4-5 ore, le forme di pane vengono messe su tavole La procedura di lavorazione inizia con l’impasto di tutti gli ingredienti, effettuato a mano una volta e nell’impastatrice, oggi, per circa 20-30 minuti. Nel Polesine è tipico l’impiego dl lievito dei giorni precedenti (lievito madre), rinfrescato di giorno in giorno.

Reperibilità: In tutti i panifici del Veneto lungo tutto il corso dell’anno.

Usi: Il pan biscotto viene consumato solitamente inzuppato nel caffelatte o nelle zuppe, ma anche per accompagnare gli affettati e i salumi.

Pane di mais

Composizione:
a. Materia prima: farina di mais e frumento, lievito naturale, sale, zucchero.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: le farine di mais e di frumento, unitamente al lievito stemperato in acqua e ad un pizzico di sale e zucchero, vengono impastate a lungo. Si lascia lievitare per diverse ore. L’impasto viene ripreso e lavorato ancora sulla spianatoia infarinata, dividendolo poi in tante parti uguali, alle quali viene data sia la forma rotonda che quella allungata del filone. Dopo breve riposo vengono infarinate e cotte.

Area di produzione: tutto il Veneto.

Note: nell’Italia settentrionale, soprattutto in Lombardia e nel Veneto, dove il consumo di polenta è stato più marcato; non in tutte le località, sia di pianura che di montagna, il pane era alimento abituale. Solo negli ultimi decenni, con la progressiva modernizzazione dello stile di vita, c’è stata una sua maggiore diffusione. Un tempo nei piccoli paesi di montagna della regione il pane, quello bianco e più ambito, si faceva arrivare da grossi centri e le rare volte che i montanari facevano il pane, lo facevano con il mais. Forse è per una questione di nostalgia o di affezione se in questa regione il pane di mais trova tanti estimatori. In verità, trattandosi di una miscela, sarebbe più corretto chiamarlo pane al mais. Ma l’uso è quello accolto nella denominazione della scheda.

Pane arabo

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero, farina di avena, acqua, olio extravergine di oliva, lievito di birra, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: le due farine vengono impastate bene con l’acqua e gli altri ingredienti. Si formano dei pani sottili, tipo piadina, del peso di circa 90/100 gr.; si lascia lievitare e si cuoce per 4/5 minuti soltanto nel forno ben caldo, ma anche su i carboni ardenti.

Area di produzione: Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso.

Note: è una ricetta di origine araba. L’elaborato è ottimo da farcire e cuocere alla griglia perché diventa subito croccante. Abitualmente si consuma in alternativa al pane accompagnato da salumi e formaggi locali. La crescente presenza di immigrati dai paesi arabi nel nostro paese moltiplica elaborazioni di questo tipo. Esse fioriscono a Roma, attorno alla moschea di recente apertura.

Pan co a suca

PANDOLI DI SCHIO: provincia di Vicenza area di Schio e Malo.
TRECCIA D’ORO DI THIENE: comune di Thiene e comprensorio.
PAN CO L’UA: vari comuni del Veneto in particolar modo nella provincia di Treviso.
PAN CO LA SUCA: molti comuni del territorio Veneto in particolar modo nella fascia pedemontana della provincia di Treviso.
PAN DE LE FESTE: Valbelluna, Alpago, Belluno.
PANE DI MAIS: provincia di Vicenza e anche altre province Venete.

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Sono pani tipici delle feste come prodotti rustici e caserecci che fanno parte della cultura tradizionale contadina da molto tempo.

Descrizione del prodotto:

Pandoli di Schio: pane dolce formato da farina di grano tenero, latte e uova.

Treccia d’oro di Thiene: realizzato con farina, burro, zucchero, uova, rosso d’uovo, aromi, lievito naturale, uvetta, cedro e arancia candita. E’ lievitato e ha forma di treccia.

Pan co l’ua: per 1 kg di farina di frumento bianca 00, zucchero 150 g, burro 150 g, uva sultanina 250 g, lievito di birra 50 g, sale q.b., acqua q.b. La forma dei panetti può essere diversa: quelli fatti in casa sono piccoli e rotondi; in panificio se ne fanno a forma di parallelepipedo

Pan co a suca: per ogni Kg di zucca lessata e asciugata si aggiungono 250 g di farina di frumento 00, 100 g di zucchero, 50 g di lievito.

Pan de la festa: per ogni Kg di farina di frumento si aggiunge farina di sorgo 500 g, burro 100 g, zucchero 100 g, lievito 50 g, sale q.b., liquore q.b., buccia di limone grattugiata q.b., noci, nocciole e fichi secchi a pezzetti 300 g. Per quanto riguarda la forma: a Natale assomiglia alla focaccia, a Capodanno e all’Epifania viene confezionato a forma di ciambellone.

Pane al mais: farina di mais, frumento, lievito, sale e zucchero.

Processo di produzione: Il processo di produzione dei pani è simile per tutti i prodotti in elenco. Si differenzia per alcuni tempi di lievitazione o la temperatura di cottura, per gli ingredienti di condimento aggiunti oltre che, ovviamente, per le diverse forme date alle pagnotte. Generalmente gli ingredienti vengono impastati alla sera, lasciati riposare e lievitare; vengono quindi reimpastati, infornati e successivamente lasciati raffreddare.

Reperibilità: I vari prodotti sono facilmente reperibili presso panetterie e panifici nelle zone di produzione.

Usi: Ottimi da assaporare da soli come alternativa al prodotto dolciario.

Pan co l’ua

PANDOLI DI SCHIO: provincia di Vicenza area di Schio e Malo.
TRECCIA D’ORO DI THIENE: comune di Thiene e comprensorio.
PAN CO L’UA: vari comuni del Veneto in particolar modo nella provincia di Treviso.
PAN CO LA SUCA: molti comuni del territorio Veneto in particolar modo nella fascia pedemontana della provincia di Treviso.
PAN DE LE FESTE: Valbelluna, Alpago, Belluno.
PANE DI MAIS: provincia di Vicenza e anche altre province Venete.

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Sono pani tipici delle feste come prodotti rustici e caserecci che fanno parte della cultura tradizionale contadina da molto tempo.

Descrizione del prodotto:

Pandoli di Schio: pane dolce formato da farina di grano tenero, latte e uova.

Treccia d’oro di Thiene: realizzato con farina, burro, zucchero, uova, rosso d’uovo, aromi, lievito naturale, uvetta, cedro e arancia candita. E’ lievitato e ha forma di treccia.

Pan co l’ua: per 1 kg di farina di frumento bianca 00, zucchero 150 g, burro 150 g, uva sultanina 250 g, lievito di birra 50 g, sale q.b., acqua q.b. La forma dei panetti può essere diversa: quelli fatti in casa sono piccoli e rotondi; in panificio se ne fanno a forma di parallelepipedo

Pan co a suca: per ogni Kg di zucca lessata e asciugata si aggiungono 250 g di farina di frumento 00, 100 g di zucchero, 50 g di lievito.

Pan de la festa: per ogni Kg di farina di frumento si aggiunge farina di sorgo 500 g, burro 100 g, zucchero 100 g, lievito 50 g, sale q.b., liquore q.b., buccia di limone grattugiata q.b., noci, nocciole e fichi secchi a pezzetti 300 g. Per quanto riguarda la forma: a Natale assomiglia alla focaccia, a Capodanno e all’Epifania viene confezionato a forma di ciambellone.

Pane al mais: farina di mais, frumento, lievito, sale e zucchero.

Processo di produzione: Il processo di produzione dei pani è simile per tutti i prodotti in elenco. Si differenzia per alcuni tempi di lievitazione o la temperatura di cottura, per gli ingredienti di condimento aggiunti oltre che, ovviamente, per le diverse forme date alle pagnotte. Generalmente gli ingredienti vengono impastati alla sera, lasciati riposare e lievitare; vengono quindi reimpastati, infornati e successivamente lasciati raffreddare.

Reperibilità: I vari prodotti sono facilmente reperibili presso panetterie e panifici nelle zone di produzione.

Usi: Ottimi da assaporare da soli come alternativa al prodotto dolciario.

Subioti all’ortica

GARGATI (provincia di Vicenza);
SUBIOTI ALL’ORTICA (territorio regionale soprattutto provincia di Treviso).

Territorio interessato alla produzione: Vicenza, Treviso

La storia: Ideati nel dopo-guerra per la crescente richiesta di forme diverse di pasta che arricchissero le tavole venete.

Descrizione del prodotto:

Gargati: pasta simile ai maccheroni, realizzata con farina di grano tenero, semola di grano duro, uova (6 per ogni Kg. di farina). Il diametro è di circa 1,2 cm., la lunghezza è di circa 5 cm.

Subioti all’ortica: prodotti con farina, acqua, sale, uova e ortiche.

Processo di produzione: L’impasto viene realizzato con gli ingredienti descritti, poi viene inserito in uno a piccola pressa con trafilatrice. L’impasto non deve essere troppo umido, perché altrimenti la pasta risulterà troppo liscia e non tratterrà bene il sugo.

Reperibilità: I prodotti sono reperibili presso alcuni pastifici che li producono o in alcuni ristoranti che li propongono.

Usi: Ottimi se accompagnate con sughi di carne o verdure.

Bigoi

Territorio interessato alla produzione: Regione del Veneto, in particolare nelle province di Padova, Treviso e Vicenza.

La storia: I bigoli sono probabilmente la pasta più tradizionale del Veneto, un prodotto di tradizione contadina in uso fin dai tempi della Serenissima Repubblica di Venezia. La leggenda vuole che nel 1604 un pastaio di Padova, detto “Abbondanza”, venne autorizzato dall’allora Consiglio del Comune a godere del brevetto di un macchinario per lavorare la pasta, usando frumento padovano. Il signor Abbondanza riuscì a produrre con questo macchinario anche vermicelli ed altri tipi di pasta lunga. La predilezione dei padovani cadde sui “bigoli” una sorta di spaghettoni, tutti tondi, divenuti appunto la pasta tipica veneta. Da quasi 30 anni si svolge a Zanè (VI), la sagra dei “bigoi co l’arna” cioè i bigoli con il sugo di anitra.

Descrizione del prodotto: I Bigoli sono spaghetti di grosse dimensioni (il diametro è circa 2 millimetri), lunghi 20-25 cm e preparati con farina bianca, burro, latte e uova di anatra o di gallina. Un tempo le famiglie più modeste omettevano l’aggiunta di uova e burro, oggi usati per rendere l’impasto più morbido. La variante “bigoi neri” viene ottenuta con farina integrale o aggiungendo all’impasto del nero di seppia.

Processo di produzione: L’impasto ottenuto amalgamando e lavorando per circa 20 minuti gli ingredienti, viene immesso in un apposito torchietto di bronzo chiamato “bigolaro” e pigiato: da questa operazione si ricavano questi spaghetti ruvidi e grossolani. Il prodotto viene quindi messo a riposare ed asciugare su appositi teli infarinati per circa 24 ore.

Reperibilità: Diffusissimi in quasi tutta la regione, i bigoli si trovano in commercio presso la maggio parte dei negozi alimentari e si trovano spesso nei menu di ristoranti e agriturismi.

Usi: I bigoli vanno consumati, dopo una breve cottura in acqua. Il condimento tradizionale dei bigoli è quello a base di frattaglie di anatra cotte con burro, olio, sale e un’aggiunta del brodo di anatra nel quale viene fatta bollire la pasta. Ma sono molto famosi anche i bigoli “in salsa”, conditi con un sugo a base di cipolle soffritte, olio e acciughe.

Lasagne da fornel

LASAGNE DA FORNEL (Vallata Agordina in particolare la Valle del Bios-Belluno); TAJADELE AL TARDIVO (provincia di Treviso).

Territorio interessato alla produzione: Belluno, Treviso

La storia: Questi prodotti sono presenti nel territorio da almeno 30 anni

Descrizione del prodotto:

Lasagne da fornel: farina bianca, uova, acqua, latte, semi di papavero, zucchero, uva passa, arachidi, noci e cannella.

Tajadele al tardivo: farina di frumento, acqua, sale, uova e radicchio tardivo

Processo di produzione: Si fa la sfoglia con farina (mezzo chilo per volta), due uova, un po’ d’acqua e latte. Si amalgamano gli ingredienti sulla spianatoia, quindi con il mattarello si assottiglia la pasta che viene successivamente arrotolata e tagliata in strisce larghe 8-10 cm (nel caso delle lasagne) o di 3-4 cm (nel caso delle tajadele). Poi si lavano e pestano gli ingredienti che verranno amalgamati assieme alla pasta.

Reperibilità: Si trovano nei pastifici artigianali

Usi: Ottime se accompagnate con sughi di carne o di verdure.

Tajadele al tardivo

LASAGNE DA FORNEL (Vallata Agordina in particolare la Valle del Bios-Belluno); TAJADELE AL TARDIVO (provincia di Treviso).

Territorio interessato alla produzione: Belluno, Treviso

La storia: Questi prodotti sono presenti nel territorio da almeno 30 anni

Descrizione del prodotto:

Lasagne da fornel: farina bianca, uova, acqua, latte, semi di papavero, zucchero, uva passa, arachidi, noci e cannella.

Tajadele al tardivo: farina di frumento, acqua, sale, uova e radicchio tardivo

Processo di produzione: Si fa la sfoglia con farina (mezzo chilo per volta), due uova, un po’ d’acqua e latte. Si amalgamano gli ingredienti sulla spianatoia, quindi con il mattarello si assottiglia la pasta che viene successivamente arrotolata e tagliata in strisce larghe 8-10 cm (nel caso delle lasagne) o di 3-4 cm (nel caso delle tajadele). Poi si lavano e pestano gli ingredienti che verranno amalgamati assieme alla pasta.

Reperibilità: Si trovano nei pastifici artigianali

Usi: Ottime se accompagnate con sughi di carne o di verdure.

Farina di Mais Biancoperla

Territorio interessato alla produzione: Province di Padova, Treviso e la parte orientale del territorio vicentino.

La storia: Giacomo Agostinetti, agronomo di Cimadolmo, nei suoi Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa, edito a fine ‘600, segnala la presenza diffusa di un sorgoturco bianco, progenitore del’attuale varietà Biancoperla, specie nei “Quartieri della Piave”. La sua massiccia diffusione si colloca tuttavia nella seconda metà dell’800, grazie alla sua maggiore conservabilità che la fa preferire alle concorrenti varietà dell’epoca. Una descrizione della pianta e delle caratteristiche della granella del Mais Biancoperla viene riportata dettagliatamente in “Granoturchi da seme per riproduzione da granella e per semine da erbaio” edito da Consorzio Agrario Provinciale di Udine, 1950. Negli atti del 1° Congresso Nazionale dei Mais Ibridi tenutosi nel 1954 (Istituto di genetica e sperimentazione agraria “N.Strampelli” di Lonigo) viene riportato come nel 1950 la coltivazione del Mais Biancoperla interessi nel Veneto e Friuli Venezia Giulia circa 58.200 ha. Questa varietà di mais ha tuttavia subito la schiacciante concorrenza degli ibridi commerciali, riducendo la propria presenza a limitate aree nella provincia di Padova e Treviso. In ogni modo, negli ultimi anni si è sviluppata una maggiore sensibilità per la conservazione delle biodiversità e il recupero di prodotti agrari locali e alcuni appassionati agricoltori, riuniti nell’Associazione Conservatori Mais Biancoperla, hanno continuato a coltivarlo.

