Stocco

PaesidelGusto  | 10 Gen 2019  | Tempo di lettura: 7 minuti

Territorio interessato alla produzione
città di Napoli, Acerra, Giugliano, area vesuviana;

Sinonimi
stoccafisso, curuniello, mussillo, panzetta, fella, stoccafisso napoletano

Descrizione
Forma: trapezoidale irregolare
Colore: bianco
Pezzatura: dai 600 g ai 3 kg (reidratato).
Aspetto e dimensioni: presenza di fibre a scaglie di colore bianco opaco, e dimensioni variabili in base alla pezzatura acquistata.
Caratteristiche organolettiche: odore pungente, colore bianco verso l’esterno che tende a divenire più opaco verso l’interno, sapore intenso di pesce essiccato, consistenza callosa e soda.
Caratteristiche chimico-fisiche: umidità 85%, proteine 10%, ceneri intorno al 30%, grassi 3%, carbonati < 10g/Kg, bicarbonati 5-7 g/Kg e pH intorno a 9.

Metodiche di lavorazione
Il materiale di partenza è costituito da merluzzo artico norvegese (Gadus morhua) pescato nei mari freddi del nord Europa, decapitati, eviscerati, lavati, legati a coppie ed appesi a dei tralicci ad asciugare per tre mesi circa, fino a raggiungere un’umidità residua del 15%. Tali processi avvengono fuori della zona tipica di lavorazione dello “stocco”, nei paesi di origine (principalmente Norvegia).

Giunto in Italia il prodotto essiccato, il processo di lavorazione dello “Stocco” conosciuto come “tecnica napoletana” consiste nella reidratazione del pesce, in vasche realizzate in materiale idoneo al contatto con gli alimenti, di capacità variabile, compresa tra gli 800 e i 1.000 litri; la temperatura dell’acqua deve essere compresa tra 0 e i 15°C per un periodo di almeno 13 giorni in cui si susseguono continui cambiamenti dell’acqua di concia.
In ogni vasca il quantitativo di prodotto secco non deve superare il 10% della capacità totale; il rapporto ottimale si aggira intorno a 75-100 kg di prodotto per vasca (rispettivamente da 800 e 1.000 litri).
Le fasi del processo di produzione sono le seguenti:
1) Scodatura: si elimina la coda effettuando un taglio posteriore, a circa 2 cm dall’attacco della pinna ventrocaudale con la sega a nastro. Viene altresì eliminata la parte anteriore all’altezza dell’ultima branchia e la protuberanza superiore che delimita la testa; dopodiché il prodotto viene immesso nelle vasche con acqua fredda per 24 ore;
2) Sguarratura: il pesce, in parte reidratato, viene prelevato dalla vasca di ammollo e diviso in due parti, operando un taglio netto a livello mediano con un coltello ad uncino, applicando una pressione sulla spina dorsale che favorisce il distacco di una metà del pesce senza rompere le fibre muscolari. Successivamente la colonna vertebrale, con le lische, viene distaccata dall’altra metà ed eliminata. La vescica natatoria viene separata dalle due metà, che sono immesse in una vasca con altra acqua fresca pulita, dove restano per altre 24 ore;
3) I Ammacchiata: viene nuovamente sostituita l’acqua nella vasca con il pesce; si aggiunge calce alimentare (idrossido di calcio) in una percentuale massima dell’1% del prodotto secco immesso in vasca. Questa fase ha una durata di 24 ore;
4) II Ammacchiata: il prodotto viene passato in una vasca con acqua pulita, sempre mantenendo la temperatura tra gli 0 e i 15°C, con l’aggiunta di calce alimentare in misura massima dello 0,12%. Qui vi rimane per altre 24 ore;
5) Sezionamento: il pesce risulta abbastanza idratato per operare un taglio che permette di dividerlo nelle porzioni commerciali apprezzate dai consumatori del mercato campano: pancetta (pancia di stoccafisso) e curuniello (filetto di stoccafisso). La separazione viene eseguita con un taglio netto, recidendo trasversalmente i muscoli del pesce a circa la metà del pezzo; quindi i singoli pezzi ottenuti sono immessi in vasche con sola acqua fredda per un periodo di altre 24 ore. Questa operazione va eseguita su un ceppo di legno, mantenuto ben levigato e igienicamente reso idoneo, in quanto esso permette da un lato di assorbire i colpi della mannaia, riducendo i contraccolpi causati dalla forza di taglio, e quindi danni all’apparato muscolo-scheletrico dell’operatore; dall’altro il prodotto si separa meglio e più nettamente evitando di produrre sfilacciamenti nel muscolo che ne peggiorano le qualità organolettiche finali.
6) III Ammacchiata: Cambio dell’acqua con aggiunta di calce alimentare in quantità di circa l’1%. Questa fase dura 24-48 ore;
7) Governata: dopo la III ammacchiata il pesce viene nuovamente passato in altra vasca con acqua pulita, aggiungendo circa l’1% di calce alimentare e bicarbonato di calcio in quantità sufficiente affinché il muscolo non venga sfibrato dall’adiuvante. Il pesce rimane in questa soluzione per altre 24 ore;
8) Spurgo/capriola: il pesce viene immesso in vasche con altra acqua pulita. In questa fase è possibile, in caso di necessità, aggiungere 20-30 litri dell’acqua di concia della governata;
9) II Spurgo: il prodotto, ormai in fase di assorbimento di acqua, ha perso parte dell’acqua di concia, ovvero ha spurgato gran parte dei coadiuvanti. Se necessario, per incrementare la fuoriuscita dei coadiuvanti, si smuove il prodotto nell’acqua stessa con delle leve di materiale idoneo per gli alimenti (plastica, acciaio cavo, ecc.), immettendo acqua pulita ad alta pressione. Questa fase può durare 24-48 ore;
10) Pajurnata: questa fase consiste nel sollevamento del pesce dalle vasche di ammollo, posizionandolo su carrelli costruiti in acciaio per selezionarlo in base alla pezzatura. In un’ulteriore vasca, con sola acqua pulita fredda mantenuta tra 0 e 4°C, il pesce selezionato viene rimesso di nuovo in ammollo e qui vi rimane per ulteriori 3/4 giorni. Durante tale periodo gli operatori visioneranno il livello di acqua nelle vasche, aggiungendola in modo tale che il prodotto rimanga sempre immerso per almeno 3-4 cm;
11) Confezionamento: fase finale in cui il pesce, ormai completamente reidratato, viene sollevato dall’acqua e immesso in singole confezioni per alimenti.
Se il processo produttivo è correttamente eseguito, per ogni kg di prodotto secco grezzo, non ripulito, si devono ottenere 3,0-3,5 kg di prodotto reidratato.

