Orzo Agordino

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019

Territorio interessato alla produzione
L’intera area dolomitica della provincia di Belluno, in particolare Val Belluna, Val Cordevole, Val Zoldana,
Ampezzano, Cadore e Comelico.

Descrizione del prodotto
Con “orzo agordino” si intende uno specifico orzo che, botanicamente e agronomicamente, può essere così sinteticamente descritto: la pianta raggiunge l’altezza di un metro, portamento eretto, foglie nastriformi; la spiga è distica, con portamento leggermente curvato, aristata, di colore bianco; la cariosside ha forma allungata, colore bianco ed è vestita. È resistente al freddo e ha spigatura precoce.
L’orzo “agordino” in quanto ecotipo e per la sua tipologia, metodologia di produzione e trasformazione in decorticato, è varietà oggetto di tutela e valorizzazione per le elevate caratteristiche qualitative.

Processo di produzione
La tecnica di coltivazione dell’orzo “agordino” è quella tradizionale della cerealicoltura montana caratterizzata da un limitato impiego di mezzi tecnici di sintesi chimica, resa possibile dall’utilizzo di varietà rustiche e dalle particolari condizioni pedoclimatiche favorevoli, i terreni sono siti tra i 500 ed i 1700 metri s.l.m. La semina, a spaglio o a righe, viene effettuata da fine marzo a tutto aprile; la raccolta dalla prima decade di luglio a fine agosto. È effettuata a mano, seguita dalla trebbiatura (battitura) a mano con l’uso del correggiato, un particolare attrezzo di legno di acero e abete; le cariossidi vengono essiccate in granaio.
L’orzo “agordino” viene tradizionalmente “decorticato a pietra”, operazione effettuata in pochissimi molini attraverso un’abrasione meccanica delle cariossidi, con antichi rulli in pietra del tutto particolari denominati “pilaorzo” o “pestino a mole” o, in dialetto, “pesta orz”; una volta decorticato, deve essere posto ancora per qualche giorno al sole e all’aria per eliminare l’acqua e l’umidità che ha assorbito durante tale processo ed accuratamente vagliato per eliminare eventuali impurità. Conservato in luogo arieggiato e secco, può conservarsi
inalterato per parecchi mesi, senza alcun trattamento. Parte dell’orzo ottenuto, è sempre stato destinato alla produzione di malto utilizzato per la produzione della birra.

Usi
Destinato alla preparazione delle immancabili e caratteristiche minestre d’orzo, che rappresentano il primo piatto più tipico e rinomato della cucina delle Dolomiti bellunesi. Con la decorticazione a pietra si ottiene un prodotto che in cottura rimane di una corretta consistenza e non si spappola nella ricottura. Il malto d’orzo è destinato alla produzione della birra.

Reperibilità
Nell’area di produzione, nel periodo autunno-inverno e nei locali tipici che propongono la cucina bellunese.

La storia
La coltivazione dell’orzo “agordino”, vanta in tale area dolomitica una tradizione secolare, in particolare per quanto riguarda il consumo umano del prodotto decorticato, testimoniata in vari documenti.
Antonio Maresio Bazolle nel suo manoscritto di fine Ottocento “Il possidente Bellunese” gli dedica un intero capitolo. “A differenza del frumento e della segale, l’orzo viene seminato in primavera. … La qualità dell’orzo qui usuale è quella la cui spiga ha quattro righe; talvolta però viene seminato anche di quello a due righe soltanto, e che è quello che si usa nell’agordino. Quest’ultimo orzo ha il grano più grosso dell’altro, e così ha la paglia più consistente, … L’orzo non viene utilizzato riducendolo a farina come il frumento o la segale, ma viene mangiato in grano, adoperandolo a farne minestre, e cioè tanto da solo, come mescolato con fagioli. … Per essere mangiato in minestra, il grano dell’orzo deve essere liberato dalla buccia che lo ricopre, deve essere cioè, pilato. … L’orzo più bello, più grosso, e più netto che si trova qui è quello che viene dall’Agordino, e che è portato qui pilato e pronto ad essere condito a minestra. …”.
La coltivazione dell’orzo ha trovato nuovo vigore e interesse nella zona pedemontana della Val Belluna, a ridosso del Parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi, qui le superfici agrarie sono più fertili e facilmente meccanizzabili, inoltre, si è sviluppata una realtà associativa che promuove e valorizza le colture tradizionali.

 

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