Descrizione del prodotto: La farina viene prodotta utilizzando unicamente seme derivante dalla varietà di Mais Biancoperla a cariosside bianca. Tale varietà presenta caratteristiche qualitative superiori per l’ottenimento di farina bianca da polenta. In particolare, la cariosside è vitrea e di colorazione bianco perlaceo da cui deriva il nome stesso della varietà. Le pannocchie sono affusolate, allungate, senza ingrossamento basale e misurano mediamente dai 23 ai 25 cm, con grandi chicchi bianco perlacei, brillanti e vitrei. Il prodotto a seconda del tipo di lavorazione può essere di diverse tipologie ed in particolare: farina bianca, farina bianca integrale e farina bianca integrale macinata a pietra.

Processo di produzione: Il mais è una coltura con esigenze idriche elevate, che necessita di un terreno ricco di sostanze organiche e ben concimato. La semina si effettua in primavera, in file distanti 75 cm e ad una profondità di 2-4 cm. La raccolta avviene normalmente ancora oggi a mano o mediante macchine spannocchiatrici in modo da raccogliere le spighe intere. Queste vengono essiccate all’aria e conservate tali quali fino al momento della sgranatura e della successiva macinazione della granella. Nel caso in cui vengano utilizzate mietitrebbie la conservazione avviene direttamente in granella. La macinazione viene effettuata di norma in molini della zona e in alcuni casi viene effettuata anche la macinazione a pietra. La conservazione delle spighe avviene in ambienti idonei o in gabbie appositamente predisposte, presso le aziende agricole. Nei casi in cui la granella venga sgranata direttamente mediante l’ausilio di mietitrebbie,
questa viene conservata in silos.

Reperibilità: Prodotta in quantità ridotte, la farina di mais biancoperla è reperibile presso alcuni mulini e rivenditori specializzati nella zona di produzione.

Usi: La farina di Mais Biancoperla viene utilizzata in diversi piatti; nelle campagne si usava consumarla con il latte freddo, ottenendo una sorta di semolino. Ideale e insuperabile il suo abbinamentocon la polenta, con i piatti di pesce povero di fiume e di laguna. Due piatti possono essere considerati fattori di identità culturale specie nelle aree collinari specie con polenta e “speo” e polenta e “osei”.

Anguilla del Livenza

Territorio interessato alla produzione: Complessivamente l’ anguilla del Livenza viene pescata in 17 Comuni, 3 nella provincia di VENEZIA (Caorle, S. Stino di Livenza, Torre di Mosto), 7 nella provincia di TREVISO (Cessalto, Motta di Livenza, Gorgo al Monticano, Meduna di Livenza, Mansuè, Portobuffolè, Gaiarine), 7 in quella di Pordenone (Pasiano di Pordenone, Prata di Pordenone, Brugnera, Sacile, Caneva, Fontanafredda, Polcenigo).La storia: L’anguilla (Anguilla anguilla) è un pesce del tutto particolare, sia per la sua forma allungata e serpentiforme, sia soprattutto per il suo particolare ciclo vitale. Essa infatti si accresce nelle acque dolci o salmastre, dove si trattiene fino al raggiungimento della maturità sessuale (da 9 a 12 anni), per ridiscendere poi al mare e compiere un lungo viaggio verso le zone di riproduzione, localizzate nel Mar dei Sargassi, nell’Oceano Atlantico. Dopo la schiusa le larve vengono trasportate dalle correnti verso le coste d’Europa, dove arrivano dopo un viaggio di circa tre anni. Fra dicembre e maggio le giovani anguille, le cosiddette “ceche”, penetrano nei fiumi dove rimangono fino alla maturità sessuale. Il Livenza è un fiume tra i più importanti della pianura veneto-friulana; esso è quasi del tutto navigabile e ha sponde ricoperte di abbondante vegetazione e acque limpide e fredde alimentate da risorgive. I fondali sono privi di ghiaia e molto puliti, ciò lo rende un habitat ideale per l’anguilla che qui assume caratterisctiche uniche, simili solamente a quelle che vivono nel Sile.Descrizione del prodotto: L’anguilla del Livenza ha testa piccola, pelle chiara e sottile, giusta quantità di grasso che ne fa un prodotto superbo. Le acque temperate di risorgiva consentono una crescita lenta dell’anguilla che permette di conferire alle sue carni un inconfondibile sapore. In funzione del periodo, delle modalità di pesca e delle dimensioni, vengono descritti 2 tipi di anguilla della Livenza:- Tipo “fiumano” o di “fraima” è pescato alla fine dell’estate e in autunno, quando le anguille mature scendono lungo il fiume per dirigersi verso il mare. Possono pesare da pochi etti a oltre il chilo e sono caratterizzate da pelle grossa, chiara e grassa per affrontare le profondità marine.- Tipo “marino” o “primaverile” è stanziale, pescato in primavera ed inizio estate, di dimensioni crescenti da mare a monte, ma comunque di dimensioni ridotte rispetto alla anguilla del tipo “fiumano”.Processo di produzione: L’anguilla vive e cresce liberamente nell’acqua del Livenza, senza interventi di acquacoltura. Si ciba di invertebrati, crostacei, molluschi, anfibi, pesci e carogne di animali. L’intervento dell’uomo è limitato alla pesca che avviene solitamente con i “bertovelli”, che sono piccole reti a forma di sacco. Dopo la cattura i pesci vengono mantenuti e commercializzati vivi.UsiIl piatto caratteristico si ottiene con l’anguilla pescata a maggio per la preparazione conosciuta in tutto il bacino del Livenza, il “bisato coi amoi”, in cui il pesce viene cotto in umido con successiva aggiunta dei frutti acerbi del prugno selvatico. Il tipo “fiumano”, di dimensioni maggiori del “marino”, viene preferibilmente cotto “allo speo” (allo spiedo) soprattutto a Caorle, ma anche ai ferri, e nelle trattorie anche in “umido con amoi”.Reperibilità nel mercatoReperibile nell’area di produzione nel periodo biologicamente compatibile con la cattura dell’animale.Sinonimi e termini dialettaliAnguilla del Livenza, anguilla della Livenza; a Venezia “anguila”, “bisato”, “burateo”; a Chioggia: “bisato” o “buràtelo”; a Caorle:“bisato”, a S. Stino di Livenza: “bisàt”.

Gambero di fiume della Venezia orientale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio della Venezia orientale, con particolare riferimento ai Comuni di Annone Veneto, Caorle, Ceggia, Cinto Caomaggiore, Concordia Sagittaria, Eraclea, Fossalta di Portogruaro, Gruaro, Noventa di Piave, Portogruaro, Pramaggiore, S. Donà di Piave, S. Michele al Tagliamento, San Stino di Livenza, Teglio Veneto, Torre di Mosto (provincia di VENEZIA), Cessalto, Chiarano, Cimadolmo, Fontanelle, Gorgo al Monticano, Mansuè, Maserada, Meduna di Livenza, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Ponte di Piave, Portobuffolè, S. Polo di Piave, Salgareda (provincia di TREVISO).

La storia: Il gambero d’acqua dolce rappresenta senz’altro uno dei componenti di quella cultura popolare oggi in via di progressivo dissolvimento. Il gambero di fiume è noto da tempo immemorabile, tanto da divenire oggetto persino di una ricca iconografia che trova conferma nella letteratura e nel folklore nazionale dalla seconda metà dell’ottocento. Le pubblicazioni maggiormente significative sono quelle del Brehm, “Animali”, Vol X (1907) e del Ninni (1885) che trattò, già in quell’epoca dell’allevamento artificiale, illustrandone pure le tecniche operative. L’allevamento del crostaceo rappresenta, nel Veneto, un metodo di organizzazione produttiva dell’ecosistema fluviale di antica tradizione. Altre testimonianze sull’argomento e sul consumo di gamberi d’acqua dolce in Veneto si rinvengono addirittura in dipinti sacri conservati in alcune chiese. Scrive C. Comel, docente di Storia e Filosofia all’Università UILM di Feltre: “questo animale ha per la simbologia cristiana un preciso significato legato alla resurrezione, in quanto cambia stagionalmente le spoglie; sempre il gambero poi simboleggia pure l’inizio della fine, il presagio della morte e della dissoluzione, entra il quadro del ciclico ritorno del tempo e delle stagioni e, quindi, della vita “. Una delle opere più pregevoli sull’argomento a testimonianza della tradizionalità del prodotto nell’area considerata, è quella della Cena affrescata nel 1466 nella Chiesa di S. Giorgio di San Polo di Piave, attribuita al pittore feltrino Giovanni di Francia interpretata dai critici come presagio del congedo di Cristo e della prossima Resurrezione.

Descrizione del prodotto: Il gambero di fiume è un crostaceo con esoscheletro robusto, che presenta una colorazione bruno-verdastra, è provvisto di chele lunghe, potenti e finemente dentellate. La carne ha un sapore delicato e molto apprezzato. E’ più simile nell’aspetto e nelle abitudini, all’aragosta e allo scampo, che al gambero di mare. E’ infatti un animale di fondo, lungo una decina di centimetri. Trascorre la giornata rintanato sotto le pietre o in una buca ed è attivo solamente durante le ore notturne. Si nutre di molluschi, lombrichi, larve di insetti acquatici e piccoli pesci, utilizza anche animaletti morti. È diffuso dove l’acqua è limpida e ben ossigenata e il fondo e ciottoloso. Poichè si trova nei corsi d’acqua poco inquinati è definito come un buon indicatore ecologico dello stato di salute delle acque.

Processo di produzione: I gamberi di fiume della venezia orientale sono autoctoni ed un tempo erano diffusi e pescati con particolari nasse costruite in vimini intrecciato innescate con pesce. Oggi in via d’estinzione e perciò tutelati da specifica normativa regionale. Il gambero di fiume autoctono viene artigianalmente allevato e partire da esemplari locali catturati con apposita autorizzazione, e viene quindi utilizzato per il ripopolamento. L’allevamento è realizzato con tipologie totalmente naturali, utilizzando vasche con argini e fondale in terra, costruite quasi sempre in aree limitrofe ai luoghi di pesca sui circostanti fiumi.

Reperibilità: Il crostaceo è reperibile presso i produttori, i rivenditori e alcuni ristoranti specializzati della zona di produzione.

Usi: Il gambero di fiume ha una carne magra e ricca di proteine, fosforo e vitamine. Viene consumato cotto ai ferri, lesso o fritto.

Trota iridea del Sile

Territorio interessato alla produzione: In alcuni comuni della provincia di Treviso che sono attraversati dal fiume: Istrana, Morgano, Quinto di Treviso, Treviso, Casale.

La storia: In Veneto, in particolare lungo il corso del fiume Sile, favorita dalle numerose acque fresche di risorgiva presenti nella zona, sono stati avviati, sin dalla fine degli anni Cinquanta, i primi esempi di “troticoltura” in Italia, che ne hanno reso caratteristico il prodotto e sono stati presi da esempio per lo sviluppo dell’acquacoltura in altre zone del Veneto. Le particolari caratteristiche dell’acqua di questo fiume, infatti, ben rispondono alle esigenze di riproduzione e allevamento delle trote: una temperatura media attorno ai 13° C e una quantità sufficiente di ossigeno per i processi digestivi sono le condizioni che hanno consentito lo sviluppo dell’industria trevigiana che, nata spontaneamente per iniziativa di alcuni imprenditori, oggi riesce ad immettere nel mercato tra i 10 e i 15 mila quintali di pesce all’anno. Per far meglio conoscere ai consumatori le caratteristiche di questi prodotti e le tecniche di allevamento si svolge nel mese di settembre la manifestazione “Peschiere aperte nel Parco del fiume Sile”.

Descrizione del prodotto: La trota iridea è un pesce d’acqua dolce della famiglia dei Salmonidi. È caratterizzata da un corpo slanciato punteggiato di nero (comprese le pinne e la codale) e da squame piccole. Ricca di riflessi multicolori, con sfumature di color verde, viola e azzurro, possiede lungo i fianchi una fascia iridescente di color arancio o rosea che diventa particolarmente evidente durante il periodo riproduttivo. Viene commercializzata al raggiungimento di 45-50 cm di lunghezza. Possiede carni molto buone di colore rosato e dal sapore delicato.

Processo di produzione: Grazie alle buone caratteristiche ambientali si e’ sviluppata nella zona non solo l’attività di allevamento della trota ma anche tutta la filiera agroalimentare del prodotto. I riproduttori vengono selezionati e quindi spremuti per ottenere le uova che vengono irrorate con seme del maschio per la fecondazione. Immesse in speciali embrionatori vengono poi fatte schiudere nelle avannotterie dove rimangono fino alla taglia di circa 100 grammi. Vengono dunque selezionate ed immesse in canali più capienti, con maggior disponibilità d’acqua per l’ingrasso fino al raggiungimento delle taglie commerciali, operazioni che richiedono una durata di circa 12-24 mesi. Per trote a carne bianca la taglia commerciale arriva fino ai 350 grammi; per quelle a carne salmonata dai 350 grammi in su. Il prodotto ottenuto viene lavorato a seconda delle richiesta del mercato e può essere quindi venduto: vivo per i laghetti di pesce sportive, fresco tal quale in cassette di polistirolo oppure destinato alla trasformazione (trote eviscerate, filetti, tranci, ecc.). Il prodotto destinato alla lavorazione viene catturato vivo nelle vasche di purga, quindi lavorato immediatamente, confezionato e spedito a destinazione nell’arco di poche ore seguendo rigorosamente la catena del freddo; parte della produzione viene inoltre destinata alla linea di surgelazione che prevede anche la preparazione di piatti surgelati pronti per essere cucinati.

Reperibilità: Sono reperibile tutto l’anno presso qualsiasi mercato ittico al dettaglio.

Usi: La trota iridea è un alimento estremamente valido dal punto di vista nutrizionale, dotato di elevata digeribilità e adatto anche per un’alimentazione ipocalorica. Ha numerosi impieghi culinari; può essere cotta al cartoccio, alla griglia, lessa o in altre fantasiose preparazioni.

Trota affumicata

Materia prima: trote.

Tecnologia di lavorazione: le trote vanno eviscerate e lavate in acqua e aceto o acqua e limone. Metterle in salamoia aromatizzata con pepe, alloro, coriandolo, seme di finocchio, ecc. e lasciarle per 3-5 giorni, a seconda della grandezza, riguardandole almeno una volta al giorno. Tolte dalla salamoia, vanno appese all’aria per qualche giorno. Successivamente vengono affumicate esponendole al fumo per 3-4 giorni, ad intervalli di 4-5 ore. Conservare all’asciutto in luogo fresco.

