A Roma c’è una trattoria storica come poche, protagonista (e vincitrice) di premiazioni alte per la propria cucina che viene dal basso. Colonna portante delle tradizioni culinarie romane, a Testaccio c’è un locale dove sono passati nomi illustri, cari sia nella scena internazionale che in quella del Bel Paese… e anche, soprattutto, a quella di Roma. Qui pure Aldo Fabrizi, che è stato tolto da questo mondo troppo al dente, ci mangiò una sana e sacrosanta pajata (pagliata, sì, lo sappiamo). Tutte le strade portano da Checchino dal 1887, a Testaccio, Roma.
Francesco Orso, Facebook
Mai sentito il termine Quinto Quarto? Se avete assaggiato, e ne ricordate il profumo, allora non sarà storia nuova, perché il Quinto Quarto è la specialità di Checchino dal 1887. Ma che roba è il Quinto Quarto? Ce lo spiegano direttamente loro: “Il Quinto Quarto è un assurdo matematico per indicare quella parte della bestia che non è inclusa in nessuno dei quarti nobili, né nei due anteriori né nei due posteriori. Questo quinto quarto, il cui peso equivale a quello di uno nobile, è costituito da: testa, coda, zampe e tutte le interiora dell’animale.”
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E col Quinto Quarto, i cuochi di Checchino creano capolavori antichi prettamente tradizionali come la pajata romana, quella che chiamano Insalata di Zampi (ossia l’insalata di nervetti della zampa del vitello), fegato e soprattutto una delle portate più famose di Roma, la coda alla vaccinara. Coda alla vaccinara per la quale Gambero Rosso ha premiato Checchino come Campione della Tradizione 2024. Se vi piace questo tipo di materia prima, però, non osate perdervi il Padellotto alla macellara: il misto di interiora saltato in padella, con aceto, rosmarino e un profumo d’aglio.
Questa qui sopra è la loro coda alla vaccinara. Certo, non si mangia solo Quinto Quarto qui. I piatti della tradizione sono predominanti nel menù, quindi le mezze maniche cacio e pepe sono sempre presenti, così come gli spaghetti alla carbonara o pasta e ceci. La pagina dei menù, incluso quello stagionale, lo trovate qui. Sul sito trovate una lista dei vini da 25 pagine, perché…hanno una cantina tutta loro, con annate introvabili. La cantina di Checchino è stata scavata sotto il Monte dei Cocci di Testaccio, piena di anfore e vasellame (e qualche sesterzo) degli antichi Romani. Anfore porose che una volta usate non potevano essere riutilizzate perché si deterioravano, e costava troppo portarle indietro invece di ricomprarle, ergo accatastate.
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Un po’ di modernità la hanno, dove serve. Hanno un menù dei drink molto particolare, fra le varie cose: si chiama SCENT e si basa sui profumi. Andate qui se volete farvi un giro perché gli accostamenti sono fatti veramente bene.
Nel 1870, i bersaglieri guidati dal generale Cadorna entrarono a Roma attraverso la breccia di Porta Pia, annettendo la città al Regno d’Italia. In quegli stessi giorni, Lorenzo e Clorinda Mariani aprirono un’osteria a Testaccio, che al tempo era periferia di contadini e manovali. L’osteria offriva solo vino, pecorino, olive e uova, mentre i clienti portavano il cibo da casa. Nel 2003 entrò nella classifica dei The World’s 50 Best Restaurants, dopo aver ottenuto una stella Michelin nel 1991.
La trasformazione dell’osteria in trattoria avvenne nel 1887, con la licenza di servire cibo cucinato. L’apertura del Mattatoio di Roma di fronte alla trattoria creò uno Ying e uno Yang creando quella cultura del Quinto Quarto per cui sono molto famosi: quando le parti povere diventano gourmet. La fedeltà alla tradizione e la resistenza alle mode moderne hanno garantito sapori costanti e un’esperienza autentica.
Nel corso degli anni Checchino dal 1887 ha ospitato personalità illustri come il Presidente della Repubblica Giulio Einaudi, il sindaco di Roma Giulio Carlo Argan, Aldo Fabrizi e attori di Hollywood. Un elemento distintivo del ristorante è la sua cantina, situata in un’antica grotta scavata nel Monte dei Cocci. Già negli anni Cinquanta, offriva una selezione di vini francesi, un’eccezione per l’epoca. Negli anni ’70 i fratelli Elio e Francesco presero le redini del locale, migliorando ulteriormente la carta dei vini.
Entrambi sommelier diplomati, crearono una selezione di vini ambita dagli appassionati, con una varietà e profondità eccezionali. Sebbene la cantina oggi non sia più straordinaria come un tempo, mantiene una buona qualità e l’apertura delle bottiglie da parte di Francesco rimane un rito affascinante. La competenza e la classe del servizio sono rimaste immutate, come la tradizione, com’è giusto che sia. Vi lasciamo ai menù stagionali nel sito ufficiale, anch’esso dal sapore un po’ storico.
Crediti immagini: il sito ufficiale.
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