Garganello, garganell

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019  | Tempo di lettura: 10 minuti

Farina e uova.
Tirare una sfoglia sottile e tagliarla a quadretti di 3 cm circa di lato, quindi passarla nell’apposito attrezzo chiamato pettine. La grandezza del quadretto varia a seconda dell’uso del garganello in brodo va molto piccolo.

 

Territorio interessato alla produzione:
Provincia di Forlì-Cesena, Romagna, si trovano anche a Imola (BO)

Ricette
Garganelli
Per questo piatto, un tempo tipicamente campagnolo, è necessario l’apposito arnese, detto “pettine”, costituito da una serie di fili paralleli, tenuti tesi da un piccolo telaio, e da una bacchettina a parte. Per 6 persone preparate una normale sfoglia con 600 gr. di farina e 6 uova. Dopo aver ben lavorato l’impasto, stendetelo sottilmente e ricavatene tanti quadratini di circa 6-7 cm. di lato. Arrotolate quindi ciascun quadratino di pasta intorno alla bacchettina, e fatelo scorrere sul pettine. Il risultato sarà simile a dei maccheroncini rigati. Lessati quindi i garganelli in abbondante acqua salata e conditeli con dell’ottimo ragù.
La rigatura impressa sulla pasta offrirà il vantaggio di “trattenere” meglio il sugo.