Maturazione: 10-15 giorni.

Area di produzione: Trentino Alto Adige, Piemonte, Lombardia, Veneto,
Marche, Umbria.

Calendario di produzione: primavera, inizio estate, fine estate, inizio autunno.

Note: é un prodotto che si conserva bene per qualche tempo in zone non molto umide. Diversamente é meglio tenerlo in frigorifero. Si consuma in insalata, o sulle tartine come antipasto. La specie di trota più indicata per questo tipo di preparazione é quella salmonata.

Asparago bianco del Sile

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso nei comuni di: Vedelago, Morgano, Quinto di Treviso, Zero Branco, Treviso, Silea, Casier, Casale sul Sile, Preganziol, Mogliano Veneto, Istrana e in parte del Comune di Resana.

La storia: L’asparago si ritiene originario delle zone temperate dell’Asia. Da qui dapprima grazie agli egiziani e successivamente l’impero romano si diffuse in tutto il mediterraneo e l’Europa continentale. Come molti altri ortaggi anche l’asparago venne dapprima usato per le sue qualità medicamentose e furono più tardi i romani a scoprire quelle gastronomiche. Le prime notizie certe della sua coltivazione in Veneto si trovano in registrazioni di acquisto effettuate per conto dei dogi veneziani nella prima metà del ‘500. Tuttavia la coltivazione risale a molto tempo prima, infatti alcuni documenti di fine 1400 testimoniano che l’usanza di legare gli asparagi in mazzetti era diffusa ancor prima della scoperta dell’America. In Veneto questo ortaggio ha trovato un ambiente ideale per la sua coltivazione, infatti, la nostra regione insieme all’Emilia Romagna è fra le prime produttrici in Italia. Nella provincia di Treviso è famosa la festa degli asparagi a Zero Branco che, come viene testimoniato dai primi volantini pubblicitari, si tiene dal 1967 tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, presso la rotonda di Badoere.

Descrizione del prodotto: L’asparago presenta una colorazione bianco-avorio con eventuale lieve colorazione rosa sui turioni e una punta non totalmente compatta. I turioni si devono presentare interi, sani, privi di danni dovuti a lavaggio inadeguato, puliti, di aspetto fresco, esenti da parassiti, privi di ammaccature, privi di odore e/o sapore estranei; il taglio alla base del turione deve essere perfettamente perpendicolare all’asse maggiore; possono presentarsi lievemente incurvati; sono scartati i turioni che alla base presentano tessuti legnosi. La lunghezza dei turioni è compresa tra 12 e 22 cm, il calibro è compreso tra gli 8 e i 20 mm.

Processo di produzione: Per la produzione degli asparagi sono necessari i terreni sabbiosi. Il terreno viene preparato nell’autunno precedente l’impianto della asparagiaia con una aratura profonda di 35-40 cm e con l’interramento di letame maturo. In primavera la messa a dimora della coltura avviene piantando le cosidette “zampe” (fusti sotterranei) ad una distanza sulla fila di 25-30 cm l’una dall’altra. Il solco viene chiuso e, fino al terzo anno, vengono effettuate le necessarie concimazioni, gli interventi per il controllo delle infestanti e i trattamenti antiparassitari. Nel mese di febbraio del terzo anno si iniziano a formare i cumuli sui quali, prima della nascita degli asparagi, verrà stesa una pellicola di plastica nera (pacciamatura) sia per bloccare le radiazioni solari ed ottenere i turioni bianchi, sia per controllare le infestanti. La raccolta degli ortaggi è possibile da 3° all’8° anno e dura circa 60-80 giorni e avviene tramite un coltello apposito detto “sgorbia” con cui si taglia il turione. Gli asparagi vengono poi legati in mazzi, pronti per la vendita.

Reperibilità: Il prodotto è disponibile da febbraio a giugno, reperibile in tutti i mercati del trevigiano.

Usi: L’asparago è noto per le sue caratteristiche diuretiche e per stimolare l’appetito. È consigliabile cucinarlo a vapore in modo da ridurre al minimo il rischio di perdita dei valori nutritivi e per conservarne intatto il sapore.

Asparago Bianco di Cimadolmo IGP

Zona di produzione: in provincia di Treviso e comprende l’intero territorio comunale di Cimadolmo, Breda di Piave, Fontanelle, Mareno di Piave, Maserada sul Piave, Oderzo, Ormelle, Ponte di Piave, San Polo di Piave, Santa Lucia di Piave, Vazzola

Descrizione: I turioni dell’Asparago bianco di Cimadolmo sono totalmente bianchi, interi, di aspetto e odore freschi, sani, puliti e praticamente esenti da ammaccature

Note: L’asparago è un ortaggio originario dell’Europa orientale, conosciuto anche nell’antichità da Egizi, Greci e Romani, tanto che Catone lo citò nel suo ‘De agricoltura’, mentre Plinio e Columella ne illustrarono la tecnica di coltivazione nelle loro celebri opere. L’Asparago Bianco di Cimadolmo è coltivato in provincia di Treviso, su terreni sabbiosi-limosi, di origine alluvionale, permeabili e accuratamente drenati. Il clima temperato-umido, tipico della zona, caratterizzato da primavere con elevata intensità di pioggia, favorisce il rapido accrescimento dell’asparago, consentendo l’ottenimento di turioni bianchi, teneri e privi di fibrosità. Per le sue caratteristiche visive e organolettiche l’Asparago Bianco di Cimadolmo fa parte di quelle nuove varietà di asparago che hanno soppiantato, nella provincia di produzione, cultivar più tradizionali, come gli asparagi di Bassano.

Riferimenti normativi: Prodotto IGP, Registrazione europea con Regolamento CE n. 245/2002 dell’8 febbraio 2002 pubblicato sulla GUCE L 39/12 del 9/2/02

Patata americana di Zero Branco

Territorio interessato alla produzione: Comune di Zero Branco e Badoere (TV)

La storia: La patata americana, nota anche come patata dolce è una pianta erbacea perenne originaria dell’America centrale. In Europa fu introdotta nel 1500 pare dallo stesso Cristoforo Colombo, dopo la scoperta del continente americano. Attualmente si coltiva oltre che nelle zone di origine, in tutte le aree subtropicali e anche in Italia sono presenti numerose zone atte alla sua coltivazione. Di questo vegetale si consuma il tubero che costituisce un ottimo alimento per l’uomo, ed è simile alla patata ma ha un sapore più dolce. Nel Veneto una delle zone di coltura caratteristiche di questo ortaggio è quella attorno a Zero Branco, ove si è diffusa dal secondo dopoguerra per via del clima e dei terreni particolarmente adatti.

Descrizione del prodotto: La patata dolce di Zero Branco è un tubero caratterizzato da forma piriforme allungata, buccia sottile di color marrone e polpa molto pastosa e farinosa, di ottima consistenza, di colorazione bianca di sapore molto dolce in relazione all’elevata presenza di zuccheri. Il peso può variare dai 40 ai 150g.

Processo di produzione: La coltivazione della patata americana richiede clima mite e terreni umidi. Le piantine sono piantate verso fine aprile-inizio maggio e la raccolta avviene da metà agosto fino a alla fine di ottobre. Tutte le operazioni vengono fatte a mano. La pianta viene posizionata al momento dell’impianto in posizione leggermente inclinata, nella direzione di massima esposizione solare. La raccolta viene fatta a mano, avvalendosi di un aratro, dotato di coltello per la scavatura e la messa in andana dei tuberi. Il prodotto e’ praticamente biologico, vista l’assenza di antiparassitari e diserbanti, e dopo la raccolta viene subito avviato alla commercializzazione.

Reperibilità: Dalla metà di agosto e per tutto il periodo autunnale sono reperibili presso tutti i mercati al dettaglio veneti.

Usi: La patata americana è molto nutriente possiede un alto contenuto di zuccheri. Viene utilizzata soprattutto per il consumo diretto lessandola o cotta al forno, tuttavia trova anche impieghi industriali per la produzione di fecola e alcool oltre che per la produzione di foraggio.

Patata del Montello

Territorio interessato alla produzione: Crocetta del Montello, Giavera del Montello, Nervesa della Battaglia, Volpago del Montello e Montebelluna, Biadene, Caonada, Venegazzu’, Selva, Bavaria, Santa Croce e Santa Maria della Vittoria.

La storia: A seguito della scoperta dell’America, la patata è stata portata in Europa all’inizio del XVI secolo. Utilizzata inizialmente come cibo per animali e poi ritenuta alimento tipico delle tavole più povere, la patata è oggi uno dei prodotti e dei cibi più noti ed amati, occupando un posto di prim’ordine in molte ricette. Tra le molte varietà coltivate un po’ in tutte le regioni d’Italia, di particolare pregio è quella del Montello nelle sue diverse varietà: Aida, Desirè, Monnalisa, Lisetta, Timate e Rota. Nel Montello, dove ha trovato ideale terreno di crescita, la patata è coltivata sin dal 1890 e ogni anno, nella prima decade di settembre si svolge a Montebelluna la Festa della Patata organizzata da “Gli Amici Bosco del Montello” dove vengono esposte le diverse varietà.

Descrizione del prodotto: Le patate provengono dalle varietà Aida, Desiré, Monnalisa e Lisetta, Timate e Rota (dette anche patate corniole). Si differenziano, a seconda della tipologia, per forma più o meno allungata, colore più o meno giallognolo, spessore della buccia e colorito di quest’ultima, variabile dal bruno al giallo el giallo-rossastro. Anche la pezzatura varia a seconda delle varietà e può andare dai 40 ai 120 grammi.

Processo di produzione: La patata del Montello ha trovato grande sviluppo perchè le caratteristiche pedo-climatiche della zona sono molto favorevoli a questa cultura. i terreni ricchi di sostanza organica e potassio, sono ben lavorati e tenuti curati e areati con sarchiature e rincalzature. Per la concimazione vengono usate solo sostanze organiche, non sono utilizzati diserbanti chimici e i trattamenti alle foglie sono a base di solfato di rame. Il prodotto dopo la raccolta e’ insaccato in sacchi di iuta o nylon con pesature da 5, 15 e 30 kg. sui quali viene apposto sul retro un cartellino con il marchio della varietà.

Reperibilità: Durante tutto l’anno e presso qualsiasi mercato è possibile reperire il prodotto nelle sue diverse varietà.

Usi: Gli usi culinari della patata sono molteplici. A seconda delle varietà si hanno vari impieghi in cucina: le patate novelle (piccole e con buccia sottile) sono indicate cotte al forno intere; le patate a polpa farinosa sono indicate nella preparazione di gnocchi, minestre e purea; le patate a polpa gialla e più compatta sono invece indicate per arrosti e stufati. Da segnalare l’impiego nella preparazione di piatti dolci a base di cocco e cioccolato che è stato introdotto di recente. La patata viene inoltre utilizzata a livello industriale per l’estrazione di alcool, fecola o come base per foraggio.

Patata del Quartier del Piave

Territorio interessato alla produzione: Vidor, Moriago, Sernaglia (TV)

La storia: La patata è oggi è uno dei prodotti più noti e amati che compaiono sui nostri piatti; coltivata ovunque e in grande quantità. Solo di recente è stata rivalutata per il suo giusto valore: ha infatti acquistato importanza e prestigio sia nella Destra che nella Sinistra Piave, tanto che ormai tutti conoscono la patata del Montello e quella del Quartier del Piave. La zona di coltivazione più adatta nella Sinistra Piave è la piana di Moriago, Sernaglia e Vidor, caratterizzata da terreni di colorazione rossastra, chiamati ferretti, particolarmente ricchi di ferro. A Moriago della Battaglia la Pro Loco ormai da 17 anni cura una Festa della Patata nell’ambito delle celebrazioni di Ferragosto: i visitatori nell’occasione possono assistere all’esposizione delle varietà pregiate di patate coltivate nella piana circostante, oltre che degustare piatti tipici e ricette particolari, in cui quest’alimento svolge il ruolo di protagonista.

Descrizione del prodotto: Le patate provengono prevalentemente dalle varietà Spunta e Monnalisa, le meglio adattabili e resistenti alla malattie. Hanno, a seconda della tipologia, forma ovoidale più o meno allungata, colore variabile dal bianco al paglierino al giallo e buccia più o meno spessa di colore bruno, giallo o giallo-rossastro. La pezzatura è variabile dai 60 ai 120g.

Processo di produzione: La patata viene coltivata con tecniche tradizionali, usando concime organico. Il terreno argilloso tiene a lungo l’umidità sufficiente alla maturazione. Il terreno diventa secco a fine luglio, quando i tuberi diventano maturi e con il periodo seguente (ca. 20 gg.). La buccia diventa resistente. I diserbanti chimici non sono usati, i trattamenti delle foglie sono a base di solfato di rame e calce contro gli attacchi peronosporici. Il terreno di coltura è già, per sua peculiarità chimico fisica, ricco di potassio e viene preparato attraverso arature superficiali e preparazione del letto di semina tramite erpici rotanti. Il prodotto viene confezionato in appositi sacchi di misure da 2,5 a 5 kg. e nella fase precedente al insacchettamento subisce una calibrazione ed una pulizia dei tuberi eventualmente danneggiati. La produzione totale raggiunge ormai i 15.000 q. e la sua qualità è garantita dal marchio Patata del Quartier del Piave, ormai noto a livello nazionale.

Reperibilità: Durante tutto l’anno e presso qualsiasi mercato è possibile reperire il prodotto nelle sue diverse varietà.

Usi: La patata trova ampissimi usi in cucina. Può venire cotta in svariati modi e concorrere alla preparazione di minestre, zuppe o condimenti. Trova anche impiego a livello industriale per l’estrazione di alcool, fecola o come base per foraggio.

Peperone di Zero Branco

Territorio interessato alla produzione: Comune di Zero Branco (TV)

La storia: Il peperone è un ortaggio proveniente dall’America del Sud che ha fatto la sua comparsa sulle tavole europee nel XVI secolo. Secondo alcuni studiosi il centro di partenza della diffusione di questo vegetale è il Brasile, secondo altri la Giamaica. La coltivazione delle numerosissime varietà di questa pianta è largamente diffusa a livello mondiale, mentre la superficie dedicata alla sua coltivazione in Italia si sta progressivamente riducendo. A Zero Branco la coltura del peperone ha origini antiche ed è favorita dalla particolarità delle condizioni climatiche. Ogni anno, tra la fine di agosto e l’inizio settembre, si tiene in paese la rinomata Festa del Peperone.

