Area di produzione
Forlì, Cesena, Romagna
Materia prima
Farina, uova
Ricette
Pappardelle in brodo
Ce le racconta Tonelli, di Sarsina, nella media vallata del Savio, in casa di suo padre, ed egli non crede che fossero i soli, ove le larghe pappardelle all’uovo cucinate in un brodo di carne (oppure asciutte ai vari condimenti).
Prima del taglio sulla spianatoia la bella e solare e fresca sfoglia arrotolata, era stata sublimata con una spolveratine di formaggio unita all’impasto di farina, uova, e un pizzico di sale. Poi il consueto e sapiente lavoro di matterello. Tonelli se le ricorda come una gioiosa minestra festiva.
Meritano di essere condite proverbialmente con sughi robusti e ricchi di sapore e “virilità” (scusate il termine) gastronomica, come il sugo alla cacciatora o di lepre, come nella versione di Giovanni Manzoni, che amava frequentare i casoni delle valli riservate a cacciatori privilegiati.
G. Pozzetto, Le minestre romagnole di ieri e di oggi, Panozzo Editore, 2009
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Pappardelle in brodo d’anatra
Papardèli se zàqual, o zacli
Pappardelle per 4 persone:
g 400 di farina
4 uova
Versare la farina a fontana su una spianatoia di legno, rompervi al centro le uova e cominciare ad impastare.
Lavorare energicamente formando una palla che dovrà risultare omogenea, morbida ed elastica. Tirare una sfoglia rotonda e sottile, tagliarla a croce in quattro parti.
Con una rotella dentellata ricavare, partendo dall’esterno, delle pappardelle della larghezza desiderata.
Per fare il brodo:
un’anatra di circa 2 kg
l 5 di acqua
una grossa cipolla una costa di sedano
una carota
3 o 4 pomodori
sale q. b.
Mettere sul fuoco l’acqua con gli odori e quando inizia a bollire aggiungere l’anatra già pulita. Dopo un quarto d’ora circa schiumare il brodo e sgrassarlo. Quando l’anatra è tenera toglierla dalla pentola e passare il brodo dove vengono cotte le pappardelle. Appena affiorano servirle preferibilmente senza aggiunta di parmigiano. A quei tempi l’anatra si consumava fredda la sera con la piada.
A Bellaria Monte ancora oggi, in occasione della festa della Madonna del Rosario che ricorre la seconda domenica di ottobre, festa dell’anatra, si usa gustare questo piatto.
E’ magnè. I mangiari negli usi dei contadini romagnoli, dai racconti di R. Giorgetti e di sua mamma M. Manuzzi, a cura di D. Bascucci [et al.], Rimini, Panozzo Editore, 2002;
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Pappardelle alla fattoressa
Tritare uno spicciolino d’aglio e due scalogni grossetti, assieme a pochi prezzemolo. Tagliate a dadini un etto di pancetta, mezzo di coppa d’estate, e battete col coltello da cucina. Tritate a parte mezz’etto di mortadella, mezzo di salsiccia ed un filetto d’acciuga. Ponete poi il tutto in teglia con burro e fate soffriggere lentamente fino a perfetta rosolatura. Quindi aggiungete pomodori a pezzi, sale, pepe, un po’ d’acqua bollente e lasciate cuocere per più di un’ora.
Condite le pappardelle assieme a formaggio parmigiano.
C. Contoli, Guida alla veritiera cucina romagnola, 1963 – Calderini Edizioni;
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95. Pappardelle colla lepre I
La carne della lepre, essendo arida e di poco sapore, ha bisogno in questo caso, di venire sussidiata da un sugo di carne di molta sostanza per ottenere una minestra signorile.
Eccovi le dosi di una minestra per cinque persone che, per tante, a mio avviso, deve bastare una sfoglia di tre uova, tagliata a forma di pappardelle larghe un dito, con la rotella smerlata, oppure per grammi 500 o 600 di strisce di pasta comprata.
I due filetti di una lepre, che possono pesare in tutto grammi 180 a 200, compreso i rognoni.
Burro, grammi 50
Carnesecca, grammi 40
Mezza cipolla di mediocre grandezza
Mezza carota
Un pezzo di sedano lungo un palmo
Odore di noce moscata
Parmigiano, quanto basta
Una cucchiaiata di farina
Sugo di carne, decilitri 6
I filetti spellateli da quella pellicola che li avvolge e tagliateli a piccoli dadi, poi fate un battuto con la carnesecca, la cipolla, il sedano e la carota. Tritatelo ben fine con la lunetta e mettetelo al fuoco con la terza parte del detto burro e con la carne di lepre, condendola con sale e pepe. Quando la carne sarà rosolata, spargeteci sopra la farina e poco dopo bagnatela e tiratela a cottura col detto sugo. Prima di servirvi di questo intingolo aggiungete il resto del burro e la noce moscata.