Garganell
Par sta mnëstra, che una völta l’era propi dla campâgna, u j vö e’ su arzmént, det pëtan, fat ad fil paralil, tnù tirê da un tlarìn, e da una bachitìna.
Par 6 parsôn preparé una spója cun 600 gr. ‘d faréna e 6 öv. Dop avé ben lavurê l’impast, stindìl stil e fasì tènt quadartì, ad 6-7 cm. ad lët.
Rudlé pu ignia quadratìn d’pasta atorna ala bachitìna, e fasìl scorar sôra e’ pëtan.
U s’farà acsè una mnëstra che la s’asarméja a di macararunzìn righé. Cusiné alora i garganell int un bël pö d’acqua salêda, sculìj e cundìj cun de ragù.
La rigadura imprèsa sôra la pasta la farà in möd che e’ sugh u s’atèca mej.
(traduzione in romagnolo a cura del Prof. Icilio Missiroli)
Fosca Martini, Romagna in bocca, 1977 Editrice Il Vespro
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Garganelli
Non foss’altro per rendere omaggio alle tante massaie che si sono incurvate la schiena sui taglieri ed hanno dato una grossa fetta della loro salute per far risparmiare qualche lira al modesto bilancio della famiglia.
Si tratta di una sfoglia all’uovo come le altre, che va tagliata a quadretti grandi aventi un lato di circa quattro centimetri se destinati all’asciutto, e di tre centimetri se destinati al brodo.
Per fare questi garganelli – e non si sa dove sia scaturito questo nome – si usa un pettine e un bastoncino rotondo lungo circa 25 centimetri della grossezza di un grissino. I quadretti di sfoglia, uno alla volta, vengono avvolti nel bastoncino il quale viene girato con una leggera pressione sul “pettine” – che è poi una specie di griglia a liste fitte -.
La rigatura di questa specie di penne risulterà trasversale: vengono sfilate dal bastoncino e lasciate asciugare come qualsiasi altra pasta laboriosa che impegna la massaia per ore, ma si evitano i maccheroni di pasta compra.
In compenso – mi ha riferito un’anziana signora di Bagnacavallo -, si faceva più presto a mangiare le aringhe affumicate che un tempo si conservavano nella paglia e – come avveniva nelle altre parti del territorio emiliano-romagnolo -, venivano “cotte” sulla graticola e mangiate con polenta arrostita.
Angelo Martelli, La cucina povera in Emilia-Romagna, Marino Solfanellli Editore, 1989
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Garganelli al pettine
650 grammi di farina passata al setaccio. 6 uova. 3 manciate di parmigiano, grattugiato fresco. Una presina di noce moscata, grattugiata. Sale.
E’ necessario, per questa preparazione, poter disporre dello speciale “pettine per garganelli”.
Disporre, a fontana, sul tavolo, la farina; rompere, al centro le uova; unire il parmigiano; condire con la noce moscata e un pizzico di sale. Lavorare prima con le dita per portare progressivamente la farina al centro, poi con le mani sino ad avere un impasto bene amalgamato.
Tirare la pasta con il matterello in una sfoglia abbastanza sottile; tagliare la pasta in quadrati di 4 centimetri di lato; appoggiare il lato diagonale su un bastoncino ed arrotolare la apasta passando sull’apposito pettine. Se ne ricaveranno i garganelli, maccheroni a punta smussata, come i maltagliati, con il dorso rigato di traverso.
I garganelli, di solito, vengono lessati in abbondante acqua bollente appena salata, sgocciolati al dente, conditi con un buon ragù. Si possono anche servire in brodo.
G. Bolognesi, I vini del sole. Romagna, Milano, Editori del Sole, 1983
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Garganel (pennette rigate) (maccheroni al pettine)
per 4 persone
gr. 400 farina, gr. 40 parmigiano grattugiato, 4 uova, sale e noce moscata.
Versate a fontana sulla spianatoia la farina, incorporate il parmigiano, un pizzico di sale ed impastate con le uova.
Lavorate sino ad ottenere un composto morbido ed elastico quindi lasciatelo riposare, coperto da un canovaccio, per mezz’oretta.
Trascorso questo tempo stendete a sfoglia la pasta e con l’apposito coltello tagliate dei quadrati di circa 5 centimetri di lato.
Stendete i quadratini diagonalmente sul “pettine” attrezzo tipico fatto con pezzetti di canne, e, premendo, arrotolateli su un bastoncino. Chiudete bene il lembo esterno e mettete i garganel man mano che li fate su una tovaglia infarinata.
Ricordate di procedere poco per volta perché la pasta non secchi.
Li verserete in acqua bollente salata e, a cottura, dopo averli ben sgocciolati, li servirete con ragù o salsa al prosciutto e abbondante parmigiano.
Giovanna Savoldi, Le ricette della mia cucina emiliana e romagnola, Firenze 1980
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Maccheroni al pettine
I maccheroni, come ogni altra “pasta compra”, erano un sogno proibito per chi non disponeva di molti soldi. E allora venivano fatti in casa e destinati a un pranzo di festa.
Realizzavano una grande sfoglia all’uovo e la tagliavano a quadretti di cinque-sei centimetri di lato; poi li chiudevano a tubo, uno ad uno, usando un dito¹ d’appoggio, come faceva chi confezionava una sigaretta. I maccheroni prodotti (da non confondere con quelli scavati e pieni già ricordati) venivano passati al pettine del telaio², per essere rigati e così predisposti a ricevere – e a trattenere meglio – il sugo matto, i buon ragù, dopo la cottura.
I garganel (com’erano chiamati in diverse località romagnole) sono oggi imitati, dai pastai, con quei maccheroni a punta che prendono il nome di penne.
¹Altrove si usava invece un bacchettino
²C’è chi passava al pettine i riquadri, prima di chiuderli.
Vittorio Tonelli, A Tavola con il contadino romagnolo, 1986 Grafiche Galeati
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I maccheroni al pettine col sugo di piselli
Una vecchia storiellina racconta di una cuoca che aveva già pronta e tagliata la sfoglia a riquadri per fare i cappelletti, allorchè il gatto di casa mangiò tutto il ripieno. Gli ospiti erano già seduti a tavola e allora la cuoca si ingegnò a preparare dei maccheroncini, che oggi vengono imitati dalle penne di pasta secca, arrotolando i quadrati per una punta a un bastoncino e poi passandoli al pettine del telaio per chiuderli e rigarli perché nelle scanalature ricevessero meglio il condimento.
Sarebbero così nati i celebri garganël.
I garganelli si consumano anche in brodo, e in questo caso, per un risultato più brillante, è bene unire al normale impasto di uova e farina anche del formaggio grana e della noce moscata grattugiati. Ma il loro trionfo è asciutti, conditi con sughi sostanziosi e molto saporiti, come quello di piselli.
In una terrina si rosolano in poco olio cipolla tritata e pancetta ben battuta sul battilardo, o prosciutto misto tagliato a dadini. Poi si aggiungono i piselli sgranati, si insaporiscono per alcuni minuti, si aggiusta di sale e pepe, si unisce la conserva o la polpa passata di pomodoro freso, si copre con acqua sufficiente alla cottura e si lascia cuocere a fuoco dolce fino a quando i piselli sono teneri e il sugo risulta ben denso.
Intanto si bollono i garganelli in abbondante acqua salata, si scolano al dente e si condiscono col sugo e abbondante parmigiano grattugiato.