Descrizione del prodotto: Il peperone è un’erbacea annuale che viene largamente coltivata per i suoi frutti caratterizzati da forma generalmente conica o lobato, nella lunghezza ed a base quadrata. Questo ortaggio si presenta con colorazioni e forme differenti a seconda della varietà. Nel trevigiano la varietà di origine era il Quadrato d’Asti, caratterizzato da una forma cubico-allungata, che tuttavia è stata negli anni sostituita con altri tipi di sementi che fanno comunque sempre capo al tipo Quadrato. Questo peperone si presenta molto carnoso, di notevole peso specifico e di aspetto regolare, assai omogeneo. Il colore è giallo brillante, il sapore è dolce e non deve essere piccante.

Processo di produzione: Le piantine sono messe a dimora nei mesi di maggio-giugno sul terreno che viene preparato con lavorazioni poco profonde ed arricchito con concime organico. Dopo il trapianto si effettuano le irrigazioni che vengono realizzate a goccia ad intervalli di 3-4 giorni e sono fondamentali per avere una produzione di quantità e qualità elevate. La raccolta avviene dopo ca. 70-90 gg., generalmente nel mese di agosto, prelevando il peperone con il picciolo. Per la preparazione ed il condizionamento vengono utilizzati i normali materiali e le attrezzature usate generalmente per i prodotti orticoli. I prodotti vengono venduti freschi o talvolta possono essere conservati alcuni giorni nelle celle frigorifere utilizzate normalmente per prodotti orticoli.

Reperibilità: Il prodotto è reperibile da giugno a settembre presso qualsiasi mercato al dettaglio.

Usi: Il peperone trova ampio impiego in cucina: può essere usato fresco in insalata, cotto in padella, ripieno, in conserva sott’aceto o al naturale.

Fagiolo borlotto nano di Levada

Territorio interessato alla produzione: La produzione è diffusa nei comuni di Pederobba, Cavaso del Tomba, Possagno, Cornuda e Crocetta del Montello (TV)

La storia: I primi fagioli (Vigna sinensis o unguiculata) erano originari dell’Africa subsahariana, mentre i borlotti, i cannellini e tutti gli altri innumerevoli tipi vennero importati dall’America. La specie dei fagioli americani, originaria del Messico e Guatemala e scientificamente chiamata Phaseolus vulgaris, si diffuse rapidamente in Europa, fino a soppiantare quella africana. Nella nostra regione l’introduzione di questo legume non fu facile, soprattutto per via delle credenze secondo le quali il fagiolo era scarsamente digeribile. Se riuscì lentamente a ritagliarsi un posto tra i prodotti coltivabili, fu perché consentiva la consociazione con altre colture, permettendo agli agricoltori di ricavare dallo stesso appezzamento un maggior volume di prodotto. Tra le molte varietà di fagioli coltivati in Veneto ha un posto particolare il fagiolo Borlotto Nano Levada. Questo particolare tipo di legume faceva parte della coltura agraria pedemontana già ad inizio secolo, quando veniva coltivato in file intercalari al mais oppure tra i filari dei vigneti in consociazione con la patata. Lo sviluppo maggiore si è avuto negli anni ’60 e ’70, in concomitanza con quello di altre colture orticole. Il fagiolo Levada è promosso da vari enti, tra i quali la Pro Loco di Camalò, in abbinamento alla Rassegna dei vini Triveneti, la Pro Loco Montelliana con la fiera d’autunno, ed il comune di Onigo di Pederobba dove ai primi di settembre si svolge la festa del “Borlotto nano Leveda” con l’esposizione di prodotti orticoli locali.

Descrizione del prodotto: Il fagiolo di Levada si presenta come una leguminosa con portamento eretto, dai baccelli lunghi tra i 15 e i 17 cm, appiattiti e screziati di rosso su un fondo bianco crema. I fagioli all’interno variano in numero di sei a otto e si presentano di buone dimensioni, rotondeggianti e allungati, con una caratteristica buccia molto sottile di colore bianco screziato di rosso. Con la cottura produce un brodo chiaro ed acquista un sapore delicato. Il prodotto è particolarmente apprezzato perché coltivato con limitati trattamenti antiparassitari.

Processo di produzione: Secondo le metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura questo fagiolo richiede un terreno ben preparato, livellato e rullato, privo di ristagni, con temperature per lo sviluppo comprese fra i 20 e i 30°C. La semina va dai primi di aprile fino a luglio, mentre la raccolta comincia da metà luglio e si protrae fino a metà settembre. Nel periodo della raccolta il fagiolo può essere acquistato fresco in baccello mentre nel resto dell’anno viene conservato in locali non umidi e ben areati e venduto secco, spesso confezionato in rustici sacchetti di juta del peso di un chilogrammo.

Reperibilità: Reperibile nel periodo di produzione: luglio, agosto e settembre.

Usi: Il fagiolo borlotto Nano di Levada è ottimo per la preparazione di zuppe e minestre.

Pisello di Borso del Grappa

Territorio interessato alla produzione: Territorio Comunale di Borso del Grappa (TV)

La storia: Non si hanno notizie precise sull’origine di questo legume, che probabilmente proviene dall’Asia centrale. Venne citato da vari studiosi greci e romani. Proprio questi ultimi conoscevano e coltivavano due diverse varietà del legume. Attualmente l’Italia è uno dei maggiori produttori mondiali di piselli. Il Pisello di Borso era conosciuto fin dai tempi della Serenissima Repubblica Veneta, quando veniva offerto con il riso al Doge in occasione della festa di San Marco. Anche nel “Trattato della Natura de’ cibi” di Baldassarre Pisanelli del 1659 si trovano riferimento ad un pisello particolarmente dolce proveniente dalla zona di Borso. Altri documenti disponibili attestano che il Pisello veniva coltivato a Borso sin dal 1800. La maggiore manifestazione che oggi vede protagonista il prodotto è “ La mostra del mercato del Biso” che si svolge durante il mese di giugno.

Descrizione del prodotto: Il pisello è una leguminosa. È caratterizzato da una forma sferoidale di colore verde, a buccia liscia, di consistenza dura e sapore dolce. È racchiuso assieme ad altri piselli in un baccello di colore verde brillante, non commestibile e croccante al tatto. La definizione di “biso di borso” viene applicata esclusivamente ai baccelli della specie “pisum sativum l.” il cui numero medio di baccelli per pianta è di 5-6 mentre il numero medio di semi per baccello è di circa 6. Rispetto ai piselli che normalmente si trovano in commercio, il prodotto finito si presenta meno acquoso, più concentrato e particolarmente dolce.

Processo di produzione: La particolare dolcezza di questo pisello, dalla quale dipende la sua fama, è ottenuta anche grazie ai metodi di coltivazione che prevedono la semina autunnale sulle colline riparate, esposte a sud, dove la particolare giacitura dei terreni, l’assenza di nebbie e la felice esposizione favoriscono tale caratteristica. Le tecniche agronomiche utilizzate sono tradizionali, senza impiego di pesticidi e concimi chimici di sintesi e sono effettuate su terreni che da almeno dieci anni non sono interessati da leguminose in genere. I piselli vengono venduti in cassette di cartone del peso di ca. 5 kg. L’imballaggio usato deve essere nuovo ed il prodotto deve essere privo di foglie e steli. All’interno della cassetta deve essere presente la fascia con il marchio tipico, il nome e dati dell’azienda e del socio produttore, nonché la data di raccolta. Il prodotto non è soggetto a trasformazioni poiché è destinato al consumo allo stato fresco, tuttavia può essere conservato alcuni giorni nelle celle frigorifere utilizzate normalmente per prodotti orticoli.

Reperibilità: Dalla tarda primavera ad estate inoltrata sono reperibili presso tutti i mercati al dettaglio.

Usi: I piselli sono ricchi di proteine, ferro, vitamine e fosforo e si prestano a molteplici usi culinari. Famosissima è la ricetta tipicamente veneta dei Risi e bisi.

Fasol de lago

Sinonimi e termini dialettaliFasol de Lago, mama alta, bonel.Territorio interessato alla produzioneProvincia di Treviso, in particolare l’intero territorio dei comuni di Cison di Valmarino, Follina, Miane, Revine Lago e Tarzo.Descrizione del prodottoÈ identificabile come “Fasol de Lago” il seguente ecotipo: fagiolo tipo cannellino (rampicante), localmente identificato come “mama alta” o “bonel”.Il fagiolo secco, forma sotto la quale viene commercializzato, si presenta con foggia piuttosto allungata, leggermente appiattita e con colore che va dal crema al marrone chiaro uniforme. Le dimensioni medie del seme sono le seguenti: lunghezza di 17,5 mm, grossezza di 0,7 mm, peso del seme secco 0,60 g, lunghezza del baccello fresco di norma di 12-14 cm, con 6-7 semi. Si tratta di una pianta rampicante con foglie di colore verde intenso, di levatura medio alta, i cui fiori di colore bianco compaiono attorno ai 20 cm dal suolo a circa 60 giorni dalla semina.Processo di produzioneLe tecniche di coltivazione del “fasol de Lago” sono quelle tradizionali, stabilite anche tramite disciplinare. Prima della semina deve essere realizzata una attenta e accurata preparazione del terreno. Per questo fagiolo rampicante si utilizzano per lo più sistemi di coltivazione in cui i tutori sono rappresentati da sostegni in legno di bambù, aventi altezza minima di 250 cm e diametro compreso tra 1,5-3,5 cm. Nel sistema a “filare” possono essere utilizzate delle reti sorrette da fili di ferro ancorati a robusti pali tutori in legno.La semina è praticata mediamente nella prima quindicina di maggio, utilizzando circa 3-4 semi per postarella. In alternativa la semina potrà essere effettuata anche a file con distanza sulla fila di 10-15 cm tra seme e seme e distanza tra file di 100-120 cm. Seguono poi le cure colturali e la difesa.La raccolta del prodotto secco inizia nel mese di settembre e continua fino ai primi di novembre, ed è esclusivamente manuale. Il prodotto viene conferito sgranato, secco, e surgelato per evitare lo sviluppo di insetti dannosi. I semi destinati alla vendita vengono posti in sacchetti di tessuto traspirante muniti di apposita etichetta.UsiViene ricercato per il gusto delicato e la buccia particolarmente tenera. Ottimo per zuppe, minestre e umidi, è utilizzato nella preparazione di piatti della tradizione.ReperibilitàReperibile nel periodo.La storiaIl fagiolo ha sempre avuto un ruolo importante nell’alimentazione. I fagioli d’America furono importati in Europa dagli spagnoli e i loro semi furono donati da papa Clemente VII ad un umanista bellunese, Piero Valeriano (pseudonimo di Giovanni Pietro Dalle Fosse 1477-1558) affinché ne diffondesse la coltura. Il Valeriano avviò, a quanto pare tra il 1528-29, la coltivazione nel bellunese (e in particolare a Lamon e nel Feltrino) da dove si diffuse in tutto il Veneto incrociandosi senz’altro anche con le specie già presenti formando quelle specie “autoctone”.Nella Vallata, i fagioli sono documentati fin dal XVIII secolo e sono diventati, nel corso degli anni e dei secoli, i protagonisti importanti nel pasto degli abitanti salvo poi perdere posizioni ed interesse a favore di tipologie più voluminose quali borlotti o i bianchi di Spagna senz’altro meno gustosi ma sicuramente più remunerativi.Il “fasol de Lago” ha avuto la maggiore diffusione nell’ottocento, sino alla metà del secolo scorso e di ciò si trovano molte testimonianze scritte. La gastronomia locale continua ancora oggi a esaltare i fagioli nella preparazione di alcuni piatti tradizionali.

Conserva di granoturco

Materia prima: pannocchie di granoturco allo stadio di maturazione cerosa, intere o
sgranate.

Iecnologia di lavorazione si fa cuocere il mais per non piu di 5 minuti. Si lascia
raffreddareeonservando neivasi divetro in soluzionesaiina, atemperatura non
superiore ai 14-15øC.

Maturazione

Area diprodazione: tutta la Padania.

Calendario di produzione: agosto-settembrc.

Note: ii prodotto si consuma saltato in padella fino all’apertura dei chicco. 13 mollo
gradito alle nuove generazioni, tanto che la produzione industriale e in costante

espansione.

Peperoni sott’aceto

Materia prima: peperone, della varieta “piacentino” verde da orto.

Tecnologia di lavorazione: i peperoni, previa lavatura e pulitura, sono bolliti in
aceto per 2 o 3 minuti, insieme al sale e alle spezie, che ogni famiglia sceglie sulla
base del proprio gusto. Una volta bolliti e raffreddati vengono sistemati in
damigiane a bocca larga coperti di aceto e un filo d’olio. In superficie viene
sistemato un pezzo di marmo (non poroso), che tiene pressati i peperoni evitando
il contatto con l’aria.

Maturazione: 10-15 giorni.

Area di produzione: tutta la Padania, ma con altre varietà in tutta Italia.

Calendario di produzione: agosto-settembre.

Note: il consumo viene fatto durante il periodo invernale e accompagna i lessi misti
e i piatti grassi come cotechino, zampone, lingua di vitello, ecc. Nell’alto Sannio ottengono il caratteristico nome di “pipauri”.

Funghi coltivati del Montello

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso, con particolare concentrazione nei Comuni di Paese, Trevignano, Carbonera, Vedelago, Pederobba, Moriago, e Istrana.

La storia: Definiti nell’antica Roma “cibo degli Dei”, i funghi spontanei erano noti come prelibata pietanza già nell’anno 1000 a.C. Fu solo intorno al 1700 che gli orticoltori francesi impararono a coltivarli nelle grotte e nelle cantine. Proprio dalla Francia all’inizio del secolo scorso, fu importata in Italia la coltivazione del fungo: famiglie del bergamasco, del Lazio e del Veneto, erano andate a lavorare nelle fungaie in grotta nei dintorni di Parigi dove si coltivava un fungo bianco di tipo prataiolo chiamato “Champignon de Paris”. Tornati in patria, questi nostri connazionali portarono con se il loro bagaglio di conoscenza ed esperienza, dando vita alla fungicoltura, che si sviluppò soprattutto nel Veneto. L’avvio della coltivazione nella provincia di Treviso avvenne negli anni ‘60, ad opera di alcuni imprenditori che operavano nelle zone del Montello, a Venegazzù e a Paese; già negli anni ‘70 una settantina di aziende locali concorrevano a realizzare oltre il 50% alla produzione nazionale.

Descrizione del prodotto: Sono tre le tipologie di funghi coltivati nella provincia di Treviso: Prataiolo o Champignon (Psalliota campestris), caratterizzato da cappello bianco e globoso, convesso, con base allargata e diametro medio 8-10 cm. Le lamelle poste sotto il cappello sono di color rosa o brunastro. Il gambo è tozzo e bianco e la carne, soda, ha gusto gradevole; preuroto o Gelone o Orecchione o Sbrisa ( Pleurotus ostreatus), caratterizzato da cappello di color camoscio-bruno a forma di ventaglio con lamelle color biancocrema. Il gambo, posto lateralmente e inserito nel tronco della pianta che lo ospita, è di forma corta e robusta. La carne, bianca e soda, possiede gusto gradevole; piopparello (Pholiota aegerita), caratterizzato da cappello marrone chiaro o scuro, di diametro fino a 10 cm, convesso o piano. Il gambo è cilindrico, leggermente affusolato alla base, di color bianco brunastro. La carne è biancastra o bruna, molto soda con odore e gusto gradevole.

