Ravioli con radicchio rosso di Verona

CASUNZIEI; RAVIOLI CON RADICCHIO ROSSO DI VERONA

Territorio interessato alla produzione: Provincia di Belluno, Vicenza, Verona.

La storia: I casunziei sono un prodotto che in passato veniva fatto in casa con i prodotti che la terra offriva. Per questo motivo le ricette più antiche ed originali sono quelle dei “casunziei rossi” fatte con la barbabietola rossa, le patate e la rapa gialla ed i “casunziei verdi” fatta con gli spinaci ma soprattutto l’erba cipollina raccolta nei prati in primavera. Era un piatto che si cucinava nelle occasioni importanti, come le festività natalizie o pasquali o di domenica. La tradizione del raviolo ripieno di radicchio rosso di Verona si lega alla presenza e utilizzo nella zona del veronese ed del basso vicentino dello stesso radicchio rosso di Verona, che da decenni è coltivato in queste zone.

Descrizione del prodotto

Casunziei: sono dei ravioli. La sfoglia è fatta con farina, uova ed acqua; il ripieno, nella tipologia dei “casunziei rossi”, comprende barbabietole rosse, patate, rape gialle e semi di papavero (questi ultimi non sempre presenti); nel caso dei “casunziei verdi”, il ripieno è composto da spinaci, ricotta, burro, erba cipollina e formaggio. Altre varianti sono i “casunziei con la zucca o con il radicchio”.

Ravioli con radicchio rosso di Verona: pasta realizzata con un impasto all’uovo (farina di grano tenero, semola e uova) e con un ripieno di radicchio rosso di Verona cotto con olio d’oliva, ricotta, uova, sale, pepe e pane grattugiato. Si tratta di ravioli con lato 3,5×3,5cm.

Processo di produzione: La sfoglia è prodotta amalgamando a mano farina, uova ed acqua. Il ripieno, invece, viene preparato cuocendo assieme i vari ingredienti e una volta pronto è adagiato tra due sfoglie e il tutto viene ritagliato nella forma desiderata.

Reperibilità: Laboratori artigianali di lavorazione della pasta fresca o ristoranti.

Usi: Nella tradizione agordina la notte di Natale, a Cencenighe, i casunziei venivano conditi con semi di papavero pestati e miele, mentre in altre parti venivano conditi col burro. I ravioli al radicchio rosso, invece, una volta cotti vengono conditi con burro e salvia o con una salsa al radicchio spolverati con formaggio grana.

Mame d’Alpago

Sinonimi e termini dialettaliMame d’Alpago, mame, bonei.Territorio interessato alla produzioneProvincia di Belluno, in particolare l’area compresa nel territorio della Comunità Montana dell’Alpago e precisamente i comuni di Puos d’Alpago, Farra d’Alpago, Chies d’Alpago, Pieve d’Alpago e Tambre d’Alpago.Descrizione del prodottoLe “mame d’Alpago” sono un agro-ecotipo di fagiolo (Phaseolus vulgaris), a consumo prevalente sottoforma di granella secca. È un pianta annuale, rampicante, con apparato radicale fittonante e fusto di altezza media di circa 250 cm. Le foglie composte hanno margine intero e color verde intenso; l’infiorescenza è di colore bianco e il baccello classico a due valve, ha colore verde allo stato fresco e giallo-ocra-nocciola allo stato secco, è moderatamente arcuato e lungo di circa 14 cm. I semi, del peso di circa 0,65 g, sono presenti mediamente in numero di 6 per baccello, hanno forma schiacciata oblunga-compressa, di colore nocciola chiaro uniforme.Processo di produzioneLe tecniche di coltivazione delle “mame d’Alpago” si sono tramandate immutate nel tempo. La stessa selezione massale dei semi, si perpetua secondo le conoscenze popolari. Le forme di allevamento son quelle tradizionali di coltivazione del fagiolo rampicante. Si utilizzano per lo più tutori rappresentati da sostegni in legno di nocciolo o bambù, disposti a due, tre o quattro uniti all’apice tra loro (sistema a filare semplice, piramide e capannina), e talvolta si utilizzano reti in plastica tra i pali. La semina è praticata mediamente nella prima decade di maggio, utilizzando circa 5-6 semi per postarella e per ogni tutore utilizzato. I metodi di coltivazione attuati sono a basso impatto, rispettosi dell’ambiente. Nella concimazione è frequente l’utilizzo di letame. La raccolta del prodotto secco avviene solitamente a partite dal mese di settembre ed è esclusivamente manuale.La maturazione dei baccelli risulta scalare e necessita dunque di vari passaggi tra le piante. Lo sbaccellamento viene eseguito a mano o con semplici macchinari di antica tradizione. I fagioli sono tradizionalmente essiccati al sole, stesi in apposti teli in cotone, juta o canapa e poi conservati in sacchi di tela.UsiLe “mame d’Alpago” sono molto conosciute ed apprezzate per il loro sapore delicato e raffinato, l’elevata e spiccata digeribilità e l’ottima attitudine ad essere utilizzate in deliziose creme di fagioli.ReperibilitàLa vendita tradizionale avviene a prodotto sfuso, nella zona di produzione, senza alcun trattamento post-raccolta e non necessita di stagionatura. I più importanti ristoranti dell’Alpago non mancano di presentare le famose creme di fagiolo con le “mame d’Alpago”.La storiaNei primi anni sessanta del ’900 si avviarono politiche di sostegno a colture che avevano saputo sfamare e garantire anche un reddito ai contadini bellunesi; è il caso dei fagioli della famiglia dei “bonelli”, il fagiolo per eccellenza nella vallata feltrinobellunese dell’Alpago, indicati con il nome “mame d’Alpago”.La prima delle fonti classiche per l’agricoltura, l’inchiesta promossa dall’agronomo Filippo Re, così presenta all’inizio dell’800 lo stato della coltura nel Feltrino: “I nostri fagioli bianchi sono molto ricercati, e danno un riflessibile commercio attivo al paese. Si traducono per Piave a Venezia, indi si imbarcano per Cadice, e Lisbona ecc”.La particolare vocazione del territorio alla produzione di fagioli era sottolineata nella relazione della Camera di commercio del 1834, nella quale si precisava che tutti e cinque i comuni dell’Alpago erano defi citari in quanto a frumento e a granoturco, che importavano dal Trevigiano, ma risultavano attivi per la produzione di fagioli e per gli animali, “unici articoli che portano un vantaggio” in quanto venivano esportati.

