Cuc

Materia prima: latte intero e parzialmente scremato per affioramento, da razza Frisona, Bruno alpina e Pezzata rossa. Alimentazione: foraggio d’alpe d’estate, fieno d’inverno.

Tecnologia di lavorazione: come per il Montasio.

Stagionatura: da un minimo di 6-8 mesi fino ad oltre un anno.

Caratteristiche del prodotto finito: come per il Montasio ma senza occhiature e con un gusto fortemente amarognolo.

Area di produzione: la Carnia e particolarmente la Val di Lanco.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: un tempo prodotto negli stavoli oggi è prodotto in casa attraverso la collaborazione di 3-4 famiglie. Anche d’inverno il formaggio ha di rado caratteristiche extra aziendali. Un tempo il Cuc era il formaggio per definizione.

Latteria

Formaggio a pasta dura di colore paglierino, compatta e con leggera occhiatura sapore gradevole delicato

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi possono utilizzare due linee tecnologiche di produzione: la prima adottata in genere dai caseifici artigianali ed industriali, la seconda dalle latterie turnarie.

Cenni storici e curiositàIl formaggio latteria nasce con le latterie turnarie che hanno avuto una grande importanza nella vita e nel costume delle comunità rurali del Friuli-Venezia Giulia. La prima latteria sociale turnaria è stata costituita in regione dal maestro Caneva nel 1881 nel comune di Forni Avoltri.Nella “Relazione del gruppo di studio sugli aspetti zootecnici, microbiologici, tecnologici ed economici del settore lattiero-caseario della Regione Friuli-Venezia Giulia” pubblicato nel 1974 a cura dell’Assessorato dell’Agricoltura, delle Foreste, dell’Economia Montana della stessa regione è riportata una tabella con i censimenti delle latterie turnarie attive dal 1884.L’uso di trattamenti termici del latte ed il ricorso a fermenti selezionati sono stati introdotti progressivamente nella zona di produzione anche di questo formaggio a partire dai primi anni 70 come illustrato, con generico riferimento ai formaggi tipo latteria prodotti nell’intera regione, nella “Relazione del gruppo di studio sugli aspetti zootecnici, microbiologici, tecnologici ed economici del settore lattiero-caseario della Regione Friuli Venezia Giulia” prima citato.

Formaggio di Malga

Formaggio tradizionale delle malghe friulane, la cui attività è nota fin dai tempi del Patriarcato di Aquileia (XI-XV sec.).

Territorio interessato alla produzione: Area alpina della regione in particolare Carnia, della Val Canale e del Canal del Ferro nonché della comunità pedemontana del Livenza.

Cenni storici e curiositàDalla testimonianza riportata dal dott. Giuseppe Faleschini nel libro “L’Alpeggio in Carnia” riprodotto nell’ottobre del 1970 e da Umberto Sanson nella rivista “Sot la Nape” riprodotto nel 1979, si può verificare come confrontando la tecnologia ivi descritta con quella attualmente praticata, non sia possibile rilevare differenze sostanziali nelle pratiche di trasformazione. (L’Alpeggio in Carnia. Risultanze di una indagine effettuata dal dott. Giuseppe Faleschini. Ed. Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Assessorato dell’Agricoltura, Foreste ed Economia Montana, ottobre 1970; Sot la Nape. Tradizioni popolari. Ed. Società filologiche friulane, gennaio-marzo 1979). Come pure l’ultima parte descritta da Enore Tassi nel Bollettino dell’Associazione Agraria Friulana del 1898 dove scrive del formaggio che si produceva solamente in montagna, durante il periodo del pascolo estivo.In ogni caso, la stessa tecnologia, e in particolare, le attrezzature usate (caldaie di rame, scalere di legno, ecc.) e la cottura “a fuoco di legna” dimostrano come nessuna innovazione tecnologica sia avvenuta nella seconda metà di questo secolo.

Salato duro friulano

Materia prima: formaggio “Latteria” fresco (prima della maturazione).

Tecnologia di lavorazione: matura in 2 mesi almeno, in bagno di acqua, sale, latte e/o panna, dove le forme vengono spesso rivoltate. Resa 10%.

Stagionatura: fino a 6 mesi circa.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8; diametro: cm. 20 circa; peso: Kg. 5-6; forma: cilindrica; pasta: particolarmente compatta, quasi dura, di colore bianco. Dopo la stagionatura è adatto alla grattugia.

Area di produzione: zona di Sauris (UD), con limitata diffusione in altre aree montane della Carnia e del Pordenonese.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: anche questo tipo di salato viene quasi esclusivamente commercializzato da produttori che acquistano le forme che vengono poi messe nelle proprie saline. Conosciuto come il salato di Sauris, ha trovato estimatori nella zona di Venezia, dove il prodotto viene commercializzato solo nei mesi autunnali. Il consumo è legato comunque al ricordo di una tradizione che va scomparendo.

Formaggio Saltarello

Materia prima: formaggio “Latteria” fresco.

Tecnologia di lavorazione: attualmente si utilizzano particolari forme di latteria prodotte solo a fine primavera, stagione nella quale la mosca del formaggio depone le uova. Le larve di questo tipo di mosca attaccano il formaggio e, nel processo digestivo che ne consegue, la pasta si va sfarinando fino a prendere l’aspetto di uno stracchinato. Matura in 3 mesi circa, in locale interrato detto “celar”.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8-10; diametro: cm. 25-35; peso: variabile; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta: cremosa, spalmabile, occupata di vermi di colore bianco. Sapore: forte e piccante.

Area di produzione: zona di Socchieve (UD).

Calendario di produzione: estate.

Note: formaggio tipico della zona di Socchieve, provincia di Udine, prodotto con le tecniche tradizionali fino a 5-6 anni fa presso le malghe della zona. La tradizione risale a tempi antichissimi, il cui ricordo viene mantenuto da una sagra che si tiene a Nonta, frazione di Socchieve, ai primi di Ottobre. Sempre prodotto in esigue quantità per il mercato locale, probabilmente per problemi legati alla commercializzazione di un tipo di formaggio che è il risultato di infestazioni parassitarie. Originariamente questo formaggio veniva prodotto in malga con la prima mungitura delle bovine appena giunte all’alpeggio. Stressate dal trasferimento esse producevano latte con determinate caratteristiche che rendevano il formaggio molto grasso con tendenza alla fermentazione. Il formaggio veniva poi messo nel “Celar”, sottoposto all’azione della mosca, mai rigirato. Quando comparivano i primi vermetti veniva ricoperto completamente con pasta di gesso per impedire la fuoriuscita e la dispersione dei vermi. Pronto al consumo ai primi di ottobre.

Formella del Friuli

Materia prima: latte intero, metà del quale lasciato inacidire per 12 ore a temperatura ambiente.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 37-38 gradi, aggiungendovi latte-innesto più caglio liquido. Coagula in 15 minuti. Dopo la rottura della cagliata effettuata con la “lira” (a dimensione di guscio di nocciola), la massa viene lasciata riposare per un po’, quindi si estrae e si pone in cestini di plastica ove viene rivoltata più volte. Quindi si opera la stufatura, ponendo le forme in ambiente a 35 gradi e saturo di umidità, per circa 2 ore. La salatura si effettua a secco, prima su una, poi sull’altra faccia per una giornata. Matura in una settimana. Resa 11%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 5; diametro: cm. 8-10; peso: Kg. 1 ;forma: cilindrica; crosta: morbida; pasta: a tessitura elastica e cremosa. Sapore: gustoso e dolce.

Area di produzione: alcuni comuni della provincia di Pordenone, con espansione in alcune zone della provincia di Udine.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: questo particolare tipo di caciotta è stato importato da un casaro di origine veneta che attualmente lavora in provincia di Pordenone. E’ una tecnica acquisita anche da altri casari del Friuli-Venezia Giulia grazie all’intermediazione di un tecnico dell’Ente di sviluppo (E.R.S.A.). Alcuni caseifici hanno dato un nome specifico a questo prodotto (Florio, Ugovizzella) che lo contraddistingue anche in senso locale.

Strica

Materia prima: scarti del Montasio o del Latteria.

Tecnologia di lavorazione: la pasta di Montasio e/o Latteria appena estratta dalla caldaia viene messa nelle fascere per assumere la forma tradizionale. Le forme compresse nelle fascere possono presentare, a seconda della fermentazione della pasta, delle sbavature che fuoriescono dai bordi delle fascere stesse. Quindi questi “eccessi” di pasta vengono rifilati per dare un aspetto uniforme e liscio alle forme. Ne risultano dei ritagli di pasta fresca dette “strisule” o “striche”, immediatamente pronte per il consumo.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: forma: strisce di lunghezza variabile; crosta: assente; pasta: colore bianco.

Area di produzione: tutta la regione.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: una volta questi scarti di formaggi erano considerati di poco conto. Attualmente, su iniziativa di alcuni casari, sono stati rivalutati e messi in commercio per essere consumati come formaggio fresco, oppure per essere cucinati, cioè fritti in padella senza aggiunta di grassi risultandone un particolare tipo di “frico”, più dolce di quello tradizionale che è fatto con formaggio latteria o Montasio, di varia stagionatura, grattugiato. Un tempo le strisce più lunghe venivano intrecciate.

Formaggio Salato

Formaggio a pasta dura con un aroma caratteristico ed intenso e gusto, tipico della lavorazione, marcatamente “salato”.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa lavorazione del latte avviene entro 24 ore dalla consegna al caseificio.Il riscaldamento del latte è effettuato in caldaia fino al raggiungimento dell’acidità opportuna.E’ consentita l’aggiunta di lattoinnesto di adeguata selezione microbica.

Cenni storici e curiositàIl formaggio salato appartiene ad una antichissima tradizione produttiva sviluppatasi in epoca remota su entrambe le falde dei crinali che dividono la Val Tagliamento e l’Alta Val d’Arzino.Per una popolazione di montagna, impegnata nel conflitto della sopravvivenza in un ambiente non ostile ma aspro e poco ricettivo, la possibilità di conservare il cibo “formaggio” a lungo nel tempo è stata una autentica ragione di vita. Se nella pedemontana pordenonese la tracce produttive del “salato” si sono perse da lungo tempo. Il radicamento vitale del sistema lattiero caseario in Carnia ha consentito che quantomeno la tradizione orale non conoscesse soluzione di continuità.E con essa, si verificasse una seppure limitata continuità produttiva. Un esempio di tanto è rappresentato dal Caseificio Val Tagliamento di Enemonzo (Udine) dove senza soluzione di continuità vengono ancora utilizzate le salamoie la cui composizione è stata gelosamente custodita e tramandata da Romano Rugo, padre dell’attuale responsabile dell’azienda. La salina dei Rugo è oggi virtualmente rappresentativa delle centinaia di saline che esistevano in Carnia alla fine dell’ ‘800.

Sot la trape

Formaggi tipo latteria o di tipo caciotta che vengono immersi in vasche e ricoperte con mosti d’uva non fermentati di uve locali bianche o rosse.

Territorio interessato alla produzione: Viene prodotto in Carnia, Val Canale e Canal del Ferro.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa materia prima è costituita da formaggi tipo latteria, con una stagionatura minima di 60 giorni, o da formaggi tipo caciotta, con stagionatura minima di 20 giorni. Le forme selezionate con crosta pulita e regolare e senza spaccature vengono immerse in vasche e ricoperte con mosti d’uva non fermentati di uve locali bianche o rosse (Cabernet, Merlot, Refosco, Fragola, Tocai, Sauvignon, Verduzzo); apprezzate sono anche le uve passite. Le forme rimangono immerse in questa sorta di salamoia per 8-10 giorni per le pezzature grandi e 2-4 giorni per le pezzature piccole in un ambiente temperato a 10-15 °C e umidità relativa dell’85-90 %. Trascorso tale periodo le forme vengono tolte dalle vasche e, poste sui banchi, spalmate con la stessa vinaccia impregnata d’acqua prima di essere pulite e stivate e tavole di legno. Dopo una sosta di circa un mese in ambiente con temperatura di 10-15 °C le forme vengono raschiate e messe in commercio.

Cenni storici e curiositàIl consumo in Friuli di questo prodotto è molto antico e la ricetta per la sua preparazione è riportata anche nel libro di Pietro Adami (Pietro Adami. “La cucina Carnica”. Ed. Franco Muzzio, 1985) dove sono illustrati molti dei tradizionali piatti della vecchia Carnia.

Cuincir

Si presenta come crema di colore bianco dal caratteristico odore pungente

Territorio interessato alla produzione: Canal del Ferro, Val Canale (Comuni di Moggio, Resia, Resiutta, Chiusaforte, Dogna, Malborghetto, Pontebba, Tarvisio).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaMaterie prime utilizzate per la preparazione del cuncir sono la ricotta fresca, preferibilmente di malga, il sale, il pepe e il finocchio selvatico.

Cenni storici e curiositàLa preparazione del Cuncir è una delle più consolidate tradizione dell’attività di alpeggio e trasformazione dei prodotti dello stesso. Tutte le malghe e le aziende della montagna Friulana producevano e conservavano tale prodotto che, per sapore e gusto particolare risulta gradevole al consumo soprattutto nei periodi invernali.Nel ricettario compilato nei primi dell’ottocento dalla co. Gemma di Caporiacco Nais è descritta la ricetta già da allora utilizzata per la preparazione del cuncir.

Formaggio Asìno

Formaggio dal particolare gusto sapido, leggermente piccante, pronunciato per l’Asìno classico, più delicato per l’Asìno morbido

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Clauzetto, Vito d’Asio e Spilimbergo.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaAsìno classicoE’ ottenuto esclusivamente da latte bovino crudo o termizzato, eventualmente aggiunto di latto innesto naturale o di fermenti selezionati autoctoni della zona di produzione.
Asìno morbidoIl latte in questo caso viene sottoposto a pastorizzazione e la rottura della cagliata è molto più grossolana perché si vuole trattenere una maggiore quantità di acqua per ottenere una pasta molto morbida.

Cenni storici e curiositàLa prima fonte certa in cui troviamo notizia di questo prodotto è dello storico Enrico Palladio, scritta in latino Rerum Foroiuliensium nel 1659: “qui Asinum vocant ab Aso pago …” (che chiamavano Asìno dal paese Asio).Tra le memorie storiche vi è poi una lettera del 1749 che il Vescovo di Concordia, Giacomo Maria Erizzo, inviò ad un Pievano d’Asio per assicurarsi una adeguata scorta di formaggio Asìno: “…siamo ora al tempo delli formaggi asini, non vorrei che mi succedesse qualche disguido per tali frutti …”.Altri documenti, quali un bando del 1775 che riporta i prezzi del formaggio Asìno e i Calmieri su carni e formaggi del 1812, attestando la diffusione e l’importanza di tale prodotto sul mercato locale. Nel 1800 il Ponici scriveva in merito a tale produzione: “… la manifattura è così difficile ed esige tali squisite avvertenze che pochi possiedono l’arte sicura …”.

Scuete Frante

Materia prima: ricotta fresca.

Tecnologia di lavorazione: viene utilizzata la ricotta appena affiorata, che si estrae e si pressa coi pugni chiusi. Si impasta con sale e pepe e si mette in un tino con coperchio e un peso sopra. Alcuni produttori buttano sopra il tino acqua e sale per tenere sterilizzato l’ambiente e tenere lontana la mosca del formaggio che depone uova da cui nascono larve. Altri invece permettono a questa mosca di deporre le uova perché le larve aumentano la fermentazione e ne esce una ricotta con i vermi ancora più forte e gustosa. La salatura si effettua in pasta durante la lavorazione.

Stagionatura: si effettua in autunno, fino a 2-3 mesi circa.

Caratteristiche del prodotto finito: pasta dall’aspetto cremoso, di colore bianco sporco. Sapore: forte e piccante, se stagionata.

Area di produzione: Val d’Arzino, Val Tramontina (PN) e Carnia (UD).

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: tradizionalmente questo era un metodo di conservazione della ricotta usato probabilmente in alternativa all’affumicatura. Si produce esclusivamente per autoconsumo.

Scuete Fumade

Materia prima: siero di latte vaccino (talvolta anche caprino).

Tecnologia di lavorazione: la ricotta destinata all’affumicatura segue grosso modo le fasi di lavorazione della ricotta fresca. L’unica differenza consiste nel portare il siero ad una temperatura più alta (sui 95-96 gradi) di modo che la ricotta risulti più spurgata e più compatta. Quando affiora viene estratta con mestoli e messa in sacchetti di lino a trama fitta. I sacchetti con la ricotta vengono lasciati sgocciolare per circa 30 minuti. Vengono quindi legati a un’estremità con spago e lasciati in pressa per circa 24 ore. La salatura si effettua a secco sulle forme. Matura in 1-7 giorni, in ambiente fumoso dotato di reticoli, dove le forme vengono affumicate con braci di legno di latifoglia. Resa 7-8% (sul siero).

Stagionatura: fino a 30 giorni.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg. 1; forma: ovale; crosta: sottile, color ocra bruciato; pasta: compatta, colore bianco.

Area di produzione: tutta la regione. In particolare in montagna, nelle malghe.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: la pressa tradizionale consiste in due tavole di legno inclinate tra le quali viene incuneato il sacchetto con le ricotte. Sulla tavoletta superiore si mette un peso in modo che l’inclinazione permanga e faccia assumere alla ricotta la forma caratteristica. Insieme al Montasio e al Latteria è il prodotto più tradizionale della regione. A seconda dei luoghi di produzione porta nomi e forme diverse con procedure di affumicature diverse. È conosciuta anche con il nome di “puina”. Come prodotto emergente è poi da segnalare un tentativo di diversificazione della ricotta affumicata tradizionale, fatto in un caseificio di pianura da circa un anno. La ricotta viene messa, senza essere pressata, in piccoli cestini da tre etti e sottoposta ad affumicatura lenta per 7/8 giorni. Ne risulta un prodotto più morbido perché meno spurgato. È conosciuto localmente con il nome di ricotta affumicata Stella.

Tipo malga

Materia prima: latte intero.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa blanda pastorizzazione a circa 38 gradi, aggiungendovi fermenti lattici selezionati più caglio di vitello. Dopo la coagulazione e la rottura della cagliata (a dimensione di guscio di noce), nel corso di 20-30 minuti, la massa viene estratta e messa in cestini di plastica forati. Le forme rimangono a sgocciolare a temperatura ambiente, rivoltandole una o due volte, per 24 ore. La salatura si effettua per bagno in salamoia per 12 ore. Matura in 8 giorni, in ambiente a 10 gradi. Resa 13%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8; diametro: cm. 28; peso: Kg. 6; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta: cremosa, compatta o con qualche occhiatura, di colore bianco.

Area di produzione: zona pedemontana e pianeggiante dell’intera regione.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: è da considerarsi un formaggio emergente, di recente introduzione, anche se nel nome e nell’aspetto si ricollega al più tradizionale prodotto delle malghe di montagna. Viene commercializzato con nome “Malga” o “Tipo Malga”. Nel Pordenonese è anche chiamato “Latte intero” e presenta minime varianti nella lavorazione. In altri caseifici viene commercializzato con un nome, a volte protetto da un marchio, che caratterizza maggiormente il prodotto: “Villa Dolt”, “S. Pietro”, “Val Corno”, “Matajur”, “Coderno”, “Malga Friuli”, “Gagliano”, “Agricola Alto Friuli”.

Flors

Materia prima: siero di latte vaccino o misto vaccino e caprino.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero a circa 80 gradi, senza aggiungere alcun acidificante. Appena affiora il coagulo, dopo la rottura della cagliata viene raccolto con un mestolo; va consumato immediatamente.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: pasta: semiliquida perché non del tutto separata dalla frazione acquosa.

Area di produzione: qualche malga, nelle aree più impervie.

Calendario di produzione: in estate, durante gli alpeggi.

Note: la tradizione di questo prodotto è legata ad un’economia di sussistenza, all’isolamento vissuto fino a pochi anni fa dai malgari nei periodi dell’alpeggio. Un tempo veniva prodotta e consumata un po’ in tutte le malghe della regione. Oggi, come un tempo, si produce solo per l’autoconsumo.

Formadi Frant

Il Formadi Frant è formato da un impasto di formaggi sminuzzati del tipo latteria, di varia stagionatura, prodotti in Carnia, sale, pepe, panna e latte.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaMaterie prime utilizzate per la preparazione del Formadi Frant sono i formaggi tipo latteria prodotti in Carnia, sale, pepe, panna e latte.

Cenni storici e curiositàLa preparazione del Formadi Frant è una delle più consolidate tradizioni della Carnia. Veniva anticamente impiegato come sistema di recupero e conservazione di formaggi che presentavano difetti o alterazioni tali da richiedere altrimenti un consumo molto rapido.Tutte le persone anziane intervistate ricordano la pratica della preparazione di questo prodotto ma, poiché Formadi Frant era di uso famigliare, non vi sono note a stampa su questo argomento, anche se è menzionato in numerosi libri di cucina friulana

Pecorino Monte Re

Materia prima: latte di pecora con aggiunta di una piccola percentuale (massimo 1%) di latte caprino, da razza ovina carsolina. Alimentazione: proveniente dai pascoli del Carso (TS) in primavera e da pascoli presso Venzone (UD) in estate.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a circa 35 gradi, aggiungendovi caglio in polvere di vitello. Coagula in 15 minuti circa. Dopo la rottura della cagliata effettuata con la “chitarra” (a dimensione intermedia fra un guscio di nocciola e un chicco di grano), si cuoce a 42-44 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene lasciata riposare 10 minuti affinché si depositi, quindi si estrae e si mette nelle fascere. La salatura si effettua a secco, a giorni alterni, con sale grosso, per dieci giorni circa. Matura in tre settimane in contenitore di legno, detto “barile”, provvisto di un foro sulla base inferiore, per la fuoriuscita del siero residuo. Le forme vengono lavate con un panno umido. Resa 15-16%.

Stagionatura: si effettua solo su richiesta, fino a oltre 12 mesi. Durante questo periodo, le forme vengono pulite con una soluzione di olio e aceto.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8-10; diametro: cm. 16-25; peso: Kg. 2-6; forma: rotonda; crosta: morbida e liscia, dura se stagionata; pasta: con piccola occhiatura, di colore giallo.

Area di produzione: Ronchi dei Legionari (GO), in primavera. In malga, nella zona di Venzone (UD), in estate.

Calendario di produzione: da aprile a settembre.

Note: il nome del prodotto richiama il luogo originario di produzione (monte Re) che attualmente fa parte della Jugoslavia. La tecnologia, che viene tramandata da più generazioni di pastori, si basa su una lavorazione prettamente artigianale che può essere fatta anche con modeste quantità di latte e con attrezzature facilmente trasportabili. Questo formaggio viene attualmente prodotto in modeste quantità quasi esclusivamente da un anziano pastore trasferitosi qui dalla Jugoslavia dopo l’ultima guerra.

Pecorino dei Pian di Vas

Materia prima: latte puro ovino o mescolato con parte uguale di latte caprino se il prodotto è destinato alla lunga stagionatura.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo a circa 34 gradi, aggiungendovi caglio in polvere di vitello. Coagula in 30 minuti. Dopo la rottura della cagliata con le mani, senza alcuno strumento, nell’arco di 10 minuti, la massa viene lentamente compressa con le palme delle mani per circa 10 minuti. Una volta depositata sul fondo, si estrae e si dispone in cestelli di plastica, dove viene compressa sempre con le mani. La salatura si effettua a secco sulle forme. Matura in 10 giorni circa. Resa 22%.

Stagionatura: da 60 giorni, fino a 2 anni circa.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 7-8; diametro: cm. 22; peso: Kg. 2; forma: cilindrica; crosta: sottile di colore paglierino; pasta: compatta o con leggera occhiatura. Se freschissima può essere tagliata a fette e cotta nell’olio bollente: si ottiene il cosiddetto “frico”.

Area di produzione: area del Canal di Gorto (UD) in alta Carnia.

Calendario di produzione: da marzo a ottobre.

Note: viene prodotto dal luglio 1988 da un pastore sardo che si è insediato nell’Alta Val di Gorto con un allevamento ovino di circa 200 capi. La tecnica di lavorazione è ancora assolutamente artigianale. Per la preparazione viene usata una piccola caldaia da 40 litri, fuoco a legna o un piccolo fornello a gas.

Caprino della Carnia (a pasta morbida)

Materia prima: puro latte caprino, da razze alpine.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte previa pastorizzazione a circa 36-38 gradi, aggiungendovi latto-innesto più caglio liquido di vitello. Coagula in 30-40 minuti. Dopo la rottura della cagliata effettuata con la “lira” per circa 15 minuti (a dimensione di guscio di nocciola), si cuoce a 38-40 gradi. Si lascia quindi riposare per 20 minuti, durante i quali avviene lo spurgo. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta e messa in castelli cilindrici in plastica, forellati, a sgocciolare. Non si opera alcuna pressatura. Si porta quindi in locale di stufatura a 35-38 gradi e umidità 90-95% ove rimane per circa 3 ore rivoltando le forme 3-4 volte. La salatura si effettua per bagno in salamoia (l8%) oppure a secco sulle forme per 2-3 ore. Matura in 10-20 giorni, in ambiente a 8-15 gradi e umidità 80-85%. Resa 11-12%.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 8-10; diametro: cm. 11; peso: Kg. 1; forma: cilindrica; pasta: morbida, elastica, compatta di colore bianco, relativamente magra e facilmente digeribile. Sapore: dolce.

Area di produzione: zona montana e pedemontana delle province di Udine e Pordenone.

Calendario di produzione: da Pasqua fino a tutto Ottobre.

Note: è ripreso, con alcune modifiche, uno schema tecnologico proposto da un ricercatore sardo. La sperimentazione è iniziata nel maggio 1988 nell’ambito di un programma deciso dall’Ersa per favorire gli allevamenti caprini nelle zone montane della Carnia. Precedentemente il latte caprino era mescolato agli altri tipi di latte. In alcuni casi l’ambiente di stufatura è costituito da una cassa di legno lunga e stretta fornita di coperchio e di un foro laterale per la fuoriuscita del siero, nella quale viene versata dell’acqua molto calda.

Caprino della Carnia (a pasta dura)

Materia prima: puro latte caprino, da razze selezionate quale la Camosciata con nuclei di Saanen. Alimentazione: al pascolo libero, in area pedemontana e montana.

Tecnologia di lavorazione: si porta il latte – crudo o previa pastorizzazione – a circa 27 gradi, aggiungendovi latte-innesto più caglio liquido di vitello. Dopo la coagulazione la rottura della cagliata avviene prima a mano, con “spada”, quindi con la “lira” in modo da ottenere uno spurgo abbastanza finito. Si cuoce a 45 gradi. Dopo queste operazioni, la massa viene estratta e messa nelle fascere o in cestini di plastica. Dopo un giorno di spurgo viene pressata e rivoltata più volte. La salatura si effettua in salamoia per 4-5 ore. Matura in 30 giorni circa.

Stagionatura: 5-6 mesi circa, in ambiente a 10 gradi. Resa 8-9%.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg. 2-5; forma: cilindrica; crosta: consistente, colore chiaro; pasta: friabile (più che nel Montasio), con occhiatura quasi assente, colore bianco.

Area di produzione: area montana e pedemontana della provincia di Udine e Pordenone.

Calendario di produzione: attualmente la produzione è limitata ai mesi estivi.

Note: è un prodotto di recente sperimentazione sul quale si punta per la valorizzazione del latte caprino e dei suoi derivati. Nell’intenzione dei produttori, con l’assistenza dell’E.R.S.A., dovrebbe diventare un prodotto tipico protetto da un marchio, che caratterizzi tutti i formaggi di latte caprino ottenuto da razze selezionate. La sperimentazione è iniziata nella tarda primavera 1988. Pur essendo migliore il latte crudo, recentemente si è preferito utilizzare latte pastorizzato a 65 gradi per ovviare ad alcuni problemi tecnici contingenti.

Caciotta caprina

Formaggio caprino a pasta semidura.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaQuesto formaggio si ottiene dalla lavorazione di latte caprino crudo o termizzato con l’aggiunta di fermenti preferibilmente selezionati in azienda oppure con lattoinnesto.

Cenni storici e curiositàL’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare, il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe insieme al latte delle bovine.Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e Fauna, I marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che inizio a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.

Ricotta pecorina Monte Re

Materia prima: siero residuo della lavorazione del pecorino Monte Re.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero a 80-90 gradi, aggiungendovi una percentuale di latte appena munto (circa il 4-5%) e una dose di acidificante. A coagulazione avvenuta, la massa affiorante viene raccolta in appositi cestelli forati a sgocciolare. Matura in un giorno, dopodiché è pronta al consumo. Resa 7-8% (sul siero).

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: peso: Kg. 1 circa; forma: cilindrica; crosta: assente; pasta: pastosa, bianca.

Area di produzione: come per il Pecorino Monte Re.

Calendario di produzione: da aprile a settembre.

Note: anche questo prodotto ha lo stesso nome del luogo dove originariamente si produceva, che attualmente fa parte della Jugoslavia. La tecnica di lavorazione, come per il pecorino Monte Re, viene tramandata dai pastori di generazione in generazione. La ricotta pecorina, con lavorazioni artigianali analoghe, è prodotta in esigue quantità anche nella zona pedemontana della provincia di Pordenone e della provincia di Udine.

Ricotta caprina

Materia prima: siero di puro latte caprino.

Tecnologia di lavorazione: si porta il siero (residuo della lavorazione del formaggio) a 60-65 gradi, aggiungendovi latte di capra (nella misura massima del 50%) e sale inglese o aceto di mele. Coagula a 85-86 gradi. Dopo l’affioramento la ricotta viene estratta e sistemata negli appositi cestelli di plastica forellati, ove rimane a sgrondare fino al giorno successivo. È immediatamente pronta per il consumo.

Stagionatura: non si effettua.

Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm. 6-8; diametro: cm. 4-6; peso: Kg. 0,3-0,4; forma: tronco-conica; crosta: assente; pasta: bianca, delicata, morbida e cremosa.

Area di produzione: alcune malghe e alcuni caseifici della zona montana delle provincie di Udine e Pordenone.

Calendario di produzione: periodo di lattazione delle capre (5-6 mesi).

Note: in Friuli Venezia Giulia il latte di capra tradizionalmente veniva mescolato con latte bovino conferendo ai prodotti caseari di malga un caratteristico gusto di monte. Solo recentemente, da un anno circa, nell’ambito del programma E.R.S.A. si tendono a valorizzare i prodotti derivati dalla lavorazione del solo latte caprino, tra cui la ricotta caprina fresca la cui lavorazione è stata sperimentata per ora in esigue quantità.

Ricotta affumicata di malga

Formaggio a pasta bianca, asciutta e granulosa con gusto affumicato delicato.

Territorio interessato alla produzione: L’area alpina della regione Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Il siero residuo della lavorazione del formaggio di malga, eventualmente aggiunto di latte o latticello o crema d’affioramento, viene portato quasi al punto di ebollizione (80-90°C) all’interno della stessa caldaia in rame impiegata per la trasformazione del latte in formaggio di malga. Quando la massa raggiunge la temperatura desiderata si aiuta la coagulazione delle proteine del siero aggiungendo solfato di magnesio (sal di canal) o acido citrico.

