Quando il contrabbando era un’esigenza: la storia del caciocavallo dell’emigrante, la bontà dimenticata della Campania

Marianna Di Pilla  | 14 Lug 2024
Caciocavallo dell'emigrante

La storia incredibile del caciocavallo dell’emigrante, il ‘salume-formaggio’ che ingannò la dogana americana.

Italiani, popolo di emigranti. Storicamente dal Belpaese sono partiti milioni di persone in cerca di fortuna e di una vita migliore. Sono stati due i principali, grandi movimenti migratori verso l’estero, in particolare verso l’America (sia del Sud che gli Stati Uniti). La prima ondata migratoria è quella avvenuta a cavallo tra la fine del diciannovesimo secolo e i primi vent’anni del Novecento; la seconda risale al secondo dopoguerra.

Non stupisce che uno spostamento così massiccio abbia portato con sé delle conseguenze e che abbia dato vita a particolari situazioni. Per gli italiani, così legati alle proprie tradizioni culinarie, è quasi normale che abbia provocato un movimento anche… gastronomico. E il caciocavallo dell’emigrante è uno di quei prodotti che meglio raccontano il fenomeno dell’emigrazione da un punto di vista diverso dal solito.

Caciocavallo dell’emigrante, il formaggio dell’imbroglio


Caciocavallo dell’emigrante

La storia del caciocavallo dell’emigrante comincia in Cilento, territorio che conobbe un fortissimo flusso migratorio, pari a quello di tante altre regioni del sud Italia. Anche i cilentani in partenza per destinazioni lontane e sconosciute mettevano in valigia generi di prima necessità ma anche qualcosa che ricordasse loro casa. E niente ha il sapore di casa come i prodotti che siamo abituati a mangiare e i piatti preparati in famiglia con amore.

Ecco allora che le ormai celebri valigie di cartone degli emigranti si riempiono di prelibatezze e specialità della propria terra di appartenenza: vino, pasta, prodotti dell’orto, pane e legumi secchi, da consumare o da portare in dono a parenti e amici già emigrati da tempo.

Di fronte ad un così consistente passaggio di merci, gli Stati Uniti videro la necessità di porre un freno. Il rischio era che gli immigranti portassero in America non solo cibi ma con loro anche parassiti e malattie. Il primo passo fu dunque l’introduzione di severe norme igieniche, come il divieto di introdurre nel Paese carne di maiale e quindi salumi.

Se per i salumi il divieto era assoluto, non valeva invece per i prodotti caseari. A qualcuno venne allora in mente un’idea sovversiva e geniale al tempo stesso: perché non nascondere i salumi all’interno di un formaggio?

È così che nasce il caciocavallo dell’emigrante, che oggi qualcuno chiama anche solo caciocavallo farcito.

Che cos’è e come si fa il caciocavallo dell’emigrante

Caciocavallo dell'emigrante
Caciocavallo dell’emigrante

Non poteva che nascere in Cilento, nella zona di Vallo di Diano famosa ancora oggi per la produzione di caciocavalli e salumi.

Il caciocavallo dell’emigrante è un formaggio semi stagionato (la stagionatura varia dai 60 giorni fino ai 12 mesi a seconda del grado di piccantezza che si desidera), a pasta filata e farcito all’interno da soppressata dolce o piccante.

Fuori sembra un formaggio, ma dentro è un salume: unisce dunque due sapori che non restano distinti ma che si fondono in un sapore unico e tutto nuovo, inedito e inaspettato.

Il caciocavallo dell’emigrante diventa così una via di mezzo tra un formaggio e un salame, assurgendo a simbolo della celebre inventiva italiana, che mai si arrende di fronte alle difficoltà e agli ostacoli.

Come si ottiene il caciocavallo dell’emigrante?

La lavorazione è molto simile a quella del classico caciocavallo, da cui differisce per alcuni passaggi. Durante il processo di filatura della pasta viene inserito al centro il salume già stagionato. Si continua a lavorarlo in modo tradizionale e a dargli la forma che è in effetti in tutto e per tutto quella di un normale formaggio. Visto da fuori non si può neanche immaginare del goloso ripieno che accoglie.

Marianna Di Pilla
Marianna Di Pilla


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