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Ha il nome del fiore simbolo del Sol Levante, ma è tutto italiano: storia e curiosità del ‘cibo degli dei’ che del fiore ha anche il nome

Marianna Di Pilla  | 03 Mar 2025
Loto di Romagna, informazioni

Ha il nome di un fiore, di quel loto che subito ci fa pensare al Giappone e alle lontane terre del Sol Levante: invece, il Loto di Romagna IGP è tutta un’altra cosa: prima di tutto si tratta non di un fiore ma di un frutto, e in secondo luogo non ha niente di esotico poiché proveniente da alcune specifiche zone d’Italia, precisamente dell’Emilia Romagna.

Nello specifico, con il termine Loto di Romagna si indica una varietà di cachi che si raccoglie nella prima settimana di novembre e che viene coltivato in un determinato territorio.

Un legame con l’Oriente c’è, dal momento che la pianta originariamente veniva dall’Asia Orientale. La zona di produzione del Loto di Romagna comprende però comuni appartenenti a diverse province dell’Emilia Romagna:

  • nella provincia di Bologna: Gorgo Tossignano, Casalfiumanese, Casola Valsenio, Dozza, Fontanelice, Imola, Mordano, Sesto Imolese, Medicina
  • nella provincia di Forlì: Bertinoro, Borghi, Castrocaro Terme, Cesena, Cesenatico, Dovadola, Forlì, Forlimpopoli, Gatteo Mare, Longiano, Meldola, Mercato saraceno, Modogliana, Montiano, Predappio, Roncofreddo, Savignano sul Rubicone, S. Mauro Pascoli, Tredozio
  • nella provincia di Ravenna: Alfonsine, Bagnara di Romagna, Bagnacavallo, Brisighella, Casola Valsenio, Castelbolognese, Cervia, Conselice, Cotignola, Faenza, Fusignano, Lugo, Massa Lombarda, Ravenna, Riolo Terme, Russi, Sant’Agata sul Santerno, Solarolo
  • nella provincia di Rimini: Rimini, Poggio Berni, Santarcangelo di Romagna.

Cenni storici e curiosità sul loto di Romagna 

Loto di Romagna, storia
Loto di Romagna

Il loto di Romagna, noto anche come Diospyros kaki, è un frutto autunnale dalle origini orientali che ha trovato un ambiente ideale nelle campagne romagnole. Introdotto in Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il loto si è diffuso rapidamente grazie alla sua resistenza e alla capacità di adattarsi al clima temperato della regione. Storicamente, il frutto veniva consumato solo dopo l’ammezzimento, un processo naturale di maturazione che lo rende dolce e morbido. Una curiosità interessante è che, in Romagna, il loto è chiamato anche “cacomela”, per la somiglianza della sua polpa matura alla consistenza della mela cotta. Ancora oggi, è protagonista di ricette tradizionali, come confetture e dolci tipici, e rappresenta un’importante testimonianza della biodiversità agricola locale.

Il loto ha segnalato la propria presenza nei giardini di ville ed orti botanici di tutta Italia, conosciuto come cibo degli dei fin dalla fine del secolo scorso.
Nel periodo fra le due guerre mondiali, il cachi ha trovato il suo primo utilizzo come coltura in frutteti commerciali dapprima in Campania e poi conoscendo uno sviluppo considerevole soprattutto in Romagna.

Tale sviluppo è stato possibile perché la coltura del loto si è inserita in un ambiente produttivo agricolo già marcatamente frutticolo, trovando sul territorio competenze tecniche, capacità organizzativa e tradizione culturale favorevole. Tuttora tale area è tra le più ricche di tradizione e capacità produttiva d’Italia.

Marianna Di Pilla
Marianna Di Pilla



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