Cenni storici e curiosità
Da sempre nelle malghe la produzione della ricotta affumicata accompagna quella del formaggio di malga ed una testimonianza dettagliata sulle metodologie di produzione anticamente impiegate e tramandate nel tempo fino ai giorni nostri è riportata da Giuseppe Faleschini nel libro “L’Alpeggio in Carnia” riprodotto nell’ottobre del 1970, si può verificare come confrontando la tecnologia ivi descritta con quella attualmente praticata, non sia possibile rilevare differenze sostanziali nelle pratiche di trasformazione. (L’Alpeggio in Carnia. Risultanze di una indagine effettuata dal dott. Giuseppe Faleschini. Ed. Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Assessorato dell’Agricoltura, Foreste ed Economia Montana, ottobre 1970).

Ricotta di capra

La ricotta ottenuta dal siero di latte di capra, può essere consumata fresca o può essere affumicata con fumo di essenze di boschi locali ed essenze aromatiche.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Prodotto ottenuto dalla coagulazione del siero di latte di capra, riscaldato a 85°C; in alcune zone viene aggiunto dal 5 all’ 8% di latte intero; come adiuvante può essere impiegato dell’acido citrico.Una volta formatasi, la ricotta viene raccolta nei cestini e lasciata spurgare, mentre il prodotto destinato ad essere affumicato viene raccolto in sacchetti di tela e compresso per ridurne l’umidità, raggiunta la richiesta consistenza, viene esposto al fumo prodotto dalla combustione di legname di specie autoctone preferibilmente di faggio, nocciolo e frasche di ginepro, abete ed altre essenze aromatiche. La fase dell’affumicatura dura circa 48 ore.

Cenni storici e curiosità
L’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare, il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe insieme al latte delle bovine.Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e Fauna, I marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che inizio a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.

Musetto

Misto di carne suina insaccata, in friulano ‘musèt’.

Territorio interessato alla produzione: Tutta la regione del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl Musetto si prepara con la carne magra, la cotica del lardo, i muscoletti interni teneri, il muso ed eventualmente un po’ di lardo sodo. Il tutto viene macinato e aromatizzato con sale, cannella, pepe, noce moscata e altro a seconda delle abitudini (sono frequenti anche il coriandolo e i chiodi di garofano) e poi insaccato in budello di maiale. Acquista caratteristiche organolettiche migliori se viene consumato dopo circa un mese di stagionatura.In alcune zone può essere sottoposto ad affumicatura. In questo caso il musetto viene affumicato per 10-12 ore, per un ottima affumicatura si dovrebbe impiegare il borestai, ovvero brace di legna secca che non libera micelle di fuliggine e che assicura la formazione di un sottile strato esterno più essiccato rispetto all’impasto.

Cenni storici e curiositàIl Musetto è un prodotto tradizionale della nostra regione, storicamente noto come il più classico insaccato friulano e frequentemente consumato con la brovada che è un altro piatto tipicamente friulano. Antiche ricette per fare il Musetto sono date dal co. Bernardino Beretta di Udine (B. Beretta. Nozioni pratiche per un possidente, agricoltore e padre di famiglia. Udine, Vendrame, 1851). Altro libro storico nel quale viene fatto riferimento alla produzione del Musetto è libro “la Carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Prosciutto di Sauris IGP

Tecnologia di preparazione: il coscio di suino viene messo sotto sale e successivamente affumicato in apposite stanze dove vengono fatte bruciare essenze di faggio, ginepro, pino ed altre resinose.

Composizione:
a) Materia prima: suini pesanti di razza nazionale allevati nella zona.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale, pepe, ginepro, essenze aromatiche.
c) Additivi:

Maturazione: due mesi sotto sale più un mese di esposizione al fumo.

Periodo di stagionatura: dieci mesi in locali areati.

Area di produzione: comune di Sauris in provincia di Udine.

Prosciutto San Daniele DOP

Tecnologia di preparazione: le cosce fresche di suino, rifilate, vengono salate, massaggiate, per svuotare la vena femorale, pressate, per consentire alla parte magra di amalgamarsi con quella grassa e per conferire la tradizionale forma di violino.

Composizione:
a) Materia prima: suini pesanti di allevamenti tradizionali.
b) Coadiuvanti tecnologici: sale marino e, per la stuccatura, farina e grasso.
c) Additivi:

Maturazione: novanta giorni circa in celle di riposo.

Periodo di stagionatura: varia secondo il peso; in genere per un prosciutto di dieci chilogrammi ci vuole almeno un anno in locali ventilati e freschi.

Area di produzione: comune di S. Daniele, situato nell’ultima collina morenica prima delle Prealpi, ad una esatta distanza dal mare e dalla montagna, al centro del Friuli lungo il corso del fiume Tagliamento.

Scheda modificata in data 23/10/2000 su indicazioni del Consorzio del Prosciutto del S.Daniele.

Marcundela

Trito di interiora, conciate e salato, avvolto nell’omento (rete) del maiale ed appoggiate su un pianale cosparso di farina di polenta, oppure insaccato nel budello “torto”.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaUn impasto di carne trita viene lavorato con aggiunta di sale, pepe ed eventualmente aglio e vino e vengono fatte delle palle di circa 150 g., avvolte nella rete grassa del maiale. Per non farle attaccare vengono poste su vassoi cosparsi di farina di polenta.La marcundela viene consumata fresca oppure dopo un massimo di 8 giorni conservata sempre in cella frigorifera. Una volta veniva conservata all’interno dello strutto nei vasi.Il prodotto viene consumato dopo cottura. La cottura viene fatta in diversi modi. Il più classico è la bollitura nel vino rosso, ma posso anche essere fritte in padella ed irrorate sempre con del vino rosso. Un tempo, dopo essere state stagionate, le markundele venivano cotte in burro ed acqua e venivano consumate al mattino con la polenta, poiché la colazione doveva essere sostanziosa per sostenere la fatica del lavoro nei campi.

Cenni storici e curiositàTurus Ilario apre a Lucinico (Go) una macelleria-salumeria nel 1966, uscendo dalla gestione assieme al fratello Turus Terenzio della macelleria di Mossa (Go), menzionata sul Veronelli per salumi tipici e tradizionali nel 1980, comunque è noto che tutti i componenti della famiglia sono sparsi per l’isontino ad esercitare il “mestiere“, mestiere che appartiene ai Turus da almeno 5 generazioni.

Argjel

Lardo di maiale speziato e macinato, si presenta come una poltiglia conservata in contenitori di vetro, sotto uno strato di sale.

Territorio interessato alla produzione: Canal del Ferro Val Canale

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaI tranci di lardo vengono posti in speziatura con sale, pepe e foglie di alloro prima di essere affumicati e posti in stagionatura per circa 60-70 giorni.Successivamente il lardo viene macinato e posto in vasi di vetro con nella parte superiore uno strato di sale che, all’impiego viene separato dal lardo.

Cenni storici e curiositàSi tratta di un metodo tradizionale ampliamente radicato di stagionatura e conservazione di un prodotto usato anche per il condimento di certe pietanze. Si trova riferimento della consuetudine di preparare e consumare l’Argjel nel libro di Cossar, “La carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Coppa di testa

Testa di suino completa bollita ed insaccata, in friulano Cope.

Territorio interessato alla produzione: Canal del Ferro (nei comuni di Moggio, Resiutta, Chiusaforte).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa testa di suino, depilata completamente e priva dell’orecchio esterno viene posta a bollire in acqua con foglie d’alloro per circa 4 ore. Viene poi tolta e posta per la lavorazione su un piano leggermente inclinato al fine di favorire lo sgocciolamento dell’acqua di bollitura. Con un coltello si provvede alla scarnificazione della struttura ossea del cranio. Le parti carnose, lingua compresa, vengono successivamente tritate manualmente e grossolanamente avvalendosi di coltello. La massa ottenuta, ancora calda, viene speziata con sale, pepe, noce moscata (può venir aggiunta anche buccia di limone grattuggiata) e successivamente insaccata nell’ultima parte dell’intestino cieco di bovino (precedentemente lavato e pulito). L’insaccato viene poi posto su un ripiano in legno sotto leggero peso onde favorire l’uscita della gelatina contenuta nella massa. Si consuma dopo 4-5 giorni affettata e consumata con polenta o pane bianco preferibilmente caldo.

Cenni storici e curiositàTradizione correlata alla macellazione famigliare dei suini probabilmente legata alla necessità di non sprecare alcuna parte del suino.

Crafus

Si utilizza il fegato del maiale macinato, avvolto nel mesentere. Il prodotto (crafut) si presenta sotto forma di piccola polpetta.

Territorio interessato alla produzione: Territorio in comuni di Artegna e Buia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl “crafut” si ricava macinando, a grana fine, il fegato del maiale con l’aggiunta di pane grattugiato, uva sultanina, scorza di limone, scorza di arancia, mele a cubetti. Il tutto viene salato e mescolato manualmente dai norcini con l’aggiunta di pepe e spezie. Il prodotto, dopo la macinatura, viene porzionato nella misura voluta e quindi avvolto nel mesentere dello stesso maiale.Si consuma, entro 10 giorni dalla preparazione, previa cottura nello strutto del medesimo suino.

Cenni storici e curiositàTre anziani norcini dichiarano di aver svolto questa attività, inizialmente come aiutanti e poi in forma autonoma, a partire dagli anni ‘40-’50 macellando e lavorando le carni di suini in forma artigianale e tradizionale, tra le quali anche i crafus.

Insaccati affumicati

Insaccati: salsiccia e cotechino di Sauris.Insaccati stagionati: salame di Sauris e cacciatorino di Sauris.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Sauris.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa materia prima di partenza è rappresentata dai rifili delle lavorazioni principali (prosciutto e speck) e dall’operazione di scotennatura delle fese, in alcuni casi di grossa produzione, si utilizzano carnette, spalle o straculi acquistati. I rifili vengono tolti durante le fasi di spolpo e possono avere un aspetto che varia dal magro e mondato da ogni impurità, a rifili più grassi e con presenza di connettivo. La parte grassa è costituita da pancettoni rifilati.

Cenni storici e curiositàDa sempre in molte famiglie di Sauris si producevano prosciutti affumicati e insaccati di grandissime qualità; quindi con lo scorrere degli anni e grazie anche all’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la fama di questi eccellenti prodotti suinicoli è uscita dai confini regionali per espandersi in Italia e all’estero.Oltre un secolo fa, fu Pietro Schneider che iniziò a firmare una modesta produzione Wolf di prosciutti affumicati, speck e altri salumi tipici della zona; i suoi numerosi segreti di abile norcino passarono quindi di generazione in generazione e proprio Giuseppe, un nipote, nel 1962 fece nascere a Sauris il prosciuttificio artigianale Wolf.Giuseppe Petris dopo due decenni di crescente espansione sul mercato italiano ed estero, viste le sempre maggiori richieste, ritenne necessaria la realizzazione di un nuovo stabilimento che per dimensioni e capacità produttiva potesse soddisfare una domanda sempre più crescente ed esigente; il nuovo stabilimento è stato inaugurato nel 1983 e qui le moderne tecnologie sono al servizio di quella qualità artigianale che ha decretato il successo del marchio Wolf esaltandone le ulteriori qualità.

Lardo

Viene utilizzato il lardo ottenuto dalla regione dorsale del suino, il più solido e pregiato, dopo eliminazione del grasso molle.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura:Il lardo viene lasciato riposare su una graticola per garantire l’areazione su tutti i lati, evitando la formazione di muffa sulla cotica. Viene adeguatamente salato. Dopo 4/5 giorni viene aggiunto del pepe macinato e quindi il lardo viene arrotolato, mantenendo esternamente la cotica ed assicurando una adeguata legatura al prodotto. Il rotolo, così formato, viene sigillato con lo strutto dello stesso suino per evitare lo sviluppo di processi ossidativi.La stagionatura ha una durata minima di tre mesi.Viene degustato in fettine sottili oppure viene utilizzato come condimento (radicchio con i ciccioli = lidric cu lis frizzis, pane con i ciccioli = pan cu lis frizzis, o per condire la brovada).In alcune zone del Friuli-Venezia Giulia non viene arrotolato, ma stagionato in tranci per circa due mesi dopo essere stato salato in salamoia ed eventualmente affumicato.

Cenni storici e curiositàGli anziani norcini ricordano che la preparazione del lardo arrotolato risale all’attività artigianale dei loro padri che operavano in numerose famiglie del territorio friulano.Tre anziani norcini dichiarano di aver svolto questa attività, inizialmente come aiutanti e poi in forma autonoma, a partire dagli anni ‘40-’50 macellando e lavorando le carni di suini in forma artigianale e tradizionale, tra le quali anche il lardo arrotolato.Si trova riferimento storico del consumo e della produzione del lardo nel volume del Cossar “La carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana”. Il folklore italiano del 1929 e nel volume di Giuseppina Perusini Antonini “Mangiare e bere friulano” del 1970.

Linguâl

Impasto per cotechino insaccato in budello grande con al centro dell’impasto la lingua intera del maiale.

Territorio interessato alla produzione: Intera Regione Friuli Venezia Giulia e, in particolare, Carnia e destra Tagliamento.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi prepara l’impasto usuale del cotechino (carne magra e cotiche macinate) con cui si avvolge una lingua di maiale intera o pezzi della stessa e poi si introduce il tutto in un adatto budello da salame. Prima di essere consumata può essere conservata in locali adatti per alcune settimane. E’ diffuso anche un tipo di forma sferoidale, in quanto insaccato nel budello gentile, nel quale al centro dell’impasto sono messi pezzi di lingua suina.

Cenni storici e curiositàIl Linguâl è un prodotto di origine molta antica che, nelle zone in cui la tradizione è maggiormente radicata, veniva consumato nel giorno dell’Ascensione. Questo uso tradizionale è riportato da Giuseppina Perusini Antonini (1874-1974) nella sua pubblicazione “Mangiare e bere friulano”, la cui prima edizione è dell’inizio del XX secolo.

Lujanie

Misto di carne suina insaccata ed eventualmente affumicata, chiamata anche salsiccia, luganica, luganega, lujania.

Territorio interessato alla produzione: Tutta la regione del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa salsiccia si prepara con la carne suine della costa o della spalla, con i resti di pancetta o di guanciale, con ritagli sottogola, resti di coppa o ossocollo. La carne viene tritata e miscelata con sale, pepe, cannella, coriandoli, noce moscata ed altro come da ricetta consolidata da ognuno.Il tutto viene insaccato in budello sottile e può essere eventualmente sottoposto ad affumicatura. Si tratta di un prodotto che va consumato fresco e va cotto.

Cenni storici e curiositàAntiche ricette della salsiccia friulana sono trovano nell’opera di Bernardino Beretta di Udine: B. Beretta. Nozioni pratiche per un possidente, agricoltore e padre di famiglia. Udine, Vendrame, 1851. Altro libro storico nel quale viene fatto riferimento alla produzione della salsiccia è libro “la Carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Pancetta arrotolata dolce e affumicata

L’equilibrata gestione nella preparazione delle carni e nella speziatura, assieme al microclima della montagna carnica e alla leggera affumicatura, esaltano le caratteristiche delle carni.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl prodotto viene lavorato fresco, oppure dopo un breve periodo di stoccaggio in cella frigo. E’ una specialità suina preparata e nota anche in altre parti di Italia, sia essa con o senza affumicatura. Quella carnica prevede una salatura più accentuata.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si produce insaccati di carne suina di grande qualità; lo scorrere degli anni, l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la nomea di questi prodotti è uscita dai confini territoriali dell’area carnica.Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati – meglio dire non industriali -, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare per lo più artigianale che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transizione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei paesi del Nord.La caratteristica principale della salumeria carnica è costituita dall’uso del fumo.

Pancetta arrotolata manicata

La parte dell’addome del maiale viene salata, speziata, arrotolata e introdotta all’interno di un tipo particolare di budello, chiamato in gergo “manica stagionata”.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaQuando si seziona il maiale l’operatore toglie la parte della pancetta, poi disossa anche dalle cartilagini presenti nella parte bassa, scotenna e quindi la appende in temperatura intorno ai 5°C.Il giorno dopo la pancetta è pronta per essere salata in strati una sopra l’altra.Dopo 8-10 gg. a seconda del tempo, più umido, più caldo si toglie, si lava bene in acqua fredda, si fa sgocciolare, si dà la concia, si arrotola, si ricopre con la “manica” si fanno le varie legatura per stringere e appendere il prodotto finito.Stagionatura: da 6 mesi a 13 mesi, a seconda della grossezza.

Cenni storici e curiositàLa pancetta è un insaccato tradizionale friulano e l’usanza di produrla è documentata nel volume del Cossar “la carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana”del 1929).

Pancetta con lonza

Viene utilizzata la pancetta privata della cotica con tranci di lonza. Si aggiungono sale e pepe, macinato e in grani. Il tutto viene insaccato in budello naturale di bovino.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa pancetta viene distesa e preparata nelle dimensioni volute; viene salata e riposta in recipienti adatti. Si stendono poi sulla pancetta i tranci di lonza già salati. Il tutto viene lasciato riposare per un giorno in locali a temperatura controllata. In seguito si aggiunge il pepe; poi la pancetta viene arrotolata, mantenendo all’interno i tranci di lonza. Infine il prodotto viene insaccato in budello naturale di bovino e opportunamente legato con spago o rete.La stagionatura ha una durata minima di 10 mesi.

Cenni storici e curiositàLa pancetta era un salume prodotto utilizzando solo la parte omonima, salata, arrotolata e insaccata. Nel Friuli pedemontano, soprattutto nel territorio di Artegna, in numerose famiglie (generalmente le più abbienti), il prodotto era arricchito con tranci li lonza (brusadule) che rendevano il salume assai più saporito e prelibato.La tradizione della “pansete cun brusadule” si è affermata soprattutto nel dopoguerra ed ora la “Pancetta con lonza” è una costante nella produzione artigianale suina di pregio in tutto il territorio regionale.Viene particolarmente ricercata anche perché è indubbiamente più magra della pancetta tradizionale.Tre anziani norcini dichiarano di aver svolto questa attività, inizialmente come aiutanti e poi in forma autonoma, a partire dagli anni ‘40-’50 macellando e lavorando le carni di suini in forma artigianale e tradizionale, tra le quali anche la pancetta con lonza.

Pancetta stesa, lardo, guanciale

Carne suina più o meno stagionata.

Territorio interessato alla produzione: Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaTutti e tre i prodotti vengono lavorati freschi, oppure dopo un breve periodo di stoccaggio in cella frigo.Sono specialità suine preparate e note anche in altre parti di Italia, siano esse con o senza affumicatura. Quelle della Carnia prevedono una salatura più accentuata.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si produce insaccati di carne suina di grande qualità; lo scorrere degli anni, l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la nomea di questi prodotti è uscita dai confini territoriali dell’area carnica.Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati, meglio dire non industriali, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare per lo più artigianale che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transizione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei paesi del Nord.La caratteristica principale della salumeria carnica è costituita dall’uso del fumo.

Polmonarie

Insaccato ottenuto mediante la lavorazione di frattaglie di maiale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe frattaglie, fegato escluso, vengono macinate ed impastate con lardo macinato. Dopo la speziatura, eseguita solamente con sale e pepe, il trito viene insaccato, affumicato e stagionato per brevissimo periodo 10-15 giorni. Viene consumato dopo essere stato cotto in acqua. Per insaccare il prodotto viene impiegato budello di bovino precedentemente sgrassato, pulito, e lavato con acqua, aceto e limone e conservato sotto sale.

Cenni storici e curiositàProdotto tradizionalmente legato alla lavorazione per uso famigliare dei suini. Le caratteristiche metodiche di preparazione della polmonarie sono riportate da Cessar nel libro “La carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore Italiano” del 1929.

Prosciutto dolce o affumicato

Carne suina più o meno stagionata di pezzatura variabile salata e stagionata leggermente affumicata.

Territorio interessato alla produzione: Viene prodotto in tutta la Carnia e soprattutto nel Comune di Sauris.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl prodotto viene lavorato fresco, oppure dopo un breve periodo di stoccaggio in una cella frigo. La coscia viene mondata dal grasso in eccesso, da pellicine e da eventuali presenze di cartilagine, viene poi ulteriormente rifilata per darle la caratteristica forma.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si produce insaccati di carne suina di grande qualitàe con lo scorrere degli anni e l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali la nomea di questi prodotti è uscita dai confini territoriali dell’area carnica.Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati, meglio dire non industriali, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare per lo più artigianale che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transizione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei paesi del Nord. La caratteristica principale della salumeria carnica è costituita dall’uso del fumo.La produzione del prosciutto è particolarmente diffusa a Sauris dove un secolo fa Pietro Schneider iniziò a firmare una modesta produzione Wolf di prosciutti affumicati, speck e altri salumi tipici della zona; i suoi numerosi segreti di abile norcino passarono quindi di generazione in generazione e proprio Giuseppe, un nipote, nel 1962 fece nascere a Sauris il prosciuttificio artigianale Wolf.

Salam di cueste

Costa di maiale disossata, tagliata o macinata grossa e insaccata.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine e Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa costa del maiale viene completamente disossata e, dopo essere stata tagliata a pezzetti o macinata grossa e opportunamente speziata, viene poi forzata in budello e posta a stagionare.

Cenni storici e curiositàIl salam di cueste è presente da tempo immemorabile nella tradizione “norcina” di tutto il Friuli.

Salame friulano

Carne di suino scelta, macinata e mescolata con lardo, speziata, insaccata e conservata.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa carne di suino scelta e disossata (carne di coscia, di filetto, di spalla, di braciola), viene mescolata in giusto rapporto con lardo sodo e ritagli di pancettone, tritata, speziata con sale, pepee, per chi lo gradisce, aglio schiacciato e macerato in vino bianco o rosso. L’impasto viene macinato a media grossezza ed insaccato in budello di bovino precedentemente sgrassato, pulito e lavato con acqua, aceto e limone e conservato sotto sale. Il tempo di stagionatura minimo è di circa 60 giorni. Il prodotto può anche essere affumicato. In questo caso, i primi tre giorni costituiscono la fase di asciugatura, eseguita in ambiente fresco ma non aerato e successivamente il prodotto può essere posto in affumicatoio e condizionato con fumo prodotto da alloro, pino silvestre e ginepro per un periodi di circa 6-7giorni per 2-3 ore/die; dopo tale periodo il prodotto viene posto in locale fresco con un buon tasso di umidità al fine i favorire l’asciugatura omogenea di carne e budello. Dopo circa 15 giorni viene posto in locale di stagionatura.

Cenni storici e curiositàProdotto da sempre in regione senza l’utilizzo di conservanti e per lo più derivato dalla lavorazione e trasformazione di suini allevati in loco.Radicato tradizionalmente proprio in funzione della abitudine all’allevamento e trasformazione di tale specie animale.Si trova riferimento storico di questa preparazione nel libro “la Carne suina nell’alimentazione tradizionale friulana. Il folklore italiano”, pubblicato nel 1929.

Sassaka

Lardo e pancetta di maiale speziati, macinati e conservati in vasi di vetro.

Territorio interessato alla produzione: Viene prodotta in Val Canale, nei comuni di Pontebba, Malborghetto e Tarvisio.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl lardo e la pancetta stesa crudi vengono posti sotto speziatura con sale e pepe e bagnati con vino nel quale era stato posto a macerare dell’aglio bianco. Dopo circa una settimana, i tranci vengono messi ad asciugare per essere poi affumicati. La fase successiva prevede la macinatura dei due prodotti con aggiunta di cipolla cruda sempre macinata; il trito viene rimescolato fino all’ottenimento di una massa omogenea e ben amalgamata ed invasettato in contenitori in vetro. La Sassaka viene consumata spalmata su fette di pane di segale.

Cenni storici e curiositàProdotto da sempre preparato nelle zone della Val Canale e probabilmente da ricondursi a tradizioni d’oltre confine (è diffuso ampliamente anche nelle contermini Carinzia e Slovenia) legate probabilmente alla necessità di utilizzare e conservare parte di lardo.

Sbarbot

Guanciale di maiale speziato.

Territorio interessato alla produzione: Tutti i territori montani del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl guanciale suino, rifilato e pulito da parti non proprie (ghiandole e parti del sistema linfatico) viene posto in speziatura per 5 giorni in sale, pepe, aglio in vino, alloro e rosmarino; dopo due giorni di asciugatura, viene posto in affumicatoio. Questa fase di affumicatura ha essenzialmente la funzione di garantire il completamento dell’asciugatura e di dare sapidità particolare nonchè conservabilità migliore.

Cenni storici e curiositàProdotto tradizionalmente da sempre in tutte le zone montane non solo della regione.

Schulta Fumat

Spalla di suino disossata privata della cotenna e del grasso superficiale più o meno stagionata

Territorio interessato alla produzione: Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa spalla una volta disossata viene prima salata a secco per 7 gg. con l’aggiunta di aromi (pepe, aglio, ginepro e alloro), successivamente viene accuratamente pepata. Terminate queste operazioni la spalla viene affumicata per 3-4 giorni di fumo attivo; la permanenza nella stanza “affumicatoio” dura tra i 12 e 15 giorni.Il prodotto viene poi cotto a vapore per un periodo variabile tra i un ora e un ora e mezza, a seconda della dimensione della spalla.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si producono insaccati di carne suina di grande qualità; lo scorrere degli anni, l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la nomea di questi prodotti è uscita dai confini territoriali dell’area carnica. Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati, meglio dire non industriali, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare, per lo più artigianale, che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transazione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei Paesi del Nord. La caratteristica principale della salumeria carnica è costituita dall’uso del fumo.

Speck affumicato

Carne suina salata, speziata, affumicata e stagionata libera profumi e aromi delicati grazie alle alle condizioni microclimatiche della montagna carnica.

Territorio interessato alla produzione: Tutta la Carnia ed in particolare il comune di Sauris.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl prodotto viene di solito ricavato dalla parte grassa superficiale della coscia del maiale, appiattita, ma può essere ottenuto anche da altre parti della carcassa del suino (costato e spalla).

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si producono insaccati di carne suina di grande qualità; lo scorrere degli anni, l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, ha fatto sì che la nomea di questi prodotti sia uscita dai confini territoriali dell’area carnica. Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati, meglio dire non industriali, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare, per lo più artigianale, che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transazione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei Paesi del Nord. La caratteristica principale della salumeria carnica è costituita dall’uso del fumo. La produzione dello speck è particolarmente diffusa a Sauris dove un secolo fa Pietro Schneider iniziò a firmare una modesta produzione Wolf di prosciutti affumicati, speck e altri salumi tipici della zona; i suoi numerosi segreti di abile norcino passarono quindi di generazione in generazione e proprio Giuseppe, un nipote, nel 1962 fece nascere a Sauris il prosciuttificio artigianale Wolf.

Stinco di Carnia

Lo stinco viene salato con l’aggiunta di aromi (pepe, aglio, ginepro e alloro) stagionato e affumicato.

Territorio interessato alla produzione: E’ un prodotto tipico dell’alta valle del But (Treppo Carnico, Ligosullo, Paluzza).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLo stinco viene salato a secco per 3 giorni con l’aggiunta di aromi (pepe, aglio, ginepro e alloro). Successivamente viene immerso in una salamoia per un periodo variabile tra i 15 e 20 giorni. La salamoia è una soluzione che per ogni 100 litri di acqua prevede 2 kg di sale e 2 kg di zucchero. Terminato il trattamento salino, lo stinco viene lasciato libero in acqua corrente per 8 – 10 ore. Viene poi lasciato ad asciugare per 2 – massimo 3 giorni. Terminata l’asciugatura lo stinco viene affumicato, la permanenza nella stanza “affumicatoio” dura tra i 3 e 4 giorni.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si producono insaccati di carne suina di grande qualità; lo scorrere degli anni, l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la nomea di questi prodotti è uscita dai confini territoriali dell’area carnica. Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati, meglio dire non industriali, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare, per lo più artigianale, che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transazione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei Paesi del Nord. Un esempio tipico è lo stinco di maiale affumicato e cotto che ha trovato il suo principale sviluppo solo in determinati comuni della Carnia, comuni che storicamente hanno avuto più contatti con la Mitteleuropa attraverso i “cramars”.

Waracke

Al pari della Sassaka, con cui condivide un nome altrettanto esotico e misterioso, è un impasto di lardo e pancetta crudi in cui varia la speziatura e il rapporto tra componenti di base e ingredienti come la cipolla, destinati a dare corpo e omogeneità al prodotto, apportando inoltre principi utili a neutralizzare radicali liberi e prodotti del catabolismo) delle carni e dei grassi animali, secondo una illuminata esperienza maturata dall’uomo nel tempo e della quale gli studi scientifici sulle dinamiche chimiche hanno poi confermato la validità (come in altre combinazioni famose tra cui il citato musetto e brovada, le coste o le cotiche con le verze, il gulasch la cui preparazione prevede l’impiego dì abbondante cipolla…)

Fonte: Cibario del Friuli Venezia Giulia – Atlante dei prodotti della tradizione – ERSA, 2002.

Ossocollo e Culatello affumicati

Il processo di affumicatura li caratterizza piacevolmente donando sia all’ossocollo che al culatello un profumo aromatico esaltando i sapori caratteristici di questi insaccati.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Sauris.

Descrizione sintetica del prodottoPezzatura: 1,5-1,6 kg ca.Ossocollo: l’affumicatura lo caratterizza piacevolmente donandogli un profumo aromatico ed un sapore deciso e straordinariamente gustoso.Culatello: l’affumicatura lo caratterizza piacevolmente donandogli un profumo aromatico di grande equilibrio, l’altitudine e l’aria pulita gli conferisce un sapore nobile.

Cenni storici e curiositàDa sempre in molte famiglie di Sauris si producevano prosciutti affumicati e insaccati di grandissime qualità; quindi con lo scorrere degli anni e grazie anche all’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la fama di questi eccellenti prodotti suinicoli è uscita dai confini regionali per espandersi in Italia e all’estero.Oltre un secolo fa, fu Pietro Schneider che iniziò a firmare una modesta produzione Wolf di prosciutti affumicati, speck e altri salumi tipici della zona; i suoi numerosi segreti di abile norcino passarono quindi di generazione in generazione e proprio Giuseppe, un nipote, nel 1962 fece nascere a Sauris il prosciuttificio artigianale Wolf.Giuseppe Petris dopo due decenni di crescente espansione sul mercato italiano ed estero, viste le sempre maggiori richieste, ritenne necessaria la realizzazione di un nuovo stabilimento che per dimensioni e capacità produttiva potesse soddisfare una domanda sempre più crescente ed esigente; il nuovo stabilimento è stato inaugurato nel 1983 e qui le moderne tecnologie sono al servizio di quella qualità artigianale che ha decretato il successo del marchio Wolf esaltandone le ulteriori qualità.

Lingua cotta di Carnia

Lingua di manzo salmistrata e affumicata a breve stagionatura di pezzatura variabile tra i 1.300 e i 1.800 grammi.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia in particolare l’alta valle del But.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa lingua viene curata, lavata, asciugata e salata a secco per 3 giorni con l’aggiunta di aromi (pepe, aglio, ginepro d alloro). Successivamente viene immersa in una salamoia per un periodo variabile tra i 15 e 20 giorni. La salamoia è una soluzione che per ogni 100 litri di acqua prevede 2 kg di sale e 2 kg di zucchero. Terminato il trattamento salino, la lingua viene lasciata libera in acqua corrente per 8 – 10 ore. Viene poi lasciata ad asciugare per 2 – massimo 3 giorni. Terminata l’asciugatura la lingua viene affumicata, la permanenza nella stanza “affumicatoio” dura tra i 3 e 4 giorni. Il prodotto viene poi cotto a vapore per un periodo variabile tra un’ora e un’ora e mezza, a seconda della dimensione della lingua. Il prodotto normalmente viene poi confezionato sottovuoto per una sua migliore movimentazione. La lingua può subire, come tutti i prodotti, un periodo di stoccaggio prima della sua messa in commercio in magazzini refrigerati.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si producono insaccati di carne di grande qualità.

