Farina per polenta di mais “Sponcio”

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019  | Tempo di lettura: 3 minuti

Sinonimi e termini dialettali
Farina per polenta di mais “sponcio”, rostrato, pignol, pignol fiorentin.

Territorio interessato alla produzione
L’area classica di produzione e coltivazione (nel passato e attualmente) è la Val Belluna, ma in maniera più tipica e tradizionale la conca feltrina e soprattutto i Comuni di Cesiomaggiore, Feltre, Fonzaso, Seren del Grappa, Pedavena, Arsiè, San Gregorio nelle Alpi, tutti in provincia di Belluno.

Descrizione del prodotto
La farina è ottenuta secondo la tradizione, attraverso la molitura del mais “sponcio”. Questo è una varietà ad impollinazione libera, caratterizzata dalla particolare conformazione della cariosside che presenta una punta tecnicamente definibile come “rostro”, rivolto verso l’apice della spiga. Le spighe sono cilindriche con ranghi disposti regolarmente e colore bianco del tutolo, cariossidi a forma di rostro, di colore aranciato vivo, una consistenza marcatamente vitrea e una forte presenza di caroteni e xantofille.
Tra le sue caratteristiche peculiari spicca la vitrosità della cariosside che permette di ottenere una farina per polenta dalle elevate caratteristiche qualitative. La farina evidenzia un colore gialloarancio intenso, che permane anche trasformata in polenta, e da cui emanano intensi profumi caratteristici.
È pratica ammessa dalla tradizione locale, la miscelazione in dosi pari al 20% con cariossidi delle altre due importanti varietà di mais locali ad impollinazione libera, “fiorentin” e “ungherese”.

Processo di produzione
La tecnica di coltivazione fa riferimento alle tradizionali tecniche maidicole bellunesi, con la caratterizzazione di una bassa utilizzazioni di mezzi tecnici.
La raccolta è effettuata a mano o con macchine spannocchiatici e, prima di essere lavorato in farina, viene essiccato in spighe con esposizione al sole in idonei graticci, solai e poggioli in legno. Le cariossidi sono macinate secondo la locale tradizione, per l’ottenimento di una farina per polenta dalla grana media (ne troppo fine ne troppo grossolana).
La tradizionale farina di mais “sponcio”, viene ottenuta solo dai piccoli molini tradizionali ed è di due tipi:
– farina tipo integrale o semi-integrale, con lavorazione a palmenti a pietra. La farina ottenuta presenta la quasi totalità delle parti della cariosside. Essa appare puntinata di porzioni scure, ricca in oli e grassi vegetali e dà origine ad una polenta defi nita in termini positivi come “grassa” e altamente nutritiva;
– farina a molitura con “cilindri” in cui sono estratti parte del germe e pericarpo. La farina, porta con sé tutta la colorazione e pigmenti delle cariossidi, apparendo di un colore aranciato intenso molto appariscente.
La farina ottenuta, è confezionata in sacchi e sacchetti di carta di varia capacità, dai 500 g ai 5 kg.

Usi
La polenta che si ottiene, cucinata seconda la locale tradizione su paiolo in rame e su fuoco lento a legna, deve essere riversata su un “taier” (tagliere) di legno e come conferito anche dal mais “sponcio”, deve mantenere la forma del paiolo.
Accompagna con successo un gran numero di piatti in particolare formaggio, funghi e affettati.

Reperibilità
Reperibile nel periodo. Le particolari caratteristiche chimico-fisiche e l’elevata presenza di oli e grassi vegetali della farina di mais “sponcio” ne permettono una limitata conservazione che è di circa 60-75 giorni.

La storia
La farina per polenta ottenuta dal mais “sponcio” è tradizionalmente presente nella valle feltrina, da quasi due secoli. Sono i caratteri morfologici della cariosside, di forma appuntita che punge le mani dai quali origina l’espressione popolare di “sponcio”, a determinare la peculiarità di questa varietà già descritta nel 1882 da G. Cantoni e nel 1887 da Bazzole nel testo “Il possidente bellunese”. Da allora i richiami alla varietà compaiono con sistematicità nelle tabelle tecniche pubblicate da “L’agricoltore bellunese” fino ad arrivare a dettagliate descrizioni tecniche dello Zapparoli nel 1926 e poi da Brandolini nel 1953. Nella memoria degli agricoltori locali è vivo il ricordo dell’alta qualità della farina e delle difficoltà della sgranatura che spesso avveniva a mano.

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