Processo di produzione: Il micelio viene prodotto in laboratorio e poi inoculato su substrato alimentare come paglia di grano e riso, segatura, crusche e simili (nel caso degli champignon si usa sterco di cavallo arricchito di azoto), con l’aggiunta di pollina, solfato ammonico e farina di soia tostata. L’inoculazione è preceduta da una fase di condizionamento del substrato, necessaria per eliminare microrganismi nocivi e da una pastorizzazione a 60° C. Il processo produttivo, che avviene sotto tunnel dotati di controllo integrale delle condizioni di temperatura e umidità, prevede la forzatura delle temperature e dell’umidità e l’immissione di ossigeno. Il prodotto che viene raccolto viene selezionato e inviato al confezionamento per la vendita al fresco o all’industria.

Reperibilità: Il prodotto è reperibile durante tutto l’anno presso la piccola e media distribuzione in quasi tutto il territorio regionale, soprattutto nella qualità Champignon.

Usi: I funghi coltivati si prestano bene per svariati utilizzi culinari. Il più particolare è quello a crudo, con insalata mista o da soli, conditi con olio e limone.

Ciliegia dei Colli Asolani

Territorio interessato alla produzione: I Ciliegi sono diffusi nella Fascia Collinare e Pedemontana che va da Cornuda ad Asolo, soprattutto nel territorio Collinare di Asolo, Maser, Coste e Crespignaga (TV)

La storia: Varrone fu il primo a descrivere dettagliatamente il processo di innesto del ciliegio, mentre, successivamente, Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia”, trattò della diffusione delle ciliegie nella penisola Italica a testimonianza di quanto antica sia questa coltura nel nostro paese. Oggigiorno l’Italia è uno dei maggiori produttori al mondo di questo frutto, coltivato in moltissime varietà diverse tra loro per dimensione, gusto e colore. La fioritura del ciliegio avviene in primavera contemporaneamente alla comparsa delle foglie. Uno spettacolo della natura per la densità floreale di colore bianco, che dona alla chioma degli alberi un fiabesco candore. Nel territorio di Asolo e Marostica la coltivazione del ciliegio risale all’epoca medievale, come attestano parecchi bandi pubblicati dal Podestà di Asolo, Andrea Cornaro, per tenere sotto controllo il prezzo delle ciliegie. Tra fine maggio ed inizio di giugno si svolgono le feste delle ciliegie ad Asolo e Maser; la Festa della Ciliegia di Asolo si svolge nella Loggia della Cattedrale fin dai primi anni ’60.

Descrizione del prodotto: La forma e’ sferoidale, di misura media, la buccia assume una colorazione rosso scuro, la polpa e’ rosa, consistente, succosa, aderente al nocciolo, con il peduncolo curvo e il nocciolo di dimensioni medie.

Processo di produzione: I ciliegi sono tenuti bassi e ravvicinati. Dopo la fioritura, avvenuta la fecondazione, si formano le ciliegie, riunite in grappoli, dal colore rosso. Le piante impiegano 4 o 5 anni prima di entrare in piena produzione per poi produrre in media dai 10 ai 40 kg di frutta. La raccolta deve avvenire nell’esatto momento della maturazione e rigorosamente a mano, al fine di evitare di danneggiare il prodotto. Il periodo di conservazione è molto limitato data la grande deperibilità di frutti che vanno posti in celle frigorifere entro poche ore dalla raccolta.

Reperibilità: I frutti sono disponibili solo in un breve periodo dell’anno: da giugno a fine luglio.

Usi: Le ciliegie, oltre ad essere ricche di vitamine A, B1 e B, contengono anche una certa dose di proteine, zucchero, sali minerali di potassio, calcio, magnesio, ferro, fosforo, oltre ai principi disintossicanti e depurativi. Hanno inoltre un’azione diuretica, antiurica e sono moderatamente lassative. Oltre al tradizionale consumo fresco, le ciliegie possono essere utilizzate per la produzione di marmellate, sciroppi, succhi, canditi e sorbetti.

Mela di Monfumo

Territorio interessato alla produzione: Prealpi Trevigiane.

La storia: La mela è originaria dei paesi dell’Asia centrale e occidentale. È un frutto molto antico, si crede addirittura che risalga al Neolitico, ed è ricordata anche nella Bibbia. Gli antichi Egiziani e i romani la apprezzavano molto, e furono proprio i Romani a introdurre le mele in Gran Bretagna. Le mele coltivate (Malus communis silvestris) nell’area pedemontana della provincia di Treviso derivano dal melo originario della Transcaucasia: una coltura molto antica, come testimoniano ritrovamenti di palafitte in Svizzera, Austria e Svezia risalenti all’inizio della età della pietra. Questa coltura ha subìto alterne vicende, con il suo momento peggiore durante la crisi delle medie aziende agricole verso la fine del 1800, che provocò una forte emigrazione e, di conseguenza, un forte abbandono di queste colline. Oggi la produzione, pur scarsa, viene mantenuta con scopi di salvaguardia e valorizzazione delle produzioni tipiche locali, legate alle tradizioni del prodotto e del suo territorio. Nei “broli” (i frutteti) e nelle “chiusure” (i prati delimitati dagli alberi da frutto) vengono tuttora coltivati accanto a mele e pere autoctone, anche fichi, mandorli, susini e marasche. L’evento principale dedicato a questo frutto è “La Festa della Mela di Monfumo” che si tiene in centro al paese nel mese di ottobre.

Descrizione del prodotto: La mela di Monfumo ha forma tondeggiante, è rossa, piccola, profumata, molto farinosa alla maturazione, di ridotta conservabilità, che va consumata prima dell’inizio dell’inverno.

Processo di produzione: La zona di produzione della Mela di Monfumo è caratterizzata da rilievi intercalati a valli e vallette, che si estende dal Grappa fino al Piave (tra i 200 ed i 400 metri di altitudine). Si tratta di un territorio ideale per la produzione perchè i versanti meridionali delle sue vallate sono protetti dal freddo invernale. In particolare, Monfumo, che sorge nelle immediate vicinanze dell’antica città di Asolo, è immerso proprio nelle dolci colline della pedemontana del Grappa e grazie alle particolari caratteristiche delle vallate, gode di un clima simile a quello delle aree di produzione trentine. Non vengono utilizzati trattamenti antiparassitari e i frutti vengono raccolti a mano e avviati subito alla commercializzazione o alla temporanea conservazione in celle frigorifere.

Reperibilità: La reperibilità della mela di Monfumo nel mercato è limitata alla zona di produzione e ai mesi autunnali.

Usi: In generale la mela trova molteplici usi culinari. Nello specifico la Mela di Monfumo, per le sue particolari caratteristiche organolettiche, è adatta ad essere grattugiata per la creazione di una crema di mele cruda , oppure cotta senza torsolo e ripiena di marmellata.

Kiwi di Treviso

Territorio interessato alla produzione: La produzione interessa oltre 300 ettari coltivati e circa 370 imprese agricole diffuse in tutti i comuni della provincia di Treviso.

La storia: L’actinidia è un frutto esotico originario della Cina, noto col nome di kiwi, del quale si hanno notizie dalla metà del secolo XIX a seguito dei viaggi in Oriente. Largamente coltivato da tempo in Nuova Zelanda è certamente uno dei frutti di più recente introduzione nella nostra alimentazione. Importata da un viaggio in Nuova Zelanda nell’azienda “Vette” del Conte di Collalto, la coltivazione del kiwi è iniziata nella provincia di Treviso più di 25 anni fa. Da allora sono stati fatti importanti passi avanti nel miglioramento sia delle varietà, sia per quanto riguarda i sistemi d’impianto. Ad oggi la coltivazione nella Marca Trevigiana ha raggiunto livelli qualitativi molto elevati.

Descrizione del prodotto: La pianta del kiwi presenta foglie tomentose sulla pagina inferiore per peli stellati e fiori giallo arancio. I frutti invece sono bacche ovali-ellissoidali, misuranti mediamente cm 3 x 3,5, irsute con peli bruni e del peso medio di circa 75 g. La polpa è di colore verde e ricca di piccoli semi neri disposti al centro del frutto; il sapore è delicatamente acidulo e dolce. La produzione proveniente dalla zona pedemontana trevigiana è caratterizzata da una colorazione bionda, da un’assenza del torsolo centrale e da un equilibrato rapporto zuccheri-acidi che danno al frutto una sapidità particolare. Queste caratteristiche distinguono la produzione trevisana da quella nazionale e rendono il prodotto simile a quello neozelandese, pur manifestando un sapore più definito. I frutti provenienti dalla zona pedemontana sono inoltre caratterizzati da un equilibrato rapporto zuccheri-acidi che danno al frutto una sapidità particolare.

Processo di produzione: Il prodotto, specialmente vicino alla fase di maturazione, è molto delicato. In campo la coltura viene protetta da reti antigrandine per evitare ammaccature ai frutti. Il prodotto dopo la raccolta viene confezionato in padella con uno strato ad alveoli singoli per proteggere il frutto e rispettando scrupolosamente le norme di qualità impartite dalla comunità. La preparazione del prodotto per la commercializzazione può essere fatta a mano oppure con calibratrici meccaniche. Il frutto, imballato nelle padelle, può essere conservato nelle celle frigorifere utilizzate per la frutta.

Reperibilità: Da ottobre a gennaio è reperibile presso qualsiasi mercato al dettaglio in quasi tutto il territorio regionale.

Usi: Il kiwi è buono crudo, tagliato a fettine sottili. È molto utilizzato per guarnire dolci di frutta, ma si sposa bene anche mangiato con prosciutto crudo, meglio se prosciutto d’oca e, sempre a fettine, con trota affumicata. Grazie alle sue qualità organolettiche ed alla particolare ricchezza di vitamina C, superiore anche agli agrumi e alle fragole, il Kiwi è destinato a diventare un frutto sempre più presente nella nostra dieta quotidiana.

Pesca di Povegliano

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso nei comuni di Povegliano, Villorba, Spresiano, Ponzano, Arcade, Godega S. Urbano e S. Fior.

La storia: La pesca veniva citata dai greci e dai latini come il frutto di Persia, la cui introduzione nell’area ellenica si faceva risalire ai tempi di Alessandro Magno quando lo stesso condottiero, di ritorno dalle sue campagne asiatiche, portò in patria alcune piante di pesco. In realtà questo albero proveniva dalla lontana Cina, dove era nato fin dal 2000 a.C.; prezioso frutto dell’albero del giardino dell’Eden, è appunto per i cinesi, simbolo dell’immortalità. Successivamente la coltura di questo frutto si estese a tutta l’area mediterranea e in Italia trovò terreni appropriati in diverse zone della penisola. Anche in provincia di Treviso esiste una zona in cui le particolari condizioni pedoclimatiche hanno permesso a questa coltivazione di svilupparsi e specializzarsi, soprattutto nel corso dell’ultimo secolo. Verso la fine di luglio si svolge a Villorba la mostra mercato delle pesche. La manifestazione è giunta alla 30a edizione. Nello stesso mese vi è la Festa delle pesche a Santandrà che è giunta alla XIIa edizione, gestita direttamente dal Comune di Santandrà di Poveglinano; in precedenza la Festa era gestita dalla Pro Loco. Numerosi documenti attestano la tradizionalità delle pesche di Povegliano che vengono festeggiate nella Sagra annuale.

Descrizione del prodotto: La pesca è un frutto acidulo, di forma rotondeggiante e divisa da un solco longitudinale, ricoperta da una sottile buccia “tormentosa”. La polpa, acidula e succulenta, racchiude un nocciolo con mandorla interna. Conta numerosissime varietà classificabili a seconda del colore della polpa: polpa gialla, polpa bianca e pesca noce o nettarina (cha si distingue per la caratteristica “buccia glabra”). Caratteristica della produzione del trevigiano è l’elevata gamma delle varietà di pesche e nettarine coltivate che maturano dal 10 giugno al 30 settembre (Springcrest, Maycrest, Flavorcrest, Spring Lady, Elegant lady, Maria Luisa, Rubired, Redhaven, Glohaven, Maria Bianca, Stark Red Gold, Cresphaven, Rosa dell’ovest, Fayette, Tardivo Zuliani, Orion).

Processo di produzione: I terreni interessati alla coltivazione sono prevalentemente di tipo calcareo-dolomitico, ghiaioso e ghiaioso-sabbiosi, di recente alluvione, formati dall’accumulo di detriti di origine glaciale e post-glaciale, trasportati al fiume Piave. La superficie coltivata a pesche totale della Marca è di circa 68 ha, mentre la zona di produzione che può essere considerata più tipica (Povegliano, Villorba, Arcade, Ponzano, Spresiano) interessa circa 32 ha. Gli agricoltori mettono a dimora un pescheto con 2-3 filari per varietà per un totale di 5-7 varietà, in modo da poter rifornire il mercato con continuità durante tutta l’estate. Sono scelte varietà tipiche e pregiate, con adozione di sistemi di allevamento che esaltano le potenzialità naturali dell’ambiente. Il prodotto viene calibrato, a mano o con macchina calibratrice, per pezzatura in padella alveolata. Una volta confezionato, il prodotto è avviato alla commercializzazione o viene conservato per qualche giorno in celle frigorifere.

Reperibilità: Le pesche di Povegliano sono facilmente reperibili durante l’estate presso i mercati e i produttori della zona, ma anche presso i mercati al dettaglio del Veneto.

Usi: Le pesche depurano l’organismo, regolano l’alcalinità del sangue, stimolano la secrezione gastrica, sono diuretiche e lassative e sono valide contro reumatismi, artrite, nefrite. Un etto di prodotto contiene poche calorie, una buona dose di vitamina A, ed una discreta quantità di fluoro e sodio. Occorre però fare attenzione in quanto si possono avere, in soggetti sensibili o predisposti, delle reazioni allergiche. Il frutto viene ampiamente utilizzato nella preparazione di confetture, ma viene anche sciroppato, messo sotto spirito, candito o essiccato.

