Ingredienti per 4 persone:
1 tazza di farina,
2 cucchiai di olio extra vergine di oliva,
50 grammi di pinoli,
q.b. di sale,
1 bicchiere di vino bianco,
300 grammi di aceto bianco,
50 grammi di uva sultanina,
olio di semi,
pepe in grani,
2 chiodi di garofano,
2 cipolle bianche,
600 grammi di sarde
1 cucchiaino di semi di coriandolo.
Pulire le sarde ed eliminare la testa ed infarinarle. Sciacquare l’uvetta con acqua tiepida e metterla a rinvenire nel vino bianco. Riempire per metà la padella usando olio di semi e farlo scaldare. Infarinare i pesci e, quando l’olio è ben caldo, metterli in padella lasciandoli dorare dalle due parti quindi, eliminare l’unto in eccesso, usando carta speciale, facile trovabile in commercio. Una volta si adoperava la cosiddetta “carta matta”.
L’operazione per le “sarde in saor” prosegue con una lieve aggiunta di sale.
Tagliare poi, molto finemente le cipolle, e farle appassire in due cucchiai d’olio extra vergine d’oliva. Quando saranno trasparenti e cominceranno a prendere colore, bagnarle con l’aceto ed unirvi il pepe, il coriandolo ed i chiodi di garofano ed un paio di foglie di alloro.
Far bollire per due o tre minuti e spegnete la fiamma.
In una piccola terrina formare uno strato di sarde, coprirle con parte delle cipolle (la bravura è quella di ottenere delle cipolle dolci), dei pinoli e dell’uvetta sgocciolata ed asciugata.
Continuate a formare gli strati fino ad esaurimento degli ingredienti e terminare con uno strato di cipolle. Versare su tutto la salsa di aceto quindi coprire la terrina con pellicola trasparente e fate riposare la preparazione per almeno 24 ore prima di consumarla. Conservarla nella parte meno fredda del frigorifero togliendola qualche ora prima di servirla.
Il piatto delle “sarde in saor” può essere catalogato come antipasto, ma anche come secondo piatto. Nelle altre regioni, questo modo di cucinare il pesce, è chiamato “marinato”: lo si fa anche per l’anguilla.
L’uso di inserire l’uva sultanina è tipicamente veneziano: poiché il pesce è in trattato con la cipolla, s’è voluto, fin dai tempi della “Serenissima”, proporle sulle tavole dei ricchi e dei nobili con la presenza dell’uvetta con due precise funzioni: “tentar de cavar l’unto da la boca” e facilitare, per quanto possibile, una digestione che non abbia “ritorni di cipolla” non graditi a chi sta accanto, dopo aver consumato questa specialità.
Da accompagnarsi con un buon bicchiere di vino bianco fresco.
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