Ingredienti
Per la pasta: 600 g di farina e 6 uova
Per il sugo: 300 g di piselli sgranati; 150 g di pancetta o 100 g di prosciutto a dadini; ; ½ cipolla; poco olio; 150 g di conserva o 6-700 g di polpa di pomodoro maturo passata; sale e pepe; parmigiano grattugiato abondante.
Liliana Babbi Cappelletti, Civiltà della tavola contadina in Romagna, 1993 Idealibri s.r.l. Milano;
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Garganelli, in salsa di scalogno
Per la pasta:
g 500 di farina
5 uova
una manciata di parmigiano reggiano grattugiato
un nonnulla di nosce moscata
Per la salsa:
4 scalogni tritati
brodo
g 150 di piselli di prima qualità sbollentati e raffreddati
mezza lattuga fresca tagliata a listarelle
g 200 di prosciutto crudo tagliato a listarelle julienne (listarelline fini)
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
un bicchierino di vino bianco
burro e olio
sale e pepe di mulinello
parmigiano reggiano grattugiato

Impastate la farina con le uova, il parmigiano reggiano e la noce moscata, procedendo, come al solito, da una fontana iniziale e fate riposare l’impasto coperto per almeno un’ora. A questo punto, con il matterello, stendete una sfoglia abbastanza sottile. Finché la pasta è fresca (la parte restante la tenete coperta), formate dei quadratini di circa cm 4 di lato; appoggiate il lato diagonale sul bastoncino ed arrotolate passando sull’apposito “pettine” per garganelli, spingendo, affinché i garganelli si saldino e rimangano rigati.
Per preparare la salsa, in una casseruola soffriggete in burro e olio lo scalogno tritato, unite un po’ di sale e 2 cucchiai di brodo, che lasciate evaporare. Aggiungete il concentrato di pomodoro e i piselli sbollentati in acqua bollente e salata. Quando sono quasi cotti, aggiungete la lattuga e lasciatela cuocere brevemente, regolate di sale e pepe, se necessario. Saltate brevemente il prosciutto in poco burro e olio. Lessate i garganelli al dente e saltateli in padella con la salsa ottenuta, il prosciutto e il parmigiano reggiano, unendo un po’ di acqua di cottura della pasta, se necessario.
Alessandro Molinari Pradelli, La Cucina della Romagna in cento ricette tradizionali, 1998 Newton & Compton editori s.r.l.;
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Garganelli coi tartufi
Lessate in acqua salata i garganelli, naturalmente fatti in casa, scolateli bene e versateli nella terrina di portata.
Aggiungetevi subito i tartufi sottilmente affettati, mescolate accuratamente, quindi unitevi burro liquefatto e parmigiano grattugiato.
C. Contoli, Guida alla veritiera cucina romagnola, Officine Grafiche Calderini, 1972
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Garganelli ai funghi di bosco
gr. 400 di garganelli, gr. 300 fra porcini, cantarelli, famigliole, mezza cipolla tritata, 2 spicchi d’aglio, prezzemolo q.b., 1 foglia di alloro, gr. 300 di polpa di pomodoro passata. Mezzo bicchiere di vino bianco, sale e pepe macinato al momento

Imbiondite la cipolla, gli spicchi di aglio, la foglia di alloro (che toglierete prima di versarvi i funghi). Aggiungere i funghi in base alla consistenza, e fare trifolare una decina di minuti, sfumare col vino, far evaporare, unirvi il pomodoro, salare e pepare. Far saltare in padella i garganelli con il sugo così ottenuto, e spolverizzare di parmigiano e prezzemolo.
Ristorante IL SOLIERI
MODIGLIANA – Via G. Garibaldi, 32 tel. 0541/92493
Primi Piatti di Romagna, Camera di Commercio – Forlì, 1990

 