Fave bellunesi

Territorio interessato alla produzioneAree dolomitiche dell’Alto Cordevole, Zoldano, Val Fiorentina e dell’Ampezzano, in provincia di Belluno.Descrizione del prodottoLe Fave Bellunesi appartengono alla famiglia delle Leguminose, Genere Vicia, Specie Vicia Faba, alla varietà fava tipo Major e, nella fattispecie, ad una popolazione o ecotipo definito bellunese.Si tratta di una pianta annuale con portamento eretto, la sua altezza a maturazione varia dai 70 ai 100 cm; ha apparato radicale fittonante e medio profondo. Le foglie alterne, costituite da 2 a 7 foglioline, sono di colore verde opaco e glabre.Il fiore è di colore bianco con leggere sfumature violacee. Il frutto è un classico baccello a 2 valve, della lunghezza di circa 5 cm, di colore verde intenso allo stato fresco e bruno scuro alla stato secco. Contiene da 2 a 4 semi, di forma ovale e appiattito irregolarmente, è di colore variabile e non omogeneo (beige, nocciola, marrone e violetto) e senza venature o screziature, del peso di circa 120 g/1000 semi.Processo di produzioneLa tecnica colturale della “fava bellunese” è molto semplice e richiama le antiche tradizioni. La semina si effettua in primavera a file semplici o binate; sono praticate modeste concimazioni organiche mentre sono indispensabili scerbature e/o sarchiature nell’interfila. La raccolta è effettuata di norma entro la prima decade di settembre. La tradizione prevede di mietere le piante a mano, legare le stesse a mannelli e porle ad essiccare in appositestrutture in legno definite “faver”. Ora questi faver tradizionali sono pressoché scomparsi e l’essiccazione è effettuata appendendo i mazzi di piante di fave ai poggioli dei fienili. Una volte essiccate piante e baccelli, queste vengono portate nell’aia o all’interno del granaio (“tabià”) per la battitura con un apposito correggiato. Da tale operazione si ottengono i semi della fava utili a scopo alimentare, mentre le restanti parti sono destinate all’alimentazione zootecnica. I semi delle fave essiccate, non subiscono nessun altro trattamento e se conservatiin luogo arieggiato e secco restano inalterati per parecchi mesi.UsiI principali utilizzi della fava in cucina sono: minestra di fave, semi di fava arrostita, fave lessate, farinata di fave, latte, burro e orzo, pane di fava, segale e orzo.ReperibilitàLa coltivazione è di carattere essenzialmente familiare per l’autoconsumo.La storiaLa coltivazione delle fave nell’area dolomitica bellunese ed il suo utilizzo, sottoforma di prodotto decorticato, vantano una salda e comprovata tradizione secolare. Numerose sono le citazioni in testi, libri e riviste sia dal punto di vista storico che culinario ed altrettanto importante è la documentazione fotografica e la ricerca etno-botanica. Merita di essere citato il quaderno numero 5 -“Fava, patata, fagiolo, papavero: sistemi e tecniche tradizionali di coltivazione e di utilizzazione nel bellunese” a cura di Daniela Perco (Comunità Montana Feltrina e Centro per la Documentazione della coltura popolare). In esso sono riportate, in appositi capitoli, decine di citazioni di storici e interviste, che testimoniano la presenza secolare della coltivazione della fava nel bellunese. Di recente, alcuni produttori attenti alle tradizioni stanno riproponendo la coltivazione di questa speciale e caratteristica leguminosa.