Le pappardelle o strice che siano, cotte nell’acqua salata, levatele bene asciutte e conditele sul vassoio, senza rimetterle al fuoco, con parmigiano e l’intingolo suddetto.
In mancanza dei filetti servitevi dei coscetti.
Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, introduzione e note di Piero Camporesi, Torino, Einaudi, 1995
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Pappardelle col ragù annegato
Tritate grossolanamente cipolla, sedano, carota, uno spicchio d’aglio, prezzemolo e, se vi aggrada, un po’ di basilico. Spezzettate alcuni pomodori pelati e versate il tutto in una casseruola con due dita d’acqua o di brodo allungato. Tritate quindi un bel pezzo di scannello di manzo ed unitelo al resto. Ora ponete al fuoco e fate bollire a fiamma alta. A cottura avanzata, regolate di sale e pepe, abbassate la fiamma e lasciate sobbollire finché il ragù sarà convientemente addensato. Tolto dal fuoco, unite una noce di burro ed una cucchiaiata di olio.
Condite le pappardelle fatte in casa, di sfoglia grossetta e tagliate con la rotella dentata. Parmigiano a paicere.
C. Contoli, Guida alla veritiera cucina romagnola, 1963 – Calderini Edizioni;
Cenni storici e curiosità
Pappardelle = f. pl., Ra, Fa, Fo, al parpadël. Dice il Petrocchi: “Lasagne col brodo e sugo specialmente di lepre”. Le conosceva bene anche il Boccaccio. E la lepre pare sia stata creata solo ed esclusivamente per fare compagnia, con il suo delicato gusto, alle pappardelle.
G. Quondamatteo, Grande dizionario (e ricettario) gastronomico romagnolo, Imola, Grafiche Galeati, 1978;
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Si usava la “rotella” anche par al parpadeli, specie di tagliatelle larghe, all’uovo, che si potevano mangiare in brodo di carne (come in casa mia); oppure condire asciutte, con sugo vegetale o ragù di carne, dopo aver bollito in acqua, naturalmente.
Prima d’incidere, si tendeva a spolverare di formaggio la sfoglia.
Vittorio Tonelli, A Tavola con il contadino romagnolo, 1986 Grafiche Galeati;
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Minestre d’uso quotidiano sono le parpadelle (al parpadèl), fettucce tagliate larghe più delle lasagne, che si cuociono in un buon brodo di cappone e manzo, o si fanno asciutte, condite con ragù di carne di manzo e di fegatini di pollo e cosparse abbondantemente di formaggio.
Touring Club Italiano, Guida Gastronomica D’Italia, Milano 1931;
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Le pappardelle (al Parpadèll)sono tagliatelle assai larghe, che vengono servite asciutte ed anche in brodo. Generalmente, si ricavano dalla sfoglia a mezzo della rotella dentata, la sprunèla, che conferisce un bell’aspetto invitante a queste robuste strisce.
C. Contoli, Guida alla veritiera cucina romagnola, 1963 – Calderini Edizioni
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Le pappardelle sono tagliatelle larghe; possono essere servite in brodo o asciutte. Le asciutte sono accompagnate a piccoli quadretti di prosciutto che danno loro un aspetto seducente e un sapore ottimo. Possono essere condite con salmì di lepre e ciò dà loro un sapore particolare.
Mario Tabanelli, Romagna in Cucina, luglio 1988 – Magalini Editrice
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“Al papardel” (le papardelle) differiscono solo per forma e dimensioni dalle più famose tagliatelle. La sfoglia, infatti, è la stessa, ma le strisce di pasta si tagliano di almeno un dito più larghe (a volte anche un po’ più spesse) e per farlo si usa quasi sempre la rotellina smerlata, la “sprunèla” (speronella). Un tempo il dialetto aveva creato un po’ di confusione: in alcuni posti “al papardel” erano lasagne e le “lisagn” erano le tagliatelle. Col tempo poi, le distinzioni si sono fatte marcate nella lingua come davanti ai fornelli.
I sughi con cui si condiscono le tagliatelle (come il tradizionale ragù) naturalmente sono ottimi anche per le pappardelle, rese famose però, nell’accoppiata con la lepre.
Dizionario della cucina romagnola. Ricette, vini, personaggi …, a cura di E. Morini e S. Vicarelli, Bologna, Il Resto del Carlino, Poligrafici Editoriale, 1993;
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