Saba dell’Emilia-Romagna, sapa

PaesidelGusto , 10 Gen 2019

Descrizione del prodotto:
Sciroppo dolce ottenuto da lenta e prolungata bollitura del mosto, generalmente di uve bianche. 
Colore dall’ambrato al rosso, odore intenso di caramello, sapore mielato, sapido e vellutato.

 

Territorio interessato alla produzione:
L’area di produzione, trasformazione ed elaborazione è rappresentata dall’intero territorio facente parte della regione Emilia-Romagna. Si produce anche nelle Marche,

Lavorazione
Le uve vengono pigiate e il mosto così ottenuto viene messo in recipienti di rame o acciaio al contatto col fuoco fino ad ottenere un’evaporazione di circa 2/3 del liquido.
Segue la decantazione e la conservazione in recipienti di vetro che può durare alcuni anni.

 

Cenni storici e curiosità
La Saba è uno sciroppo che in Emilia-Romagna si è tradizionalmente preparato nelle campagne dal secolo scorso fino alla fine degli anni Cinquanta, che tuttavia ha radici millenarie risalenti all’epoca romana.
Saba è il termine dialettale usato in Emilia-Romagna per indicare questo prodotto a base di mosto, anche conosciuto con il nome Sapa.
Nelle Georgicae è descritta in maniera accurata la tecnica enologica in uso nell’agro bolognese ai tempi di Columella, nella quale si parla, tra le altre cose, anche della Sapa, impiegata addirittura per nutrire le lumache, alla cui carne sembrava conferire un gusto più delicato.
Columella cita la Sapa nel De re rustica e Plinio offre una descrizione di questo mosto cotto nell’opera Naturalis Historia.
Plinio narra inoltre che quando l’imperatore Augusto pranzò a Bologna presso un ricco veterano di Antonio, gli vennero serviti opera pistoria (i nostri dolci) fatti con mosto cotto: la Sapa e il Savor, impiegati già allora per la preparazione di molti dolci.
In epoche più recenti la Sapa viene menzionata da Ludovico Ariosto nella Satira III scritta nel 1518. In essa l’autore di Reggio Emilia, rivolgendosi al cugino Annibale Malaguzzi, parla del suo nuovo lavoro e difende la propria dignità. Fedele al mai smentito ideale di vivere libero, al punto di rinunciare al servizio del cardinale Ippolito piuttosto che seguirlo in Ungheria, Ariosto ricorda che se il cardellino e il fanello possono vivere in gabbia, e l’usignolo vi si adatta malamente, la rondine in un giorno vi morirebbe di rabbia. Così è per lui che a qualsiasi delizioso cibo servile preferisce una rapa da lui stesso cotta e condita con aceto e Sapa: “In casa mia, mi sa meglio una rapa / Ch’io cuoca, et cotta s’un stecco me inforco / Et mondo et spargo poi di aceto et sapa”.
Vincenzo Tanara, agronomo e gastronomo bolognese del XVII° secolo, ricorda la Sapa in uno dei suoi scritti risalente al 1644: L’economia del Cittadino in Villa. In tale opera Tanara, riferendosi alla Sapa, scrive: “Fassi servir l’uva per indolcire vivande in luogo di miele, senza spesa, mediante la sapa, o sabba; Non credo, che l’huomo possa desiderar più gusti di quello, che rende la vite; questa è mosto colato, e fatto bollire fino, che cali i due terzi”. A proposito del tempo necessario al suo ottenimento l’agronomo bolognese fornisce alcuni suggerimenti: “E’ meglio il peccare in troppo cuocerla, che in non lasciarla cuocere assai: Si conosce la sua perfettione col ponerne due goccie sopra una carta, se col far star pendente la carta, la goccia non si stacca, è cotta assai; se ancora intinte le due cime de’ diti, grosso, e indice, e quelli congionti insieme, quando è cotta, nello staccarli si sente viscosità, e fa quasi fila. Serve la Sapa alla cucina, e credenza in moltissime occasioni, come à suo luogo si dirà”.
Lodovico Antonio Muratori, vissuto tra il 1662 e il 1750, Bibliotecario del Serenissimo Duca di Modena, nell’opera Antiquitates Italicae medii aevi al termine Saba fornisce la seguente definizione: “Antiquis autem Latinis nihil aliud Sapa fuit, nisi Italicum sapa, Mutinensibus saba, idest mustum decoctum.”
Pellegrino Artusi, insigne gastronomo nato a Forlimpopoli nel 1820, nella sua celebre opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, pubblicata per la prima volta nel 1891, nomina il prodotto tra gli sciroppi usando le seguenti parole: “La Sapa, ch’altro non è se non uno siroppo d’uva, può servire in cucina a diversi usi poiché ha un gusto speciale che si addice in alcuni piatti. E’ poi sempre gradita ai bambini che nell’inverno, con essa e colla neve di fresco caduta, possono improvvisar dei sorbetti”.
Il suo utilizzo nel tempo è stato quello di conferire gusto e sapore a vivande e bevande. La ritroviamo, infatti, tra gli ingredienti utilizzati nella produzione del “Panone di Bologna” (versione più semplice e contadina del Certosino dato che al posto del miele si utilizzava la Saba e alla mostarda si sostituiva il “Savór”), dei Sabadoni, (“tortelloni” di grossa e allungata dimensione legati ad antiche consuetudini della gente romagnola), e appunto del Savór, una sorta di marmellata a base di Saba e frutta, prevalentemente mele cotogne e pere.


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