Petto d’oca affumicato

La tecnica di produzione consiste nel separare i due petti di un’oca, arrotolarli salati per cinque giorni a secco come vuole la tradizione, speziati e quindi parzialmente stagionati.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Chiopris Viscone, Aiello del Friuli e Palmanova.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa tecnica di produzione consiste nel separare i due petti di un’oca, lasciandoli uniti solo dalla parte della pelle, per poterli poi arrotolare, creando così un unico pezzo. I petti vengono salati per cinque giorni a secco come vuole la tradizione, speziati e quindi parzialmente stagionati per 20 giorni a 14°C come avveniva nelle cantine dei nostri nonni. La prassi vuole che oggi si impieghino ambienti climaticamente controllati per garantire al massimo l’igiene dei prodotti. Vengono poi arrotolati ed insaccati. L’affumicatura, eseguita a freddo viene svolta secondo il metodo tradizionale, bruciando legno di faggio e di quercia, bacche di ginepro e foglie di alloro.

Cenni storici e curiositàL’oca è un animale che sa d’antico. L’episodio delle oche del campidoglio, sacre a Giunone, salvatrici di Roma in grazia dell’allarme dato all’arrivo di galli, è ricordato in tutti i libri di scuola. Sui modi di allevarla, di nutrirla, sul suo habitat, sui metodi d’ingrasso, forniscono consigli anche Catone, Varrone, Celso, Palladio.Uno dei luoghi ideali per l’allevamento era l’agro acquileiese. Lo storico Strabone accenna ai guardiani-ingrassatori di oche acquileiesi, gli anserarii, richiesti per la loro bravura perfino a Roma dove scendevano accompagnando sterminati branchi.La parte più ricercata dell’oca per i latini era il grosso fegato chiamato ficatum: aggettivo che attraverso trasformazione fonetiche prenderà il posto di jecor, fegato appunto. Le fortune dell’oca proseguiranno nell’economia rurale del medioevo fino ai giorni nostri.“Nella Civica Biblioteca Joppi di Udine si conserva, in un manoscritto del XIV secolo, un disegno a inchiostro con la rappresentazione di una scena di vita quotidiana medioevale: un prelato Martino è colto nell’atto di offrire due oche al patriarca Raimondo della Torre…” da “L’oca” di Germano Pontoni, Bibliotheca Culinaria,1997“Nella pianura friulana l’oca deve essere da molto tempo allevata ed è molto apprezzata per la sua piuma, il grasso, la carne è più gustosa se messa in conserva che mangiata fresca; tuttavia si prepara anche arrostita ed in umido’’ da “mangiare e bere friulano” di Giuseppina Peressini Antonini, Franco angeli Editore, 1988, 8a edizioneLe prime piccole produzioni della famiglia Pessot nascono nel 1974, presso la azienda agricola Hausbrandt in Chiopris Viscone. Testimoni oltre ai vecchi collaboratori, diversi clienti privati ed alcuni ristoranti della zona.Tra le testimonianze più vecchie ritrovate una foto di lavorazione con il sig. Luciano Curiel del 1976.Negli anni la tecnica di produzione si è affinata ma l’artigianalità del tutto manuale del prodotto è rimasta immutata.

Prosciuttino crudo d’oca

E’ uno dei salumi d’oca più antichi della nostra regione, il Friuli Venezia Giulia, veniva prodotto già nel 1400 dalla famiglia Gentilli di San Daniele del Friuli.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Chiopris Viscone, Aiello del Friuli e Palmanova.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa tecnologia di lavorazione è simile a quella del prosciutto di suino, con la differenza che i tempi delle fasi di preparazione, salatura, asciugatura e stagionatura, sono molto più brevi.

Cenni storici e curiositàL’oca è un animale che sa d’antico. L’episodio delle oche del campidoglio, sacre a Giunone, salvatrici di Roma in grazia dell’allarme dato all’arrivo di galli, è ricordato in tutti i libri di scuola. Sui modi di allevarla, di nutrirla, sul suo habitat, sui metodi d’ingrasso, forniscono consigli anche Catone, Varrone, Celso, Palladio.Uno dei luoghi ideali per l’allevamento era l’agro acquileiese. Lo storico Strabone accenna ai guardiani-ingrassatori di oche acquileiesi, gli anserarii, richiesti per la loro bravura perfino a Roma dove scendevano accompagnando sterminati branchi.La parte più ricercata dell’oca per i latini era il grosso fegato chiamato ficatum: aggettivo che attraverso trasformazione fonetiche prenderà il posto di jecor, fegato appunto.Le fortune dell’oca proseguiranno nell’economia rurale del medioevo fino ai giorni nostri.“Nella Civica Biblioteca Joppi di Udine si conserva, in un manoscritto del XIV secolo, un disegno a inchiostro con la rappresentazione di una scena di vita quotidiana medioevale: un prelato Martino è colto nell’atto di offrire due oche al patriarca Raimondo della Torre…”: frase tratta da “L’oca” di Germano Pontoni.“Nella pianura friulana l’oca deve essere da molto tempo allevata ed è molto apprezzata per la sua piuma, il grasso, la carne è più gustosa se messa in conserva che mangiata fresca; tuttavia si prepara anche arrostita ed in umido’’: frase trattada “Mangiare e bere friulano”di Giuseppina Peressini Antonini.Il Rabbino capo della Comunità ebraica di Milano, dott. Elia Ricchetti ha scoperto che questo prosciutto veniva prodotto già nel 1400 a San Daniele da famiglie ebree, a testimonianza esiste un bassorilievo raffigurante un prosciuttino d’oca in una casa del XV secolo. Le prime piccole produzioni della famiglia Pessot nascono nel 1973, presso la azienda agricola Hausbrandt in Chiopris Viscone. Testimoni oltre ai vecchi collaboratori, diversi clienti privati ed alcuni ristoranti della zona.Tra le testimonianze più vecchie ritrovate una foto di lavorazione con il sig Luciano Curiel del 1976.Negli anni la tecnica di produzione si è affinata ma l’artigianalità del tutto manuale del prodotto è rimasta immutata.

Cappone friulano

Gallo castrato, allevato per almeno mesi in capannoni e cortili adiacenti. Peso vivo da 4 a 6 kg, peso morto da 3 a 5 kg. Il cappone macellato conserva: la testa, le punte delle ali e la coda piumata.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Udine e dintorni.

Descrizione delle metodiche di allevamento e lavorazioneIl metodo di allevamento è un ciclo lungo, dura 6 mesi. A una settimana viene spuntato il becco, mentre a 40-45 giorni di età vengono castrati chirurgicamente. Dopo circa 20 giorni i capponi vengono sottoposti al taglio della cresta e bagilli. In questo periodo il cappone viene allevato nel capannone con libero accesso ai cortili all’aperto. Nel periodo di dicembre i capponi vengono macellati in apposite strutture (macelli). Il macello deve rispettare tutte le normative igienico-sanitarie. I capponi vengono storditi tramite scossa elettrica, dissanguati e spennati a secco per mantenere integro il sapore e le caratteristiche organolettiche. In una stanza successiva viene effettuata l’eviscerazione e appesi per essere quindi incassettati e trasportati nella sala di vendita, pronti per essere venduti.

Cenni storici e curiositàIl galletto castrato rappresenta una pluri secolare ghiottoneria gastronomica a disposizione dell’uomo anche se, nel passato, quasi mai questa carne pregiatissima costituiva il cibo di chi allevava e produceva il cappone. Si trattava infatti di un alimento prelibato che finiva il suo tragitto merceologico sui deschi e sulle tavole delle classi sociali più elevate e benestanti. Infatti sono famose le storie che fin dal tempo dei Conti, Marchesi, ecc., gli agricoltori friulani facevano dono di queste carni prelibate ai loro padroni.

Cotto d’oca

Oca intera disossata farcita con polpa d’oca, cucita a mano, legata cotta e affumicata.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Chiopris Viscone, Aiello del Friuli e Palmanova.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa tecnica di produzione consiste nel disossare completamente un’oca riempirla con cosce disossate previamente salate, cucire il tutto a mano e quindi legare fermamente l’oca. Il tutto viene poi cotto in forno per oltre 10 ore a cui segue una leggera affumicatura.Da notare che la lavorazione rispecchia la tradizione che vuole questa operazione interamente svolta a mano ed ancora oggi questa operazione di ‘cucito’ è affidata alle sapienti mani delle ns. donne friulane.

Cenni storici e curiositàL’oca è un animale che ricorda i tempi antichi. L’episodio delle oche del Campidoglio, sacre a Giunone, salvatrici di Roma in grazia dell’allarme dato all’arrivo di galli, è ricordato in tutti i libri di scuola. Sui modi di allevarla, di nutrirla, sul suo habitat, sui metodi d’ingrasso, forniscono consigli anche Catone, Varrone, Celso, Palladio.Uno dei luoghi ideali per l’allevamento era l’agro aquileiese. Lo storico Strabone accenna ai guardiani-ingrassatori di oche aquileiesi, gli ‘anserarii’, richiesti per la loro bravura perfino a Roma dove scendevano accompagnando sterminati branchi.La parte più ricercata dell’oca per i latini era il grosso fegato chiamato ficatum: aggettivo che attraverso trasformazione fonetiche prenderà il posto di jecor, fegato appunto. Le fortune dell’oca proseguiranno nell’economia rurale del medioevo fino ai giorni nostri.“Nella Civica Biblioteca Joppi di Udine si conserva, in un manoscritto del XIV secolo, un disegno a inchiostro con la rappresentazione di una scena di vita quotidiana medioevale: un prelato Martino è colto nell’atto di offrire due oche al patriarca Raimondo della Torre…” da L’oca di Germano Pontoni, Bibliotheca Culinaria,1997“Nella pianura friulana l’oca deve essere da molto tempo allevata ed è molto apprezzata per la sua piuma, il grasso, la carne è più gustosa se messa in conserva che mangiata fresca; tuttavia si prepara anche arrostita ed in umido’’: frase tratta da “Mangiare e bere friulano” di Giuseppina Peressini Antonini.L’oca arrostita è annoverata anche in diverse ricette della contessa silvia Rabatta Colloredo che riguardano un periodo che va dal 1735 al 1801. “Abbondante è il pollame che figura nei registri dove la contessa Rabatta annota i capi che si ammazzano per l’uso domestico: capponi, galline, anatre ed oche.” “In Friuli è il piatto tradizionale di S.Martino”: tratto da “Mangiare e bere friulano” di Giuseppina Peressini Antonini.Le prime piccole produzioni della famiglia Pessot nascono nel 1975, presso la azienda agricola Hausbrandt in Chiopris Viscone. Testimoni oltre ai vecchi collaboratori, diversi clienti privati ed alcuni ristoranti della zona.Tra le testimonianze più vecchie ritrovate una foto di lavorazione con il sig. Luciano Curiel del 1976.Negli anni la tecnica di produzione si è affinata ma l’artigianalità del tutto manuale del prodotto è rimasta immutata.

Porcaloca

Oca intera disossata farcita con filetto di maiale, cucita a mano, legata cotta e affumicata

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Chiopris Viscone, Aiello del Friuli e Palmanova.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa tecnica di produzione consiste nel disossare completamente un’oca riempirla con filetto di maiale previamente salato, cucire il tutto a mano e quindi legare fermamente l’oca. Il tutto viene poi cotto in forno per oltre 10 ore a cui segue una leggera affumicatura.

Cenni storici e curiositàL’oca è un animale che sa d’antico. L’episodio delle oche del campidoglio, sacre a Giunone, salvatrici di Roma in grazia dell’allarme dato all’arrivo di galli, è ricordato in tutti i libri di scuola. Sui modi di allevarla, di nutrirla, sul suo habitat, sui metodi d’ingrasso, forniscono consigli anche Catone, Varrone, Celso, Palladio.Uno dei luoghi ideali per l’allevamento era l’agro acquileiese. Lo storico Strabone accenna ai guardiani-ingrassatori di oche acquileiesi, gli anserarii, richiesti per la loro bravura perfino a Roma dove scendevano accompagnando sterminati branchi.La parte più ricercata dell’oca per i latini era il grosso fegato chiamato “ficatum”: aggettivo che attraverso trasformazione fonetiche prenderà il posto di jecor, fegato appunto. Le fortune dell’oca proseguiranno nell’economia rurale del medioevo fino ai giorni nostri.“Nella Civica Biblioteca Joppi di Udine si conserva, in un manoscritto del XIV secolo, un disegno a inchiostro con la rappresentazione di una scena di vita quotidiana medioevale: un prelato Martino è colto nell’atto di offrire due oche al patriarca Raimondo della Torre…”: tratto da “L’oca” di Germano Pontoni, (Bibliotheca Culinaria,1997).“Nella pianura friulana l’oca deve essere da molto tempo allevata ed è molto apprezzata per la sua piuma, il grasso, la carne è più gustosa se messa in conserva che mangiata fresca; tuttavia si prepara anche arrostita ed in umido’’: frase tratta da “Mangiare e bere friulano” di Giuseppina Peressini Antonini, (Franco angeli Editore, 1988, 8a edizione).Le prime piccole produzioni della famiglia Pessot nascono nel 1975, presso la azienda agricola Hausbrandt in Chiopris Viscone. Testimoni oltre ai vecchi collaboratori, diversi clienti privati ed alcuni ristoranti della zona.Tra le testimonianze più vecchie ritrovate una foto di lavorazione con il sig. Luciano Curiel del 1976.Negli anni la tecnica di produzione si è affinata ma l’artigianalità del tutto manuale del prodotto è rimasta immutata.

Speck d’oca

Il petto d’oca singolo viene salato a secco stagionato per circa tre mesi e affumicato a freddo usando legno di faggio e di quercia, bacche di ginepro e foglie di alloro.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Chiopris Viscone, Aiello del Friuli e Palmanova.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa tecnica di produzione è simile a quella dello speck.

Cenni storici e curiositàE’ curioso notare che dopo essersi affermato sul mercato lo speck d’oca, non essendo mai stato registrato come marchio, è divenuto termine generalmente riconosciuto dai consumatori per identificare il petto d’oca affumicato in baffa sia esso di produzione francese che italiana visto l’impiego di codesto nome anche da parte di altri produttori.“Nella Civica Biblioteca Joppi di Udine si conserva, in un manoscritto del XIV secolo, un disegno a inchiostro con la rappresentazione di una scena di vita quotidiana medioevale: un prelato Martino è colto nell’atto di offrire due oche al patriarca Raimondo della Torre…” tratto da “L’oca” di Germano Pontoni.“Nella pianura friulana l’oca deve essere da molto tempo allevata ed è molto apprezzata per la sua piuma, il grasso, la carne è più gustosa se messa in conserva che mangiata fresca; tuttavia si prepara anche arrostita ed in umido’’: frase tratta da “Mangiare e bere friulano” di Giuseppina Peressini Antonini.Le prime piccole produzioni della famiglia Pessot nascono nel 1973, presso la azienda agricola Hausbrandt in Chiopris Viscone. Testimoni oltre ai vecchi collaboratori, diversi clienti privati ed alcuni ristoranti della zona.Tra le testimonianze più vecchie ritrovate una foto di lavorazione con il sig. Luciano Curiel del 1976.

Brusaula

Strisce sottili di carne secca affumicata, chiamate anche pindulis che vengono consumate al naturale, come antipasto o fuoripasto in accompagnamento ad un aperitivo.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Pordenonese, più precisamente Val Tramontina, Valcellina, Val Colvera; in particolare il territorio dei comuni di Claut, Cimolais, Andreis, Barcis, Montereale Valcellina, Frisanco.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa materia prima di partenza è costituita da polpa scelta di manzo, maiale o camoscio preferibilmente di coscia, senza nervi e senza grasso. La carne viene preparata in strisce sottili (max 5 millimetri di spessore), larghe un paio di centimetri e lunghe 15-20 cm. Vengono cosparse con una concia di sale, pepe ed erbe e quindi lasciate macerare 24 ore in luogo fresco. Trascorso tale periodo, vengono appese nell’affumicatoio dove restano per 3-4 giorni, esposte ad un fumo controllato di legna di faggio fino a quando sono completamente essiccate. Tolte dall’affumicatoio, sono pronte per il consumo; si conservano in luogo asciutto, per diversi mesi.

Cenni storici e curiositàEsistono ricerche effettuate da anonimi e citazioni in diversi libri che parlano della Valcellina, in particolare: Sergio Giordani “Claut”, 1981.

Pindulis

Tranci di carne di bestiame ovino o caprino adulto, sgrassati e puliti speziati ed essiccati.

Territorio interessato alla produzione: Canal del Ferro, Val Canale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa carne, accuratamente sgrassata e priva di impurità, va speziata per 4-5 giorni con sale, pepe, foglie di rosmarino, alloro e aglio; dopo tale periodo i pezzi di carne vengono sottoposti ad affumicatura (ginepro, rosmarino, alloro) e dopo 5-7 giorni posti in locale tipo cantina (non tanto aerato per evitare una repentina asciugatura della carne).

Cenni storici e curiositàStoricamente comunque l’allevamento delle specie ovicaprine era molto diffuso in Valle e tale metodo di conservazione della carne veniva regolarmente utilizzato. E’ riportato riferimento dell’esistenza antica di questo prodotto nel libro di S. Nievo, “La Foresta di Tarvisio”, A. Pizzi Spa Cinisello Balsamo 1986.

Salame d’oca

Se ne conoscono di due tipi: uno che utilizza al 100% carne d’oca ed uno che prevede l’impiego anche di carne di maiale fino ad un massimo del 50%.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Chiopris Viscone, Aiello del Friuli e Palmanova.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSalame di sola ocaIl collo dell’oca viene cucinato da un lato, in modo da formare un sacchetto.
Salame misto oca/maialeViene creato un impasto per metà composto di carne d’oca magra e per metà di maiale che conferisce tutto il grasso presente.

Cenni storici e curiositàLa produzione del salame d’oca al 100% è sempre stata legata al ghetto di Venezia, non si hanno notizie certe della sua prima apparizione ma la si vuole far risalire alla seconda metà del XV secolo. Le oche sono sempre state un alternativa “povera” al maiale, in modo particolare per gli ebrei che non potevano mangiare carne di maiale per dettami religiosi. A Venezia poi dove per ovvi motivi logistici era difficile ogni forma di allevamento, l’animale da cortile era privilegiato.Luciano Curiel, morto oltre 20 anni fa, per tutta la vita aveva lavorato per varie macellerie di Venezia e durante la festività confezionava questi salami tradizionali. Già suo padre aveva un piccolo laboratorio prima della II guerra mondiale.I salami d’oca (“salam di ocie”) li troviamo in svariati ricettari come quello della Sig.ra Ginevra Crovato e della contessa Letizia Asquini di Udine entrambi risalenti al secolo scorso come riportato in “Mangiare e bere friulano” di Giuseppina Peressini Antonini.Le prime piccole produzioni della famiglia Pessot nascono nel 1973, presso la azienda agricola Hausbrandt in Chiopris Viscone. Testimoni oltre ai vecchi collaboratori, diversi clienti privati ed alcuni ristoranti della zona.Tra le testimonianze più vecchie ritrovate una foto di lavorazione con il sig. Luciano Curiel del 1976.Invece, il salame d’oca misto è nato nelle campagne friulane e da sempre nella tradizione delle famiglie contadine più povere, veniva fatto il salame metà d’oca e metà di maiale per ottenere un quantitativo maggiore di salumi.

Sanganel

Insaccato preparato miscelando sangue suino rappreso in acqua bollente e macinato, con carne sanguinolenta e lardo freschi, sale e pepe, aromi naturali.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaInsaccato preparato, con piccole variazioni, a livello artigianale o familiare. Una delle ricette più diffuse è la seguente: si miscela sangue suino rappreso in acqua bollente e macinato, con carne sanguinolenta e lardo freschi, sale e pepe, aromi naturali. L’impasto viene insaccato in budello e consumato cotto, entro due settimane, dopo conservazione a temperatura inferiore a dieci gradi.

Cenni storici e curiositàLe ricette del sanganel si trovano in libri di cucina di vecchie famiglie friulane già dal secolo scorso; questo prodotto è citato in molti volumi, ultimo dei quali quello della scrittrice Perusini Antonini Giuseppina “Mangiare e Bere friulano”, la cui prima edizione risale agli inizi degli anni settanta.

Pan de frizze

Composizione:
a. Materia prima: farina di grano tenero, uova, ciccioli di maiale, burro, lardo, sale, lievito acido.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: si stempera il lievito acido in acqua tiepida, dove si aggiunge un pizzico di zucchero. Si versa nella farina insieme agli sfrizzoli o ciccioli del maiale o al lardo rosolato e tagliato a dadini, il burro fuso e il sale, si impasta a lungo fino ad ottenere un tutto omogeneo di media consistenza. Si lascia lievitare in luogo caldo per qualche ora. Si reimpasta di nuovo la pasta e la si divide in parti uguali formando dei filoncini la cui parte superiore verrà tagliata in modo trasversale. Si cuoce a forno caldo.

Area di produzione: in Friuli durante l’inverno solo a livello artigianale. E’ un pane della tradizione contadina.

Note: è un pane di stretta tradizione regionale, che viene fatto durante il periodo dell’uccisione del maiale. Un tempo questo tipo di pane che utilizzava grasso di maiale era diffuso anche nelle regioni dell’Italia Centrale. Oggi si trova solo sporadicamente. Frizze sta per ciccioli, del maiale.

Grispolenta

Composizione:
a. Materia prima: farina di mais (30%), farina di frumento tipo 0 (70%), acqua, olio di oliva, strutto, lievito naturale, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: la farina viene impastata con il lievito madre, fatto fermentare dalla sera prima, acqua salata, olio e strutto. Dopo aver ben lavorato l’impasto si lascia in riposo per 20/30 minuti. Si formano dei grissini lunghi 15 cm. circa, dello spessore di un dito e si cuociono per 20 minuti in forno caldo.

Area di produzione: Prisco di Socchieve, in provincia di Udine.

Note: sono dei grissini dall’aspetto rustico ed hanno un gusto fragrante e friabile grazie alla presenza di farina di mais sia nell’impasto che cosparsa superficialmente prima della cottura. Vengono confezionati in vaschette del peso di circa 200 gr. l’una. Il panificio che li produce è operante dal 1870 e anche allora produceva diversi pani a base di farina di mais.

Cjalcune

Sono il piatto tradizionale resiano delle giornate delle feste del “Smarnamisa” (15 agosto – Assunzione) e “Santa Rok” (16 agosto – San Rocco).

Territorio interessato alla produzione: Comune di Resia in Provincia di Udine.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaEssendo le Cjalcune piatto rustico e di fabbricazione domestica esistono diverse versioni della ricetta, anche distinti in relazione alle diverse frazioni del comune.

Cenni storici e curiositàNon si hanno notizie precise dall’inizio della preparazione delle Cjalcune ma la loro preparazione si tramanda di generazione in generazione adattandosi anche alle diversità interne del territorio comunale e alle mutate disponibilità di ingredienti sulle tavole delle famiglie. Le persone più anziane del comune testimoniano la presenza delle Cjalcune sulle tavole della zona sin dall’inizio del secolo e raccontano come la vista significasse automaticamente festa. Diverse casalinghe conservano ancora golosamente la propria ricetta sostenendo che solo quella è autentica.

Cjalzons

Si tratta di una specie di ravioli ripieni di ricotta, erbe e altri ingredienti, spesso tendenti al dolce.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Cenni storici e curiositàNel volume “Vecchia e nuova cucina di Carnia”, Gianni Cosetti, cuoco di fama internazionale e punto di riferimento per qualunque ricerca sulla cucina carnica, racconta di un concorso da lui indetto tra le casalinghe nel 1973: 40 concorrenti, 40 ricette diverse. Si tratta di una “personalizzazione” della ricetta, attribuita in parte all’individualismo dei carnici, in parte alla filosofia di fare il ripieno “con quello che c’era in casa”. Su una cosa gli autori di diversi volumi (Pietro Adami, “La cucina Carnica”; Giuseppina Perusini, “Mangiare e ber friulano”) concordano: tra gli ingredienti del ripieno non vi è mai la carne, per cui – pur essendo un piatto usato nelle grandi occasioni, come le feste patronali e i matrimoni – è un piatto di magro, consumato anche (sostiene l’Adami) alla vigilia di Natale.

Mais da polenta

Il Mais è coltura della tradizione storica del Friuli. Il colore della granella del Mais da polenta si presenta con varie gradazioni di giallo e di rosso.

Territorio interessato alla produzione: Carnia e Comune di Resia

Cenni storici e curiositàIn molte aziende, in particolare quelle zootecniche, da generazioni si tramandano l’uso del mais locale per la preparazione della farina di polenta.Si ricorda inoltre che nei periodi di “miseria e fame” (le due guerre mondiali) la polenta era il companatico principale per accompagnare tutto il misero mangiare quotidiano delle popolazioni del Friuli.Dati e notizie dettagliati sono raccolti nella seguente bibliografia: “Polenta di qualità in Friuli” edito dalla C.C.I.A.A. (Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura) di Udine e dal C.R.S.A. (Centro Regionale di Sperimentazione Agraria) di Pozzuolo del Friuli.

Mais bianco Perla friulano

Area di produzioneSi produce, sebbene su limitate superfici, in un ampio territorio regionale, soprattutto nell’Alta e Bassa Pianura, nonchè in ristrette aree collinari e di fondovalle, nelle province di Pordenone, Udine e Gorizia.

DescrizioneIl Mais Bianco Perla Friulano è una varietà medio-tardiva, con durata del ciclo paragonabile a quella dei moderni ibridi di classe FAO 500/600, ovvero di circa 120 giorni, variabile in funzione delle caratteristiche pedoclimatiche della località di coltivazione e dell’epoca di semina. La pianta raggiunge un’altezza di 2,0-2,4 metri in condizioni di coltivazione tradizionale, ma può superare questi valori in funzione della fertilità del terreno, della concimazione azotata e dell’eventuale irrigazione. Ciascuna pianta porta una spiga, posizionata piuttosto alta; raramente su Mais Bianco Perla Friulano si osservano due spighe complete sulla stessa pianta (ciò avviene principalmente quando la densità di piante per metro quadrato è piuttosto contenuta).Il fusto, piuttosto esile (a paragone dei moderni ibridi), talora ha un andamento leggermente a zig-zag fra i diversi internodi; per la scarsa robustezza del fusto e per l’impalcatura alta delle spighe, alla raccolta si osservano frequentemente piante spezzate o allettate. La spiga ha forma pressocché cilindrica (senza allargamento basale), con una lunghezza di circa 18-24 cm, con 12 (14) ranghi di semi (cariossidi). Il seme è piuttosto grosso, di colore bianco perlaceo, brillante, a frattura semivitrea. Il tutolo è bianco.La varietà sembra adattarsi bene alla coltivazione con metodo biologico. Le rese sono decisamente più basse rispetto agli ibridi moderni e si attestano indicativamente sui 30-50 quintali di granella per ettaro.Il Mais Bianco Perla Friulano, così come molte varietà di mais tradizionali, è piuttosto sensibile agli attacchi della piralide del mais (Ostrinia nubilalis) e della diabrotica (Diabrotica virgifera).La farina Mais Bianco Perla Friulano viene confezionata e commercializzata per lo più in sacchetti di carta da 1 kg; più raramente viene venduta sfusa, ad esempio in sacchi di tela.

Il Mais Bianco Perla Friulano deve la sua tipicità alle caratteristiche della granella bianca e perlacea (da cui il nome della varietà) a frattura semivitrea, al colore della farina (bianca) e al gusto e aroma della polenta che se ne ricava. Poiché la varietà di mais deriva da impollinazione libera e dalla selezione massale condotta dai diversi agricoltori, lo standard qualitativo della granella e della farina che se ne ricava non è strettamente omogeneo. Pertanto, in Friuli Venezia Giulia sono coltivati diversi “biotipi” che, tuttavia, presentano medesime caratteristiche generali, in ogni caso affini ai diversi biotipi di Mais Biancoperla del Veneto.Inoltre, in Friuli Venezia Giulia è presente anche un ecotipo di mais affine al Bianco Perla Friulano che si caratterizza per la granella bianca “oleosa”, varietà un tempo nota com “Mais Bianco Olio Friulano” (Zapparoli, 1943).La farina di Mais Bianco Perla Friulano viene per lo più utilizzata come farina da polenta che accompagna piatti generalmente di pesce o carne bianca.Data la somiglianza con le varietà bianche tipo “Maizena o Maicena” centro-americane e sud-americane, il Mais Bianco Perla Friulano si presta anche molto bene alla preparazione della “masa” per il piatto tipico del continente latino-americano: la “tortilla”. La “masa” è la materia prima ottenuta dal mais a granella bianca, simile alla farina, ma di preparazione del tutto diversa, oggi molto richiesta e importata in genere dal Messico o da altre nazioni dell’America Latina.

Coltivazione e lavorazioneI terreni sui quali avviene la coltivazione del Mais Bianco Perla Friulano sono per lo più mediamente fertili e talora irrigui. La concimazione di fondo viene effettuata con apporti di elementi nutritivi (N, P, K) più ridotti rispetto alle colture di mais ibridi e talora con l’utilizzo di sostanza organica (es.: letame). Una particolare attenzione viene rivolta alla concimazione con N (pre-semina e post-emergenza /levata), in quanto – se eccessiva – induce la crescita di piante con altezza oltre il voluto, che comporta spesso l’allettamento delle stesse in pre-raccolta.Le lavorazioni del terreno (aratura, sarchiatura e rincalzatura) sono quelle tradizionali.La semina avviene di norma con seminatrice meccanica o pneumatica a file distanti 75 cm. Se la semina è manuale, in piccoli appezzamenti, segue il diradamento, sempre manuale. La densità di semina di norma è inferiore a quella delle colture di mais ibridi, ovvero si attesta a (4)-5 piante per metro quadrato. Il seme utilizzato deriva da colture di Bianco Perla localizzate ad almeno 3-400 metri da altre colture di mais, per impedire la contaminazione da parte di polline estraneo. Le spighe da cui si preleva il seme per le semine vengono preventivamente selezionate per mantenere i caratteri tipici varietali desiderati sia della granella (grossezza e trasparenza perlacea), sia della spiga (forma cilindrica, dimensioni e numero di ranghi appropriati), attuando una “selezione massale”.La raccolta avviene di norma manualmente a spiga intera; le spighe vengono subito selezionate per eliminare quelle non conformi alla qualità voluta (es. spighe piccole, con muffe della granella evidenti, ecc.). L’essiccazione delle spighe della granella viene effettuata con metodo tradizionale, ovvero in cassoni friulani all’aperto, ma al riparo dalla pioggia, o in cumulo di spessore modesto in un solaio ventilato, o in trecce appese sempre in solaio oppure sotto le linde delle casse al riparo dalla pioggia in posizione sud.La separazione della granella dal tutolo avviene con sgranatrici manuali o elettriche tradizionali, dopo aver eliminato manualmente le brattee.La macinazione della granella, al giusto livello di umidità (circa il 14%) viene effettuata con modalità tradizionale, per lo più in mulini con macine a pietra (che in ogni caso garantiscono la massima igiene), in modo da conservare il profumo naturale e la qualità del prodotto. Dopo la macinazione si ottiene la farina, integrale o meno, di colore tendenzialmente bianco.