Antiche pesche di Mogliano Veneto

Territorio interessato alla produzioneProvincia di Treviso, in particolare la peschicoltura si diffonde dal comune di Mogliano Veneto ai comuni vicini di Preganziol, Casale sul Sile, Quinto di Treviso, Zero Branco, Casier e Treviso.Descrizione del prodottoLe “antiche pesche di Mogliano Veneto” sono caratterizzate da una polpa bianca, generalmente delicata, fondente, profumata e molto saporita; la buccia è pelosa e presenta colori brillanti con tutte le sfumature dal bianco al rosso, fino al violaceo in alcune varietà.Alcune tipologie si distinguono per una caratteristica forma leggermente appuntita, a volte schiacciata; altre si presentano più piccole della media ma molto saporite.Processo di produzioneLe pesche sono coltivate secondo i metodi tradizionali sui terreni sciolti, profondi e fertili del Moglianese, vengono raccolte a mano nel periodo di maturazione che va dall’ultima decade di giugno alla prima decade di settembre. Esse sono confezionate in un solo strato data la delicatezza di questo frutto e conservate in magazzini a 8-10 °C.Viene tuttavia privilegiato il pronto consumo per apprezzare appieno le caratteristiche organolettiche del frutto.UsiLe pesche si consumano fresche ma possono essere utilizzate nella preparazione di confetture, sciroppate e sotto spirito, marmellate, succhi o nella preparazione di dolci e gelati (candite o essiccate).ReperibilitàLe “antiche pesche di Mogliano Veneto” sono facilmente reperibili in provincia di Treviso, in particolare nel comprensorio di Mogliano Veneto, nel periodo giugno-settembre, direttamente presso i frutticoltori della zona e nei negozi di ortofrutta del Veneto.La storiaLa coltivazione delle “antiche pesche di Mogliano Veneto” risale agli ultimi decenni dell’800, partendo da incroci naturali di varietà locali dimostratesi particolarmente saporite e profumate.Sin dalla fine dell’800 e fino al 1960 circa, le pesche di Mogliano Veneto erano molto rinomate e, a testimonianza di questo successo commerciale, si segnala la costruzione nel 1928 di un grande magazzino nei pressi della stazione ferroviaria di Mogliano Veneto per la spedizione delle pesche.Nello stemma della città di Mogliano Veneto figura una cornucopia, simbolo dell’abbondanza, da cui escono tre pesche, a testimonianza dell’importanza di questo frutto per l’agricoltura e l’economia dell’area.

Marrone di Monfenera IGP

Territorio interessato alla produzione: Area del monte Monfenera. Comune di Pederobba (TV)

La storia: Il Monfenera è il monte su cui è sorta e si è sviluppata la castanicoltura della pedemontana, cuore della zona dei marroni di Pederobba. Una terra generosa particolarmente adatta alla coltivazione del castagno grazie alle condizioni climatiche temperate, all’esposizione solatia e arieggiata, alla composizione chimico-fisica del terreno, fattori indispensabili per ottenere marroni di elevata qualità e particolarmente diversi da altri tipi di castagne che si trovano comunemente nel mercato. La fascia dei castagneti si estendende da un’altitudine che va da ca. 200 m. a ca. 600 m. La zona può essere divisa in due: una bassa denominata “ rive” che va da un’altitudine di 250 a 400 m, ed una più alta denominata “ bosco grande” che arriva fino ai 550 m. La coltivazione del castagno è localizzata nella fascia sud. Da più lustri la Mostra Mercato che si tiene ad Ottobre a Pederobba concorre a promuovere i marroni del Monfenera e sta assumendo un ruolo sempre più importante nel rilanciare lo sviluppo della castanicoltura nelle amene colline della Pedemontana del Grappa. Interessanti informazioni si possono ritrovare nel sito web www.marronidelmonfenera.it.

Descrizione del prodotto: Il marrone è un frutto di forma ovoidale a buccia striata di colore variabile dal marrone chiaro al bruno scuro. Sulla base del frutto c’e’ un’area chiara detta “ilo”. All’apice la castagna si restringe e i residui del perianzio e degli stili formano la cosiddetta “torcia”. Il frutto si trova protetto da un riccio ricoperto di aculei all’interno del quale si possono trovare 2 o 3 marroni. La parte commestibile del frutto è soda, biancastra all’interno e giallastra all’esterno, avvolta da una sottile pellicola (episperma), ha una pasta farinosa, zuccherina, saporita, consistente, resistente alla cottura, croccante e di sapore dolce. La pezzatura è grossa e di norma varia dai 48 ai 65 frutti per kg.

Processo di produzione: Questa particolare pianta da frutto non richiede nessun trattamento chimico o antiparassitario, per cui il “marrone” resta ancora oggi uno dei pochi frutti assolutamente genuini. Raccolto ancora oggi secondo i vecchi metodi tradizionali, bacchiato con lunghe pertiche di canna, messo a mucchi (rissare) a macerare per venti giorni nel riccio, viene successivamente scelto e confezionato opportunamente. La pulizia del prodotto avviene tramite spazzolatrice e successivamente si provvede al confezionamento in sacchetti retinati della capienza di 5 kg, dopo la selezione e l’eliminazione dei frutti di piccole dimensioni tramite il processo di calibratura. I marroni possono essere conservati in luoghi freschi ed asciutti o in normali celle frigorifere.

Reperibilità: Il periodo di maturazione del prodotto va da metà settembre per le specie più precoci a metà novembre per quelle più tardive. Durante quel periodo e comunque fino a dicembre inoltrato sono reperibili presso qualsiasi mercato della marca trevigiana.

Usi: I marroni sono generalmente consumati arrostiti ma sono ottimi anche lessati e trovano largo impiego in pasticceria. Inoltre è da segnalare la particolare ricetta dei “Mondoi”, cioè i marroni in brodo che un tempo sostituivano la tradizionale minestra.

Noce dei grandi fiumi

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso: Cessalto, Chiarano; provincia di Venezia: Musile di Piave, Eraclea, San Donà di Piave, Ceggia, Cona

La storia: In passato la produzione di noci in Italia era sostanzialmente limitata alla regione Campania. Le difficoltà di meccanizzazione e l’abbattimento di molti alberi, venduti per il legno, ha fatto crollare tale produzione, cosicchè l’Italia, un tempo tra le prime produttrici mondiali ed esportatrice di noci, ne è divenuta importatrice per oltre la metà del suo fabbisogno. La coltura di noce da frutto non ha grandi tradizioni nel Veneto in quanto è sempre stato diffuso il noce da frutto e legno di tipo domestico. Nella zona a cavallo tra le province di Treviso, Venezia e Rovigo la nocicoltura è rimasta infatti per anni a livello di silvicoltura, piuttosto che evolversi in frutticoltura specializzata, ma è da sempre presente nel territorio regionale dove si sono sviluppati ecotipi locali.

Descrizione del prodotto: È un albero molto vigoroso, che può raggiungere anche i 30 metri d’altezza. Ha foglie caduche, ogni foglia è composta paripennata da 5-7-9 foglioline con superficie liscia. Il frutto è una drupa costituita da un seme (gheriglio), stretto tra due gusci legnosi (endocarpo) avvolti dal mallo carnoso di color verde che, quando il frutto è maturo, annerisce e si stacca. Il frutto ha un aspetto globoso e di fronte si presenta rotondo, ad ovoide con base e sommità arrotondate; di profilo oblungo, molto corto, con base piana leggermente rientrante, punta pistillare poco sviluppata. La noce dei grandi fiumi deriva da varietà a fioritura laterale, con epoche di germogliamento tardive che riescono ad evitare attacchi di batteriosi. Sono innestate su portainnesti vigorosi (Juglans Regia) o ibridi interspecifici; hanno vigore vegetativo medio-basso con piante a portamento semi-eretto, caratterizzate da rapida messa a frutto. Le noci maturano in autunno; già in settembre, tuttavia, il loro guscio legnoso ha raggiunto una definitiva solidità. Dopo la raccolta le noci dovranno essere esposte al sole per un periodo di 10-12 giorni per l’essiccamento. Il seme viene consumato tanto allo stato fresco quanto allo stato secco, ha un ottimo sapore e gusto leggermente amarognolo

Processo di produzione: Il noce predilige terreni profondi, freschi e ben drenati, teme i ristagni d’acqua. Resiste bene al freddo pur prediligendo climi miti e non troppo umidi. La zona ideale è la collina con altitudini non superiori ai 600-800 metri, è molto diffusa anche la coltivazione in pianura. Normalmente il noce comune viene propagato per seme, mentre per altre selezioni si pratica l’innesto. La forma di allevamento è sicuramente quella naturale, visto il grande sviluppo della pianta. Per quando riguarda le potature, è importante tener presente che i tagli cicatrizzano male e spesso possono causare infezioni di vario tipo. Sono perciò da evitare grossi tagli, limitandosi allo sfoltimento dei piccoli rametti. La concimazione va fatta possibilmente ogni uno o due anni, con letame ben maturo o altri concimi d’origine organica, integrandoli con concimi chimici complessi.

Reperibilità: Durante l’autunno il frutto è facilmente reperibile presso tutti i mercati al dettaglio del Veneto.

Usi: Come tutta la frutta secca, la noce ha un alto valore energetico essendo ricca di calorie e di sali minerali. Le noci hanno svariati utilizzi alimentari, olre che direttamente nella preparazione di sughi, secondi piatti e soprattutto in pasticceria. Le noci si possono inoltre utilizzare prima ancora che raggiungano la piena maturazione; in giugno o in luglio, per ottenere confetture, o un liquore chiamato il nocino. D’interesse non secondario, è l’estrazione dell’olio, utilizzato nella preparazione di emollienti cosmetici.

Conserva di rose

Materia prima: petali di rosa canina.

Tecnologia di lavorazione: le rose vengono sfogliate e ad ogni petalo si recide la “unghia”, ossia quella parte del petalo attaccata alla corolla, perché di sapore amarognolo. I petali così tagliati si mettono in una terrina aggiungedovi una pari quantità di zucchero e del limone spremuto. Strofinarli bene con le mani per favorire la rottura delle fibre e la fuor uscita degli umori. Si lascia macerare il tutto per qualche tempo, si incorpora dello sciroppo di zucchero preparato a parte lasciando bollire fino al raggiungimento della giusta consistenza. Si mette nei barattoli e si chiudono ermeticamente conservandoli al buio.

Maturazione:

Area di produzione: tradizionale in Piemonte, Veneto e Toscana.

Calendario di produzione: maggio e giugno.

Note: La conserva di rose, tradizionale in Piemonte, viene fatta anche nel convento dell’isola di S.Lazzaro, ad opera dei fratelli armeni, ma solo per uso interno. Le conserve di rosa che si trovano in commercio sono quasi tutte importate dai paesi dell’Est europeo, soprattutto dalla Bulgaria.

Savor

Materia prima: mosto d’uva, mele cotogne, pere, fichi e zucca.

Tecnologia di lavorazione: al mosto si aggiungono le mele cotogne, i fichi, la zucca, le pere, talvolta anche le scorze d’arancio, senza aggiungere zucchero. Si lascia bollire fino a completa evaporazione dell’acqua, si conserva per anni nei vasi di vetro riposti al riparo dalla luce in luogo fresco.

Maturazione:

Area di produzione: Emilia Romagna, Veneto, Friuli e altre parti d’Italia con diverse varietà di frutta e di gusti. A Bologna e in altre aree emiliane ne esiste una versione semplificata senza scorze d’arancio, senza fichi e persino senza zucca.

Calendario di produzione: tutto l’autunno, periodo della vendemmia.

Note: il “savor” é la base dei tortelli di castagne e delle crostate familiari del modenese. Un tempo la conserva veniva fatta essiccare, al pari della cotognata, e conservata in scatole di latta. Si racconta che per neutralizzare i sali di rame provenienti dal recipiente di cottura – di solito il paiuolo di rame – le massaie ci mettessero una noce. Al gesto gli antropologi attribuiscono un valore apotropaico. Tradizionalmente il savor veniva utilizzato per accompagnare ogni tipo di bollito compresi cotechino e zamponi. Nelle altre regioni d’Italia era (ed é) ingrediente fondamentale di alcune preparazioni dolciarie.

Fugassa veneta

FUGASSA PADOVANA (Padova e provincia);
FUGASSA VENETA (prodotto in gran parte della regione Veneto ed in particolare nelle province di Padova e Venezia).

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Dolce tipico di cucina casalinga, prodotto in tutta le province del Veneto da tempo immemorabile, codificato nella raccolta di ricette di cucina tipica di Giovanni Bianco Menegotti (1967), raffigurata anche nei disegni dei mosaici di Erode nella Basilica di San Marco.

Descrizione del prodotto:

Fugassa padovana: prodotto con farina, lievito, latte, uova, zucchero, burro, buccia di limone e sale.

Focaccia: farina, burro, zucchero, uova, ricoperto di marzapane, mandorle e granella di zucchero.

Sono entrambe di forma rotonda con un diametro variabile di circa 25-30 cm e un colorito giallo-dorato.

Processo di produzione: Prodotto artigianalmente nell’impasto e nella lavorazione: gli ingredienti vengono amalgamati, lasciati a riposo e cotti in forno. Per una buona riuscita della focaccia è necessario ripetere l’impasto più volte prima della lievitazione finale. La conservazione del prodotto imballato può durare anche per 9 – 12 mesi.

Reperibilità: Il prodotto si può trovare presso alcune pasticcerie o nei menù di alcuni ristoranti.

Usi: Inizialmente dolce poverissimo della cucina popolare, oggi è diventato tipico della festività di Capodanno, arricchita con le mandorle e lo zucchero. Ottimo se accompagnato con vino dolce.

Torta fregolotta

TORTA FIGASSA: Padova e provincia.
TORTA PAZIENTINA: Padova e provincia.
TORTA SGRIESOLONA (rosegota): Padova e provincia.
TORTA CIOSOTA: solo nel Comune di Chioggia–Venezia.
TORTA NICOLOTTA: solo in alcuni panifici di Venezia.
TORTA ORTIGARA: Asiago–Vicenza.
TORTA FREGOLOTTA: Fanzolo di Vedelago.
TORTA ZONCLADA: Treviso.

La storia: Sono dolci di tradizione contadina, elaborati con ingredienti poveri, e si presume risalgano al periodo successivo alla prima guerra mondiale.

Descrizione del prodotto:

Torta figassa: dolce da forno di forma rotonda, prodotto con farina gialla di mais, rossi di uovo, fichi secchi macerati in grappa, burro, zucchero, farina 00, sale.

Pazientina: torta a strati (pasta bresciana, pan di spagna imbevuto di liquore, crema di zabajone) sormontata da larghi e sottili nastri di cioccolata.

Torta sgriesolona: dolce da forno di forma rotonda, alto circa 1 cm, particolarmente duro e nel contempo friabile, prodotto con farina gries, mandorle sgusciate e tritate, burro, rosso di uovo, zucchero, ricoperto con un foglio di pasta di mandorle scottata alla fiamma.

Ciosota: specialità con radicchio di Chioggia e carote. Prodotto dolciario da forno, semi secco e non farcito, di impasto unico fatto su stampo di carta, di colore prevalentemente marroncino. Prodotto soggetto a calo di peso naturale. Ingredienti: radicchio, zucchero, farina 00, uova, margarina vegetale, nocciole, carote, pan di spagna, mandorle, lievito, sale, aromi naturali. Il prodotto è ricco di umidità e necessita la commercializzazione entro 40 gg dalla produzione. Si consiglia la conservazione in frigo

Torta Nicolotta: dolce popolare veneziano, tipico delle panetterie, prodotto con mollica di pane, latte, farina di fiore, uvetta, finocchi, olio, sale. Testimonianze di questo dolce sono presenti nella pubblicazione “Il Veneto in Cucina” di Ranieri Da Mosto.

