Arrivare a Viale Calamosca 50 significa lasciare alle spalle il traffico urbano e abbandonarsi alla luce del Golfo degli Angeli. Il panorama è dominato dalla Sella del Diavolo, il promontorio selvaggio che incornicia la piccola baia: un mosaico di agavi, mirto e palme nane che profuma già i primi passi verso il ristorante.
Dal parcheggio una passerella in legno conduce alle terrazze sospese a picco sull’acqua; il rumore lieve della risacca si mescola a quello dei calici che tintinnano, preludio a un’esperienza capace di celebrare insieme paesaggio e cucina.
Alle Terrazze di Calamosca il mare di Cagliari diventa esperienza gastronomica.
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Il DNA del luogo coincide con quello dei fratelli Matteo, Alessandra e Massimiliano Porcu. Tutto ha inizio negli anni ’50, quando il nonno Vittorio – reduce di guerra – riceve questo lembo di costa come ricompensa e, con la moglie Maria Leonarda, apre un piccolo chiosco sul mare.
In tre generazioni il chiosco diventa hotel, beach bar e infine ristorante panoramico: un ecosistema che ancora oggi la famiglia gestisce in prima persona, forte di un sentimento di custodia verso la baia.
Nel 2020 Matteo Porcu avvia un restauro filologico degli interni: legno nautico, pietra locale, ampie vetrate scorrevoli che annullano il confine con il mare. L’anno successivo tocca alle terrazze, ridisegnate su più livelli per garantire circa 130 coperti senza mai sacrificare la vista.
Il risultato è un teatro en plein air che funziona 365 giorni l’anno, complice la brezza costante del promontorio.
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Il ristorante: sala interna dai toni sabbia e una balconata front-sea a quota zero.
Il Sunset Bar: divanetti di teak e cuscini écru affacciati sulla falesia; al tramonto parte la colonna sonora di un dj-set soft touch.
La terrazza eventi: pensata per matrimoni e banchetti, accoglie fino a 180 ospiti con vista sul faro di Capo Sant’Elia.
L’insieme ricorda gli shake-shore più glamour delle Baleari, ma con materia prima e identità integralmente sarde.
Alla guida dei fornelli c’è dal 2022 Michele Ferrara, cagliaritano classe ’86, un curriculum che tocca Parigi, Londra, Roma e i resort della Costa Smeralda. Ferrara porta in dote tecnica francese, essenzialità nordica e un rispetto quasi filologico del prodotto isolano: pesce locale, ortaggi di collina, zafferano di San Gavino. «Innovazione comprensibile» è la sua filosofia; la tavola deve restare “felice”, non intimidire.
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Il menù cambia quattro volte l’anno; la pasta è trafilata in casa su bronzo, i brodi si tirano con lische fritte per estrarre umami, le erbe spontanee arrivano ogni mattina dal promontorio retrostante.
Ferrara ha scelto di puntare forte sui primi piatti: linguine in brodo di triglia con tartare di filetti e battuto piccante, culurgiones fritti ripieni di ricotta ovina e menta, malloreddus “Casu e Sirboni” al ragù di cinghiale e crema di pecorino. L’uso dell’uovo rende la pasta elastica e facilita un servizio serrato: in alta stagione si raggiungono i 130 coperti per turno senza tempi d’attesa ansiogeni.
3 piatti imperdibili?
Paccheri “Calamosca 1952” – uovo fresco, calamari, gamberi, vongole, cozze Nieddittas e bottarga di Cabras: un omaggio alla prima zuppa di mare servita qui negli anni Cinquanta.
Polpo “per Silvana” – scabecciu agrodolce, olive e cipolle: dedica alla madre dei Porcu che cucinava il polpo sulle barche dei pescatori.
Risone nano allo zafferano con anguilla affumicata di Buggerru – un comfort-food che unisce la profondità marina al tepore contadino.
La carta dei vini – 180 etichette – privilegia Cannonau d’altura, Carignano del Sulcis e bianchi macerati del Sinis; non mancano outsider come Riesling tedeschi o Champagne grower.
Il servizio, in camicia lino e grembiule sabbia, è informale ma puntuale: lo staff segue un training stagionale di sei mesi.
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Il conto medio oscilla fra 60 € a pranzo e 75 € a cena vino escluso; sulla fascia cocktail bar ci si muove fra 14 € e 18 € a drink.
Perchè dalle 17:30 le terrazze superiori si trasformano in una lounge sospesa sul blu. In carta ci sono gin tonic profumati al lentisco, spritz con vermouth locale e un Bloody Mary all’erba cipollina marina.
Da mordere: bombas di bue rosso, fish & chips di triglie, culurgiones fritti. L’atmosfera, complice il sound, ricorda Ibiza; ma il cuore resta sardissimo grazie a salumi di Villagrande, pane carasau croccante e un calice di Vermentino spumeggiante.
Che si scelga un aperitivo con dj-set o una cena gourmet, il denominatore comune resta la connessione emotiva con il paesaggio: la risacca che accompagna l’antipasto, il vento di maestrale che rinfresca il palato, le luci dei pescherecci all’orizzonte che fanno da cometa al dessert. È la Sardegna che si narra senza filtri: cruda, luminosa, elegante nella sua essenzialità.
Il progetto gastronomico convive con la Fondazione Calamosca, creata dai fratelli Porcu per preservare dune, fondali e sentieri circostanti. Dalla raccolta dei rifiuti marini alle lezioni di archeologia subacquea per le scuole, ogni iniziativa lega ristorante e territorio in un patto di reciproca cura. In cucina le stesse linee guida: pesce da piccoli pescherecci, carni IGP dell’interno sardo, plastic-free sul 100 % del delivery interno alla baia.
Terrazze di Calamosca non è solo un ristorante: è uno scrigno di memoria familiare, un’avanguardia di cucina identitaria e un presidio ambientale.
Qui la tradizione non è nostalgia, ma strumento per parlare al presente con linguaggio nitido. E nel crepitio del ghiaccio shakerato o nel profumo di bottarga appena grattugiata si avverte la sensazione che la baia canti ancora le leggende che le diedero il nome. Partirete con il sale sulla pelle, lo zafferano sul palato e la certezza di aver assaporato un frammento autentico di Sardegna.
[foto copertina da account Instagram @@terrazzecalamosca]
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