Cenni storici e curiositàIl Mais Bianco Perla Friulano è un’antica varietà coltivata da diversi decenni, soprattutto nell’Italia nord-orientale, ovvero in Veneto e in Friuli (Bressan et al., 2003); nonostante l’avvento dei mais ibridi, più produttivi, è rimasta in coltivazione per le particolari caratteristiche della granella e per la peculiare qualità della farina.Un accenno sulla coltivazione in Friuli Venezia Giulia del mais “a grano bianco” “Perla” si trova sul Bulletino dell’Associazione Agraria Friulana del 1914. Tale varietà veniva consigliata, assieme ad altre a granella bianca (es. “dente di cavallo o Caragua”) come mais da foraggio, “perchè sono di grande sviluppo fogliaceo” (Margreth, 1914).Una breve descrizione della pianta e delle caratteristiche di spiga e granella del Mais Bianco Perla viene riportata nel volumetto dal titolo “Granoturchi da seme per riproduzione da granella e per semine da erbaio” edito a cura del Consorzio Agrario Provinciale di Udine nel 1950. In questa pubblicazione si consigliava la diffusione e la coltivazione di questa varietà per la “ottima qualità delle sue farine” (Consorzio Agrario Provinciale di Udine, 1950).Negli atti del 1° Congresso Nazionale dei Mais Ibridi, tenutosi nel 1954 a Vicenza, si riporta che, nel 1950, la coltivazione del Mais Bianco Perla nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia era estesa su circa 58.200 ha ed era la principale varietà di mais coltivata, alla quale seguiva il Marano Vicentino (40.000 ha). In particolare, le superfici a Bianco Perla raggiungevano i 3.000 ha nell’allora assai vasta provincia di Udine (Montanari, 1954).Ancora nel 1960, il Mais Bianco Perla viene citato fra le “varietà italiane più note” delle “Venezie”: “Bianco del Piave, Bianco perla, Centogiorni, Friulotto, Marano vicentini, Rosso di Magliano, Gialloncino veronese del Sasso, Scagliolo del Frassine, Sesarale” (Fenaroli, 1960).Nella Banca del Germoplasma Autoctono Vegetale (BaGAV) presso l’Università di Udine è presente un’accessione friulana di Mais Bianco Perla. Altre tre accessioni sono conservate presso l’ERSA di Pozzuolo del Friuli. Molte accessioni del cosiddetto “Biancoperla” raccolte in Veneto sono conservate, invece, nella banca del germoplasma dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “Nazareno Strampelli” di Lonigo (Vicenza) (Bressan et al., 2003) e presso il CRA-MAC – ex Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Bergamo.

Blave di Mortean

Farina da polenta ottenuta da varietà autoctone di mais coltivato in terreni del comune di Mortegliano.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Mortegliano in provincia di Udine.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
I terreni del Comune di Mortegliano nei quali avviene la coltivazione del mais “Blave di Mortean” devono essere irrigui. Il seme utilizzato, idoneo ad ottenere sfarinati per polenta di qualità, è selezionato valorizzando di preferenza varietà “autoctone”, cioè quelle tradizionalmente coltivate in Friuli, con granella a colorazione gialla, bianca o rossa.

Cenni storici e curiosità
Basti ricordare che nella relazione Morpurgo, parte integrante dell’inchiesta Jacini (v. vol. IV degli Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria e sulle condizioni della Classe Agricola, Roma 1882) si trova tra le altre questa constatazione: “il contadino (friulano) insacca la polenta nel suo stomaco e raramente alterna e mescola questo cibo con altri”. Sono poi riportate, a sostegno di questa constatazione, notizie raccolte in tutto il Friuli e, in particolare, nella pianura ove è situato Mortegliano.Dall’altra parte, per tradizione popolare, si ha un generale riconoscimento della qualità del mais qui prodotto, fatto che ha permesso la stesura di un regolamento produttivo cui devono attenersi i coltivatori abitanti nel comune per utilizzare il marchio depositato “Blave di Mortean”.

Trota affumicata di San Daniele

Filetti di trota affumicati a freddo o a caldo.

Territorio interessato alla produzione: Comune di San Daniele del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa trota viene eviscerata in ambienti idonei, dopo di che viene salata a secco, con sale marino. Successivamente, rispettando i processi tradizionali, viene leggermente affumicata facendo uso di farine di legni duri, a foglia larga, non resinosi, con l’aggiunta di bacche aromatiche, che danno l’inconfondibile profumo che contraddistingue questa specialità. Il prodotto viene quindi confezionato in buste sottovuoto e conservato a temperatura controllata.Distingue i tipi Regina di San Daniele e Fil di Fumo la temperatura raggiunta durante l’affumicatura che per la Regina di San Daniele non deve superare i 30°C.

Cenni storici e curiositàA San Daniele si affumica la trota da ben oltre 25 anni. Prima privatamente e poi, a partire dai primi anni settanta, si è cominciato a lavorare il prodotto artigianalmente seguendo le metodiche che da diversi decenni venivano utilizzate soprattutto in Carnia.

Pesce di valle

Pesce ottenuto con tecniche di vallicoltura estensiva tradizionale.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Grado (Gorizia) e Marano Lagunare (Udine).

Descrizione delle metodiche di allevamentoPer quanto riguarda le tecniche di allevamento adottate, è possibile definire l’allevamento in valle come un “allevamento semi intensivo integrato” nel quale tutto il ciclo viene svolto con metodologie tradizionali, che basandosi su un carico di pesci per unità di superficie molto limitato (da 1 a 2 pesci/m²) comportano input energetici molto bassi e conseguenti limitate emissioni di effluenti organici in laguna.

Cenni storici e curiositàLe valli da pesca tradizionali rappresentano un metodo di organizzazione produttiva dell’ecosistema lagunare che può essere fatto risalire ai primi insediamenti di pescatori in questi territori.Dal punto di vista economico la gestione di tali allevamenti risulta molto onerosa e scarsamente remunerativa, soprattutto se confrontata con allevamenti di tipo intensivo.D’altronde, la conversione delle valli tradizionali in allevamenti intensivi, oltre che inaccettabile dal punto di vista strettamente ambientalistico, è resa pressoché impossibile da numerosi vincoli di natura ambientale e legislativa che gravano sulle zone lagunari, di un paesaggio lagunare che veniva conservato attraverso i secoli solo grazie all’attività dei vallicoltori.

Uova di trota

Materia prima: uova di trota.

Tecnologia di preparazione: vengono lavate, asciugate e tenute sotto sale per qualche tempo. Dopo circa due giorni vengono invasettate e sterilizzate in autoclave.

Maturazione:

Area di produzione: S. Daniele del Friuli.

Calendario di produzione: durante l’inverno quando è molto freddo.

Note: sono occorsi circa 5 anni di studio per mettere a fuoco la tecnica di conservazione. Prima le uova venivano acquistate dal Belgio che poi le commercializzava in Giappone e in Cina. Oggi il prodotto viene direttamente trasformato in azienda trovando una giusta collocazione, nel periodo natalizio, come prodotto edonistico, di grande prestigio.

Sardoni salati

Sardoni pescati con la Lampara, sviscerati, con o senza testa e messi a stagionare con l’ausilio del sale.

Territorio interessato alla produzione: Nella Provincia di Trieste i Comuni di Muggia, Trieste e Duino Aurisina. In Provincia di Gorizia i Comuni di Monfalcone, Staranzano e Grado.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaPer la preparazione dei sardoni soto sal vengono utilizzati quale materia prima i sardoni “barcolani” a pasta bianca pescati nelle acque del Golfo di Trieste per mezzo delle saccaleve ( lampare). I sardoni da utilizzare per la salatura devono essere freschissimi. I sardoni di lampara sono da preferire agli altri in quanto sono fisicamente integri e con carne soda.

Cenni storici e curiositàIl sardon soto sal è un prodotto tipico delle aree costiere regionali di Trieste e dell’isontino, attuato da tempi lontani, quando le tecniche di conservazione non erano ancora sviluppate.Durante la stagione estiva di pesca, molto più abbondante rispetto agli altri mesi, l’imponente mole di pescato non riusciva a trovare un completo sbocco commerciale e le specie ittiche in eccesso dovevano essere, obbligatoriamente, trasformate.La tecnica di conservazione allora utilizzata era la salagione, che permetteva alle genti costiero-lagunari, di prolungarne il periodo di mantenimento e usufruire nei mesi critici invernali, di una componente alimentare accessoria, ricca di proteine da affiancare ai piatti tipici, quali la polenta.Una parte del prodotto così conservato veniva pure commercializzata, creando una fonte di reddito importante per le povere economie del settore della pesca.Nei tempi moderni, causa le abitudini alimentari radicalmente cambiate, questo tipo di tradizione si è quasi estinta; gli unici esempi della salagione dei sardoni si trovano, in alcune zone, soltanto a livello artigianale e famigliare.

Sievoli sotto sal

Cefali puliti messi sotto sale.

Territorio interessato alla produzione: Comuni di Grado (Gorizia) e Marano Lagunare (Udine).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa preparazione dei cefali sotto sale, analoga a quella delle acciughe per uso domestico, presuppone il ricorso a piccoli recipienti di vetro, alti 15 cm o più, sul fondo dei quali viene posto un poco di sale grosso. Si dispongono poi, ben serrati, i cefali, decapitati e puliti, a strati con un poco di sale tra uno strato e l’altro. Quando il recipiente è quasi pieno si copre con un disco di plastica o vetro posto a contatto con i cefali e sopra si pone un peso, lo si espone, quindi, al sole per alcuni giorni.Per effetto osmotico del sale e per il peso, i cefali cedono il loro liquido ed il livello si abbassa. Si allontana il liquido in eccesso e si mettono alcuni cefali e così via per alcuni giorni. Quando il recipiente è pieno fino ad un dito sotto l’orlo, si scola la salamoia formatasi che si sostituisce con una soluzione fresca di sale (300 g per litro di acqua).

Cenni storici e curiositàLa tradizione dei Sievoli soto sal risale all’usanza dei pescatori di Grado e Marano che, quando la pesca era abbondante, pulivano i cefali (sievoli) e li mettevano sotto sale con procedimento analogo a quello descritto utilizzando, un tempo, vasi di cocci. Ora questa preparazione è limitata ad alcuni esercizi di ristorazione anche perché, tolti dal sale, i sievoli sono squisiti preparati “in saor” o semplicemente conditi con olio e aceto.

Acciughe marinate

Materia prima: acciughe.

Tecnologia di lavorazione: l’acciuga pulita, decapitata, eviscerata, tolta la coda, la lisca e la parte dorata viene messa nei contenitori di vetroresina con acqua corrente per ben tre passaggi. Fatta scolare, viene messa nel liquido di governo composto di una parte di aceto e una di sale e fatta marinare da 18 a 24 ore. Il pesce deve essere freschissimo e lavorato non oltre le 5 o 6 ore dalla pesca. Viene fatto sgocciolare e messo in fustoni o barattoli. Variamente aromatizzato con olive, capperi, pomodoro secco, origano.

Maturazione: 48 ore; scadenza del prodotto: dopo 8 mesi.

Area di produzione: costa tirrenica, alto e basso Adriatico, isole.

Calendario di produzione: da aprile ad ottobre.

Note: la perdita di peso del prodotto rispetto al fresco arriva fino al 55% di cui il 45% nella fase della pulitura ed il restante 10% nella marinatura. Questa viene anche detta scapece che, di origine spagnola (escabeche), qualcuno vuole corruzione di ex-Apicio, il leggendario gastronomo romano ed indica un tipo di conservazione fatta con l’ausilio dell’aceto e riservata soprattutto al pesce. Da regione a regione, variano le quantità e le varietà delle erbe aromatiche e degli altri ingredienti usati. La stima è relativa al prodotto artigianale espresso dalla ristorazione, sia costiera che interna.

Polipetti marinati

Materia prima: polipetti, o polipi tagliati a pezzettini, seppioline, ecc.

Tecnologia di lavorazione: il pesce cotto a fuoco lento per circa 25 minuti, si lascia raffreddare, mettendolo poi entro vaschette di vetroresina scura in un liquido di governo composto di sale, aceto e acqua. Si lascia riposare per un tempo variabile dalle 18 alle 24 ore. Viene poi invasato e aromatizzato con erbe tra cui, per il meridione, ricordiamo l’origano, il finocchio selvatico e l’aglio.

Maturazione: 48 ore.

Area di produzione: Adriatico centro-settentrionale, Sicilia.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: in Sicilia, a Sciacca, per aromatizzare adoperano la “saturedu” impiegata anche per il pesce azzurro sia salato che marinato. Oltre che ad aromatizzare, quest’erba riusciva a nascondere eventuali difetti della materia prima.

Filetti di trota affumicati

Materia prima: trota fresca

Tecnologia di preparazione: le trote eviscerate e decapitate e spinate vengono messe sotto sale aromatizzato con alloro, ginepro e coriandolo, per circa 10 ore. Successivamente passano al forno per l’affumicatura a caldo per circa un’ora e mezzo. Si lasciano raffreddare, si toglie la pelle e si confezionano sottovuoto.

Maturazione: un paio di giorni.

Area di produzione: Caorle (Ve), San Daniele (Ud), Fabriano (An), Roma.

Calendario di produzione: tutto l’anno esclusi i mesi di novembre dicembre.

Note: l’affumicatura avviene a caldo con la combustione di essenze di legno non resinose quali alloro, bacche di ginepro e segatura.

Guancette di trota sott’olio

Materia prima: mandibola della trota.

Tecnologia di lavorazione: le teste delle trote vengono sottoposte ad una cottura a vapore per circa 15 minuti. I muscoli vengono estratti e fatti asciugare per essere successivamente aromatizzati con bacche di ginepro ed altre essenze. Messe nei vasi si ricoprono di olio extravergine ligure.

Maturazione: due mesi circa.

Area di produzione: S. Daniele del Friuli.

Calendario di produzione: tutto l’anno.

Note: con questo sistema si recuperano le teste delle trote utilizzate per l’affumicatura. Solo il 60% delle guancette viene messo nei vasi perché il resto si perde durante la fase di estrazione, che non è proprio facile. Già segnalati dagli antichi come i “guancioli degli dei”, vengono consumati come antipasto insieme ai porcini affettati e/o agli asparagi.

Aglio di Resia

L’Aglio di Resia si presenta generalmente di piccole dimensioni con peculiari caratteristiche organolettiche che si manifestano in odore e sapore accentuato.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Resia – frazioni di San Giorgio, Oseacco, Stolvizza, Pustigost, Scia, Ruscis.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaL’interramento dei bulbi avviene a circa 3 cm di profondità a seguito di una lavorazione poco profonda, ma accurata, esclusivamente eseguita a mano. I bulbilli vengono disposti con l’apice rivolto verso l’alto con distanze di 25-30 cm tra le file, e lo stesso dicasi sulla fila. Il piantamento dei bulbilli viene fatto in novembre a ridosso dei primi geli invernali, o a marzo in concomitanza del disgelo.
La concimazione viene effettuata con modiche quantità di letame di vacca.

Cenni storici e curiositàNon si hanno notizie precise dell’inizio della coltivazione dell’Aglio di Resia ma le testimonianze raccolte da persone del luogo permettono di risalire alla notte dei tempi, come il dialetto.
La signora Maria Barbarino (Mariza Cjaliairiaua nata a Resia il 4.10.1931 ed ivi residente), la signora Emma Di Lenardo (nata a Resia il 29.3.1924) e Nicola Di Lenardo (nato a Udine il 19.4.1967 e residente a Resia) testimoniano la coltivazione dell’aglio nel comune fin dai tempi dei loro nonni e bisnonni.Giovanni Clemente, scrittore resiano, nel suo “Torna al suo paesello – Memorie di vita resiana” racconta che “l’aglio era il rimedio contro i frequentissimi ascaridi, i vermi intestinali volgarmente detti (glìsti) e che veniva somministrato ai sofferenti, generalmente bambini e ragazzetti d’ambo i sessi, commisto con cibi adatti o sotto forma di perle infilate a mò di corona applicata al collo durante il sonno”.L’Aglio di Resia è sempre stato ricercato sia in zona, sia all’estero.Fra i prodotti della terra che gli abitanti del comune portavano ai mercati vicini o vendevano direttamente a Resiutta, vi era certamente l’aglio. Tutt’oggi in un negozio di questo paese viene esposta una cesta specifica per questo prodotto.Si hanno inoltre testimonianze della vendita, in passato ed ancora oggi, di Aglio di Resia presso il mercato ortofrutticolo di Lubiana. Pare improbabile che tale prodotto arrivi direttamente dalla valle ma il fatto costituisce una significativa prova di quanto fosse rinomato il bulbo della liliacea resiana.

Lidrìc cul pòc

Appartenente alla famiglia delle composite, i tipi coltivati sono riconducibili, in massima parte, alla “Cicoria bionda di Trieste” od al “Grumolo biondo”.

Territorio interessato alla produzione: Pianura friulana.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa coltura segue solitamente un cereale autunno-vernino.Il seme, nella maggioranza dei casi, è autoprodotto in azienda. La semina si effettua nel mese di luglio, sia a spaglio che a file.

Cenni storici e curiositàInnumerevoli sono i riferimenti storici che testimoniano la tradizionale coltivazione di questa composita nella pianura friulana.Una citazione del lidrìc cul pòc si trova sull’edizione del 1974 de “Enciclopedia Monografica del Friuli Venezia Giulia” edita dall’Istituto per l’Enciclopedia del Friuli Venezia Giulia (Udine).

Patate di Ribis e Godia

Tuberi grossi resistenti alla cottura sono consigliati per gnocchi, purea e minestre.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Reana del Rojale e località di Godia in comune di Udine

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe caratteristiche essenziali del terreno, per una buona produzione delle patate, sono un pH leggermente acido e un buon contenuto di ferro. Questi risultano facilmente riscontrabili nel territorio comunale.

Cenni storici e curiositàLa coltivazione della patata a pasta bianca nel comune di Reana del Rojale risale a tre generazioni, e negli anni ha subito qualche variazione; negli anni cinquanta le patate da seme venivano acquistate dalla Carnia, dove venivano coltivate solo varietà a pasta bianca (Bianca carnica, Slava).Negli anni sessanta, con l’arrivo sul mercato delle varietà certificate, questo seme fu soppiantato da un’altra varietà sempre a pasta bianca: la Kennebec.In questo comune per valorizzare il prodotto si ritenne di creare una manifestazione per la promozione dei tuberi locali e per far conoscere le caratteristiche della patata a pasta bianca. Nacque così la Mostra Mercato Regionale della Patata che ormai è arrivata alla 21° edizione. Ci sono tre certificati di agricoltori che dichiarano di aver coltivato per trent’anni patate a pasta bianca (varietà Kennebec).

Ràti

Il ramolaccio o rafano è simile al ravanello, ma più grande e con sapore più intenso e piccante.

Territorio interessato alla produzione: Pianura friulana.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaViene coltivato preferibilmente in successione a colture da rinnovo potendo sfruttare la fertilità residua del terreno. L’epoca di semina varia in relazione alla lunghezza del ciclo colturale.Le cultivar precoci si seminano fra aprile e giugno e completano il ciclo in 50 giorni.

Cenni storici e curiositàUna segnalazione viene fatta da G.A. Pirona, E. Carletti e G.B. Corgnali nell’edizione del 1934 del “Vocabolario Friulano”.

Cavolo cappuccio di Collina di Forni Avoltri

Territorio interessato alla produzione: Forni Avoltri (UD)

Altri nomi del prodottoCjaputs, Chiaput

Descrizione sintetica del prodottoPianta di altezza media, le foglie sono sottili con venature rossastre evidenti, di colore prevalentemente bianco all’interno e verde chiaro all’esterno, e si presentano compatte nella fase di raccolta; in autunno le foglie esterne tendono a seccarsi, lasciando il cavolo ben pulito.Le dimensioni della testa si aggirano tra i 20 e 30 centimetri di diametro e la caratteristica principale che la differenzia dalle altre specie è la forma appiattita (BRACHCEFALI), mediamente il peso si aggira intorno all’1,5/2,0 kg.Per il ciclo vegetativo, fra trapianto e raccolta, sono necessari dai 100 ai 120 giorni.I semi sono sferici e di colorazione bruna di diametro di circa 1,5/2,00 mm.Il gusto al palato è leggermente piccante con consistenza croccante.

Raccolta e preparazioneL’ortaggio si consuma prevalentemente fresco in insalata o viene impiegato nella preparazione dei crauti.Il processo di trasformazione ricalca quanto previsto per i crauti.Si utilizzano:- Cappucci- Sale da cucina grossoOperazione di raccolta:L’ortaggio, una volta raccolto in campo, può essere utilizzato subito o conservato. La conservazione deve avvenire in ambienti che assicurino una temperatura non inferiore a – 2°C.Epoca di commercializzazione e conservabilità del prodotto:Il cappuccio è un prodotto fresco di consumo stagionale che si commercializza fra ottobre ed aprile. La migliore conservabilità si ottiene mantenendo il prodotto a temperature di 8-10°C e lontano da fonti luminose.

Cenni storici e curiositàLa coltivazione del Cappuccio di Collina (nome locale: chiaput) è nota sin dai secoli scorsi. Il seme, tramandato da generazioni, è ancora quello originale e non se ne conosce la provenienza storica. Numerose sono le pubblicazioni sui giornali locali; inoltre, sono molteplici le indicazioni culinarie sull’utilizzo dei “crauti” ottenuti con questo ortaggio.

Fagioli Borlotti di Carnia

I fagioli autoctoni conosciuti come “borlotti Carnia” presentano forma ovale o quasi tonda con screziature e/o striature dal rosso al violaceo, e si prestano ottimamente alla produzione di granella secca.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Il borlotto della Carnia è un fagiolo da granella che viene raccolto allo stadio secco, quando la maggior parte dei baccelli è ingiallita e l’umidità dei semi si aggira di solito intorno al 20%.

Cenni storici e curiosità
Da un dato estratto dalla pubblicazione realizzata dal Centro Regionale di Sperimentazione Agraria di Pozzuolo del Friuli, derivante dagli atti del convegno “Fagiolo: una coltivazione tradizionale per una proposta nuova all’agricoltura di montagna – Tolmezzo 17 aprile 1984”, si evince che la produzione di granella di fagiolo nel comprensorio della Carnia ha toccato il picco più alto negli anni 1910 – 1920 con ben 6.541 quintali.

Fave di Sauris, Poan

Area diproduzione:Comune di Sauris: intero territorio in ambito comunale

DescrizioneE’ una leguminosa fabaceae, in pieno sviluppo raggiunge 1,40 mt di altezza (circa).Ha una foglia pennata composta, costituita da 2-6 foglioline elittiche. Le foglie si distinguono anche per le peculiari pigmentazioni, con dei puntini neri che possono a distanza sembrare dei parassiti.Il fusto è molto delicato e va sostenuto per evitare rotture, soprattutto in condizioni climatiche avverse. Il baccello è ricoperto da un afitta peluria che lo rende più resistente agli sbalzi termici ed alle condizioni climatiche di Sauris.All’estremità sono visibili dei “pennacchi” scuri che contraddistinguono questo ecotipo rispetto alle varietà commerciali.Il frutto è un legume allungato, cilindrico, terminante a punta, eretto, baccello vellutato al tatto che contiene da 2 a 6 semi, inizialmente verdi o di colore più scuro (dal nocciola al bruno) a maturità.La fava è di piccole dimensioni.Il periodo di coltivazione va da maggio a fine agosto.

PreparazioneLa preparazione del terreno avviene mediante fresatura, assolcatura, e semina di 3-4 fave precedentemente messe in ammollo in acqua per 24 ore; seminate ad una profondità di 8-10 cm e a una distanza di 15-20 cm.La preparazione del terreno non necessita di particolare concimazioni, salvo una tradizionale letamatura. In fase di crescita della pianta necessita di sostegni.Da sempre a Sauris si è sviluppato un impianto particolare, caratterizzato da due pali di sostegno e da una doppia rete esternam che forniscono un sostegno alle piante che crescono centralmente (alto circa 1,20 m).La pianta non necessita di particolare trattamenti e risulta essersi adattata alle condizioni pedoclimatiche della zona.La maturazione avviene a fine agosto, in modo uniforme e la raccolta è manuale.Per una conservazione ottimale è opportuno essiccare le fave decorticate.L’essiccazione avviene in un locale al buio ed arieggiato, dove le fave vengono poste su una grata dove rimangono fino ad essiccazione completa. I semi vengono poi conservati in contenitori di vetro.Il mantenimento e la conservazione del seme, storicamente da sempre prerogativa degli agricoltori locali che andavano a selezionare solo quelli derivanti dalle piante migliori dal punto di vista agronomico-produttivo.

Cenni storici e curiositàE’ storicamente comprovato che le fave erano l’unica leguminosa coltivata a Sauris. Ogni famiglia che coltivava aveva uno spazio adibito all’essiccazione e conservazione della specie. Dagli anni ’60 la produzione è calata drasticamente, ma la semenza è stata mantenuta in piccole produzioni familiari.

Brovada (o broada)

Materia prima: vinacce, rape.

Tecnologia di preparazione: su un tino di legno si dispone uno strato di vinacce sul quale si adagia uno strato di rape non sbucciate e private delle foglie, a loro volta seguite da un altro strato di vinacce e poi di rape e così via fino a completo riempimento del tino, terminando con uno strato di vinacce. Si lascia fermentare per 3-4 mesi o quanto basta per portare a maturazione le rape. Al momento dell’uso si prelevano le rape dal tino e si tagliano sul “gratti”, uno speciale attrezzo che le riduce in striscioline come i crauti.

Maturazione: 4 mesi e più.

Area di produzione: Friuli.

Calendario di produzione: autunno.

Note: le rape vengono cotte per 4-6 ore a fuoco lento con un po’ d’olio senza aggiungere acqua, ma solo guanciale e “musetto”, la coppia fissa della tradizione gastronomica friulana. Non meno tradizionale è la brovada con i fagioli i quali, una volta lessati, vengono insaporiti con le rape precedentemente cotte. Nell’evidente impossibilità di quantificare per indagine diretta le rape destinate alla conservazione si è provveduto ad attribuire ad essa un 20% della produzione di rape stimata per il Friuli Venezia Giulia dall’Annuario Inea 1990.

Craut Garp

I crauti sono ottenuti mettendo “in concia” sotto sale o nell’aceto le foglie dei cavoli cappucci.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le foglie dei cavoli – capucci vengono messe “in concia” sotto sale o nell’aceto. Si tolgono le prime foglie esterne e il torsolo, poi si tagliano i cavoli a strisce sottili. Le strisce si dispongono poi nel recipiente (brent) a strati alterni ricoperti di sale. Riempito il “brent” si termina la stratificazione con uno strato di foglie (quelle esterne prima eliminate). Si copre il tutto con un coperchio e con dei pesi per tenere sotto una buona pressione il contenuto.Dopo alcuni giorni avrà inizio la fermentazione lattica naturale del cavolo cappuccio.

Cenni storici e curiosità
Da sempre le popolazioni della montagna hanno conservato le produzioni in eccedenza per poi ottenere dei prodotti idonei al consumo durante le lunghe stagioni invernali.

Carline sott’olio

Materia prima: carlina (acaulis).

Tecnologia di preparazione: i ricettacoli dei capolini delle carline vengono mondati
e fatti bollire in acqua e aceto per alcuni minuti, si fanno asciugare per alcune ore, si
aromatizzano con aglio, pepe, sale, foglie di alloro o chiodi di garofano e invasettati
si ricoprono di olio chiudendo ermeticamente.

Maturazione: circa due mesi.

Area di produzione: nelle zone montane del paese.

Calendario di produzione: fine estate-autunno.

Note: la carlina che, secondo leggende popolari, fu indicata da un angelo a Carlo
Magno (da cui il nome) come rimedio contro la peste, è una pianta erbacea tipica
dei pascoli montani e delle radure dei boschi di castagno e dei terreni di brughiera.

Radic di mont

Pianta di colore verde-bruno che nasce e vegeta in alta montagna, presenta germogli filiformi di gusto leggermente amarognolo.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaDella pianta si raccolgono i germogli che vengono accuratamente puliti e lavati, successivamente vengono scottati in olio, aceto, vino bianco, aromi, sale e zucchero.L’invasettamento viene eseguito a caldo con tutto il liquido di cottura.

Cenni storici e curiositàLa raccolta e conservazione di questa pianta spontanea, come per i funghi o altre piante spontanee viene effettuata dalla popolazione locale da moltissimo tempo.

Pinza triestina

Questa varietà di pesco è coltivata da molti decenni in varie zone del Friuli Venezia Giulia ed è caratterizzata dalla polpa bianca variegata di rosso.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine e di Gorizia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione in campo (si può fare anche in locali aziendali) che consiste in una leggera toelettatura e nella disposizione del prodotto in cassette provviste di contenitori alveolari. Il prodotto così confezionato va direttamente sul mercato. Data la scarsa o medio-scarsa resistenza alle manipolazioni da parte dei frutti si preferisce manipolare il prodotto direttamente in campo dopo la raccolta (incassettatura e minima toelettatura).

Cenni storici e curiositàLa pesca Triestina deve la sua tradizionalità alla elevata diffusione, in particolare nell’Isontino, nel periodo compreso fra le due guerre e oltre; la varietà venne costituita nel 1937 in loco dal cav. Pietro Martinis (1902 – 1969). Questa e altre cultivar di pesco costituite dal Martinis (denominate in modo collettivo “varietà isontine”) hanno svolto un ruolo determinante nello sviluppo dell’agricoltura nelle aree vocate alla peschicoltura della pianura friulana (Zandigiacomo, 2000).

Mela Zeuka, Zeuka, Seuka

Varietà di melo autoctona con frutti dalla pezzatura media e forma asimmetrica. Presenta una discreta produttività.

Territorio interessato alla produzione: Province di Udine e Pordenone, in particolare nelle Valli del Natisone (UD) e nel comprensorio di Castelnuovo del Friuli (PN).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione sommaria che consiste nella cernita e nella disposizione del prodotto in cassette. Il prodotto così confezionato è destinato esclusivamente al mercato locale.

Cenni storici e curiositàLa varietà deve ritenersi autoctona : il nome deriva da “Seuza”, frazione del comune di San Leonardo (UD), posto nel cuore delle Valli del Natisone. Alla fine del 1800 essa costituiva i due terzi della produzione melicola del Mandamento di Cividale – allora una delle più importanti zone frutticole del Friuli – ed assommava a 2.000 t/anno (Dorigo, 1909). Sebbene nel corso degli ultimi anni la coltivazione della Zeuka abbia subito una forte riduzione, dovuta principalmente alla diffusione delle nuove costituzioni straniere, essa costituisce tuttora la varietà di origine locale più diffusa in Friuli. La tecnica colturale è immutata, rispetto al passato, e fa affidamento a piante sparse, allevate in forme libere o a vaso, senza fare ricorso, generalmente, a trattamenti antiparassitari.