Torta Ortigara: è un dolce secco, preparato in tre pezzature da 500g, 750g e 1kg. La forma è circolare con un’altezza di tre centimetri circa.; il colore interno è giallo zabaione, mentre all’esterno si presenta con una morbida crosticina di colore nocciola chiaro. Nei primi 30-40 giorni dalla preparazione la sua consistenza è morbida e fragrante; col passare del tempo tende ad asciugarsi e quindi ad essere adatta per essere inzuppata nel vino amabile o passito. Prima di essere consumato questo dolce va cosparso di zucchero a velo.

Fregolotta: si tratta di un dolce semplice, di pastafrolla, a base di farina, latte, uova, burro, aromi di bacche esotiche, privo di conservanti.

Zonclada: torta a base di frutta secca e candita, alta circa 4 cm., con crostata superiore, prodotta con latte, farina, mandorle, semolino, fichi secchi, albicocche candite, uova, burro, zucchero, uva passita, aranci canditi, pinoli, gherigli di noci, sale, limone, cannella.

Processo di produzione: Le varie produzioni, differenti per ingredienti sono tuttavia simili nel processo di produzione. Amalgamati i vari prodotti a mano o con l’aiuto di normali strumenti di pasticceria, l’impasto viene inserito in apposite forme e infornato. Ci sono, ovviamente, differenze nei tempi e nelle temperature di cottura a seconda delle varie torte.

Reperibilità: Si trovano in commercio presso pasticcerie e forni nelle varie zone di produzione.

Usi: Ottime se accompagnate con Recioto della Valpolicella.

Torta zonclada

TORTA FIGASSA: Padova e provincia.
TORTA PAZIENTINA: Padova e provincia.
TORTA SGRIESOLONA (rosegota): Padova e provincia.
TORTA CIOSOTA: solo nel Comune di Chioggia–Venezia.
TORTA NICOLOTTA: solo in alcuni panifici di Venezia.
TORTA ORTIGARA: Asiago–Vicenza.
TORTA FREGOLOTTA: Fanzolo di Vedelago.
TORTA ZONCLADA: Treviso.

La storia: Sono dolci di tradizione contadina, elaborati con ingredienti poveri, e si presume risalgano al periodo successivo alla prima guerra mondiale.

Descrizione del prodotto:

Torta figassa: dolce da forno di forma rotonda, prodotto con farina gialla di mais, rossi di uovo, fichi secchi macerati in grappa, burro, zucchero, farina 00, sale.

Pazientina: torta a strati (pasta bresciana, pan di spagna imbevuto di liquore, crema di zabajone) sormontata da larghi e sottili nastri di cioccolata.

Torta sgriesolona: dolce da forno di forma rotonda, alto circa 1 cm, particolarmente duro e nel contempo friabile, prodotto con farina gries, mandorle sgusciate e tritate, burro, rosso di uovo, zucchero, ricoperto con un foglio di pasta di mandorle scottata alla fiamma.

Ciosota: specialità con radicchio di Chioggia e carote. Prodotto dolciario da forno, semi secco e non farcito, di impasto unico fatto su stampo di carta, di colore prevalentemente marroncino. Prodotto soggetto a calo di peso naturale. Ingredienti: radicchio, zucchero, farina 00, uova, margarina vegetale, nocciole, carote, pan di spagna, mandorle, lievito, sale, aromi naturali. Il prodotto è ricco di umidità e necessita la commercializzazione entro 40 gg dalla produzione. Si consiglia la conservazione in frigo

Torta Nicolotta: dolce popolare veneziano, tipico delle panetterie, prodotto con mollica di pane, latte, farina di fiore, uvetta, finocchi, olio, sale. Testimonianze di questo dolce sono presenti nella pubblicazione “Il Veneto in Cucina” di Ranieri Da Mosto.

Torta Ortigara: è un dolce secco, preparato in tre pezzature da 500g, 750g e 1kg. La forma è circolare con un’altezza di tre centimetri circa.; il colore interno è giallo zabaione, mentre all’esterno si presenta con una morbida crosticina di colore nocciola chiaro. Nei primi 30-40 giorni dalla preparazione la sua consistenza è morbida e fragrante; col passare del tempo tende ad asciugarsi e quindi ad essere adatta per essere inzuppata nel vino amabile o passito. Prima di essere consumato questo dolce va cosparso di zucchero a velo.

Fregolotta: si tratta di un dolce semplice, di pastafrolla, a base di farina, latte, uova, burro, aromi di bacche esotiche, privo di conservanti.

Zonclada: torta a base di frutta secca e candita, alta circa 4 cm., con crostata superiore, prodotta con latte, farina, mandorle, semolino, fichi secchi, albicocche candite, uova, burro, zucchero, uva passita, aranci canditi, pinoli, gherigli di noci, sale, limone, cannella.

Processo di produzione: Le varie produzioni, differenti per ingredienti sono tuttavia simili nel processo di produzione. Amalgamati i vari prodotti a mano o con l’aiuto di normali strumenti di pasticceria, l’impasto viene inserito in apposite forme e infornato. Ci sono, ovviamente, differenze nei tempi e nelle temperature di cottura a seconda delle varie torte.

Reperibilità: Si trovano in commercio presso pasticcerie e forni nelle varie zone di produzione.

Usi: Ottime se accompagnate con Recioto della Valpolicella.

Biscotti baicoli

Territorio interessato alla produzione: Biscotto tipico del comune di Venezia, ma prodotto anche in altri comuni della provincia (es. Chioggia) e di altre province venete come a Treviso.

La storia: “I biscotti veneziani per eccellenza sono i “baicoli” che creati due secoli fa, nelle offellerie e panetterie per le botteghe del caffè, sono ancora oggi tra i biscotti più delicati e saporiti. I “baicoli” veneziani sono molto considerati anche dai turisti stranieri i quali spesso si ricordano della loro bontà e li richiedono a distanza di anni”. Da “Il Veneto in cucina” di Ranieri Da Mosto – Giunti Martello Editore – 1978. Nelle Venezia del settecento era di moda servire questi biscotti con lo zabaione ed inoltre questo famosissimo dolce secco da “tociar” era adatto ad essere conservato facilmente anche durante i lunghi viaggi dei veneziani commercianti in mare. Il nome baicolo è stato dato a questo biscotto per la sua forma molto simile a quella
dei piccoli branzini di laguna che portano, appunto, questo nome.

Descrizione del prodotto: I biscotti si presentano come dei tranci di pane biscottati, con forma allungata, ovoidale e uno spessore molto sottile. Vengono prodotti con farina bianca, burro, oli vegetali, zucchero; lievito di birra; una chiara d’uovo; un po’ di latte e un po’ di sale.

Processo di produzione: Dopo aver sciolto il lievito di birra con poca acqua tiepida, lo zucchero ed un pizzico di sale, si incorpora una parte della farina. Si forma quindi un panetto che viene messo a lievitare per 30 minuti in una terrina coperta da un telo in un luogo caldo, finché raddoppia il proprio volume. A questo punto si incorporano gli altri ingredienti partendo dal burro, poi le arance spremute e quindi la farina, lo zucchero la chiara d’uovo sbattuta e il sale, dando al tutto la forma di filoni ovali ed un po’ schiacciati e di una larghezza max di 8 cm. Si cuoce quindi in forno a 150 °C per aumentare poi la temperatura a 220 °C fino a cottura completa per circa un’ora. L’impasto viene a questo punto sfornato e lasciato raffreddare e quindi i “baicoli” vengono affettati con una lama automatica ad uno spessore di circa 2/3 mm ed in seguito rimessi in forno a biscottare per circa 20 minuti a 50/80 °C.

Reperibilità: Biscotti molto diffusi a Venezia e in provincia, si possono trovare facilmente presso pasticcerie e rivendite anche nelle zone del padovano e trevigiano vicine al territori veneziano.

Usi: I baicoli vanno serviti con lo zabaione e una crema di mascarpone oppure con la cioccolata calda.

Biscotti bussolai

BISCOTTI BUSSOLAI: Venezia – Burano e altri comuni della provincia di Venezia e Treviso;
SAGAGIARDI: comune di Chioggia;
BISCOTTI PAZIENTINI: Padova e provincia;
FORTI BASSANESI: area di Bassano.

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Sono dolci antichi della Costa Veneziana e dell’entroterra Veneto conosciuti da circa un secolo.

Descrizione del prodotto:

Bussolai di Burano: di forma circolare con il buco in mezzo, prodotti con farina 00, burro, zucchero, sale, lievito, vaniglia o limone, Mistrà (un bicchierino), uova.

Sagagiardi: di colore marroncino pallido, prodotto con farino di tipo 0, uova, zucchero, aromi naturali.

Biscotti pazientini: preparati con mandorle, nocciole, burro, senza uso di uova.

Forti bassanesi: di colore marrone scuro lungo circa 7-8 cm e largo 2 cm realizzati con melassa, farina, zucchero, mandorle, burro, uova, briciole di pan di spagna, spezie (pepe, chiodi di garofano, noce moscata), lievito, aromi.

Processo di produzione: Gli ingredienti, nell’impasto, vengono mescolati con gradualità per ottenere un composto morbido e ben miscelato, cotti in forno e, una volta raffreddati, possono essere confezionati e hanno una self-life fino a 12 mesi.

Reperibilità: Si trovano nei normali laboratori di pasticceria artigianale.

Usi: Sono ottimi con vini dolci.

Galani e crostoli

Territorio interessato alla produzione: L’intera provincia di Venezia ma è diffuso anche in tutto il territorio regionale.

La storia: La ricetta viene riportata come ricetta tipica nel libro “Il Veneto in cucina” di Ranieri Da Mosto anno 1978.

Descrizione del prodotto: Tipico dolce del carnevale saporito e leggero, fragilissimo e vaporoso, con forme bizzarre. Ingredienti: farina, zucchero a velo, burro, zucchero, grappa, uova, latte, sale, vino bianco, olio di semi, buccia d’arancio e di limone.

Processo di produzione: Prendere la farina, impastarla con qualche uovo, un po’ di latte, un po’ di zucchero in polvere, burro, un cucchiaio di grappa, vino bianco ed un pizzico di sale (condimento necessario). La pasta va fatta molto soda lavorata su una tavola di legno o su una lastra di marmo. La si fa riposare un po’ senza farla seccare, poi la si stende con un mattarello fino a ridurla allo spessore di una moneta, con un coltello o una rotellina si taglia la pasta a strisce di 4-5 cm di larghezza e 20 cm di lunghezza, infine nel mezzo di ciascun “galano” si fanno altre incisioni che favoriscono la crescita della sfoglia durante la frittura. I galani vanno cotti in padella con molto olio; quando non sono più caldi, li si spolvera di zucchero a velo e si mettono nei vassoi a catasta, cioè a strati disposti per diritto e traverso, facendo attenzione a non romperli, perché i “galani” sono fragilissimi.

Reperibilità: Nei mesi di gennaio e febbraio il prodotto è reperibile presso pasticcerie, forni e negozi alimentari.

Usi: Tipico dolce del carnevale veneto.

Zaeto o Zaletto di Giuggiole

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Padova, Treviso, Venezia.

La storia: I “Zaletti” vengono già citati nella commedia di Carlo Goldoni “La buona moglie ” del 1749, come ricorda Giampietro Rorato ne “La cucina di Calo Goldoni – a tavola nella Venezia del Settecento”. Si sono poi diffusi anche nella provincia di Treviso dove, già a inizio secolo, era presente nella tradizione culinaria e nella provincia di Padova dove vengono prodotti aggiungendovi le giuggiole dei Colli Euganei. Il nome deriva dal caratteristico colore giallo-dorato che questi biscotti assumono dopo la cottura e grazie alla farina di granoturco presente nell’impasto.

Descrizione del prodotto: Biscotti prodotti con farina gialla da polenta, farina 00, zucchero, uova, uva passa, burro, pinoli, sale, limone, lievito, ed eventualmente giuggiole. A seconda delle usanze vengono prodotti con forme diverse: a forma di losanga a punta di 3-4 cm, di bastoncini lunghi 10 cm e larghi 3 cm. Una volta cotti spolverati con zucchero a velo, e possono venire conservati per qualche settimana in luoghi asciutti.

Processo di produzione: Una volta impastati gli ingredienti, viene data forma ai biscotti che sono poi infornati per 20 minuti a temperatura moderata.

Reperibilità: Presso pasticcerie e panetterie nella zona di produzione sono reperibili abbastanza facilmente durante tutto l’anno.

Usi: Accompagnati con Vini dolci o liquorosi o con caffè, i zaleti sono ottimi biscotti da dessert.

Zaletti

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Padova, Treviso, Venezia.

La storia: I “Zaletti” vengono già citati nella commedia di Carlo Goldoni “La buona moglie ” del 1749, come ricorda Giampietro Rorato ne “La cucina di Calo Goldoni – a tavola nella Venezia del Settecento”. Si sono poi diffusi anche nella provincia di Treviso dove, già a inizio secolo, era presente nella tradizione culinaria e nella provincia di Padova dove vengono prodotti aggiungendovi le giuggiole dei Colli Euganei. Il nome deriva dal caratteristico colore giallo-dorato che questi biscotti assumono dopo la cottura e grazie alla farina di granoturco presente nell’impasto.

Descrizione del prodotto: Biscotti prodotti con farina gialla da polenta, farina 00, zucchero, uova, uva passa, burro, pinoli, sale, limone, lievito, ed eventualmente giuggiole. A seconda delle usanze vengono prodotti con forme diverse: a forma di losanga a punta di 3-4 cm, di bastoncini lunghi 10 cm e larghi 3 cm. Una volta cotti spolverati con zucchero a velo, e possono venire conservati per qualche settimana in luoghi asciutti.

Processo di produzione: Una volta impastati gli ingredienti, viene data forma ai biscotti che sono poi infornati per 20 minuti a temperatura moderata.

Reperibilità: Presso pasticcerie e panetterie nella zona di produzione sono reperibili abbastanza facilmente durante tutto l’anno.

Usi: Accompagnati con Vini dolci o liquorosi o con caffè, i zaleti sono ottimi biscotti da dessert.

Amaro al Radicchio rosso di Treviso

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Treviso.

La storia: L’Amaro al radicchio rosso di Treviso è il risultato di lunghe ricerche e sperimentazioni. La sua ricetta viene tramandata da generazioni, la sua qualità deriva dall’infuso e dalla distillazione del radicchio rosso, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

Descrizione del prodotto: Questo amaro è a base di alcool, zucchero, e radicchio rosso di Treviso (varietà “Tardivo” I.G.P.) messo in infusione. Le sue caratteristiche sensoriali riportano sia all’olfatto che al gusto il classico sapore del radicchio di Treviso, con profumo erbaceo, gusto pieno e retrogusto amarognolo.