Cenni storici e curiosità
Lo stoccafisso è stato lavorato con la particolare “tecnica napoletana” fin dal 1600 nelle grotte tufacee del territorio campano, le cui caratteristiche permettevano naturalmente di mantenere per molti giorni costante la temperatura e l’umidità al fine di ottenere la giusta reidratazione rendendo l’aspetto del prodotto simile a quello fresco.
Lo stocco o stoccafisso è un prodotto ittico ottenuto dalla trasformazione di merluzzi pescati nei freddi mari del nord e decapitati, eviscerati, lavati, legati a coppie ed appesi a dei tralicci ad asciugare per tre mesi circa, fino a raggiungere un’umidità residua del 15%.

Il processo di essiccazione degli alimenti consente di prolungare significativamente la vita dei prodotti e come metodo di conservazione ha origini antichissime; nel caso specifico era già utilizzato dai vichinghi che essiccavano il pesce per poi disporne come provvista durante le loro spedizioni in nave, che li portavano anche in luoghi molto distanti dalla terra natia senza scali intermedi.

Lo stoccafisso fece il suo ingresso in Italia grazie a Pietro Querini, mercante veneziano, che nel gennaio del 1432 naufragò nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, in cui apprese dai pescatori locali la tecnica di produzione del merluzzo essiccato, in lingua norvegese “stokkfisk” ovvero “pesce a bastone”. Querini, tornato a Venezia, importò l’idea dello stoccafisso che riscosse subito grande successo tra la popolazione; le prime notizie sull’arrivo in Italia dello stoccafisso risalgono proprio al tempo dei Normanni in Sicilia; agli inizi del Cinquecento risale l’importazione del merluzzo secco in Calabria dal porto di Napoli.

Da allora il prodotto si è diffuso in tutta la penisola, assumendo connotati diversi grazie a specifici sistemi di reidratazione e diversificati usi nella gastronomia, soprattutto popolare.
La peculiare conformazione tufacea delle grotte napoletane ha permesso, già intorno al 1600, di sviluppare una particolare tecnica di lavorazione, favorita anche dalle acque provenienti dalle sorgenti del fiume Sebeto, che bagnava l’antica Neapolis, ricche di calcio e ferro-magnesio, e quelle del Serino, a basso residuo fisso, ottimali per la reidratazione del merluzzo.
Il processo di lavorazione aveva, dunque, luogo nelle profonde grotte tufacee, di cui l’ultima attiva è stata quella del San Gennaro, dove la temperatura si mantiene costante per tutto l’anno.
Il prodotto veniva inizialmente immagazzinato nelle nicchie scavate nel tufo, ad una temperatura di circa 13-14°C e bassa umidità, e conservato fino al momento della reidratazione, che poteva avvenire anche dopo diverso tempo.

Al momento della lavorazione lo stoccafisso veniva prelevato dalle “moglie”, le tele di juta cucite in cui era conservato, procedendo all’asportazione delle estremità craniale e caudale, tramite il “curtiello” (coltello da rifilatura) dopo di che veniva immesso in acqua per il primo ammollo di circa 24 ore.
Successivamente veniva prelevato e, con un particolare coltello a lama ad uncino, il “runcillo”, veniva privato delle pinne dorsali e anali, aperto medio-longitudinalmente (“sguarratura”), e quindi privato anche di colonna vertebrale, vescica natatoria, stomaco, esofago e regione periesofagea; queste parti, denominate “trippa” o “ventriglio”, venivano consumate senza alcun ulteriore trattamento.

A questo punto le due metà (“pacche”) erano sottoposte alla “ammacchiatura”: immesse in vasche contenenti acqua, cambiata dopo 24 ore circa di ammollo con aggiunta di acqua di calce (acqua addizionata con idrossido di calcio); quindi venivano lasciate a riposare in questa miscela per altre 24 ore.
Le metà erano quindi ulteriormente suddivise in due parti, il “mussillo”, la parte ventrale, e il “coroniello”, la parte dorsale di valore commerciale superiore.
Le parti sezionate venivano quindi nuovamente poste in ammollo per 24 o 48 ore e lavorato come nella procedura precedentemente descritta.
Alla fine del trattamento lo stoccafisso veniva messo in vendita nelle “vasche pa jurnata” diviso in “coroniello” e panzetta pa jurnata”

Il prodotto così ottenuto da ligneo, duro, secco e sottile diveniva sodo, elastico, idratato e di maggiore spessore, acquistando inoltre particolari caratteristiche organolettiche che lo rendevano ottimale per l’uso in cucina.

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