Pera Pêr Martìn

Area di produzioneGli alberi di Pêr Martìn sono presenti, di norma come piante singole o in filare, in un ampio territorio regionale, soprattutto in Carnia, ma anche nel Canal del Ferro (compresa la Val Resia e la Val Raccolana), in Val Canale e, sebbene in modo più sporadico, sulla montagna dell’Alto pordenonese.Sono interessati alla produzione della Pera Pêr Martìn agricoltori professionali e hobbisti delle province di Pordenone e Udine.

DescrizioneLa maggior parte dei dati relativi alla descrizione dell’albero e del frutto del Pêr Martìn sono tratti da una scheda inedita (a cura di Pietro Zandigiacomo) di prossima pubblicazione.Albero: Pianta di elevata vigoria e con portamento semiassurgente nella fase giovanile. La chioma diventa però di tipo globoso con rami procombenti nella fase adulta e di senescenza. Varietà molto lenta ad entrare in produzione, ma molto longeva. Le piante mature raggiungono altezze elevate e diametri del tronco notevoli (fino a 60 cm).Foglie e germogli: La pagina inferiore delle foglie e gli assi dei germogli presentano al germogliamento una tomentosità bianca molto evidente, indicando che questa varietà potrebbe appartenere alla specie Pyrus nivalis.Fiore: Fiori riuniti in corimbi, con numerosi stami dotati di grosse antere di colore rosso vivo.Frutto:- pezzatura: piccola (ca. 80 g)- forma: sferoidale, appiattita verso il calice (il calice è persistente)- peduncolo: lungo, dritto o leggermente ricurvo, inserito sul frutto verticalmente o leggermente obliquo- buccia: prima verdastra, poi – dopo l’ammezzimento – di colore marron cuoio- polpa: prima biancastra, di elevata consistenza e sapore tannico/astringente, poi marrone, morbida e dolce dopo l’ammezzimento in fruttaio- epoca di fioritura: mediotardiva- epoca di raccolta: fine ottobre-inizio novembre a seconda dell’altitudine- caratteristiche generali: varietà assai rustica (vegeta anche in vallate particolarmente fredde, ad es. in Val Resia e in Val Raccolana), interessante per i diversi usi tradizionali tuttora in atto; la produzione de singoli alberi è abbondante qualora regolarmente gestita con leggere potature ad anni alterni e con modeste concimazioni organiche. Non sono necessari interventi fitosanitari.

Il Pêr Martìn è un’antica varietà di pero che era diffusissima in tutta la fasci aprealpina e soprattutto alpina della regione Friuli Venezia Giulia, nonché nelle aree circostanti. Oggi gli alberi di questa varietà si trovano come piante isolate o in piccoli filari, negli orti delle abitazioni o al margine dei prati nei pressi degli stavoli. Si tratta per lo più di piante adulte, con produzione decrescente e/o incostante, perché in molti casi abbandonate o semiabbandonate.Per tradizione i frutti immaturi (non ammezziti) possono essere consumati cotti, quelli parzialmente ammezziti possono essere destinati alla produzione di succhi e, dopo la fermentazione in sidro, quelli ammezziti, invece, vengono destinati al consumo tal quali o, dopo essiccazione (al forno e/o all’aperto), alla produzione dei cosiddetti “persecs”, impiegati come componenti di dolci o dei tradizionali “cjarsons”. Inoltre, i panelli, derivanti dalla torchiature dei frutti nell’ambito della produzione del succo, e il sidro stesso possono essere utilizzati per produrre un tradizionale distillato di pere molto noto e apprezzato.

ColtivazioneLe tradizionali operazioni agronomiche, riferite per lo più a piccoli gruppi di piante di Pêr Martìn poste in aree prative nelle pertinenze di case e stavoli montani sono di seguito descritte.Produzione delle piante/astoni: piante di “selvatico” (derivanti da seme) vengono innestate a spacco con marze di Pêr Martìn a fine inverno, oppure a gemma dormiente a fine estate.Impianto: l’impianto si effettua in autunno oppure a fine inverno, quando il terreno non è ghiacciato o eccessivamente umido, utilizzando le piante innestate che hanno raggiunto una taglia appropriata. Le piante sono messe a dimora singolarmente o in fila con distanze fra una pianta e l’altra di almeno 4-5 metri.Potatura: le potature di allevamento, di norma molto leggere, portano alla costituzione della tradizionale forma assurgente a pieno vento. Anche le potature invernali di produzione, di norma, sono molto leggere. Non vengono effettuati interventi di diradamento dei frutti, anche perché le piante adulte raggiungono altezze elevate.Raccolta: la raccolta dei frutti verdi (ancora con polpa molto compatta) viene effettuata manualmente con l’utilizzo di lunghe pertiche per far cadere a terra i frutti dotati di buona resistenza agli urti. talora una persona sale sull’albero per scuotere i rami e far cadere i frutti. Raramente, sotto ciascun albero viene distribuito del fieno per attutire il danno (ammaccatura) da caduta dei frutti e impedire che gli stessi possano imbrattarsi di terra. I frutti vengono raccolti di norma a mano e movimentati con ceste e gerle.Conservazione: il frutto appena raccolto non viene utilizzato crudo, ma in taluni casi cotto. In generale, i frutti raccolti vengono selezionati per l’aspetto sanitario e vengono portati in locali freschi per l’ammezzimento a strato singolo su tavole o fieno. Periodicamente vengono effettuati dei controlli per eliminare i frutti con sintomi di marcescenza. I frutti parzialmente ammezziti (dopo alcuni giorni dalla raccolta) vengono avviati alla trasformazione in succo e, dopo fermentazione, nel tradizionale sidro di pere. completato l’ammezzimento, i frutti di migliore qualità possono essere avviati all’essiccazione nel forno e/o all’aperto per la produzione dei “persecs”.

Cenni storici e curiositàLa presenza di peri della varietà Pêr Martìn è attestata nella regione FVG da tempi molto antichi.Intorno al 1880, il Pêr Martìn (nominato come pere “Martini”) è presente in Carnia, come dimostrano due elenchi cartacei (Archivio privato) che illustrano le varietà di fruttiferi coltivate rispettivamente da Luigi De Cillia, di Siaio di treppo carnico, e da una famiglia Morassi di Cercivento (Molfetta, 1998).Lo stesso frutticoltore Luigi De Cillia presentò nel 1886 (il 23.10.1886) all’Esposizione permanente di frutta a Udine (organizzata dall’Associazione agraria friulana), frutti delle pere “Martino […] (da sidro)” (cv Pêr Martìn) meritando un “attestato di benemerenza” per la lunga e intelligente propaganda fatta in Carnia a favore della frutticoltura (Commissione per la frutticoltura, 1886).Nelle diverse aree della Carnia, i frutti di Pêr Martìn sono ancora ben conosciuti, legati soprattutto alla produzione di sidro e di distillati assieme ai frutti di altre varietà di pere tipicamente da sidro (es. Martinòns, Masonduj, Scjafoàcs, Salvadôrs, Baldi e altre). La distilleria del cav. Elio Cortolezzis di Treppo Carnico (chiusa nel 1977) era celebre per il suo distillato di pere prodotto con frutti delle varietà Pêr Martìn e Scjafoàcs (Molfetta, 1998).Alberi di pero della varietà Pêr Martìn sono stati identificati nel corso delle ricerche della Comunità montana della carnia sulle antiche varietà di fruttiferi che hanno condotto alla realizzazione del campo catalogo di Enemonzo (Sulli, 1988). Alberi annosi di Pêr Martìn vegetano in molte aree della Carnia, quali Paularo (Zandigiacomo, 1998), Treppo carnico (Pellegrini, 1998) e Verzegnis (F. Sulli, com. pers.).Gli alberi di Pêr Martìn sono ancora ben diffusi in altre aree montane del FVG: nel Canal del Ferro, dove la varietà è nota come Pêr/ Peruç di San Michêl e Clôce, e in Valcanale ove invece viene chiamata con un termine “tedesco”, Loze o Lotze (Governatori, 1992; Adduca, 1998; Zandigiacomo, 2014).In particolare, in Val Resia, ove alberi annosi sono ancora presenti anche accanto agli stavoli in quota (I. Pielich, com. pers.), i frutti sono denominati “te mìke rùske” (ovvero “piccole pere”) e, per tradizione, venivano utilizzati per produrre sidro (Longhino, 1988). La buona produzione di frutti (soprattutto di “Pêr Martìn”) da utilizzare per il sidro, è documentata dalla presenza di diverse strutture, comprensive di frantoio, torchio e di altre attrezzature, in Valle, ad esempio a Pòdklànaz e a Tàpod Làson (Longhino, 1988; Adduca, 1998).Infine, i peri della varietà Pêr Martìn sono noti anche nelle aree montane slovene a ridosso del confine con l’Italia. In questo caso, sono denominati Tepka; i frutti sono tipicamente utilizzati per la produzione di sidro. Già alla fine dell’Ottocento, in una relazione del prof. Carlo Mader (1898) si rendeva noto che alberi della varietà Tepka (“varietà locale”) erano presenti nella Valle superiore dell’Isonzo e Val d’Idria. Successivamente, in un articolo sulla frutticoltura del “Goriziano” (inteso come una vasta area che, nel primo dopoguerra, comprendeva molti territori a nord-est di Gorizia, compresa l’Alta Valle dell’Isonzo e la Valle del Vipacco) si ricorda, fra le varietà di pere coltivate “nella regione montana”, “una varietà locale, la Tepca” (Vallig, 1925). In particolare, il Pêr Martìn sembra corrispondere alla varietà attualmente denominata “Črna tepka” (ovvero “Tepka nera”), rappresentata e descritta sulle pagine di un recente manuale (AA. VV., s.d.). Questa varietà da sidro sembra essere diffusa anche in altre aree della slovenia ed in Austria (Carinzia e Stiria).In generale, è possibile che la varietà Pêr Martìn sia un’entità policlonale; in ogni caso i frutti sono tipici e tradizionalmente utilizzati per prodotti particolari (dal sidro e distillati ai “persecs”).

Pesca triestina

Area di produzioneProvincie di Udine e di Gorizia.Il territorio interessato dalla produzione è compreso nelle province di Udine e di Gorizia; in particolare l’Isontino è il luogo dove la cultivar è stata costituita e selezionata nel periodo fra le due guerre. La produzione, seppur limitata, è in atto. La varietà è a rischio di estinzione, in quanto nei nuovi impianti intensivi vengono per lo più utilizzati astoni di varietà più recenti e affermate.

DescrizioneLa maggior parte dei dati seguenti sono tratti dalla scheda “Pesca Triestina”, riportata nella “Monografia di cultivar di pesco da consumo fresco” di Fideghelli et al. (1986).Albero: da vigoroso a molto vigoroso.Fiore: campanulaceo, con fioritura intermedia di elevata intensità.Frutto: di peso medio 126 g circa, circonferenza media 19,4 cm; forma rotonda od ellittica, leggermente assimmetrica, con apice arrotondato o leggermente incavato, a volte leggermente sporgente al Sud.Buccia: poco tomentosa, biancastra o verdastra, con sovracolore rosso chiaro-rosso medio brillante, sfumato e marezzato, a volte striato, sul 50-80% della superficie, di spessore medio sottile, non soggetta a spaccature, soggetta a lesioni alla cavità peduncolare al distacco.Polpa: bianca, con leggere venature rosse, soprattutto al nocciolo, da mediamente soda a poco soda, di tessitura medio-fine o fine, spicca o semispicca, di buon sapore; nocciolo medio, globoso o sub-globoso.Allegagione: elevata e quindi necessita di un buon diradamento, buona produttività, scarsa o medio-scarsa resistenza alle manipolazioni.Maturazione: da 0 a 2 giorni dopo la cv Redhaven (circa 15 luglio).

ColtivazioneLe tradizionali operazioni agronomiche, riferite per lo più a piccoli gruppi di piante negli orti familiari, sono di seguito descritte.Impianto: Il trapianto viene condotto in autunno-inverno quando il terreno non è ghiacciato o eccessivamente umido. Dopo la classica preparazione del terreno vengono messe a dimora gli astoni con un sesto d’impianto di 5 m x 5 m. In primavera le piantine vengono tagliate a circa 60 cm da terra e si alleva un singolo pollone che poi andrà a formare il vaso.Potatura: La potatura di allevamento porta alla costituzione della tradizionale forma a vaso. A giugno, quando il getto principale ha raggiunto la lunghezza di circa 85 cm, il getto “domestico” si taglia a circa 65 cm. Quindi si passa alla gestione dei 3 o 4 getti anticipati che devono essere impalcati a circa 50 cm da terra. Aiutandosi con dei paletti questi getti danno luogo alla tradizionale forma a vaso della pianta.Relativamente alla potatura di produzione,in estate si provvede ad “arieggiare” la chioma con interventi di ripulitura da succhioni e con altri leggeri interventi. In inverno, invece, si interviene per mantenere una buona struttura ed una elevata carica di gemme. Essendo piante dal portamento vigoroso, necessitano di operazioni di potatura secca mirate e attente e buoni interventi di potatura verde. Allegando un elevato numero di fiori sono necessari interventi di diradamento dei frutti.Raccolta: La raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione in campo (si può fare anche in locali aziendali) che consiste in una leggera toelettatura e nella disposizione del prodotto in cassette provviste di contenitori alveolari. Il prodotto così confezionato va direttamente sul mercato. Data la scarsa o medio-scarsa resistenza alle manipolazioni da parte dei frutti si preferisce manipolare il prodotto direttamente in campo dopo la raccolta (incassettatura e minima toelettatura).

Cenni storici e curiositàLa pesca Triestina deve la sua tradizionalità alla elevata diffusione, in particolare nell’Isontino, nel periodo compreso fra le due guerre e oltre; la varietà venne costituita nel 1937 in loco dal cav. Pietro Martinis (1902 – 1969). Questa e altre cultivar di pesco costituite dal Martinis (denominate in modo collettivo “varietà isontine”) hanno svolto un ruolo determinante nello sviluppo dell’agricoltura nelle aree vocate alla peschicoltura della pianura friulana (Zandigiacomo, 2000).Questa varietà di pesco è coltivata da molti decenni in varie zone del Friuli Venezia Giulia, anche se nel corso degli ultimi anni la coltivazione ha subito una forte riduzione dovuta principalmente alla diffusione di nuove varietà.Viene tuttora coltivata per diverse caratteristiche positive, quali: abbondanza e costanza di produzione, polpa bianca variegata di rosso in prossimità del nocciolo, fondente, spicca o semispicca, caratteristiche estetiche (pezzatura media, intensa colorazione rossa dei frutti) e organolettiche buone.Questa varietà di pesco è stata costituita dal cav. Pietro Martinis con incrocio (J.H. Hale x Trionfo) x Uneeda (Bassi et al., 1980; Fideghelli et al., 1986; Zandigiacomo, 2000; Piazza, com. pers.). Ebbe subito, al pari di altre varietà di pesco costituite sempre dallo stesso Martinis (es. cv Isontina, Julia, Pisana, Iris Rosso, Fior di Monaco, Flavia, S. Lucia), un buon successo in regione, in quanto ben adattata alle condizioni pedo-climatiche locali (Zandigiacomo, 2000), e altrove (es. Veneto in provincia di Venezia) (Piazza, com. pers.).Al momento la cv “Triestina (H-6)” risulta inserita nell’elenco delle varietà “autoctone” del Friuli-Venezia Giulia nel sito web del Corpo forestale dello Stato, ove sono indicate le specie arboree spontanee e le varietà di fruttiferi delle diverse regioni italiane.Piante della cv Triestina sono attualmente presenti nelle collezioni di germoplasma frutticolo dell’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma e dell’Istituto di Coltivazioni arboree dell’Università di Bologna (sede di Cadriano di Granarolo Emilia, BO). La cv Triestina è stata utilizzata come “genitore” nel programma di miglioramento genetico del pesco in corso presso l’Università di Bologna (Bassi et al., 1992).

Persicata

Materia prima: pesche.

Tecnologia di lavorazione: le pesche ben mature, tenere di polpa, si immergono in acqua bollente per qualche minuto. Si sbucciano, si toglie l’osso e si riducono in purea con il passaverdure o altri attrezzi. La purea raccolta si porta ad ebollizione. Si aggiunge lo zucchero lasciando bollire ancora per 10-15 minuti. Si toglie il recipiente dal fuoco versando la purea di pesche su teglie bassissime foderate di carta oleata o stagnola, per uno spessore di un paio di centimetri. Si lascia asciugare il tutto per circa 24-48 ore o all’aria o a una fonte di debole calore. Una volta asciutta la persicata si taglia a pezzi e si cosparge di zucchero semolato.

Maturazione:

Area di produzione: Friuli, Trentino, Venezia Giulia, Lombardia e qualche altra regione.

Calendario di produzione: estate.

Note: é una variante della cotognata. Sembra che responsabile dell’abbandono di questa tradizione sia l’introduzione di pesche altamente selezionate, più ricche d’acqua che di fattori extranutrizionali, le quali non consentono una conservazione ottimale.

Savor

Materia prima: mosto d’uva, mele cotogne, pere, fichi e zucca.

Tecnologia di lavorazione: al mosto si aggiungono le mele cotogne, i fichi, la zucca, le pere, talvolta anche le scorze d’arancio, senza aggiungere zucchero. Si lascia bollire fino a completa evaporazione dell’acqua, si conserva per anni nei vasi di vetro riposti al riparo dalla luce in luogo fresco.

Maturazione:

Area di produzione: Emilia Romagna, Veneto, Friuli e altre parti d’Italia con diverse varietà di frutta e di gusti. A Bologna e in altre aree emiliane ne esiste una versione semplificata senza scorze d’arancio, senza fichi e persino senza zucca.

Calendario di produzione: tutto l’autunno, periodo della vendemmia.

Note: il “savor” é la base dei tortelli di castagne e delle crostate familiari del modenese. Un tempo la conserva veniva fatta essiccare, al pari della cotognata, e conservata in scatole di latta. Si racconta che per neutralizzare i sali di rame provenienti dal recipiente di cottura – di solito il paiuolo di rame – le massaie ci mettessero una noce. Al gesto gli antropologi attribuiscono un valore apotropaico. Tradizionalmente il savor veniva utilizzato per accompagnare ogni tipo di bollito compresi cotechino e zamponi. Nelle altre regioni d’Italia era (ed é) ingrediente fondamentale di alcune preparazioni dolciarie.

Marmellata di mirtilli, fragole, lamponi, mele, prugne, frutti di bosco, menta e mele

Purea di frutta trasformata, dal colore della frutta utilizzata cotta.

Territorio interessato alla produzione: Carnia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe operazioni possono essere riassunte nelle seguenti fasi:
1. lavaggio della frutta;2. eventuale denocciolatura;3. cottura della polpa con aggiunta di zucchero;4. invasettatura;5. pastorizzazione.

Cenni storici e curiositàDa sempre le popolazioni della montagna hanno trasformato e conservato le produzioni estivo-autunnali in eccedenza per poi ottenere dei prodotti idonei al consumo durante le lunghe stagioni invernali.

Marmellata di olivello spinoso e mele

Purea di frutta trasformata, dal colore della frutta utilizzata cotta.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le operazioni possono essere riassunte nelle seguenti fasi:1. Lavaggio delle bacche e delle mele;2. Eventuale denocciolatura delle mele;3. Cottura della polpa con aggiunta di zucchero;4. Invasettatura;5. Pastorizzazione.

Cenni storici e curiositàDa sempre le popolazioni della montagna hanno trasformato e conservato le produzioni estivo-autunnali in eccedenza per poi ottenere dei prodotti idonei al consumo durante le lunghe stagioni invernali.

Gubana

Dolce di pasta lievitata a base di frutta secca cotto a forno dalla forma tonda col caratteristico aspetto a chiocciola compatta.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Natisone e Cividale del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi fa un impasto di farina, lievito, eventualmente anche con l’aggiunta di latte. Si lascia riposare per circa ½ ora. Con lo stesso lievito si fanno i riporti (da uno a quattro), nell’ultimo riporto si mescolano gli ingredienti, esclusa la frutta secca. Si impasta per circa quindici minuti. La metodica degli impasti è prerogativa di ogni singolo laboratorio, e può essere diverso per consentire all’artigiano di ottenere il suo migliore risultato in fatto di morbidezza e di durata della pasta dopo la cottura. Si prende un pezzo di pasta di circa ½ kg. e lo si stende a matterello o meccanicamente. Sul foglio ottenuto si stende uniformemente il ripieno preparato preventivamente e ottenuto con l’amalgama della frutta secca con zucchero, aromi e liquore. Si avvolge il foglio su se stesso ed il rotolo ottenuto viene avvolto a chiocciola per creare il caratteristico aspetto della gubana; il tutto viene posto in uno stampo tondo. Si fa lievitare il dolce fino ad ottenere la massima lievitazione. A questo punto la gubana viene posta in forno a circa 150/170°C per circa un’ora, variabile a seconda del peso.

Cenni storici e curiositàStatuto del Consorzio per la tutela della Gubana delle Valli del Natisone del 24 marzo 1973 che comprova quantomeno 27 anni di produzioni omogenee e tradizionali.

Colaz

Dolce a forma di ciambella a base di farina di frumento, burro e zucchero. Si può presentare in diverse varianti.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine e Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaPreparare un impasto di farina di frumento (1 kg), burro (0,5 kg) e zucchero (0,2 kg) con un pizzico di sale e di cremor tartaro. Una volta che l’impasto è stato ben lavorato si formano ciambelle che vanno cotte a fuoco lento in forno non molto caldo. Si possono usare anche melassa e pepe garofalato che danno al biscotto un colore scuro e un sapore piccante.

Cenni storici e curiositàLa descrizione del processo di fabbricazione e le dosi sono tratte da una pubblicazione dell’Accademia Italiana della Cucina che, circa 10 anni or sono, ha raccolto ricette tradizionali inviate dalle delegazioni provinciali dell’Accademia stessa.Nella tradizione friulana i colaz erano dolci che si regalavano ai cresimandi e, al termine delle sedute, ai consiglieri comunali.

Biscotto esse

Prodotto dolciario da forno composto da farina doppio zero di grano tenero, burro naturale, zucchero, uova, vaniglia, sale.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaDeterminati passaggi produttivi e trasformativi oggi vengono compiuti meccanicamente con le moderne tecnologie, vedi impastatrice, collatrice, sfogliatrice. Resta comunque ancora molto alto l’intervento manuale, sia che l’esse venga prodotto in un laboratorio di pasticceria sia che trasformato in ambito casalingo.

Cenni storici e curiositàNel lontano 1923 Emilio Bonanni, titolare del piccolo panificio di Raveo, uomo intraprendente e attivo, per curiosità e per allargare l’offerta quotidiana del pane, incominciò a produrre pochi chilogrammi mensili di questo originale biscotto, dalla forma particolarmente strana ad “esse”, da questa forma creata in modo casuale prese poi il nome il biscotto.In pochissimo tempo complice la stranezza estetica e la sua bontà e fragranza, il biscotto viene con piccole varianti ingredientistiche confezionato da alcuni laboratori della Val Tagliamento, i Nassivera a Forni di Sotto, i Fachin a Priuso di Socchieve, i Pivotti e i De Marchi ad Enemonzo. Successivamente agli inizi degli anni ’50, dopo la II° guerra mondiale, moltissimi laboratori di panetteria e pasticceria della Carnia iniziano a produrre biscotti, ma uno solo viene confezionato ed inserito nella produzione sistematica quasi da tutti: l’Esse della Carnia.

Strucchi

Dolce di pasta frolla, ripieno di frutta secca, pinoli e zucchero, fritto in olio bollente.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Natisone e Cividale del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaSi produce un impasto di farina con latte o acqua, si aggiungono gli ingredienti previsti dalla ricetta e si impasta sino ad ottenere un impasto omogeneo e morbido. La pasta ottenuta si stende a sfoglia sottile, sulla quale vengono posti i boli di ripieno. Si ripiega la pasta e la si taglia alla misura indicata chiudendo tutti quattro i lati del raviolo.I ravioli ottenuti vengono fritti in olio bollente fino a colorazione dorata.

Cenni storici e curiositàGli strucchi sono dolci tradizionali delle Valli del Natisone. Venivano serviti nelle occasioni di vita più importanti quali matrimoni, battesimi e sagre. Per la festa del patrono S.Antonio, che cade il 17 gennaio, era tradizione confezionare in abbondanza dolci delle valli (gubane e strucchi) da offrire ad amici e parenti, che in questa occasione venivano a festeggiare il santo.Nel libro “Nozze di ieri in Friuli” edito da Arti Grafiche Friulane nel gennaio 1968, vengono citati gli struki, come dolci caratteristici della valle che venivano mangiati nei giorni di festa.Nel 1970 veniva stampato un depliant pubblicitario di un’azienda della zona, nel quale, tra le specialità vendute, appaiono anche gli strucchi.

Buiadnik

Dolce secco tipico resiano dei giorni festivi.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Resia in Provincia di Udine.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl Buiadnik non ha alcuna forma particolare in quanto un tempo non veniva cotto in contenitori ma avvolto in foglie di cavolo verza (bergwa) collocate nel focolare sotto la cenere e le braci; in tempi più recenti l’impasto viene sparso semplicemente sulla piastra del forno di cui assume la forma (lebe).Viene servito in piccoli pezzi quadrati o rettangolari di piccole dimensioni.Ingredienti:farina di mais e frumento in proporzioni variabili secondo la disponibilità;uova intere;zucchero;panna;mele e/o pere cotte;fichi secchi;uva sultanina ammollata in acqua tiepida;frutta secca secondo le disponibilità (noci e nocciole);lievito;semi di finocchio selvatico;cannella o carrube.

Cenni storici e curiositàLa preparazione del dolce si tramanda di generazione in generazione adattandosi alle mutate disponibilità di ingredienti sulle tavole delle famiglie anche in relazione alla stagione in corso. Le persone più anziane del comune riportano testimonianze della preparazione del Buiadnik sin dalla fine del secolo scorso, ma sicuramente questa risale a tempi ancor più remoti.

Aceto di mele

Prodotto ottenuto con mele raccolte manualmente di antica varietà.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe mele appena raccolte oppure dopo un breve periodo di latenza in ambiente fresco, vengono macinate. La polpa ottenuta dalla macinatura viene spremuta tramite torchiatura.

Cenni storici e curiositàLa presenza dell’aceto di mele nelle vallate della Carnia ha origini molto lontane.L’aceto di mele, come il sidro, rappresentava una fonte di autoconsumo di particolare importanza per la vita delle famiglie della Carnia, nell’impossibilità di produrre, ma soprattutto di acquistare il tradizionale aceto di vino.

Sclopit o Erba di Sileno

È la Silene vulgaris Garcke (silene rigonfia), una caryophyllacea i cui nomi italiani sono anche bubbolini, strigoli, verzini, mentre in friulano è pure detta grisulò o sgrisulò e i suoi germogli, apprezzati in cucina, sono chiamati jerbucis.

Pianta erbacea perenne che predilige luoghi incolti, ha foglie ovate-lanceolate, fiori con calice rigonfio e reticolato e corolla a petali bianchi, raramente rosa. Il frutto è una capsula.
I germogli (2-3 paia di foglie sommitali) si raccolgono prima che la pianta fiorisca e solitamente si consumano cotti. Ne risultano gustose frittate, delicati risotti o gnocchetti, ottime minestre.

Le è stato attribuito il nome di Silene per il suo calice gonfio come il ventre del dio greco Sileno, compagno di Bacco.

Fonte: Cibario del Friuli Venezia Giulia – Atlante dei prodotti della tradizione – ERSA, 2002.

Olio dei Colli Orientali

Olio extra vergine di oliva di prima spremitura.

Territorio interessato alla produzione: Colli Orientali del Friuli.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaL’estrazione dell’olio avviene usando l’antica e tradizionale tecnica della spremitura cosiddetta “a freddo” e che impiega le molazze (due grandi ruote in pietra di granito) che permettono la rottura dell’oliva e la riduzione in pasta, la gramolatrice che con un movimento circolare lento amalgama la pasta e la pressa, azionata da motore idraulico, su cui vengono impilati i fiscoli (dischi di fibra ora sintetica, fino a qualche anno fa, naturale) contenenti la pasta di olive e da cui per sgocciolamento, per effetto della pressione che viene esercitata sulle pressa, fuoriesce un liquido da cui utilizzando la centrifuga si separa l’olio.

Cenni storici e curiositàQueste metodologie rispecchiano l’antica tradizione locale che vede il territorio friulano delle zone collinari vocato alla coltivazione dell’olivo e alla conseguente produzione di olio.

Olio del Carso

Olio extra vergine di oliva di prima molitura.

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Trieste.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe olive vengono frantumate entro 4 ore dalla raccolta, previa rimozione delle foglie. Vengono lavate in acqua fredda e trasportate alla frangitura sotto molazze in pietra. La gramogliatura viene effettuata a freddo senza aggiunta d’acqua. L’estrazione del prodotto è a ciclo continuo a due fasi, senza aggiunta d’acqua. Segue la fase di decantazione naturale senza filtraggio in tini di acciaio.Lo stoccaggio avviene avviene a temperatura di 16°C, mantenuta costante sino alla vendita.

Cenni storici e curiositàL’olivicoltura è presente nella zona interessata, da secoli e si hanno notizie della sopravvivenza dell’olio anche in occasione della gelata del 1929. La notorietà di questa produzione è riportata anche nei libri scolastici del 1924.

Ônt – Burro fuso di malga

Il burro ottenuto dalla crema di affioramento, viene cotto e lasciato a riposo ottenendo un prodotto che ha un leggero gusto di cotto e si può conservare a lungo a bassa temperatura.

Territorio interessato alla produzione: Area alpina del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl burro ottenuto dalla crema di affioramento, sottoprodotto della lavorazione del formaggio di malga, viene portato all’ebollizione e cotto fino alla completa scomparsa della schiuma che si forma fin dall’inizio del riscaldamento. La massa fusa viene poi lasciata a riposo per permettere la deposizione di un corpo di fondo che viene separato ed eliminato.

Cenni storici e curiositàTutte le persone anziane intervistate ricordano la pratica della fusione del burro da usare come condimento nei periodi in cui la maggior parte delle vacche erano in asciutta e, proprio perché questa usanza era comune nelle famiglie degli agricoltori e dei malgari ed il burro fuso era di uso familiare, non vi sono note a stampa su questo argomento.

Most

Bevanda ottenuta dalla lavorazione di particolari pere denominate localmente Klotzen o Peruc di S. Michel.

Territorio interessato alla produzione: In tutte le zone montane del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa frutta, a maturazione ottimale, viene scelta e lavata.Il ciclo produttivo vero e proprio consta delle fasi di gramolatura, torchiatura, decantazione, 1° fermentazione, filtrazione, 2° filtrazione, posa in fermentazione ed imbottigliamento.La moderna tecnica e l’impiego di attrezzature particolari permettono, senza alterare del prodotto tradizionale, il raggiungimento di elevati standard qualitativi del prodotto finito.In particolare l’utilizzo di organi filtranti e di serbatoi a tenuta consente un monitoraggio ed eventuale correzione continua del processo di fermentazione della massa.

