Scarpasot, Scarpassôt cursèsch

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019  | Tempo di lettura: 3 minuti

Area di produzione
Comune di Correggio (RE)

Ingredienti
1,5 Kg di bietole
1,5 Kg di spinaci
2 cippollotti
prezzemolo
2 spicchi di aglio
sale
pepe
4 uova
3 cucchiai di farina bianca
3/4 cucchiai di pane raffermo
parmiggiano reggiano (1 tazza grande, circa 2 etti)
2,5 etti di lardo

Preparazione
Si lavano bene le foglie e si tagliano a striscie, si mettono sotto sale per circa tre ore. Scolare, strizzarle bene, unirle ai due etti di formaggio grattugiato, aggiungere tre uova intere, un etto di lardo pestato, i 4 cucchiai di pane grattugiato e 2 cucchiai di farina bianca. Impastare il tutto ed adattarlo con le mani, pressandolo, in una padella unta in modo da riempirla fino all’orlo. Ungere con olio d’oliva. Fare cuocere a fuoco lento per mezz’ora; rivoltare l’impasto almeno una volta per rosolarlo da entrambi i lati. Cuocere a fuoco lento per circa mezz’ora. Attenti a non bruciarlo. Cotto, deve avere un aspetto verde-bruno, dello spessore di un dito e mezzo, non di più. Metterlo su una carta gialla perché perda l’unto. Si mangia sia caldo che freddo.

Varianti
Le foglie possono essere tritate. Si può cuocere in forno invece che in padella (cottura più usata a Reggio, dove si usa anche maggiormente avvolgere l’impasto in una pasta, mentre a Correggio la tradizione prevede la cottura in padella).

Cenni storici e curiosità

Al Scarpassôt cursèsch
dal manoscritto del Dr. Giulio Taparelli “Storie di cucina e di focolare con antiche ricette
Questa è Storia con la S maiuscola.
Il Principe Giovan Siro (1590-1645), Signore di Correggio e di Rossena, figlio di Camillo, gran guerriero, e di Francesca Mellini, donna di umili origini, fu il frutto di una tarda relazione extraconiugale. Con grande difficoltà, per questa sua origine, aveva ottenuto il feudo dei “da Correggio”, ma già le possessioni e il potere agonizzavano, le truppe spagnole erano in Correggio e sotto il portichetto di S. Francesco avevano alloggio e Insegne. 
Siro era stato creato principe con l’aiuto degli spagnoli e le tresche politiche del Conte Bolognesi, che si erano dati da fare presso gli Uffici dell’Impero; poteva sì nominare Conti, Cavalieri e dare libertà ai servi della terra, ma in realtà era ormai sulla china che lo avrebbe precipitato nella perdita dell’onore e dei beni.
La Storia a volte ignora o trascura l’aspetto umano dei personaggi e i piccoli avvenimenti o casi della loro vita. Così fu per Siro; tutti lo ricordano per la faccenda della Zecca, perdita del feudo, per la sua fuga, ma nessuno per le buone azioni che indubbiamente fece.
Era pieno di vita, giovane; non gli mancavano le occasioni per feste e scampagnate nei suoi possedimenti di Mandriolo ed amava tenere piacevolissime riunioni con donne ed amici nella “Delizia” fuori città, posta sull’antico Canale dei Mulini (attuale Villa Tapparelli in via Carletti).
Fu durante un’allegra cavalcata che Siro, con il suo seguito, sostò presso un colono, certo Cattini Carlo, figlio di Omobono, famiglia da secoli legata dalle dure leggi di allora al pezzo di terra che lavorava.
Il colono, onoratissimo, ma anche intimorito dalla presenza di così gran Signori, si profondeva in reverenze e inchini. L’allegra compagnia si era comodamente sistemata sotto le grandi querce che circondavano la modesta abitazione del Cattini, chiamata “La Cà Vecia” (che esiste ancora, dietro la Villa); sia per la calura che per gli allegri canti, in breve ebbe sete. Carlo spillò da una sua botticella che teneva al fresco in cantina, un vinetto aspretto e frizzante, che fece da ottimo aperitivo; ma ai Cavalieri e alle Dame venne un certo languore e il povero colono si trovò nelle peste: cosa dare a quei Signori abituati a cibi raffinati? La moglie Demaride, con una di quelle intuizioni che solo le donne hanno, andò nei campi e, colte alcune erbe a lei note e un aglio, in breve tempo allestì con del lardo battuto un impasto che affidò alla padella, grande sistematrice di ogni vivanda (la padèla la giùsta tùtt!). Cotta che fu, la vivanda, che pareva una tortaccia verde-bunastra, esalava un buon profumo e si rivelò gustosissima al punto che la Demaride dovette ripetersi.
Si narra che alla fine dello spuntino il Principe Siro, chiamati a sè il colono e la moglie, li facesse inginocchiare davanti a lui seduto “in caréga”, e imposti sopra le spalle dell’uno e all’altra i suoi piedi “scarpati” alla spagnola, dicesse: “Quel che tu ci desti a mangiar, o villanotto, da oggi in poi nomar si dée “Scarpa di sotto”, perché col piede mio liber ti faccio e la brava donna tua bacio ed abbraccio”.

PaesidelGusto
PaesidelGusto


Ultimi Articoli

©  2024 Valica Spa. P.IVA 13701211008 | Tutti i diritti sono riservati.
Per la pubblicità su questo sito Fytur