Pane forte

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019  | Tempo di lettura: 2 minuti

Composizione:
a. Materia prima: farina tipo O o doppio zero, acqua, sesamo, lievito acido, sale.
b. Coadiuvanti tecnologici:
c. Additivi:

Tecnologia di lavorazione: la sera che precede la panificazione si impasta la farina con il lievito acido sciolto nell’acqua tiepida e si lascia in riposo nella madia. Il giorno dopo si riprende l’impasto con la farina rimasta, l’acqua e il sale. Si lascia lievitare per qualche ora, poi si formano dei pezzi che vengono modellati in varie forme: a torciglione, a treccia con tagli nella parte superiore, lineare con tagli trasversali; toscanino, con tagli trasversali sempre nella parte superiore. Il peso di questi pani non supera i 100 gr. Queste tipologie vengono tutte cosparse di semi di sesamo. Si cuociono a forno caldo. Sono i tipici pani di città.

Area di produzione: nelle città siciliane.

Note: l’uso di grano tenero per la produzione di pane, destinato alle città e alle classi meno abbienti, ebbe inizio in Sicilia intorno al ‘500. La varietà utilizzata era il Maiorca, perché si coltivava un po’ dappertutto, ma era di difficile esportazione perché soggetto al riscaldamento. Per la panificazione popolare si usava invece il “forte” o grano duro, mentre la pasta fino al XVIII secolo veniva fatta con la tumminia, grano duro di primavera. Supponiamo che il nome “pane forte” derivi dall’uso del grano duro già adottato nel Cinquecento. Ieri fatto con solo grano duro perché – ironia della scienza – ritenuto di meno valore, oggi il pane forte si avvale invece della farina di grano tenero, considerata, sul piano nutrizionale, meno pregiata della prima. Coi grani teneri nell’hinterland catanese veniva fatto un pane detto “cucchia” a forma ovoidale con spacco centrale quasi a simboleggiare la fertilità femminile. Nel giarrese si dica ancora “nasciu na cucchia” per annunciare la nascita di una bimba.

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