Cenni storici e curiositàE’ tradizione consolidata da almeno cent’anni e correlata all’utilizzo di particolari ecotipi di pere (Klotzen). Viene fabbricato anche nelle regioni contermini di Carinzia e Slovenia.

Ramandolo DOCG

Zona di produzione: area ben delimitata del comune di Nimis in provincia di Udine

Vitigni: esclusivamente uve di Verduzzo friulano, localmente denominato Verduzzo giallo

Gradazione alcolica minima: 15 gradi

Caratteristiche organolettiche: colore giallo dorato più o meno intenso, odore intenso e caratteristico e sapore gradevolmente dolce, vellutato, più o meno tannico e di corpo, con eventuale sentore di legno

Tipologie: bianco

Abbinamenti: gubana e formaggi stagionati

Riferimenti normativi: Il riconoscimento della Docg è avvenuto con DM 9 ottobre 2001 pubblicato sulla GU n. 250 del 26 ottobre 2001

Friuli Aquileia DOC

Zona di produzione: il territorio dei comuni di Bagnaria Arsa, Cervignano del Friuli, Aquileia, Fiumicello, Villa Vicentina, Ruda, Campolongo al Torre, Tapogliano, Aiello del Friuli, Visco, S. Vito al Torre e parte di quelli di S.Maria la Longa, Palmanova, Terzo di Aquileia, ChioprisViscone, Trivignano Udinese e Gonars, in provincia di Udine. Sono da considerarsi idonei unicamente i vigneti ubicati in terreni di natura prevalentemente sabbioso-argillosa, mentre sono da escludere quelli siti in terreni umidi o freschi o di risorgiva.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Tipologie: Cabernet,Cabernet franc e Cabernet sauvignon, Chardonnay, Merlot, Pinot bianco, Pinot grigio, Refosco dal peduncolo rosso, Riesling renano, Rosato, Sauvignon, Tocai friulano, Traminer aromatico, Verduzzo friulano

Friuli Grave DOC

Zona di produzione: la fascia centrale del Friuli, attraversato dal fiume Tagliamento, in 59 comuni della provincia di Udine e in 35 della provincia di Pordenone. Sono da considerarsi idonei unicamente i vigneti ubicati in terreni prevalentemente ghiaiosi o sabbioso-argillosi, sono da escludere quelli umidi o freschi, di risorgiva.

Resa massima di uva in vino: 70%.

Acidita’ totale minima: 5 per mille.

Tipologie: Cabernet, Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Chardonnay, Merlot, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Refosco dal peduncolo rosso, Riesling renano, Rosato, Sauvignon, Tocai friulano, Traminer aromatico, Verduzzo friulano

Friuli Annia DOC

Zona di produzione: alcuni comuni della provincia di Udine

Vitigni:
Doc Friuli Annia Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Refosco dal peduncolo rosso, Tocai friulano, Pinot bianco, Pinot grigio, Verduzzo friulano, Trainer aromatico, Sauvignon, Chardonnay, Malvasia (da Malvasia istriana): provenienti, per almeno il 90% dai corrispondenti vitigni. Possono concorrere, in misura non superiore al 10% anche uve dei vitigni della zona del corrispondente colore.
Friuli Annia Rosato: proveniente dalle uve rosse della zona sottoposte a una spremitura soffice, con breve periodo di macerazione sulle vinacce.
Friuli Annia Bianco e Rosso: da uve di una o più varietà suddette, con esclusione di quelle a bacca aromatica

Gradazione alcolica minima: 10,5 gradi

Tipologie: Bianco, Rosato, Rosso, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Refosco dal peduncolo rosso, Tocai friulano, Pinot bianco, Pinot grigio, Verduzzo friulano, Trainer aromatico, Sauvignon, Chardonnay, Malvasia (da Malvasia istriana)

Caratteristiche organolettiche:
Bianco: colore giallo paglierino più o meno carico, odore gradevole, fine e sapore armonico, fresco. La gradazione minima è di 10,5 gradi.
Rosso: colore rosso rubino tendente al granato, odore gradevole, vinoso e sapore asciutto, armonico.
Rosato: colore rosato tendente al cerasuolo tenue, odore vinoso, intenso e gradevole e sapore asciutto, armonico, pieno.

Abbinamenti:
Friuli Annia Bianco: brodetto gradese (zuppa di pesci locali) o il luccio al vino bianco, gnocco di pane e zuppe di orzo e fagioli.
Friuli Annia Rosso: formaggi d’alpeggio come il Malga e salumi come la peta della Val Cellina.
Rosato: formaggi come la latteria e carni trasformate come la peta della Val Cellina.

Riferimenti normativi: Il riconoscimento della Doc è avvenuto con DPR del 21.07.1975 successivamente sostituito dal DM del 15.09.1994 pubblicato sulla GU del 29.09.1994.

Miele millefiori della montagna friulana

Si presenta con colore che varia dal bianco-beige molto chiaro a beige scuro. Di norma ha un odore delicato e un sapore normalmente dolce.

Territorio interessato alla produzione: Si produce nelle aree montane del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. Per sfruttare le prime fioriture dei prati polifiti gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, controllo della sciamatura) per mantenere famiglie numerose.Le fioriture utilizzate per l’ottenimento di miele millefiori di montagna si svolgono fra la prima decade di maggio e fine luglio nella fascia compresa fra i 600 e i 1000 m s.l.m. e dalla prima decade di giugno a fine luglio oltre i 1000 m. s.l.m.; successivamente le fioriture sono molto più scarse, per cui il raccolto viene lasciato alle api per costituire le scorte invernali. La abbondante presenza di prati in fiore in alcune aree viene tradizionalmente sfruttata anche da alcuni apicoltori che operano il “nomadismo”.

Cenni storici e curiosità
Il miele millefiori di montagna deve la sua tipicità al gusto delicato, allo stato fisico (per lo più cristallizzato) e al colore (beige più o meno chiaro). Poiché il miele è poliflorale (deriva dal nettare di numerose piante), lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto ciò dipende dalle caratteristiche vegetazionali delle diverse zone e dall’epoca di smelatura.Il miele millefiori viene prodotto per lunga tradizione dagli apicoltori delle aree montane della regione Friuli Venezia Giulia, ivi costituendo da sempre il principale, e in molti casi l’unico, prodotto dell’apicoltura. L’apicoltura, nell’ambito delle attività agricole, veniva tenuta in gran conto anche nell’Ottocento, se la ritroviamo come argomento delle “Lezioni” (“Lezione xxxviii, Delle api o pecchie”) tenute dall’abate Leonardo Morassi nella “Scuola domenicale di Monajo e Zovello” in Carnia (Morassi, 1861).Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione complessiva di miele millefiori della provincia di Udine (ovvero miele “non caratterizzato”, prodotto dalla pianura alla montagna), rappresentava circa il 60% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).

Miele millefiori della pianura friulana

Se prodotto nella prima parte della primavera è tendenzialmente chiaro dato dal nettare di tarassaco; se prodotto nella prima estate è di color ambra per del nettare di acacia; se prodotto da luglio in poi è color ambra scuro per la melata.

Territorio interessato alla produzione: Si produce nelle aree di pianura e di bassa collina del Friuli Venezia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno.La fioritura utilizzata per la produzione di questo miele si svolge dai primi di aprile alla fine di luglio, raramente più tardi. Il maltempo (piogge persistenti, siccità) può incidere fortemente sulla produzione. Le fonti nettarifere di questo miele vengono sfruttate quasi esclusivamente dagli apicoltori con apiari stanziali.

Cenni storici e curiosità
Il miele millefiori della pianura friulana deve la sua tipicità al gusto, talora deciso, e al colore (beige chiaro se primaverile e ambra più o meno scuro se tardo estivo). Poiché il miele è poliflorale (deriva dal nettare di numerose piante), lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto ciò dipende dalle caratteristiche vegetazionali delle diverse zone e dall’epoca di smelatura.Il miele millefiori di pianura viene prodotto per lunga tradizione dagli apicoltori della pianura friulana. Un tempo rappresentava il principale prodotto dell’apicoltura.Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione complessiva di miele millefiori della provincia di Udine (ovvero miele “non caratterizzato”, prodotto dalla pianura alla montagna), rappresentava circa il 60% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).

Miele millefiori della laguna friulana

Area di produzione:Il Miele Millefiori delle Lagune Friulane si produce in un territorio ben circoscritto relativo alle aree lagunari e perilagunari delle province di Udine e Gorizia; sono incluse le aree arginali delle lagune, le isole del cordone litoraneo (es. Isola di S. Andrea) e quelle interne alle lagune (es. Isola di S. Giuliano), gli argini delle valli da pesca, nonché le barene lagunari ricoperte da particolari associazioni vegetali che includono piante alofile, ovvero tolleranti la salinità dei suoli, spesso inondati dalle acque salmastre della laguna. Pertanto, sono interessati alla produzione di Miele Millefiori delle Lagune Friulane gli apicoltori delle province di Gorizia e Udine.

DescrizioneIl Miele Millefiori della Laguna Friulana deriva dal nettare di numerose piante erbacee, arbustive e arboree (spesso alofile o psammofile) che vegetano nelle aree lagunari e perilagunari friulane (Agriconsulting, 2008). Le principali piante (alcune tipiche di ambienti lagunari), le cui fioriture vengono utilizzate dalle api nell’area in esame, sono in ordine di fioritura: Cakile maritima, Tamarix gallica, Robinia pseudacacia, Rubus spp. (in particolare Rubus ulmifolius gr.), Trifolium repens, Amorpha fruticosa, Limonium spp. (in particolare Limonium vulgare/serotinum), Aster tripolium, Inula crithmoides e Inula viscosa.Nei prati magri associati agli argini perilagunari e ai cordoni sabbiosi, vengono visitati dalle api i fiori di varie piante psammofile, quali Teucrium polium, Oenothera biennis gr. e Asparagus acutifolius.Il colore del miele è diverso a seconda del periodo di raccolta del nettare da parte delle api e delle aree di raccolta; di norma è di colore ambrato intenso, talora con riflessi rossastri. La cristallizzazione è in genere assente (talora il miele assume consistenza viscosa o cristallizza nel caso derivi per buona parte dal nettare di Cakile maritima). L’aroma è di media intensità, leggermente speziato e fruttato. Il sapore è deciso, con note amare e minerali (salato).Dal punto di vista melissopalinologico, il Miele Millefiori delle Lagune Friulane è identificato dalla presenza di pollini di gran parte delle piante sopra indicate. In particolare, l’origine botanica è caratterizzata principalmente dalla presenza di polline di Tamarix, Rubus, Trifolium repens e Amorpha nei mieli primaverile-estivi, e di pollini di Trifolium repens, Limonium, Aster e Inula in quelli estivo-autunnali.Il Miele Millefiori della Laguna Friulana viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite, per lo più da 250 g e, più raramente, da 500 g.

Allevamento e lavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del Miele Millefiori delle Lagune Friulane, gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose.Le fioriture utilizzate per la produzione di questo miele si svolgono dai primi di aprile alla fine di agosto-primi di settembre. L’andamento meteorologico stagionale (es. estati calde e secche, ovvero con una ridotta piovosità) può incidere fortemente sulle produzioni. Le fonti nettarifere di questo miele vengono di solito sfruttate dagli apicoltori con apiari stanziali o talora con il nomadismo.Dopo la fine di ciascun raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Successivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciao inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate.Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere questo prodotto si effettuano due o tre smelature in epoche diverse.

Cenni storici e curiositàIl Miele Millefiori della Laguna Friulana viene prodotto per tradizione ultratrentennale da alcune decine di apicoltori della regione nelle aree lagunari e perilagunari friulane.Già nei lavori di Simonetti e Barbattini (1987) e di Simonetti et al. (1989), il valore apistico delle principali piante nettarifere e pollinifere presenti nelle lagune friulane era stato ampiamente sottolineato.Le informazioni raccolte presso alcuni apicoltori regionali con lunga esperienza riferiscono della presenza di apiari stanziali (ma anche nomadi) sia lungo gli argini lagunari di terraferma, sia sulle isole del cordone litoraneo (es. Isola di S. Andrea) e su quelle interne alle lagune stesse (es. Isola di S. Giuliano).In un’intervista a cura del LAR al decano degli apicoltori friulani Candido Codarin (di Castions di Strada, ma originario di Carlino – UD), pubblicato sul Notiziario ERSA del 2002 (LAR, 2002), viene presentata una foto, scattata nel 1972, di un apiario situato sul margine della laguna di Grado, nella quale si distingue, sullo sfondo, il Santuario Mariano di Barbana. La didascalia della foto recita: “Anno 1972. Alveari in area perilagunare per l’impollinazione dell’erba medica da seme; sullo sfondo, il campanile del Santuario di Barbana”.In un articolo del 2002 sui diversi mieli prodotti in Friuli Venezia Giulia (Gazziola, 2002), si fa esplicito riferimento a “Mieli di laguna”, prodotti nella zona di Grado e caratterizzati da uno “spettro pollinico particolare riconducibile a piante xerofile che ben tollerano la salinità”.Oltre alla documentazione precedente al 1991 relativa a questa produzione in regione, si è proceduto a raccogliere la dichiarazione (in forma di autocertificazione) di un apicoltore che afferma di avere prodotto questo particolare tipo di miele, a partire dal 1988, gestendo un apiario stanziale prima nell’Isola di S. Giuliano, poi in altri siti della laguna di Grado: Giorgio Della Vedova, Lestizza (UD) (classe 1970), ex-presidente del Consorzio degli Apicoltori della Provincia di Udine.

Miele di marasca del Carso

Si caratterizza per il colore ambrato con riflessi rossastri e un gusto amarognolo che ricorda l’aroma delle mandorle.

Territorio interessato alla produzione: Si produce esclusivamente nell’area del Carso triestino e isontino.

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di “marasca” gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, riunione di famiglie) per mantenere famiglie numerose.

Cenni storici e curiosità
Il miele di “marasca” deve la sua tipicità al gusto particolare (amarognolo con aroma di mandorle), allo stato fisico (liquido) e al colore (rossastro). Poiché il miele non sempre è monoflorale, lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree e annate, in quanto, ad esempio, può mescolarsi a quello di Acer e altri Prunus a fioritura più precoce o a quello di Robinia pseudoacacia a fioritura più tardiva.Il miele di marasca viene prodotto per lunga tradizione da alcuni apicoltori della regione esclusivamente nel Carso triestino e isontino.

Miele friulano di acacia

Ha odore molto delicato con un profumo che ricorda la pera cotta. Il sapore è molto dolce con una connotazione di frutta cotta.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venzia Giulia

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodotto
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di acacia gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, controllo della sciamatura) per mantenere famiglie numerose.La fioritura dell’acacia, che in ogni area si svolge per 10-15 giorni, inizia nella prima decade di maggio nella Bassa pianura friulana, e poi procede via via verso settentrione: si conclude comunque entro la prima decade di giugno nelle località a maggiore altitudine.

Cenni storici e curiosità
Solo sul Carso triestino il miele di acacia può presentare anche le caratteristiche organolettiche derivate dal nettare del ciliegio canino o ciliegio di S. Lucia (Prunus mahaleb), pianta arbustiva che in queste zone fiorisce prima dell’acacia; in zone limitate di pianura, invece, può in parte mescolarsi con il nettare di amorfa (Amorpha fruticosa), pianta arbustiva che fiorisce subito dopo l’acacia. Il miele di acacia viene utilizzato tradizionalmente nella preparazione di molti dolci locali tipici (es. gubana di Cividale); un uso tradizionale è anche quello di somministrarlo, alle persone affette da malattie da raffreddamento, nel latte caldo assieme a un po’ di grappa.Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione di miele di acacia della provincia di Udine rappresentavano circa il 67% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).Da una ricerca relativa al 1998 risulta che nella sola provincia di Udine il miele di acacia rappresenta circa il 30% della PLV relativa al miele.

Miele friulano di castagno

Miele di colore ambra chiaro se puro, con colorazioni scure quando è mescolato con la melata con un sapore amaro, persistente.

Territorio interessato alla produzione: Province di Pordenone e Udine

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodottoLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno.Il castagno condivide talora gli stessi habitat del tiglio e le due piante hanno fioritura pressoché contemporanea. La fioritura si svolge fra la prima decade di giugno e la prima decade di luglio. La abbondante presenza di castagno in alcune aree viene tradizionalmente sfruttata anche da numerosi apicoltori che operano il “nomadismo”.

Cenni storici e curiositàIl miele di castagno deve la sua tipicità al gusto particolare (amaro), allo stato fisico (liquido) e al colore (ambrato più o meno scuro). Poiché il miele non sempre è monoflorale (talora deriva oltre che dal nettare di castagno anche da quello di tiglio), lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto in assenza di tiglio si ottiene un miele amaro, scuro e liquido, mentre in presenza di tiglio si ottiene un miele più dolce e chiaro con tendenza alla cristallizzazione. Anche quando è mescolato con la melata perde in parte la sua connotazione amara assumendo un gusto più caramellato.Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione di miele di castagno della provincia di Udine, rappresentavano circa il 18% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).Da una ricerca relativa al 1998 risulta che nella sola provincia di Udine il miele di castagno-tiglio rappresenta circa il 23% della PLV relativa al miele (Celegon, 2000).

Miele friulano di tarassaco

Si presenta di colore giallo con riflessi ambrati. Ha un odore molto intenso e pungente.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine, Gorizia e Pordenone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione e di conservazione del prodottoLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di tarassaco gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. nutrizione stimolante, riunione di famiglie) per ottenere famiglie numerose a inizio primavera.
La fioritura utilizzata per la produzione di questo miele si svolge per tutto il mese di aprile e talvolta anche nella prima metà di maggio. Il maltempo (piogge persistenti, siccità) può incidere fortemente sulla produzione; questa fonte nettarifera non viene sfruttata da apicoltori che operano il “nomadismo”.

Cenni storici e curiosità
Il miele di tarassaco deve la sua tipicità al colore giallo crema, al gusto particolare (pungente e vegetale) e allo stato fisico (solido-cremoso) che lo rende facilmente spalmabile. I mieli di tarassaco in genere vengono raccolti prima dell’inizio della fioritura di Robinia pseudoacacia, per evitare che il loro aromatico nettare provochi il deprezzamento del miele di acacia. Lo standard qualitativo è abbastanza costante nelle diverse aree dove viene prodotto e nelle diverse annate, in quanto il tarassaco è la principale specie vegetale in fioritura nel periodo che presenta un buon potenziale nettarifero. Talvolta il miele di tarassaco può mescolarsi con quello di salice e di fruttiferi; in questi casi il miele si presenta meno pungente all’olfatto, più dolce e con un colore beige chiaro.Il miele di tarassaco viene prodotto per lunga tradizione da molti apicoltori della pianura friulana su appezzamenti destinati alla produzione agricola (Frilli et al., 1984). Il tarassaco (Taraxacum officinale) è una delle piante che in regione dà le maggiori quantità di miele “caratterizzato” (Simonetti et al., 1989).Dal censimento del 1981-82 era risultato che la produzione di miele di tarassaco della provincia di Udine rappresentava l’1,2% del totale della produzione dichiarata di miele (Frilli et al., 1984).

Miele friulano di rododendro

Area di produzioneIl miele friulano di rododendro si produce in un territorio ben circoscritto relativo alle aree montane vocate nelle province di Pordenone e Udine (Alpi e Prealpi Carniche e Giulie) ove, nella fascia subalpina, sono diffusi vasti arbusteti a rododendro o rodoreti (Rhododendron spp.). Le due specie di rododendro presenti sulle montagne friulane sono il rododendro ferrugineo o rosa delle Alpi (Rhododendron ferrugineum) su sostrati acidi (spesso associati ai mirtilli e all’ontano verde), ed il rododendro irsuto o rododendro peloso (Rhododendron hirsutum) su suoli carbonatici (spesso associati al cosiddetto rododendro nano o Rhodothamnus chamaecistus e al pino mugo. Sono interessati alla produzione di miele friulano di rododendro gli apicoltori delle province di Pordenone e Udine.

DescrizioneIl Miele Friulano di Rododendro deriva principalmente dal nettare di rododendro (Rhododendron spp.), ovvero di dododendro ferrugineo e rosa delle Alpi (Rhododendron ferrugineum) e di rododendro irsuto o rododendro peloso (Rhododendron hirsutum) che vegetano nella fascia subalpina delle Alpi friulane ad altitudini di norma comprese fra gli 800 e i 2000 metri.Le principali piante (alcune tipiche di praterie d’altitudine, di brughiere e di arbusteti alpini), le cui fioriture vengono utilizzate dalle api nell’area in esame, sono in ordine di fioritura: Rubus idaeus, Rhododendron hirsutum, Rhododendron ferrugineum, Satureja montanas.l., varie Umbelliferae (es. Carum carvi), Myosotis alpestris, Epilobium angustifolium, Cirsium eriophorum e varie altre (Simonetti et al., 1989).Il colore del miele allo stato liquido è da incolore a giallo chiaro/paglierino, mentre allo stato cristallizzato il colore varia dal bianco al beige chiaro). La cristallizzazione avviene spontaneamente in modo più o meno rapido, in quanto il nettare è ricco di saccarosio; si forma una massa compatta con cristalli sottili oppure pastosa con cristalli grossi. L’aroma è di debole intensità, delicato e leggermenre fruttato; il sapore è normalmente dolce, fine, poco persistente. Talora l’aroma e il sapore sono più intensi e ricchi per la presenza di altre componenti, quale il nettare di lampone che conferisce toni decisamente floreali e fruttati.Dal punto di vista melissopalinologico, nel Miele Friulano di Rododendro sono presenti principalmente pollini di Rhododendron (di norma polline iporappresentato), Rubus f., Lotus, Compositae forma T., Castanea, Trifolium repens gr., Papaver, Myosotis, Umbelliferae, Salix, Rumex, Plantago, Graminaceae, Campanula e vari altri (Grillenzoni et al., 2003). In particolare, l’origine botanica è caratterizzata principalmente dalla presenza di polline di Rhododendron, Umbelliferae, Trifolium repens gr., Salix, Rubus (lampone) e Myosotis (nontiscordardimè). Talora, per avverse condizioni meteorologiche durante l’estate (piogge frequenti, abbassamento prolungato delle temperature, estati calde e secche) che impediscono la raccolta prevalente del nettare di rododendro; il nettare prelevato in quota dà origine a mieli millefiori di alta montagna o milei millefiori con prevalenza di lampone (miele di lampone).Il miele friulano di rododendro viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite, per lo più da 250 g e più raramente da 500 g.

Il Miele Friulano di Rododendro deve la sua tipicità al gusto molto lieve, allo stato fisico (cristallizzato) e al colore molto chiaro. Il miele di rododendro in purezza monoflorale è piuttosto raro in tutto l’arco alpino italiano e non solo in Friuli Venezia Giulia. Invece, il miele di rododendro di norma deriva dal nettare di numerose piante montane associate al rododendro, e pertanto lo standard qualitativo non è costante nelle diverse aree ove viene prodotto, in quanto ciò dipende dalle caratteristiche vegetazionali delle differenti zone e dall’andamento meteorologico stagionale, che condizionano l’entità delle fioriture e la produzione di nettare delle diverse piante.Il Miele Friulano di Rododendro è molto apprezzato per le sue caratteristiche organolettiche e per il fatto che viene prodotto in zone incontaminate di alta montagna.Il Miele Friulano di Rododendro viene utilizzato per lo più come miele da tavola, spalmato su fette di pane o su fette biscottate oppure come dolcificante nelle tisane.

Allevamento e lavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del miele friulano di rododendro, gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose ed attuano il nomadismo, spostando le famiglie dalla pianura o dal fondo valle alle aree altomontane, in particolare in quelle con abbondanza di rodoreti e servite da strade o piste forestali facilmente agibili.Le fioriture utilizzate per la produzione di questo miele si svolgono di solito da metà giugno a fine luglio. L’andamento meteorologico stagionale (es. estate piovosa e fredda, oppure eccessivamente calda e secca) può incidere fortemente sulle produzioni.Dopo la fine del raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Sucecssivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciao inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate.Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere il miele friulano di rododendro si effettua una smelatura in epoca appropriata (es. primi di agosto).

Cenni storici e curiositàIl Miele Friulano di Rododendro è un tipico miele prodotto in tutte le regioni dell’arco alpino, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia; occasionali produzioni si osservano anche in limitate aree dell’Appennino settentrionale.Il Miele Friulano di Rododendro è prodotto per tradizione ultratrentennale da un limitato contingente di apicoltori (poco più di una decina) della regione che operano il nomadismo estivo in alta montagna.Dal censimento del 1981-82 sull’apicoltura nella provincia di Udine, era risultato che la produzione di miele di rododendro, pur esigua, rappresentava un prodotto caratteristico della montagna friulana (Frilli et al., 1984). Alcuni apicoltori che allora dichiararono la produzione di miele di rododendro gestivano apiari collocati in quota nei comuni di Forni Avoltri, Ravascletto, Sauris e Arta Terme.Successivamente, nei lavori di Simonetti e Barbattini (1987) e di Simonetti et al. (1989), il valore apistico delle principali piante nettarifere e pollinifere presenti nella fascia subalpina è stato ampiamente sottolineato.Le informazioni raccolte presso alcuni apicoltori regionali delle province di Udine e Pordenone con lunga esperienza, riferiscono la pratica del nomadismo in varie aree alpine della regione al fine di produrre miele di rododendro e comunque il ricercato miele millefiori di alta montagna. Sono considerate, fra le altre, come aree vocate a questa produzione quelle dei prati e pascoli di Malga Moraretto e Monte Fleons (Comune di Forni Avoltri), Malga Montute di Mezzo (Comune di Ligosullo), Malga Lodin alto e Malga Dimòn (Comune di Paularo), Malga Mediana e altre Malghe di Sauris (Comune di Sauris) (compresa l’area di Casera Razzo), malghe del Monte Crostis (Comuni di Comeglians e di Ravascletto), Monte Tenchia (Comune di Cercivento), Piani di Montasio (Comune di Chiusaforte), nonché Casera Valine (Monte Raut, Comune di Frisanco) e Casera Teglara (Monte Valcalda, Comune di Tramonti di Sotto).In un articolo del 2002 sui diversi mieli prodotti in Friuli Venezia Giulia, si fa esplicito riferimento al “Miele di rododendro” prodotto in Carnia nella zona di Paularo (Gazziola, 2002). Relativamente alla stessa area (Canale di Incarojo) è nota la produzione tradizionale di Miele di rododendro (Poggetti e Zandigiacomo, 2013).Un altro articolo sull’apicoltura e la flora apistica di montagna ricorda per il FVG il tipico Miele di rododendro (Greatti e Barbattini, 2008).Oltre alla documentazione precedente al 1991 relativa a questa produzione in regione, si è proceduto a raccogliere la dichiarazione (in forma di autocertificazione) di un apicoltore che afferma di avere prodotto questo particolare tipo di miele, sempre prima del 1991, nelle aree di Malga Ombladet di sotto e di malga Moraretto in comune di Forni Avoltri (UD): mauro D’Agaro, Martignacco (UD) (classe 1957).

Miele friulano di ailanto

Area diproduzione: Il Miele friulano di Ailanto si produce per lo più in varie aree della Pianura Friulana nelle provincie di Pordenone e Udine, ma anche nel Goriziano e nel Triestino, ove sono diffusi i popolamenti naturali più fitti di Ailanto o Albero del Paradiso (Ailanthus altissima). Sono interessati alla produzione di Miele friulano di Ailanto gli apicoltori delle province di Pordenone, Udine, e in parte quelle di Gorizia e Trieste. In alcune aree il nettare di Ailanto va a costituire, assieme a quello di altre piante locali (arboree ed erbacee), mieli millefiori.

DescrizioneII Miele monoflorale di Ailanto, deriva dal nettare della pianta arborea nota come Ailanto o Albero del Paradiso (Ailanthus altissima, famiglia Simaroubaceae).Le caratteristiche del miele sono di seguito riportate.Stato Fisico. Il Miele friulano di Ailanto si presenta liquido, ma con il tempo (alcuni mesi dopo la raccolta) tende a cristallizzare.Colore. Il colore è ambra quando il miele è liquido, e ambra chiaro quando cristallizza. Odore/Aroma. L’aroma, di media intensità, ricorda i funghi secchi e i frutti freschi. Sapore. Il sapore, relativamente marcato, talora persistente, ricorda l’uva moscata e il thè alla pesca. In bocca il miele è mediamente dolce.Dal punto di vista melissopalinologico nel Miele friulano di Ailanto sono presenti pollini di piante entomogame, quali Trifolium repens, Rubus, Amorpha, Robinia, Clematis, Parthenocissus, nonché pollini di piante anemogame, quali Papaver, Filipendula, Plantago, Actinidia. Non infrequente è la presenza di polline di Castanea sativa.Il Miele friulano di Ailanto viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite per lo più da 250 g e da 500 g.

Allevamento e LavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del Miele friulano di Ailanto gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose e attuano anche il nomadismo, spostando le famiglie in determinate aree di pianura, in particolare in quelle con abbondanza di popolamenti di Ailanto.La raccolta della Miele friulano di Ailanto per la produzione di questo miele si svolge di solito in giugno, dopo la fioritura dell’acacia (Robina pseudoacacia L.) e quasi contemporaneamente a quella dell’amorfa (Amorpha fruticosa L.) del tiglio (Tilia spp.). L’andamento meteorologico stagionale (es. estate piovosa, oppure eccessivamente calda e secca) può incidere fortemente sulle produzioni. Dopo la fine del raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Successivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciaio inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate. Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere il Miele friulano di Ailanto si effettua una smelatura in epoca appropriata a seconda delle località (es. ai primi di luglio).

Cenni storici e curiositàL’Ailanto è una pianta decidua, nativa dell’Asia orientale, importata come pianta ornamentale alla fine del ’700 in Europa. È naturalizzata in tutta Italia e in altri Paesi europei. È presente anche negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda.L’Ailanto è stato coltivato nell’800 (anche in Italia e in Friuli) per l’allevamento del lepidottero chiamato Bombice dell’Ailanto (Samya cynthia Drury), il cui bruco, prima di trasformarsi in crisalide, produce un grosso bozzolo da cui si può ricavare una particolare seta. Il primo imprenditore friulano a coltivare l’Ailanto e ad allevare il Bombice fu il cav. Guglielmo Ritter intorno al 1860 a Straccis,quartiere di Gorizia (Anonimo, 1861).I fiori dell’Ailanto, piccoli e giallo-verdastri, compaiono dopo le foglie e sono riuniti in grappoli pendenti. I fiori possono essere solo maschili, solo femminili o anche ermafroditi; spesso i fiori maschili e femminili sono presenti su individui diversi (piante dioiche).Il Miele monofloreale di Ailanto viene prodotto in molte regioni italiane (Mieli d’Italia, sd.), in quanto la pianta che fornisce il nettare risulta ampiamente diffusa nella Penisola ed è in forte aumento.Molti mieli di Ailanto sono stati premiati al Concorso nazionale “Grandi Mieli d’Italia – Tre Gocce d’Oro” che si svolge annualmente a Castel San Pietro Terme (BO). I campioni di miele vengono analizzati da laboratori specializzati e poi valutati dal punto di vista organolettico da giurie composte da esperti iscritti all’Albo nazionale degli assaggiatori.L’Ailanto è ampiamente diffuso in molte aree del Friuli e tende ancora a diffondersi e ad aumentare la sua densità, formando talora popolamenti assai densi.In un volume pubblicato nel 1982, l’Ailanto viene inserito fra gli alberi e gli arbusti del Carso (Mezzena, 1982).Secondo l’Atlante corologico delle piante vascolari del Friuli Venezia Giulia del 1991, Ailanthus altissima è diffuso in buona parte della pianura friulana (Alta e Bassa), sul Carso isontino e triestino, nell’area dell’anfiteatro morenico, e risale il fondovalle di alcune aste torrentizie delle Prealpi Carniche e Giulie (Poldini, 1991) fino a quote di 700-800 m. s.l.m.; in particolare è presente su 31 “aree di base” del reticolo considerato

Miele friulano di melata di abete

Area di produzione:Il Miele friulano di melata di abete si produce in un territorio ben definito relativo alle aree montane vocate nelle province di Pordenone e Udine (Alpi e Prealpi Carniche e Giulie) ove sono diffusi i popolamenti naturali e d’impianto di abete rosso o peccio (Picea abies) e di abete bianco (Abies alba).Sono interessati alla produzione di Miele friulano di melata di abete gli apicoltori delle province di Pordenone e soprattutto di Udine.

