Le strade si avvolgono ad anelli, la pietra ridisegna ellissi perfette, la Collegiata veglia dall’alto, il Cassero senese punteggia l’orizzonte. È un borgo che sembra nato da un compasso, un modello di urbanistica medievale a pianta ellittica, organizzata su cerchi concentrici e racchiusa da mura con porte (San Giusto a ovest, San Giovanni a est, poi Porta Murata e Porta Sant’Angelo). Un equilibrio raro che oggi vale a Lucignano l’ingresso tra i Borghi più belli d’Italia e la Bandiera Arancione del Touring Club.
Lucignano sembra custodire tantissimi segreti, e uno dei più preziosi è custodito nel Museo Comunale, al piano terra del Palazzo Pretorio trecentesco. Si tratta dell’Albero d’Oro (o Albero della Vita, o Albero dell’Amore), maestoso reliquiario alto circa 2,7 metri, costruito tra il 1350 e il 1471. All’origine c’è un’idea trecentesca rimasta anonima; a completarla, nel Quattrocento, fu l’orafo senese Gabriello d’Antonio. La sua struttura in rame dorato e argento, decorata con smalti, cristalli di rocca e coralli, disegna dodici bracci (sei per lato) che aprono piccoli scrigni e miniature; in cima, il Crocifisso e, più in basso, l’eleganza di un tempietto gotico. Lucignano lo ha sempre vissuto: qui si rinnovano promesse d’amore e si racconta l’identità di una comunità. È uno dei capolavori assoluti dell’oreficeria italiana. Nel 2023, grazie all’intervento del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri e ai restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure, sono riaffiorate porzioni originarie dell’Albero scomparse da oltre un secolo: un tassello prezioso per restituire all’opera la sua lettura più completa. È l’ennesima prova che qui il passato è un lavoro in corso, un dialogo continuo fra tutela e comunità.
Lucignano è passo lento fra chiese raccolte e dettagli che chiedono attenzione. La Chiesa di San Francesco, nata tra Duecento e primo Trecento, conserva un patrimonio di affreschi di scuola senese: tra le immagini più note, un Trionfo della Morte di fine Trecento attribuito a Bartolo di Fredi (o a un pittore a lui vicino), insieme a Stimmate di san Francesco e storie di santi. È un’aula dove la pittura parla di fede, epidemie, comunità: il Medioevo che diventa racconto civile. In cima al borgo, la Collegiata di San Michele Arcangelo racconta invece la stagione tardo-rinascimentale: ricostruita a partire dal 1594 su progetto dell’architetto-pittore Orazio Porta, conserva la facciata incompiuta e un portale di Pietro Antonio Morozzi (1715), preludio a un interno luminoso che accoglie un Crocifisso ligneo policromo di fine Trecento. Davanti, la scalinata attribuita ad Andrea Pozzo teatralizza l’ascesa.
Il medioevo di Lucignano si legge anche nel profilo del Cassero senese (XIV secolo), con la sua torre quadrangolare che sorveglia la piazza e la Collegiata. È la memoria di un confine conteso fra Siena e Arezzo, poi Firenze. Poco oltre le mura, su un colle di fronte al borgo, i resti della Fortezza Medicea, iniziata nella seconda metà del Cinquecento e rimasta incompiuta dopo la sconfitta di Siena, sono un manuale all’aria aperta di architettura militare moderna. Nel 2024 parte del complesso e il Chiostro di San Francesco sono stati riaperti dopo interventi di recupero, restituendo alla comunità luoghi a lungo inaccessibili.
Aglione toscano della Valdichiana
Questa è Toscana di confine, dove l’agricoltura disegna l’orizzonte e la cucina parla la lingua di campi, boschi e stalle. Il morso toscano qui ha un vocabolario preciso. Il primo amore si chiama pici, spaghetti tirati a mano; con l’aglione della Valdichiana sono un manifesto: sugo di pomodoro dolce, profumo intenso ma delicato (l’aglione non lascia scie aggressive), un equilibrio che profuma d’orto. Dal 2024 è stato avviato formalmente l’iter per il riconoscimento DOP dell’aglione — con pareri favorevoli di Regioni e Comuni dell’area toscano-umbra — a tutela di una filiera che ha il suo baricentro qui. In Valdichiana la carne è cultura: la Chianina — oggi certificata nell’IGP Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale — fa scuola per tracciabilità e maturazione. Nelle trattorie il lessico è quello delle braci: bistecca, tagliata, ma anche piatti di recupero come i grifi all’aretina. Il pane sciapo accoglie l’Olio Extravergine Toscano IGP con menzione “Colline di Arezzo”: fruttato, netto, capace di tenere testa a zuppe e verdure amare. Pane bruscato, pomodoro, un filo d’olio: la semplicità qui è un lusso. In carta troverete etichette della Strada del Vino Terre di Arezzo: dal Chianti Colli Aretini DOCG ai rossi e bianchi della Valdichiana Toscana DOC, denominazione che, in versione bianca, combina Trebbiano Toscano con Chardonnay, Grechetto e Pinot per profumi puliti e una beva sapida. E poi Vin Santo, paziente come i tempi del borgo.
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