Cenni storici e curiosità

L’origine dei garganelli è campagnola, dove vengono serviti con ottimo brodo di cappone e manzo. La confezione è alquanto laboriosa, ma il loro merito ripaga largamente tempo e fatica.
All’impasto va incorporato parmigiano e noce moscata, indi viene tirata la sfoglia non molto sottile da cui si ricavano riquadri di 5-6 centimetri di lato, badando a non lasciarli asciugare molto. E’ perciò consigliabile operare in più tempi: quando si ha disposizione un certo numero di questi riquadri, si ripiega il resto della sfoglia e si fa entrare in azione il “pettine” con la relativa bacchettina. Sono questi gli strumenti da cui usciranno ad uno ad uno i garganelli. Il pettine è fatto di listerelle di canna allineate fittemente ed inserite fra due asticciole parallele. La bacchettina è delle dimensioni di una matita o poco più e completa l’armamentario.
La sperimentata mano della massaia pone ogni quadretto di pasta diagonalmente sul pettine e lo arrotola intorno alla bacchettina premendo alquanto, specie sulla saldatura del lembo. Ne risultano, uno per volta, tanti rotolini somiglianti vagamente a quel tipo di maccheroncini appuntiti chiamati “penne”, portanti una rigatura circolare impressa dal pettine. Tutto qui.
Non sembrerebbe, ma si tratta di una appetitosissima minestra, vigorosa e profumata, che conferisce alla masticazione ed all’assaporamento un accentuato piacere. Essa richiede una sapiente cottura che non “passi di là”, ma che non dia, nella saldatura della pasta, la sensazione di crudezza.
I garganelli sono eccellenti in buon brodo, ma superbi riescono anche asciutti, specie, a nostro parere, con ragù e piselli.
Oggi vengono confezionati anche a macchina, ma reggono così poco al confronto che ci guardiamo bene dal consigliarne la prova. La virtù dei garganelli sta tanto nella loro particolare foggia e rigatura quanto nello squisito aroma della noce moscata e del parmigiano incorporatevi: è qualcosa di così connaturato che non si può concepire, specialmente in brodo, il garganello senza questi ingredienti; né vale aggiungere, come qualcuno fa, al brodo, perché è proprio un’altra cosa, la quale spinge a considerazioni poco riguardose verso la cuoca.
C. Contoli, Guida alla veritiera cucina romagnola, Officine Grafiche Calderini, 1972

Una brava cuoca che operava da anni in una casa patrizia locale, precisamente in quella del Cardinale Cornelio Bentivoglio d’Aragona, Legato Pontificio della Romagna nel 172, era indaffarata a preparare il pranzo per un cento numero di inviati. Il menù prevedeva i “caplètt” (chiamati ora “tortellini” dai bolognesi, ma di gusto alquanto diverso). Dopo avere accuratamente preparato il ripieno con carne di maiale, petto di pollo e relativi ingredienti, lo mise da parte e si diede ad impastare farina con le uova. Mentre tirava la sfoglia col matterello (s-ciadur), si accorse che un animale domestico aveva mangiato buona parte del ripieno. Disperata per la difficoltà di poter trovare sull’istante il necessario per sopperire al grave inconveniente, le balenò ad un tratto una soluzione quasi prodigiosa. A quei tempi in Imola, anche in casa di famiglie agiate, si filava la canapa e se ne tesseva la tela per la biancheria di famiglia. Perciò nel cantuccio della legna, in cucina, si trovavano in quantità cannellini lunghi 20-30 cm, della grossezza di una comune matita, che servivano per accendere il fuoco. Nella camera attigua dove si tesseva vi erano i pettini dei telai. La cuoca disperata pensò di prendere i quadretti di sfoglia già preparati per i cappelletti, di avvolgerli al fusillo e di passarli leggermente in rotazione sui denti del pettine, all’uopo disposto sul tavolo. In breve la tavola si riempi di tanti tubotti rigati e dorati. Cotti nel brodo di cappone, già pronto per i cappelletti, e serviti odorosi e saporiti, riscossero la generale approvazione dei commensali che stupiti per la novità vollero complimentarsi con la cuoca e chiesero, con interesse, delucidazioni sulla procedura usata nella manipolazione. In breve tempo la ricetta venne conosciuta ed estesa a tutta la zona. In seguito fu servita, come avviene tuttora, in diversi modi: oltre che in brodo, asciutta, stufata al forno, pasticciata con ragù di carne e al burro, con sugo contenente tartufi e funghi, sempre ben condita con parmigiano do ottima qualità. Questa è la vera storia della genesi dei garganelli imolesi, che si raccontava nelle stalle durante i trebbi serali nei lunghi inverni romagnoli.

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