DescrizioneII Miele friulano di melata di abete deriva principalmente dalla melata prodotta da insetti fitomizi (per lo più afidi dei generi Cinara e cocciniglie del genere Physokermes), che si nutrono su abete rosso (Picea abies) e/o su abete bianco (Abies alba) (Battisti et al., 2013).Le caratteristiche del Miele friulano di melata di abete sono di seguito riportate:Stato fisico. Il Miele di melata è molto vischioso e resta a lungo liquido (solo raramente cristallizza).Colore. Il colore va da ambra scuro ad ambra molto scuro, talvolta con riflessi rossastri (quando deriva principalmente da melata raccolta su abete rosso) o verdastri (quando deriva principalmente da melata raccolta su abete bianco).Odore/Aroma. L’aroma, piuttosto deciso, è balsamico, resinoso, di affumicato, di camino spento, con toni di caramello e di dolce cotto.Sapore. Il sapore è piuttosto resinoso, di malto, talora leggermente amaro. In bocca il miele è poco dolce.Di norma il Miele friulano di melata di abete presenta un tenore di acqua ridotto (circa 15 g/100 g) rispetto ad altri mieli.Dal punto di vista melissopalinologico nel Miele friulano di melata di abete sono presenti pollini di piante entomogame, quali Rubus, Trifolium repens, Umbelliferae, Clematis e Tilia, nonché pollini di piante anemogame quali Papaver e Acer. Frequente o molto frequente è anche il polline di Castanea sativa. Contiene anche elementi tipici di melata (es. ife e spore fungine, talora lieviti). Il rapporto fra gli indicatori di melata (IM) e i pollini di piante nettarifere (P) è maggiore di 3.Il Miele friulano di melata di abete viene confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite per lo più da 250 g e da 500 g.

Allevamento e lavorazioneLe famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno, soprattutto del tipo Dadant-Blatt a 10 telaini. In vista della raccolta del Miele di melata di abete gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura, nutrizione stimolante) per mantenere le famiglie numerose e attuano anche il nomadismo, spostando le famiglie dalla pianura o dal fondo valle alle aree montane, in particolare in quelle con abbondanza di abeti e servite da strade o piste forestali facilmente agibili.La raccolta della melata di abete per la produzione di questo miele si svolge di solito da metà giugno a metà luglio per quanto riguarda la melata di abete rosso, da metà luglio a metà agosto per quanto riguarda la melata di abete bianco. L’andamento meteorologico stagionale (es. estate piovosa e fredda, oppure eccessivamente calda e secca) può incidere fortemente sulle produzioni.Dopo la fine del raccolto, quando i favi sono stati opercolati, i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio (sala di smelatura). Successivamente, si procede alla disopercolatura dei favi e alla smelatura tramite centrifugazione. Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciaio inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate.Nel corso dell’anno, pertanto, per ottenere il Miele friulano di melata di abete si effettua una smelatura in epoca appropriata a seconda delle località (es. entro fine luglio per quanto riguarda la melata di abete rosso). La raccolta della melata di abete bianco, che avviene da metà luglio a metà agosto, spesso non dà luogo alla produzione del relativo miele, poiché molti apicoltori hanno già tolto i melari dalle arnie per iniziare i necessari trattamenti contro la Varroa.

Cenni storici e curiositàIl Miele di melata di abete è un tipico miele di melata prodotto in tutte le regioni dell’Arco alpino dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia, e dell’Appennino settentrionale, sporadicamente viene prodotto anche in alcune aree delle regioni centro-meridionali della Penisola (Mieli d’Italia, s.d.)Le due conifere forestali (abete rosso e abete bianco) su cui le api raccolgono la melata prodotta da insetti fitomizi sono molto diffuse nel territorio montano del Friuli Venezia Giulia (Figg. 3 e 4). La prima tende a formare popolamenti puri nelle aree più interne, anche tendenzialmente aride, e alle quote più elevate, mentre la seconda (mescolandosi con il faggio e l’abete rosso), prevale generalmente nelle zone più fresche e umide a elevata fertilità stazionale (Perini, 2002).

Succo di mela

Bevanda analcolica più o meno dolce a seconda della varietà usata; ricca di profumi e sapore intenso e persistente.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa materia prima viene macinata e pressata; dopo la decantazione necessaria, il prodotto viene filtrato e stabilizzato alla giusta temperatura in bottiglie di vetro.

Cenni storici e curiositàIl succo di mele è sempre stato un prodotto tipico di queste zone. Per quanto concerne le metodiche trattasi di una semplice lavorazione per trasformare la materia prima in succo, senza aggiunta di zuccheri e quant’altro, si può senza alcun dubbio affermare che i procedimenti della lavorazione nelle diverse fasi sono gli stessi che venivano effettuati dai nostri nonni. Questi succhi vogliono tramandare al futuro le antiche tradizioni locali supportate da un ottimo prodotto che trasmette le fragranze e i profumi che i nostri frutteti sanno dare.

Sciroppo di Olivello Spinoso

Bevanda di consistenza sciropposa, detta anche Scirop di pomulis di gleria.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura1. Schiacciare le bacche di olivello ben mature (devono essere quasi nere) e lasciare macerare per 4/5 giorni.2. Strizzarle in una pezza e filtrare il succo ottenuto.3. Mettere il succo in una pentola e aggiungere un chilogrammo di zucchero per ogni litro di liquido.4. Far bollire a fuoco lento fino ad ottenere uno sciroppo di liquido denso, prestando cura, nella fase di bollitura, che il liquido non aderisca al fondo della pentola.5. Lasciare raffreddare e imbottigliare.

Cenni storici e curiositàDa sempre le popolazioni di montagna hanno raccolto, trasformato e conservato le piante spontanee raccolte da maggio ad ottobre, per ottenere prodotti idonei al consumo e all’integrazione alimentare durante le lunghe stagioni invernali.Questo sciroppo, ricchissimo di vitamina C, può essere diluito in acqua fresca, ottenendo un ottimo e salutare rimedio contro la sete.

Sciroppo di piccoli frutti

Bevanda di consistenza sciropposa, prodotta con lamponi, ribes nero, ribes rosso o mirtilli.

Territorio interessato alla produzione: Viene prodotto nell fascia collinare e montana della regione.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura1. Pulitura dei piccoli frutti/bacche.2. Schiacciatura e macerazione.3. Spremitura con torchio per ricavare il succo.4. Filtrazione del succo.5. Bollitura del succo con lo zucchero.6. Imbottigliamento del succo in bottiglie di vetro.

Cenni storici e curiositàDa sempre le popolazioni di montagna hanno raccolto, trasformato e conservato (ora sempre con meno frequenza) i frutti spontanei per ottenere prodotti idonei all’integrazione alimentare durante le lunghe stagioni invernali.

Sciroppo di Tarassaco

Bevanda di consistenza sciropposa, per la densità si può avvicinare a quella del miele, chiamata anche Sirop di tala.

Territorio interessato alla produzione: Area della Carnia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura1. Pulitura dei fiori.2. Bollitura dei fiori con il limone.3. Filtrazione.4. Bollitura con lo zucchero.5. Imbottigliamento a caldo.

Cenni storici e curiositàDa sempre le popolazioni di montagna hanno raccolto, trasformato e conservato le piante spontanee raccolte da maggio ad ottobre, per ottenere prodotti idonei al consumo e all’integrazione alimentare durante le lunghe stagioni invernali.

Jota

Area di ProduzioneUn tempo era un piatto tipico di tutto il Friuli Venezia Giulia e dell’Istria. Al giorno d’oggi si prepara ancora in Carnia, a Gorizia e nell’Isontino ma soprattutto a Trieste e nei comuni limitrofi.

DescrizioneRicetta classica con particolare riguardo alla Jota triestina.La Jota è una minestra di fagioli, crauti e patate, di prevalente utilizzo invernale, al giorno d’oggi tipica soprattutto della cucina triestina, della quale costituisce un vero e proprio emblema, ma presente in modo significativo anche nella tradizione culinaria carsolina, goriziana e giuliana in generale, talora con delle varianti locali. Pure nella cucina friulana e carnica in particolare esistono delle varietà di minestra invernale a base di fagioli, patate e prodotti vegetali acidificati storicamente denominate jota, ma sono preparazioni alquanto diverse, nelle quali i crauti sono spesso sostituiti dalle rape acide.

PreparazioneSi ritiene utile premettere che, al giorno d’oggi, pur essendo divenuta l’emblema di una grande città, si tratta pur sempre di una minestra tipica della cultura rurale, originalmente preparata utilizzando i prodotti dell’orto di casa e prodotti conservati di facile reperibilità, come i crauti, per cui veniva e viene tutt’ora consumata sia come primo piatto che, in dosi maggiori, come piatto unico e nelle cucine domestiche viene spesso preparata e conservata per più di un pasto.Essendo un piatto popolare di ampia diffusione, trasmesso da generazione in generazione, ogni ricetta presente in letteratura presenta piccole varianti di dettaglio nelle dosi degli ingredienti principali o nella presenza o meno di alcuni arricchimenti accessori, per cui in questa sede si ritiene di proporre una ricetta di base per quanto possibile “mediata” tra le tante disponibili.Ingredienti (dosi per 4 persone): 500 g di crauti (foglie di cavolo cappuccio sottoposte a fermentazione lattica naturale, secondo consolidate metodologie tradizionali, preparazione conosciuta a Trieste anche come “cappucci garbi”); 200 g di fagioli borlotti; 4 patate; 2 foglie di alloro; cumino; 4 spicchi di aglio; sale; pepe; olio, farina.La sera prima o comunque con molte ore di anticipo rispetto al momento della preparazione si mettono i fagioli a bagno in acqua fredda.In una pentola si scalda l’olio e si fanno rosolare 2 spicchi d’aglio schiacciati, fino a portarli a doratura. Si elimina quindi l’aglio e si aggiungono i crauti, coprendoli a raso con acqua e aggiungendovi un pizzico di cumino, sale e pepe.In un’altra pentola si cucinano i fagioli, lavati e scolati, con brodo vegetale e 2 foglie di alloro, facendo consumare l’acqua a fuoco lento per circa 1 ora e 15 minuti.Dopo averle tagliate a pezzetti, si aggiungono le patate al brodo e ai fagioli e si prosegue la cottura per ulteriori 15 minuti.Si tolgono dal fuoco i fagioli e le patate che vengono quindi passati fino ad ottenere una purea omogenea (in alcune varianti patte dei fagioli e delle patate non viene passata).Si aggiunge la purea così ottenuta (o la purea e i rimanenti fagioli e patate non passati) ai crauti preparati in precedenza secondo le modalità sopra descritte.A patte, in un piccolo pentolino, si soffriggono con 1 – 2 cucchiai di olio i restanti due spicchi d’aglio schiacciati, i quali vengono poi eliminati una volta dorati.Quindi si stempera nell’olio la farina, stando attenti che non si formino grumi. A tostatura avvenuta si aggiunge la farina alla minestra che, dopo l’aggiunta di sale e pepe, viene servita calda, eventualmente accompagnata da crostini di pane.

Cenni storici e curiositàMaria Stelvio “Cucina Triestina”, IX Edizione, Editore Stabilimento Tipografico Nazionale Trieste, Settembre 1962 (Prima Edizione 1927), pag. 69 – ricetta 162 “.Tota””La Cucina Tipica Triestina”, a cura di Mario Moffa e Giuliana Fabricio Dei Rossi, Accademia italiana della cucina – Delegazione di Trieste, edizioni LINT, Trieste, 1983, pag. 47. In questa pubblicazione viene rimarcato che la “.Tota” – Minestra di fagioli, patate e crauti, può essere considerata la più nota espressione della cucina tipica triestina, nonostante compaia nelle cucine istriana e carnica, con variazioni a volte notevoli e che sulla sua origine si discute da sempre. Comunque la jota classica, così come indicata nella ricetta a pag. 47, è squisitamente triestina.Vesna Gustin Grilanc “Xe più giorni che luganighe”, Edizioni Della Laguna, 1998, pag. 62. Questa pubblicazione, la cui ricerca storica territoriale ha previsto anche interviste alle persone più anziane originarie della zona, è dedicata ai cibi di antica tradizione, sia quelli consumati nei giorni di lavoro, che quelli più elaborati delle domeniche e delle altre festività, il tutto collegato alle tradizioni popolari e ai costumi dei tanti paesi del Carso che storicamente e tuttora (anche se alcuni di questi paesi attualmente si trovano in Slovenia) gravitano sulla città di Trieste e in questo ambito la ricetta della “.Tota” viene proposta nella sua preparazione più “classica” con fagioli, patate e crauti, senza aggiunte patticolari, precisando però che esiste anche una variante con le rape acide.”La cucina mitteleuropea a Gorizia”, a cura di Anna Laura Russian e Roberto Zottar, Accademia Italiana della Cucina – Delegazione di Gorizia, Società Filologica Friulana, anno 2012, pag. 69 “.Tota”. Viene qui sottolineato che si tratta di una minestra di origine antica, preparata e consumata a Gorizia, ma presente anche nelle cucine istriane, triestine e carniche con variazioni a volte notevoli negli ingredienti, ad esempio con la “repa” (rape acide) al posto dei crauti o con aggiunta di orzo.”Dizionario delle Cucine Regionali Italiane”, a cura di Paola Gho, Slow Food Editore, anno 2008, pag. 338. La “.Tota” viene indicata come minestra triestina che unisce ingredienti di tipico sapore giuliano, alla cui ricetta la città e profondamente legata, pur ricordando che esistono varianti carsoline, con l’orzo ed isontine, con la “brovada”(rape acide macerate nella vinaccia).Enos Costantini (201O)” .Tota: quando la parola si fa minestra”. Tiere furlane n° 5, pag. 67-72.

Rapa di Verzegnis

Termini dialettali: Gnau, Raf.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Verzegnis (UD)

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa radice si consuma fresca, in minestre o viene impiegata nella preparazione della brovada. Il processo di trasformazione ricalca quanto previsto per la brovada. Si utilizzano:

rape;
most;
acqua, da pozzo o di acquedotto, purché con basso contenuto in cloro.


Cenni storici e curiositàLa coltivazione della rapa (nome locale gnau) è testimoniata in diverse pubblicazioni locali di cui le più importanti: “La me Cjargna” di A.Ciceri editore Società Filologica Friulana, Udine 1985 e “Gnaus, identità di un paese chiamato Verzegnis” a cura del Comune di Verzegnis, editrice CO.EL, 2003, che riprende una ricerca eseguita dai ragazzi delle scuole elementari di Verzegnis negli anni scolastici 1980-1981.A testimonianza dell’importanza della coltivazione il soprannome degli abitanti di Verzegnis è appunto “Gnaus”, rape.

Pesca isontina

La pesca isontina deve la sua tradizionalità alla elevata diffusione, in particolare nell’Isontino, nel periodo compreso fra le due guerre.

Territorio interessato alla produzione: Provincie di Udine e Gorizia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione in campo (si può fare anche in locali aziendali) che consiste in una leggera toelettatura e nella disposizione del prodotto in cassette provviste di contenitori alveolari. Il prodotto così confezionato va direttamente sul mercato. Data la media resistenza alle manipolazioni da parte dei frutti si preferisce manipolare il prodotto direttamente in campo dopo la raccolta (incassettatura e minima toelettatura).

Cenni storici e curiositàLa pesca Isontina deve la sua tradizionalità alla elevata diffusione, in particolare nell’Isontino, nel periodo compreso fra le due guerre. Questa e altre cultivar di pesco (denominate in modo collettivo “varietà isontine”) hanno svolto un ruolo determinante nello sviluppo dell’agricoltura nelle aree vocate alla peschicoltura della pianura friulana (Zandigiacomo, 2000).Questa varietà di pesco è coltivata da molti decenni in varie zone del Friuli-Venezia Giulia, anche se nel corso degli ultimi anni la coltivazione ha subito una forte riduzione dovuta principalmente alla diffusione di nuove varietà.Viene tuttora coltivata per diverse caratteristiche positive, quali: costanza di produzione, polpa soda, gialla, fine e spicca, caratteristiche estetiche (frutti grossi, buccia gialla estesamente soffusa di rosso) e organolettiche buone (polpa aromatica).Questa varietà di pesco è stata costituita nel 1931 nell’Isontino dal cav. Pietro Martinis (1902-1969) con incrocio (J.H. Hale x Trionfo) (Fideghelli et al., 1986; Zandigiacomo, 2000). Dopo la selezione questa varietà venne diffusa nel 1937 (Fideghelli et al., 1986). Ebbe subito, al pari di altre varietà di pesco costituite sempre dallo stesso Martinis (es. cv Triestina, Julia, Pisana, Iris Rosso, Fior di Monaco, Flavia, S. Lucia), un buon successo in regione, in quanto ben adattata alle condizioni pedo-climatiche locali (Zandigiacomo, 2000), ma anche nel Napoletano (Piazza, com. pers).

Pierçolade

Il termine Pierçolade appare il più utilizzato nel Friuli centrale, es. Martignacco, Basiliano, Udine, Faedis e Moruzzo.

Territorio interessato alla produzione: La produzione e il consumo della Pierçolade/Piarsolada/Persegada è tipica delle aree tradizionali di produzione delle pesche, ovvero nella Bassa pianura friulana (aree di Fiumicello e di Latisana) e nell’Isontino (Cormonese e Gradese). La produzione e il consumo della Pierçolade/Piarsolada/Persegada avviene frequentemente anche in altre aree regionali, quali l’Alta pianura e l’area morenica. Sono interessate alla produzione della Pierçolade/Piarsolada/Persegada le province di Udine, Pordenone, Gorizia e Trieste.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa metodica di preparazione del prodotto è molto semplice: si utilizzano pesche o nettarine mature che vanno sbucciate e poi tagliate a piccoli pezzi; a questi si aggiungono zucchero (qualora non fossero troppo dolci o a piacere), succo di limone (il limone viene aggiunto per evitare che le pesche divengano scure), e vino (di norma vino bianco per le pesche a pasta gialla, vino rosso per le pesche a pasta bianca) fino a coprire completamente i pezzi di frutta. Dopo aver mescolato più volte con un cucchiaio di acciaio o un mestolo di legno, il tutto viene lasciato riposare per alcune ore (di solito non meno di 3 ore), possibilmente in frigorifero, e servito fresco. Alcune varianti prevedono l’aggiunta di grappa friulana o di un altro liquore, oppure di chiodi di garofano.

Cenni storici e curiositàA detta di persone che da molti decenni conoscono e/o producono la Pierçolade/Piarsolada/Persegada, la nascita e/o comunque l’ampia diffusione di questo alimento deve datarsi nella prima metà del secolo scorso, quando furono costituiti i primi pescheti specializzati. Poiché non erano diffuse le celle frigorifere per conservare le pesche, quelle giunte a maturità (e quindi difficilmente commerciabili tal quali), eventualmente con qualche difetto estetico, venivano utilizzate con il vino per realizzare la Pierçolade/Piarsolada/Persegada. Ciò sarebbe comprovato dal fatto che il termine “Pierçolade” non è noto ai tradizionali vocabolari friulani (“Pirona” e “Nuovo Pirona”).

Patatis cojonariis

I tuberi sono di piccole dimensioni con buccia sottile; utilizzati per la cottura di norma interi senza sbucciatura, si caratterizzano per il leggero sapore di nocciola.

Territorio interessato alla produzione: Province di Udine, Pordenone e Gorizia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe Patatis Cojonariis vengono coltivate per lo più in orti familiari, in piccoli o piccolissimi appezzamenti. Si avvantaggiano dei terreni di medio impasto, freschi, a pH sub acido, che non subiscono l’aridità estiva.
La tecnica colturale tradizionale prevede le seguenti operazioni effettuate con attrezzi manuali: concimazione organica e/o minerale, preparazione del terreno di semina, piantagione, leggera rincalzatura, zappettatura (contro le malerbe), concimazione di copertura, eventuale irrigazione di soccorso, eventuali trattamenti antiparassitari, raccolta.

Cenni storici e curiositàLa coltivazione delle Patatis cojonariis in molte località della regione risale a tempi remoti. Moltissime persone anziane si ricordano tuttora perfettamente questa particolare varietà di patata (già ampiamente coltivata a livello familiare fra le due guerre), per le non comuni qualità organolettiche, associandola per lo più allo spezzettino.I pochi produttori-agricoltori che ancora coltivano questa varietà locale, scarsamente produttiva dal punto di vista quantitativo, dichiarano di voler proseguire con questa tradizionale coltura per le caratteristiche qualitative non comuni dei tuberi e per le richieste di un non trascurabile numero di appassionati.Negli anni immediatamente successivi al 1980, nell’ambito di iniziative coordinate dalla Provincia di Udine per lo sviluppo della montagna (es. incentivazione della coltivazione di piccoli frutti e di ortaggi), questa varietà fu coltivata con successo nella Piana di Cavazzo Carnico (UD) e negli orti familiari di Forni di Sopra (UD) (Costantini, com. pers.).L’origine di questa varietà di patata non è nota con sicurezza. Affinità notevoli si possono riscontrare con la varietà di patata piemontese denominata con vari nomi, quali “Patata del bur”, “Patata del bec” (in quanto allungata e ricurva), “Trifulot del bür” o “Ratin” (questa varietà di patata è già stata inserita fra i prodotti agroalimentari tradizionali della regione Piemonte).

Pesca iris rosso

Varietà di pesco caratterizzata da costanza di produzione, polpa soda, bianca, frutti medio-grossi, con buccia soffusa di rosso.

Territorio interessato alla produzione: Province di Udine e di Gorizia

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione in campo (si può fare anche in locali aziendali) che consiste in una leggera toelettatura e nella disposizione del prodotto in cassette provviste di contenitori alveolari. Il prodotto così confezionato va direttamente sul mercato. Data la media resistenza alle manipolazioni da parte dei frutti si preferisce manipolare il prodotto direttamente in campo dopo la raccolta (incassettatura e minima toelettatura).

Cenni storici e curiositàLa pesca Iris rosso deve la sua tradizionalità alla elevata diffusione, in particolare nell’Isontino, nel secondo dopoguerra; la varietà venne costituita e selezionata in loco dal cav. Pietro Martinis (1902 – 1969) che la diffuse nel 1950. Questa e altre cultivar di pesco costituite dal Martinis (denominate in modo collettivo “varietà isontine”) hanno svolto un ruolo determinante nello sviluppo della peschicoltura nelle aree vocate della pianura friulana (Zandigiacomo, 2000).

Fagiolo Militons

Varietà locale tra le più produttive, adatta per granella verde e secca, di buone caratteristiche culinarie.

Territorio interessato alla produzione: Le vallate più interne della Carnia, in provincia di Udine; in particolare nell’Alta Val Tagliamento e più precisamente nel comune di Forni di Sopra (UD).

Cenni storici e curiositàNel 1924/25 Gortani nella “Guida della Carnia e del Canal del Ferro” riporta una produzione di 6541 quintali di fagiolo per l’intera Carnia. Nel “Catasto Agrario 1929-VIII – Compartimento del Veneto. Provincia del Friuli (Udine), Fascicolo 36”, primo censimento dell’agricoltura friulana pubblicato nel 1936, sono menzionate le superfici e le produzioni per la coltura del fagiolo in comune di Forni di Sopra, pari nel 1928 rispettivamente a 64 ha in superficie ripetuta, ovvero consociati a mais o a patata, per una produzione di 221 quintali.In assenza di fonti scritte riferite specificatamente ai fagioli Militons, sono state raccolte testimonianze da quattro persone di sesso femminile nate tra il 1921 ed il 1925 in comune di Forni di Sopra, dalle quali emerge che questo tipo di fagiolo era coltivato da oltre 50 anni. Le stesse testimoni concordano nell’affermare che i fagioli Militons erano coltivati a Forni fin da quando loro stesse erano bambine e che solo in un secondo tempo si è tentato, peraltro con scarso successo, di introdurre i tipi Borlotto.

Fagiolo Laurons

Borlottino di piccole dimensioni, si adatta alla produzione di granella fresca e secca.

Territorio interessato alla produzione: Le vallate interne della Carnia, in provincia di Udine. In particolare: Val Pesarina (comune di Prato Carnico e frazioni).

Cenni storici e curiositàNel 1924/25 Gortani nella “Guida della Carnia e del Canal del Ferro” riporta una produzione di 6541 quintali di fagiolo per l’intera Carnia. Nel “Catasto Agrario 1929-VIII – Compartimento del Veneto. Provincia del Friuli (Udine), Fascicolo 36”, primo censimento dell’agricoltura friulana pubblicato nel 1936, sono menzionate le superfici e le produzioni per la coltura del fagiolo in comune di Prato Carnico, pari nel 1928 rispettivamente a 42 ha in consociazione con mais o patata, per una produzione di 130 quintali.In assenza di fonti scritte riferite specificatamente ai fagioli Laurons, sono state raccolte testimonianze da sei persone di sesso femminile nate tra il 1920 ed il 1935 e residenti nel comune di Prato Carnico (frazioni di Pradumbli, Pesariis, Prato, Osais). Le testimonianze concordano nell’affermare che i fagioli Laurons erano coltivati a Prato da oltre 50 anni e che solo in un secondo tempo si sono introdotti i Borlotti veri e propri.

Fagiolo rampicante Fiorina

Termine dialettale: Rah Fiorina

Territorio interessato alla produzione: Comune di Lusevera (UD)

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl fagiolo si coltiva seguendo le normali pratiche agronomiche adottate per la specie. Si predilige il metodo di produzione biologico anche se non in forma esclusiva. Si semina a partire da inizio maggio e si raccoglie fra fine agosto (invaiatura) e settembre (granella secca). Si coltiva su appezzamenti di limitate dimensioni pertanto gran parte delle operazioni colturali sono svolte manualmente o tuttalpiù con l’ausilio di motocoltivatori. La raccolta e la sgusciatura si effettuano manualmente.

Fagiolo Cesarins

Piccolo fagiolo rotondo e di colore uniforme verde-giallastro chiaro, ricorda nell’aspetto il pisello ed è particolarmente indicato per la produzione di granella secca.

Territorio interessato alla produzione: Vallate interne della Carnia, in provincia di Udine. In particolare: Val Pesarina, alta Val Tagliamento e conca di Illegio in comune di Tolmezzo.

Cenni storici e curiosità
Nel 1924/25 Gortani nella “Guida della Carnia e del Canal del Ferro” riporta una produzione di 6541 quintali di fagiolo per l’intera Carnia. Nel “Catasto Agrario 1929-VIII – Compartimento del Veneto. Provincia del Friuli (Udine), Fascicolo 36”, primo censimento dell’agricoltura friulana pubblicato nel 1936, sono menzionate le superfici e le produzioni per la coltura del fagiolo in comune di Ampezzo, pari nel 1928 rispettivamente a 71 ha in coltura promiscua, ossia consociati a mais o a patata, per una produzione di 327 quintali.Da alcune testimonianze raccolte nei paesi di coltivazione della varietà, risulta che i “Cesarins” vengono coltivati da oltre 50 anni nelle valli e nei paesi della Carnia. In particolare una persona nata nel 1932, abitante di Voltois in comune di Ampezzo, asserisce di ricordare sin da quando era bambina che questa varietà veniva coltivata dalla nonna e dalla madre in consociazione con il mais.

Fagiolo dal Voglut, Plombin

Il fagiolo, caratterizzato da ilo scuro, si adatta sia alla produzione di granella verde che secca.

Territorio interessato alla produzione: Le vallate interne della Carnia, in provincia di Udine. In particolare: la valle del But e la Val Pesarina.

Cenni storici e curiosità
Nel 1924/25 Gortani nella “Guida della Carnia e del Canal del Ferro” riporta una produzione di 6541 quintali di fagiolo per l’intera Carnia. Nel “Catasto Agrario 1929-VIII – Compartimento del Veneto. Provincia del Friuli (Udine), Fascicolo 36”, primo censimento dell’agricoltura friulana pubblicato nel 1936, sono menzionate le superfici e le produzioni per la coltura del fagiolo in comune di Prato Carnico, pari nel 1928 rispettivamente a 42 ha in superficie ripetuta, ovvero consociati a mais o a patata, per una produzione di 130 quintali.In assenza di fonti scritte riferite specificatamente alla varietà di fagioli Dal Voglut, sono state raccolte testimonianze da otto persone di sesso femminile, nate tra il 1920 ed il 1935 e residenti nei comuni di Prato Carnico (frazioni di Pradumbli, Pesariis, Prato e Osais) e Arta Terme (frazione di Piano d’Arta). Dalle testimonianze raccolte in comune di Prato Carnico e di Arta risulta che i “Dal Voglut / Plombins” vengono coltivati da oltre 50 anni. Le persone residenti ad Arta concordano nel riferire che i “Plombins” venivano coltivati lì da prima della II guerra mondiale e che successivamente sono stati in parte sostituiti da tipologie di Borlotto nei primi anni del dopoguerra.

Fagiolo “Dal Santisim”, Da l’Aquile, Tricolore di Cavazzo

Antico fagiolo non molto produttivo, caratterizzato da semi portanti una caratteristica macchia in corrispondenza dell’ilo, presenta ottime caratteristiche nutrizionali e di utilizzazione, rendendosi valido sia per la produzione di granella fresca che secca.

Territorio interessato alla produzione: Le vallate della Carnia in provincia di Udine; in particolare la Valle del But e più precisamente i Comuni di Arta Terme, Tolmezzo e Cavazzo Carnico.

Cenni storici e curiosità
Nel 1871 nel volumetto di Angelo Arboit “Memorie della Carnia” (Ristampa anastatica di Arnaldo Forni Editore), al capitolo “XXXX. A Socchieve” sono citate come pregiate le produzioni di fagiolo della Carnia: “la Carnia dà delle noci e dei fagiuoli meritatamente famosi: onde accade spesso che si vendano pressocchè il doppio di quelli di altri paesi. Noto queste specialità affinchè, conoscendole, a un bisogno possano le mie lettrici farne scorta”. Nel 1924/25 Gortani nella “Guida della Carnia e del Canal del Ferro” riporta una produzione per l’intera Carnia di 6541 quintali di fagiolo, che costituiva la terza coltura per importanza dopo granoturco e patata. I fagioli erano seguiti, ma a grande distanza, da frumento, orzo, segale, avena, grano saraceno, quindi rape, cavoli, cappucci, verze, piselli, zucche.In assenza di fonti scritte riferite specificatamente ai fagioli “Dal Santisim”, sono state raccolte testimonianze da quattro persone di sesso femminile, nate tra il 1917 ed il 1930 e residenti a Piano d’Arta. Da esse si evince che questoi fagiolo era coltivato in comune di Arta Terme da prima della seconda guerra mondiale, per essere quasi completamente sostituito da diversi tipi di borlotto nel dopoguerra.