Processo di produzione: Il radicchio rosso di Treviso I.G.P viene pulito, lavato accuratamente e tagliato in piccoli pezzi; questi vengono messi in infusione idroalcolica a 50° per almeno sessanta giorni. Trascorso questo periodo si estrae l’infuso, si distilla la parte solida residua e si imbottiglia il prodotto.

Reperibilità: Liquore tradizionale della Marca Trevigiana, l’Amaro al Radicchio Rosso è reperibile anche presso alcuni rivenditori specializzati nelle altre province venete e specialmente in quelle di Venezia e Padova.

Usi: Amaro e digestivo, questo prodotto va consumato in piccole dosi solitamente dopo i pasti.

Liquore all’uovo

Territorio interessato alla produzione: Veneto

La storia: Il prodotto crema marsala figurava già negli anni ‘30 tra i liquori commercializzati. La validità della sua composizione si conferma immutata negli anni, grazie all’impiego di materie prime semplici e naturali.

Descrizione del prodotto: Il liquore all’uovo viene preparato usando torlo d’uovo fresco sbattuto, zucchero, aromi naturali e marsala fine DOC. Si presenta con uno spiccato aroma di crema, un gusto dolce e delicato; ha una gradazione alcolica moderata (16° VOL) e assume un colorito giallognolo.

Processo di produzione: I tuorli delle uova fresche spaccate a mano vengono sbattuti in alcol buongusto puro e zucchero. La crema così ottenuta viene refrigerata e filtrata; si ottiene un liquido limpido a 75° circa, a cui viene aggiunto il marsala, gli aromi naturali e altro zucchero per ottenere il prodotto finito. Il grado finale del prodotto viene controllato ed eventualmente corretto con piccole aggiunte di marsala o di alcol buongusto. Il prodotto viene stagionato in apposite cisterne per un periodo medio di 9 mesi o comunque mai inferiore ai tre. Solitamente viene filtrato 2-3 mesi dopo la preparazione, preferibilmente nei mesi freddi dell’anno. Dopo il periodo di stagionatura, il prodotto viene imbottigliato.

Reperibilità: Ampiamente diffuso in tutto il Veneto, il prodotto si trova facilmente presso qualsiasi rivendita al dettaglio.

Usi: Data la gradazione alcolica contenuta di questo liquore e la carica energetica dovuta all’uovo, si adatta bene ad essere consumato come rigenerante e riscaldante dopo la pratica di sport invernali.

Piave DOC

Zona di produzione: l’intero territorio ricadente nel bacino del Piave che, attraverso le colline di Conegliano e del Montello si protende sin quasi sul mare abbracciando parte della provincia di Treviso e parte di quella di Venezia. Sono da considerarsi idonei unicamente i vigneti ubicati in terreni di favorevole giacitura, di origine sedimentaria-alluvionale e di natura prevalentemente argillosa, calcarea o ghiaiosa. Sono invece da escludere i terreni torbosi, umidi o freschi e quelli decisamente silicei.

Tipologie: Cabernet, Merlot, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Raboso, Tocai, Verduzzo

Colli di Conegliano DOCG

Zona di produzione: tutto o parte del territorio dei comuni di Conegliano, Susegana, Pieve di Soligo, Farra di Soligo, Refrontolo, San Pietro di Feletto, Miane, Follina, Cison di Valmarino, Revine Lago, Tarzo, Vittorio Veneto, Fregona, Sarmede, Cappella Maggiore, Cordignano, Colle Umberto, San Fior, San Vendemiano e Vidor, in provincia di Treviso

Vitigni: Bianco: uve Incrocio Manzoni 6.0.13 (Riesling renano x Pinot bianco) per almeno il 30%, Pinot bianco e/o Chardonnay (30%), Sauvignon e/o Riesling (10%). Rosso: Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Marzemino e Merlot in misura compresa fra il 10 e il 40%; possono concorrere, per il 10%, le uve della varietà Incrocio Manzoni 2.15. Refrontolo passito: uve di Marzemino e per il 5% con uve di altri vitigni a bacca rossa della zona. Torchiato di Fregona: uve di vitigno Prosecco (30% minimo), Verdiso (30% minimo), Boschera (25%) e altri vitigni a bacca bianca autorizzati per la provincia di Treviso

Gradazione alcolica minima: Bianco 11 gradi. Rosso 12 gradi. Refrontolo passito 15 gradi. Torchiato di Fregona 16 gradi.

Tipologie: Bianco, Rosso, Torchiato di Fregona, Refrontolo passito

Caratteristiche organolettiche: Colli di Conegliano Bianco: colore giallo paglierino, odore vinoso, con gradevole profumo aromatico caratteristico; sapore secco, sapido, fine, caratteristico. Colli di Conegliano Doc Rosso: colore rosso rubino tendente al granato, odore vinoso, caratteristico, mediamente erbaceo, profumo gradevole, piu’ intenso se invecchiato, sapore asciutto, sapido, di corpo, armonico, giustamente tannico. Colli di Conegliano Doc Torchiato di Fregona: colore giallo dorato carico, odore intenso e caratteristico, sapore che va da secco a dolce, rotondo, pieno, persistente. Colli di Conegliano Doc Refrontolo passito: colore rosso rubino intenso, odore vinoso, gradevole, delicato, caratteristico, sapore amabile, o talvolta leggermente dolce, vellutato, di corpo, armonico, sapido, talvolta vivace.

Abbinamenti: Bianco: insalate di gamberi, risotto al nero di seppia, baccalà, brodetto. Rosso: carni rosse, in particolare con costolette di agnello, ma anche con le braciole di maiale, i formaggi asiago e piave, il risotto trevigiano e il radicchio. Torchiato di Fregona: dolci a pasta non lievitata consistenti come crostate alla confettura di albicocche, dolci con castagne e miele, “baicoli” (piccoli biscotti di Venezia da inzuppare nel vino), preparazioni con fegato d’oca e formaggi erborinati molto piccanti. Refrontolo passito: vino da fine pasto o da meditazione,

Riferimenti normativi: La Doc Colli di Conegliano è stata riconosciuta con DPR del 03.08.1993, pubblicato sulla GU 196 del 21.08.1993

Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG

Zona di produzione: il territorio collinare dei comuni di Conegliano, S. Vendemmiano, Colle Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison di Valmarino, Follina, Miano, Valdobbiadene, Vidor, Farra di Soligo, Pieve di Soligo, S. Pietro di Feletto, Refrontolo, Susegana, tutti in provincia di Treviso.

Vitigni: Prosecco, ma possono concorrere anche uve provenienti dal vitigno Verdiso, fino a un massimo del 10%

Gradazione alcolica minima: Conegliano Valdobbiadene Spumante 11 gradi (11,5 gradi per la sottodenominazione Superiore di Cartizze). Conegliano Valdobbiadene Doc Frizzante 10,5 gradi.

Caratteristiche organolettiche: Conegliano Valdobbiadene Spumante: colore giallo paglierino, brillante, con spuma persistente; odore gradevole e caratteristico di fruttato, sapore secco o amabile o dolce, di corpo, gradevolmente fruttato, caratteristico. Conegliano Valdobbiadene Doc Frizzante: colore giallo paglierino, brillante con evidente sviluppo di bollicine; odore gradevole e caratteristico di fruttato; sapore secco o amabile, frizzante, fruttato.

Qualificazioni: Se ottenuto da uve raccolte nella frazione di San Pietro di Barbozza (denominato Cartizze) del comune di Valdobbiadene le varie tipologie (con le rispettive gradazioni minime previste dal disciplinare) possono fregiarsi della sottodenominazione Superiore di Cartizze

Tipologie: Spumante (versioni Brut, Extra dry e Dry), Secco, Amabile, Dolce e Frizzante

Abbinamenti: aperitivo e a fine pasto, da solo o con stuzzichini saporiti

Riferimenti normativi: La Doc Conegliano Valdobbiadene è stata riconosciuta inizialmente con DPR del 02.04.1969, pubblicato sulla GU 141 del 07.06.1969, successivamente modificato dal DPR del 12.06.85 e dal DM del 29.12.86. La denominazione è stata modificata da Prosecco di Conegliano Valdobbiadene a Conegliano Valdobbiadene con DM del 29.8.00 pubblicato sulla GU n. 211 del 9.9.2000

Miele del Montello

Territorio interessato alla produzione: I Comuni del Montello, in provincia di TREVISO: Nervesa della Battaglia, Giavera del Montello, Volpago, Crocetta del Montello e Montebelluna.

La storia: L’uomo ha iniziato ad adoperare il miele già dalla preistoria, intuendone l’alto valore alimentare e le sue proprietà. Oggigiorno in Italia l’apicoltura è ben radicata e si stimano in novantacinquemila gli apicoltori attivi. Nel Veneto essi sono circa cinquemila, collocando la regione nelle prime posizioni nazionali. Durante l’ottocento la produzione di miele era, principalmente, una componente dell’attività familiare, anche se esistevano limitate produzioni per l’artigianato dolciario. Solo dopo la Seconda guerra mondiale l’apicoltura sul Montello s’avvia a diventare una vera e propria attività produttiva e commerciale, indirizzata inizialmente per l’impollinazione dei fruttiferi e successivamente per la produzione di miele di varie qualità, tra cui quelle di castagno, di robinia e millefiori primaverile ed estivo oltre che e la melata (ottenuta dall’escrezione dell’insetto Metcalfa pruinosa). Da oltre 25 anni , nella complessiva provincia di Treviso, opera l’Associazione Produttori Apistici, con lo scopo principale di divulgare e insegnare l’apicoltura con metodi tradizionali.

Descrizione del prodotto: Il miele è un prodotto alimentare composto da acqua, zuccheri semplici, enzimi, vitamine, sali minerali e sostanze ormonali e si presenta semi liquido, vischioso, trasparente, dalla consistenza d’un denso sciroppo. La melata invece non prende origine direttamente dai nettari (fiorali o extra-fiorali), ma proviene da secrezioni vegetali o dalla escrezione di certi insetti (afidi, cicadellidi, coccidi) che si alimentano con la linfa delle piante, espellendo dal condotto alimentare un liquido dolce che viene raccolto dalle api. A seconda della provenienza del nettare e della stagionalità delle sostanze zuccherine succhiate il miele si presenta con tonalità di colore diverse: giallognolo, semi trasparente, vischioso, che col tempo tende a diventare opaco e granuloso, se proveniente da più specie di piante (legnose od erbacee); marrone chiaro se assunto dai fiori dei castagni; biondo trasparente perché proveniente dalle fioriture dei ciliegi. Per il miele di prato il colore è biondo intenso. L’odore è comunemente gradevole con sapore ed aroma speciale. Il miele di castagno presenta un gusto marcato con retrogusto di piacevole amaro.

Processo di produzione: Il miele è un prodotto che le api producono naturalmente trasformando il nettare dei fiori o della melata, che è formata dai succhi zuccherini presenti in certe foglie o in determinati alberi. È un prodotto che richiede pochi passaggi; dopo l’estrazione dei favi dall’alveare si procede alla disopercolatura e centrifugazione degli stessi per estrarre il miele. Successivamente si esegue la filtrazione con filtri a setaccio, la maturazione in appositi contenitori in acciaio inox, la schiumatura e l’invasettamento in recipienti in vetro.

Reperibilità: Il miele del Montello è reperibile durante tutto l’anno presso i produttori e i rivenditori della zona.

Usi: Il Miele è composto soprattutto da glucosio e fruttosio, che sono zuccheri semplici facilmente assimilabili dall’organismo. E’ particolarmente indicato nella dieta per l’infanzia in quanto, a differenza dello zucchero, favorisce la fissazione dei sali minerali. Ha proprietà curative e terapeutiche e viene spesso utilizzato, facendolo sciogliere in latte caldo, per alleviare le irritazioni alla gola. La sua destinazione d’uso principale si ha comunque in pasticceria per la preparazione di dolci e dolciumi.

Spiedo – Spèo – Spiedo d’alta marca

Territorio interessato alla produzioneArea collinare e prealpina della provincia di Treviso.Descrizione del prodottoSi tratta di un misto di carni di diversa pezzatura che vengono infilate e composte negli schidioni (asticelle di ferro dove cuoce lo spiedo), intervallate con lardo ed erbe aromatiche, cotte attraverso il riverbero della fiamma per 5/6 ore. Le carni prevalentemente usate sono il maiale e il pollo. Esistono interpretazioni che prevedono, in aggiunta od in alternativa altre carni: il coniglio, la faraona o l’anatra.Processo di produzioneLa preparazione prevede il “taglio”, le “lardèe” e la scelta del tipo di salvia. I vari pezzi di carne, di noneccessive dimensioni, devono essere caratterizzati da una certa omogeneità e uniformità. I pezzetti dilardo devono avere il giusto spessore; troppo lardo potrebbe imporre allo spiedo il suo caratteristicosapore. Le lardelle devono avvolgere senza comprimere per “far respirare” i pezzi di carne tra cui sonocollocate. È preferibile usare salvia con foglie molto piccole, perché più profumata. Segue la salatura egli aromi; è questa una delle fasi più delicate, quella decisiva per la buona riuscita dello spiedo.Le diverse fasi del fuoco e il tempo di cottura prevedono l’inizio cottura a fuoco lento; prima di un’ora lacarne non deve iniziare a “gocciolare”, poi le “speléte” vengono avvicinate alla fiamma, a non più di 40 cm, per consentire la cottura della parte interna della carne. Il tocco finale è il precòt, costituito da lardo avvolto e acceso nella carta paglia, con il quale si dà una “botta” di fuoco alle carni che girano sullo spiedo. Raggiunta la cottura ottimale, le carni si sfilano dallo schidione senza alcuno sforzo. Essenziale è il caminetto che va alimentato con legna di latifoglie tipiche delle colline trevigiane.UsiLo spiedo viene consumato sia in ambito domestico, sia nei ristoranti, agriturismi e trattorie che lo propongono. La preparazione avviene solitamente in cucina o in sale attigue, mentre la cottura si svolge nella sala dove c’è il caminetto, spesso a vista; sala in cui lo spiedo verrà consumato.ReperibilitàNel trevigiano sono molti i locali che propongono questo prodotto e varie sono le manifestazioni che permettono di apprezzare questo spiedo tradizionale.La storiaNella tradizione contadina, la carne entrava raramente nella dieta e si mangiava soltanto in determinate occasioni di festa. Lo spiedo era riservato al mondo aristocratico, ai nobili, alle battute di caccia, ai banchetti sontuosi; l’alimentazione contadina era fatta soprattutto di fagioli, erbe, formaggi, salumi.Il maiale era la vera riserva di carne del mondo contadino, assieme agli animali della bassa corte. Tra i sistemi di cottura prevalenti c’era lo spiedo; ma lo spiedo della tradizione contadina era molto povero e solo dopo il secondo dopoguerra, con l’arrivo del benessere, anche il mondo agricolo ha potuto accedere al consumo della carne, preparando spiedi ricchi e golosi.