La tradizione dei salumi in Italia è fortissima e diffusa in tutte le regioni: questo si traduce in un universo di gusto e sapori che spaziano davvero molto a seconda degli ingredienti e delle lavorazioni. Proprio per questo, pur avendo lo stesso tipo di prodotto, ci troviamo di fronte a realtà diverse: è il caso della salsiccia. Per questo viaggio culinario andiamo in Sicilia, un’isola meravigliosa che esprime tutta la sua ricchezza nell’enogastronomia.
Per rintracciare le origini di questa salsiccia risaliamo ai tempi antichi e un nome tanto significativo indica come alcuni tagli di carne fossero destinati proprio alla ‘’sasizza‘’. In epoca medievale, gli insaccati preparati tra il periodo di carnevale e Quaresima (momento in cui era proibito mangiare carne) venivano gustati a Pasqua. Nel corso del tempo c’è stato uno slittamento di calendario, perché questa lavorazione è diventata anche un appuntamento proprio del periodo pasquale, per destinare, poi, le salsicce ad un consumo che andasse oltre il periodo di festa.
Possiamo individuare questa tradizione principalmente tra queste due province, con particolare riferimento alla città di Partinico: la tradizione gastronomica trova, in questo prodotto, una delle sue espressioni più belle. Dobbiamo far riferimento alle contrattazioni che si facevano nel mondo agricolo pastorale, quando tra i proprietari terrieri (i burgisi) e i pastori si facevano accordi sulla concessione dei pascoli. I pastori potevano disporre dei terreni in cambio di agnelli che venivano poi destinati alla macellazione: i burgisi a loro volta ottenevano dai macellai la carne di maiale, essenziale per ricavare le salsicce che si lavoravano con entrambe le carni.
L’allevamento ovino ha subito un forte calo e questo compromette la realizzazione della Pasqualora come tradizione locale, tuttavia diversi macellai cercano di difendere questa eccellenza che risulta essere anche un prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.), segno evidente dell’attenzione verso questo patrimonio gastronomico.
La preparazione prevede che la carne sia lavorata con il coltello e quindi rigorosamente a mano: vengono aggiunti un po’ di vino bianco, il sale marino, il pepe nero, il peperoncino. Vengono messi anche i semi di finocchietto selvatico, ingrediente grazie al quale la carne acquista un profumo caratteristico. Il budello nel quale viene insaccata è quello naturale, di agnello o di maiale e viene legato con uno spago, in modo che risultino dei tocchi allungati.
Una o due settimane di tempo sono sufficienti per una breve stagionatura, è fondamentale lasciarla in un luogo fresco e ventilato: questo permette di mangiarla cruda come se fosse un salame. L’alternativa è quella di cuocerla alla brace, si può utilizzare la carta stagnola per avvolgerla, oppure procedere come si faceva un tempo: veniva cotta nella cenere, proteggendola con una carta oleata, in questo modo l’odore e il sapore tipico di questa cottura diventa un valore aggiunto alla preparazione.
Se vi trovate in zona, sappiate che questa salsiccia è perfetta per un primo piatto da leccarsi i baffi: le busiate, la tipica pasta trapanese. Il sugo realizzato con la Pasqualora, è un condimento ricchissimo di sapore, per un primo piatto che concentra tutta la ricchezza della Sicilia.
Manuela Titta, cuoca per passione, gastronomo di professione e sommelier per vocazione
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