Fagiolo borlotto di Pesariis

Varietà locale rampicante di buona produttività ed ottime caratteristiche culinarie, adatta per produzioni di granella fresca e secca.

Territorio interessato alla produzione: Alcune vallate della Carnia in provincia di Udine, in particolare nella frazione di Pesariis in comune di Prato Carnico nell’alta Val Pesarina.

Cenni storici e curiosità
Nel 1924/25 Gortani nella “Guida della Carnia e del Canal del Ferro” riporta una produzione di 6541 quintali di fagiolo per l’intera Carnia. Nel “Catasto Agrario 1929-VIII – Compartimento del Veneto. Provincia del Friuli (Udine), Fascicolo 36”, primo censimento dell’agricoltura friulana pubblicato nel 1936, sono menzionate le superfici e le produzioni per la coltura del fagiolo in comune di Prato Carnico, pari nel 1928 rispettivamente a 42 ha in superficie ripetuta (consociati a mais o alla patata, per una produzione media di 130 quintali. In assenza di fonti scritte riferite alla varietà in esame, sono state raccolte testimonianze orali nel comune di Prato Carnico ed in altri comuni della Carnia (UD). Da esse risulta che la varietà locale Borlotto di Pesariis è coltivata certamente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale in Val Pesarina ed anche in altre valli della Carnia. La varietà Borlotto di Pesariis è stata coltivata secondo tecniche tradizionali, senza impiego di fertilizzanti e fitofarmaci di sintesi e mantenuta mediante selezione massale conservativa praticata annualmente. Testimonianze recentemente rese da sette persone residenti in Comune di Prato Carnico, nate tra il 1920 ed il 1935.

Castagna Obiacco

Castagna tardiva di grossa pezzatura, è caratterizzata da un colore rossiccio percorso da striature scure e risulta indicata per il consumo fresco o la produzione di marmellate.

Territorio interessato alla produzione: La castagna Obiacco è diffusa nelle Valli del Natisone (UD), ad un’altitudine variabile tra 300 e 500 metri sul livello del mare. La produzione, è concentrata, in particolare, nei comuni di Pulfero, Savogna, San Leonardo e San Pietro al Natisone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione sommaria che consiste nella cernita, asciugatura e nella disposizione del prodotto in cassette.

Cenni storici e curiosità
La varietà è indigena delle Valli del Natisone (UD), ove il castagno – come in altre zone caratterizzate da terreni acidi delle Alpi – costituiva un importante apporto amilaceo alla dieta delle popolazioni locali. Le imponenti dimensioni di molti alberi testimoniano la loro età avanzata, sicuramente ultracentenaria. La tecnica colturale è immutata, rispetto al passato, e fa affidamento a piante sparse, allevate in forme libere ai bordi del bosco e nei prati.

Ciliegia Duracina di Tarcento, Duracina di Tarcento, Tarcentina, Tarčinka, Tarčentka, Tarcentuka

Ciliegia medio-piccola dalla colorazione rosso scuro caratterizzata da ottime caratteristiche qualitative e costante ed elevata produttività.

Territorio interessato alla produzione: Zona collinare della provincia di Udine, in particolare il comprensorio di Tarcento e le Valli del Torre.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione sommaria che consiste nella cernita e nella disposizione del prodotto in cassette.

Cenni storici e curiosità
La ciliegia Duracina di Tarcento gode da tempo di una vasta e riconosciuta fama. De Polo (1886) testimonia che “sulle colline di Tarcento e di Partistagno (Attimis)” si coltiva “con molto profitto” il ciliegio, per lo più della varietà Duracina di Tarcento: la produzione veniva esportata anche in Austria, Russia, Baviera e Sassonia. La tecnica colturale è immutata, rispetto al passato, e fa affidamento a piante sparse, allevate in forme libere o a vaso, senza fare ricorso, generalmente, a trattamenti antiparassitari.

Castagna Canalutta

Castagna tardiva di piccola pezzatura dalle pregevoli caratteristiche organolettiche e dall’ottima conservabilità.

Territorio interessato alla produzione: Fascia prealpina orientale della provincia di Udine, Valli del Natisone (in particolare, i comuni di Torreano, Pulfero, Savogna, San Leonardo e San Pietro al Natisone).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La raccolta viene effettuata manualmente con l’uso di ceste e/o secchi e con una lavorazione sommaria che consiste nella cernita e nella disposizione del prodotto in cassette. I materiali, le attrezzature e i locali utilizzati per la produzione sono di norma quelli che si usano tuttora in zona per la normale coltivazione del castagno e cioè: ceste per la raccolta, cassette di varia misura per il prodotto lavorato, eventuale locale per la lavorazione e toelettatura, locale per la vendita.

Cenni storici e curiosità
La varietà è indigena, come attesta il nome, della località di Canalutto, sita in comune di Torreano (UD), ove il castagno – come in altre zone caratterizzate da terreni acidi delle Alpi – costituiva un importante apporto amilaceo alla dieta delle popolazioni locali. Le imponenti dimensioni di molti alberi testimoniano la loro età avanzata, sicuramente ultracentenaria. La tecnica colturale è immutata, rispetto al passato, e fa affidamento a piante sparse, allevate in forme libere ai bordi del bosco e nei prati.

Cavolo broccolo (di castelnovo del friuli, di orzano, di muez di remugnano)

Brassicacea a ciclo biennale largamente coltivata nella nostra regione fin dall’800.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Castelnovo del Friuli e Comuni limitrofi della Val Cosa; Comune di Orzano, località Remanzacco; Comune di Reana del Rojale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
La tecnica di coltivazione è riconducibile a quella solitamente adottata per le brassicacee a ciclo autunno- vernino. La raccolta è effettuata manualmente, con l’ausilio di semplici attrezzature, prelevando dalla pianta le foglie più tenere non ancora soggette a lignificazione e il germoglio apicale. Il prodotto si consuma a breve distanza dalla raccolta, previa lessatura ed è dotato di marcate proprietà medicamentose e rinfrescanti per l’apparato digerente.

Cenni storici e curiosità
Testimonianze locali attestano che il Cavolo broccolo è un prodotto orticolo che è stato largamente coltivato in passato; lo storico Prof. Gianni Colledani, con particolare riferimento al territorio della Val Cosa in provincia di Pordenone, asserisce che il Cavolo broccolo è stato coltivato in loco per tutto l’800 e il ‘900. Si tramanda ancora il ricordo che esso è stato determinante per superare i famigerati “ anni della fame”, che ruotavano intorno al 1817, quando, raccontano, avevano mercato persino i sorci campagnoli. Alcune persone anziane continuano tuttora a riprodurre ed utilizzare il seme prodotto in loco. Il Cavolo broccolo friulano è un prodotto invernale e se ne consiglia l’utilizzo a partire dal tardo autunno, dopo essere stato soggetto alle prime gelate che contribuiscono a rendere più teneri i tessuti.

Miele friulano di amorfa

Miele friulano di Amorpha fruticosa

Territorio interessato alla produzione: Si produce in varie aree della pianura friulana e in ambito collinare, principalmente lungo il greto di fiumi e torrenti colonizzati da cespuglietti di Amorpha fruticosa.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le famiglie di api vengono allevate in arnie razionali di legno. In vista della raccolta del miele di amorfa, gli apicoltori mettono in atto una serie di tecniche (es. controllo della sciamatura) per mantenere le famiglie numerose.

Cenni storici e curiosità
Il miele di amorfa deve la sua tipicità al gusto particolare, allo stato fisico (liquido o cristallizzato) ed al colore aranciato/rosato. Poiché è monoflorale (deriva in massima parte dal nettare di una sola pianta), lo standard qualitativo è abbastanza costante anno dopo anno e nelle diverse aree ove viene prodotto. Talora può in parte mescolarsi con quello che deriva dal nettare di acacia (Robinia pseudoacacia), pianta arborea che fiorisce subito prima dell’amorfa.Il Miele di amorfa viene utilizzato spalmato su fette di pane o su fette biscottate oppure come dolcificante nelle tisane.Il miele di amorfa viene prodotto per tradizione circa trentennale da diverse decine di apicoltori della regione, in aree di pianura e collina. Le informazioni raccolte presso gli apicoltori regionali con lunga esperienza, riferiscono che una delle prime aree ove già nella prima metà degli anni ’80 del secolo scorso era possibile produrre in abbondanza miele monoflorale di amorfa è quella del corso del torrente Torre a est di Udine (in questa area Amorpha fruticosa è attualmente assai diffusa, con estesi cespuglieti quasi puri).

Stak

La variante con fagiolini viene chiamata Stak po zavasrško; termini dialettali: Stak; Stak po zavasrško.

Territorio interessato alla produzione: Alta Valle del Torre, Comune di Lusevera

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaE’ opportuno sottolineare che, essendo un piatto enogastronomico tipico, lo Stak è un piatto unico da gustare caldo/tiepido.La preparazione dello Stak viene eseguita in varie maniere. Dal libro edito dal Comprensorio Montano Torre – Natisone – Collio del 2010 intitolato Lusevera “Antiche ricette dell’Alta Valle del Torre” si evince che gli ingredienti sono: 1 kg di patate pelate e tagliate a pezzi, 800 gr di fagioli cotti, 200 gr di lardo stagionato, sale.

Cenni storici e curiosità
Pubblicazione di Ferrari Molaro A. (2004) “L’Alta Valle del Torre” – capitolo 5° Usi e Costumi; Comunità Montana del Torre, Natisone e Collio.Si tratta della stampa del diario del 1964 della maestra Alessandra Ferrari Molaro.

Passera coi ovi, Passera con le uova

Corpo piatto di forma ovale ricoperto di piccole squame di colorazione biancastra e bruno-verdastra.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il comprensorio costiero regionale, da Punta Sottile (Muggia – TS) fino a Punta Tagliamento (Lignano – UD).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaViene pescata viva, attraverso reti da posta specifiche, le passelere, nei mesi invernali da fine novembre a metà febbraio, quando grandi masse di passere escono dalle lagune e dai fiumi per deporre le uova, nel Golfo di Trieste. E’ in questo momento che le passere, proprio per la presenza di grandi ovaie, vengono catturate dai pescatori in quanto sono più apprezzate e richieste dai consumatori.

Cenni storici e curiositàL’attività della pesca delle passere, con sistemi simili agli attuali, risale presumibilmente ad oltre un secolo fa, anche se con materiali, giocoforza , naturali ed in parte diversi.Con l’avvento di fibre sintetiche, quali il nylon ed il poliammide, avvenuto negli anni ’50, il sistema di pesca è rimasto pressoché immutato fino ai giorni nostri.Trattandosi di un’attività di pesca artigianale e limitata ad un breve periodo (2 mesi o poco più) non è risultata essere molto interessante per attività di ricerca e studio; infatti non è molto il materiale bibliografico sul tema. Cenni sulla metodica di pesca tradizionale della passera è possibile trovarla sul volume di Albino Troian “Il mio mare – sessant’anni di pesca nell’Alto Adriatico” edito dalla tipografia Sartor di Pordenone.

Mussolo de scoio, Mussolo di scoglio, Arca di Noè

Mollusco allo stato vivo pescato lungo il litorale costiero regionale.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio marino del Friuli Venezia Giulia in corrispondenza di fondali rocciosi e/o con presenza di pietrame e substrati solidi.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa pesca del “mussolo” avviene ormai, causa la scarsità della risorsa disponibile, solamente a mano, ad opera di alcuni operatori subacquei autorizzati. Tramite immersioni su alcuni punti prestabiliti, l’operatore subacqueo professionista stacca, con una particolare operazione manuale rotatoria e per mezzo di un apposito coltello , i mussoli da rocce e substrati duri a cui essi sono attecchiti.

Cenni storici e curiositàLa pesca dei mussoli, di vecchissima tradizione, era improntata attraverso brevi strascicate con un attrezzo specifico “il mussoler”, rastrello metallico munito di sacco terminale in rete. Per decenni importantissima fonte di reddito per molti pescatori triestini, la pesca del mussolo ha subito una drastica diminuzione alla fine degli anni cinquanta quando, a causa di una improvvisa malattia, l’imponente stock di molluschi presente nell’Alto Adriatico fu decimato. Negli anni sessanta, seppure con risultati sempre più scarsi, la pesca del mussolo proseguì, fino ad esaurire i pochi banchi rimasti. L’ultimo mussoler in esercizio cessò l’attività nel 1967.Da allora l’unica forma di pesca del prelibato mollusco, tanto caro ai triestini, è rimasta quella della raccolta a mano ad opera di palombari prima e pescatori subacquei in seguito.

Dondolo, tartufo di mare

Mollusco bivalve vivo.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio marino del Friuli Venezia Giulia in corrispondenza di fondali sabbiosi.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa pesca del “dondolo” avviene rigorosamente a mano, ad opera di alcuni operatori subacquei autorizzati. Tramite immersioni su alcuni punti prestabiliti, l’operatore subacqueo professionista stacca, con una particolare operazione manuale rotatoria e per mezzo di un apposito coltello, i mussoli da rocce e substrati duri a cui essi sono attecchiti.L’attività di pesca manuale, benché più costosa rispetto a quella strascicante, ha il vantaggio di essere altamente selettiva, ecosostenibile e qualitativa. L’assoluta integrità fisica della conchiglia e del corpo, la maggior vitalità e l’assenza di sabbia all’interno del mollusco sono le principali caratteristiche che contraddistinguono questa particolare metodica di pesca e di apprezzamento per il consumatore.

Cenni storici e curiositàLa pesca del dondolo, tradizionale attività di pescatori professionali e non, è segnalata attraverso racconti di vecchi pescatori dall’immediato dopo guerra, ad opera di unità di palombari in servizio portuale che avevano il compito di riparare i moli e le dighe foranee dai danni causati dai bombardamenti. In tale occasione, nelle aree antistanti alle opere danneggiate sono stati individuati consistenti banchi di dondoli che, nel periodo successivo, sono stati sfruttati commercialmente. Ulteriori aree, individuate lungo la costiera triestina, sono state trovate idonee ed ancora adesso, a diversi decenni di distanza, danno lavoro a diversi operatori subacquei autorizzati.

Canocia de nassa, Cannocchia di nassa

Crostaceo fresco commercializzato vivo.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio marino, entro i confini di stato da Punta Sottile (TS) a Punta Tagliamento (UD), comprendente i compartimenti marittimi di Trieste e Monfalcone.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaViene pescato vivo, attratto da trappole (le nasse) munite di esca. Le nasse vengono opportunamente innescate con pesci freschi o congelati (prevalentemente sardine) e calate in corrispondenza di aree sabbiose e/o fangose del territorio marino regionale.

Cenni storici e curiositàL’origine della pesca delle canocchie come vera e propria specie bersaglio, sembra risalire agli anni trenta per opera di pescatori istriani (Isola e Capodistria in primo luogo) che costruirono delle nasse copiando un simile attrezzo utilizzato allora in Francia per la pesca dei granchi e delle aragoste. Essi osservarono che le specie catturate erano rappresentate prevalentemente dalla canocchia insieme a poche altre specie.Visti i risultati incoraggianti in termini di pescato e di vendibilità della specie, diversi pescatori iniziarono a praticare questo mestiere innovativo e specifico, costruendo essi stessi le nasse mediante l’utilizzo di materiali di facile reperibilità, come pezze di reti inservibili cucite su di un’intelaiatura in ferro.Ad un primo periodo, in cui le nasse erano di dimensioni medio – grandi, con la bocca inserita nella parte superiore e posizionata verso il basso (secondo il modello francese), seguì l’introduzione di vari accorgimenti e modifiche che portarono alla realizzazione di una nassa rettangolare di modeste dimensioni, molto simile a quella in uso attualmente. Le principali innovazioni furono la costruzione della bocca in rame, il suo posizionamento in senso orizzontale su di un lato e la progressiva riduzione delle dimensioni. L’utilizzo delle nasse per cannocchie come sistema di pesca era un tempo limitato alle aree costiere della zona settentrionale istriana (da Punta Salvore a Punta Sottile) e si spingeva (con pesca saltuaria da parte di qualche pescatore) fino a Trieste. Dopo la seconda guerra mondiale diverse migliaia di esuli istriani giunsero nella Venezia Giulia. Tra essi vi erano moltissimi pescatori, i quali spesso arrivavano con le barche e le proprie attrezzature da pesca: ciò favorì l’introduzione di nuovi sistemi di pesca in questa regione, tra i quali appunto la pesca con le nasse. Un mercato vivace, l’aumento della richiesta, le nuove abitudini alimentari derivanti dal benessere del boom economico degli anni ‘50 e ’60, furono tra i principali motivi dell’espansione di questa tipologia di pesca in tutta la provincia di Trieste ed anche nelle vicine marinerie di Monfalcone e Grado.

Grissino di Resiutta

Grissino artigianale lavorato e confezionato completamente a mano.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Resiutta (UD)

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIngredienti: farina scelta, lievito, sale e acqua di sorgente

Cenni storici e curiositàDal 1954 il grissino di Resiutta viene prodotto in maniera omogenea. Da tale anno infatti il panificatore (famiglia Fabris-Franceschina e pochi fidati collaboratori) hanno voluto mantenere la medesima metodologia produttiva utilizzando le stesse materie prime e continuando gelosamente a mantenere le fasi di lavorazione manuali. La scelta aziendale è stata quella di mantenere il livello qualitativo al top per distinguersi da produzioni similari.

Strucchi lessi

Strucchi, struki: dolci di pasta fresca a base di farina di frumento e patate, ripieni di uvetta, noci, pinoli, burro, pangrattato, zucchero, lessati in acqua bollente e conditi con burro fuso, zucchero semolato e cannella.

Territorio interessato alla produzione: Valli del Natisone e Cividale del Friuli

Cenni storici e curiositàGli strucchi, tradizionalmente, venivano serviti in ciotole di terracotta poste al centro del tavolo da dove tutti potevano prendere i dolci; la famiglia si riuniva attorno agli strucchi sia per festeggiare i momenti felici che per condividere quelli tristi come, ad esempio, dopo un funerale in segno di ringraziamento verso tutti coloro che avevano aiutato la famiglia.Gli strucchi allietavano anche banchetti allestiti in occasione della fine di lavori quali la fienagione o la costruzione di una casa.

Caprino stagionato, caprino invecchiato, vecjo di cjavre

Formaggio caprino a pasta dura.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio regionale.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaQuesto formaggio si ottiene dalla lavorazione di latte caprino crudo o termizzato con l’aggiunta di fermenti, preferibilmente selezionati in azienda, oppure con lattoinnesto.

Cenni storici e curiositàL’allevamento tradizionale della capra in Friuli-Venezia Giulia ha una tradizione secolare; il prodotto principale di questo allevamento era ed è il latte. Il latte caprino oltre che impiegato come tale, per le qualità riconosciute fin dall’antichità, veniva destinato alla caseificazione che era l’unico modo per conservarlo nel tempo. La produzione dei formaggi di puro latte di capra era però in genere limitata a livello familiare o comunque di piccole aziende, dato che il latte caprino ottenuto da animali condotti al pascolo, veniva frequentemente lavorato nelle malghe assieme al latte delle bovine.Nel “Bullettino della Associazione Agraria Friulana” si trovano diversi riferimenti sull’allevamento caprino e sui formaggi di capra. A titolo di esempio nel volume XXXI serie VII stampato nel 1914, si trova un ampio articolo ad opera del Dott. Giambattista Gaspardis dal titolo “L’allevamento della capra e della pecora nel Goriziano”; in questo articolo si dice che tutto il latte non consumato direttamente fosse destinato alla produzione di ricotte e formaggi.In un testo del 1967 (G. Fior, M. Garzona e A. Matiz in “La capra, Flora e fauna, I Marmi dell’Alto But”) oltre alla ricotta fresca e affumicata, si trova citato come ancora prodotto nelle malghe, con metodologia simile all’omologo vaccino, anche il “montasio caprino” – a titolo di esempio, viene citata una malga sul Monte Terzo sopra Cleulis.Non mancano inoltre testimonianze da parte di persone in grado di tramandare la loro esperienza pluridecennale. Tra queste il signor Valentino Cartelli, residente in Maniago, tutt’oggi allevatore di capre, che iniziò a produrre formaggi e ricotta caprini fin da ragazzo assieme al padre, signor Leopoldo Cartelli – risale al 1952 una ricevuta dell’affitto di una malga del conte Gian Carlo Maniago.

Salsa balsamica, asperum

Prodotto ottenuto dalla acetificazione di mosto cotto, sottoposto ad un processo pluriennale di affinamento in botticelle di rovere.

Territorio interessato alla produzione: Colli Orientali del Friuli, in particolare i Comuni di Manzano, Buttrio e Premariacco.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaa) uva –mostoDall’uva vendemmiata manualmente e posta in cassette, delicatamente diraspata e pressata, si ottiene il mosto di partenza. Questo in seguito è sottoposto ad un procedimento di decantazione naturale a freddo.b) fase di cotturaLa cottura del mosto viene eseguita mediante dei bollitori a fuoco lento, dura di solito dalle 36/46 ore. Il mosto, al termine della cottura, subisce una riduzione in volume del 50-60%. Il processo viene eseguito alla temperatura di 70-80°C, ed è mantenuto in agitazione continua mediante spatole meccaniche dal movimento rotatorio.c) acetificazione e affinamentoTerminato il processo di cottura, il mosto sosta per un periodo di 3 mesi a temperatura ambiente, e solo dopo una lunga decantazione naturale, avviene la prima spillatura della parte limpida; ad essa viene aggiunta una frazione di salsa balsamica già matura, proveniente dalle botti in affinamento di minimo 15 anni.Dopo circa 3 mesi il mosto cotto viene travasato in delle batterie di botticelle a volume decrescente e inizia il suo pluriennale periodo di affinamento.

Cenni storici e curiositàI contributi storici locali – che riguardano l’uso di salse aromatiche per il condimento culinario (sapa defrutum e caroenum) – affondano le proprie radici nella cultura romana sin dai tempi del Patriarcato di Aquileia.Nel caso specifico il prodotto rappresenta un esclusività della zona e per l’intera regione; gli elementi cui fare riferimento a riguardo dell’attività di balsameria, sono costituiti dalle testimonianze dei titolari delle Aziende produttrici, nonché del personale più anziano tuttora responsabile esecutivo di produzione. Possono essere interessanti inoltre le date delle varie commesse d’ordine per l’acquisto delle botticelle per la costituzione delle batterie delle balsamerie. Tutti questi elementi concorrono a testimoniare la lunga consuetudine locale, ben superiore ai 25 anni, di questo prodotto.

Spalla cotta di Carnia affumicata

La spalla una volta disossata salata e speziata cotta a vapore.

Territorio interessato alla produzione: E’ un prodotto tipico dell’alta valle del But (Treppo Carnico, Ligosullo, Paluzza).

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLa spalla una volta disossata viene prima salata a secco per 3 gg. con l’aggiunta di aromi (pepe, aglio, ginepro). Successivamente viene immersa in una salamoia per un periodo variabile tra i 15 e 20 giorni. La salamoia è una soluzione che per ogni 100 litri di acqua prevede 2 kg di sale e 2 kg di zucchero. Terminato il trattamento salino la spalla viene lasciata libera in acqua corrente per 8 – 10 ore. Viene poi lasciata ad asciugare per 2 massimo 3 giorni. Terminata l’asciugatura la spalla viene affumicata, la permanenza nella stanza “affumicatoio” dura tra i 3 e 4 giorni.

Cenni storici e curiositàDa sempre in moltissime famiglie della Carnia si producono insaccati di carne suina di grande qualità; lo scorrere degli anni, l’affermarsi dei moderni rapporti commerciali, la nomea di questi prodotti è uscita dai confini territoriali dell’area carnica. Tuttora la Carnia è ricchissima di famiglie che in modo generazionale – padre/figlio – si tramandano l’arte del “purcitar” e la passione degli antichi mestieri legati all’alimentazione, tra cui il norcino. Nonostante i numeri limitati, meglio dire non industriali, esiste una interessantissima attività di salumeria, caratterizzata da produzioni di tipo familiare, per lo più artigianale, che danno origine ad un’ampia varietà di specialità carnee preparate con tecnologie particolari e caratteristiche di transazione tra l’attuale tradizione italiana e quella dei Paesi del Nord. La caratteristica principale della salumeria carnica è costituita dall’uso del fumo.

Osiet, aset, ozejt

Prodotto derivato dall’acetificazione di vini ottenuti da vitigni autoctoni a bacca bianca sottoposto ad un processo pluriennale di affinamento in botticelle, solitamente di rovere.

Territorio interessato alla produzione: Friuli collinare orientale

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaIl procedimento seguito per la produzione dell’aceto di vino è un metodo artigianale basato sull’acidificazione spontanea del vino ad opera di batteri aerobi appartenenti ai generi Acetobacter e Gluconobacter, con prevalenza dei primi.

Cenni storici e curiositàLa storia dell’aceto si confonde con quella del vino; probabilmente, in regione, la vite veniva coltivata già dai Celti ma fu in epoca romana che venne dato impulso alla sua coltivazione in forma intensiva. L’acetificazione, processo naturale di origine biologica, era sfruttata sin dall’antichità senza conoscerne le cause ed è solo nel corso della seconda metà dell’800, grazie agli studi di Pasteur, che venne definita la biochimica della trasformazione consentendo così di avviarne la produzione organizzata.Nel caso specifico del territorio regionale considerato, la produzione di aceto di vino con il metodo descritto è ampiamente testimoniata dalla memoria tramandata da numerosi titolari di aziende vitivinicole dove, accanto al vino, non mancava mai la produzione di aceto di qualità.

Pestât

Si tratta di un insaccato composto da tutti i profumi dell’orto, che dopo vengono mescolati del lardo macinato della regione dorsale del maiale

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaNel corso delle macellazioni sui suini viene tenuto da parte il lardo della parte dorsale del maiale, viene tolta la cotica e privato della parte grassa molle e ridotto in striscioline che vengono lasciate al fresco prima di essere macinate con una granulometria simile a quella dei tradizionali salami.

Cenni storici e curiositàNel corso della manifestazione denominata Fieste dal Purcitar, tenuta a Fagagna in occasione del Santo Patrono dei Norcini (San Antonio Abate), è stato possibile intervistare norcini di Fagagna e della zona raccogliendo le ricette un tempo realizzate e che continuano ad essere utilizzate nelle normali macellazioni della zona. Queste tradizioni si tramandano da più di 100 anni nelle abitudini locali.

Pestadice

Si tratta di un insaccato molto particolare fatto dalla pasta del comune salame a cui vengono mescolati, in quantità variabile, ciccioli di maiale.

Territorio interessato alla produzione: Tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaAlla normale pasta di salame vengono mescolati i ciccioli di maiale, cotti e ben strizzati, nella proporzione di circa il 50%.Dopo aver mescolato accuratamente l’impasto si procede alla insaccatura nelle normali budella da salame. Anche in questo caso si forano le budella per favorire lo sgrondo dei liquidi in eccesso.

Cenni storici e curiositàNel corso della manifestazione denominata Fieste dal Purcitar tenuta a Fagagna (Ud) in occasione del Santo Patrono dei Norcini (San Antonio Abate), nell’occasione della formazione dell’Albo dei Norcini, è stato possibile intervistare norcini di Fagagna e della zona raccogliendo le ricette un tempo realizzate e che continuano ad essere utilizzate nelle normali macellazioni della zona. Queste tradizioni si tramandano da più di 100 anni nelle abitudini locali.

Sliwowitz, distillato di prugne

Bevanda ottenuta dalla lavorazione di particolari prugne denominate “Brundul di Cjabie” che consentono la produizione del distillato chiamato anche Sliwovitz.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Arta Terme (UD)

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaUn tempo si raccoglievano le prugne sovra mature a Ottobre inoltrato, si trituravano macinando gran parte dei noccioli; ottenendo così un distillato dal sapore molto tipico, aggressivo e rude. Ultimamente durante la macinazione della frutta vengono eliminati gran parte dei semi lasciandone circa un terzo o meno, in questo modo si ottiene un prodotto molto tipico, profumato, meno aggressivo e più rotondo.

Cenni storici e curiositàIl distillato di prugne rientra nella gamma di distillati che in passato venivano prodotti in abbondanza nel Comune di Arta Terme ed in particolare nella frazione di Cabia, dove nel 1901 erano presenti 12 distillatori ufficiali con regolare licenza statale.Lo Sliwovitz prodotto nell’area ha caratteristiche organolettiche particolari derivate dal tipo e dalla qualità di prugne utilizzate. Tali caratteristiche sono dovute al particolare ambiente pedoclimatico di Cabia e alla varietà autoctona di prugne coltivate.

Grappe alle erbe ed ai piccoli frutti

Grappe aromatizzate ottenute dall’infusione di una o più piante officinali o piccoli frutti lasciati macerare in grappa di vinaccia.

Territorio interessato alla produzione: Intero territorio montano del Friuli Venezia Giulia.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaLe piante officinali, raccolte al “momento balsamico” e dopo attenta pulitura, vengono messe in infusione nella grappa di vinaccia ed eventualmente edulcorate con zucchero, per un tempo variabile dai 15 ai 30 giorni in ambiente caldo; per alcuni preparati i recipientii vengono esposti al sole. Trascorso questo periodo, si passa alla successiva fase di conservazione durante la quale il prodotto è mantenuto per altri 15/30 giorni in ambiente fresco e buio. Trascorso questo periodo, il prodotto ottenuto viene filtrato ed imbottigliato.

Cenni storici e curiositàDalle informazioni assunte nelle vallate della Carnia, intervistando diverse persone anche di una certa età, è emerso che l’aromatizzazione della grappa con diverse piante officinali e con i piccoli frutti è radicata nella cultura popolare, da tempo immemorabile.

Distillato di pere

Bevanda ottenuta dalla lavorazione di particolari pere denominate “Pêr Martin” che consente la produzione di detto distillato.

Territorio interessato alla produzione: Comune di Arta Terme (UD)

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionaturaUn tempo si raccoglievano le pere sovra mature a Ottobre inoltrato, si trituravano e si torchiavano immediatamente per ottenere del sidro. Dai pani di torchiatura rotti e inumiditi con acqua fatti fermentare per 30-60 giorni e dai fondi dei travasi del sidro, con la distillazione, si otteneva una grappa di pere dal sapore “tipico” dal gusto rude ed aggressivo. Negli ultimi 50 anni il sidro di pere si fa raramente e si usa distillare tutta la massa fermentata derivante dalla macinazione delle pere. In questo modo si ottiene un prodotto con una tipicità molto meno aggressiva, dal gusto più equlibrato, morbido e armonico.

Cenni storici e curiositàIl distillato di pere rientra nella gamma di distillati che in passato venivano prodotti in abbondanza nel Comune di Arta Terme ed in particolare nella frazione di Cabia, dove nel 1901 erano presenti 12 distillatori ufficiali con regolare licenza statale.