
È un’eccellenza che racconta la geografia e l’anima di un territorio: la provincia autonoma di Bolzano, dove la cultura alpina e mediterranea si stringono la mano e inventano sapori in equilibrio perfetto. La zona di produzione dello Speck Alto Adige IGP coincide infatti con l’intero territorio di Bolzano, un perimetro che non è burocrazia ma identità gastronomica, paesaggio e memoria contadina.
Quella dello speck in Alto Adige è una storia di necessità, ingegno e aria di montagna, poichè nasce come tecnica di conservazione necessaria in un ambiente di valli ventose e inverni lunghi, quando le famiglie contadine dovevano far durare la carne di maiale per tutto l’anno. Si uniscono così due mondi: la stagionatura mediterranea del prosciutto crudo e l’affumicatura nordica. Ne deriva un salume dal carattere unico, determinato dal tempo e dalla montagna, pensato per essere tagliato sottile e condiviso alla Marende, la merenda tirolese, dove fa coppia fissa con lo Schüttelbrot, il pane di segale croccante e profumato di cumino e finocchio. Lo speck Alto Adige IGP è trasversale: brilla da protagonista in tagliere, ma in cucina diventa ingrediente d’autore. Nel repertorio di montagna entra nei canederli a cubetti, avvolge filetti di trota alpina o asparagi bianchi, dà carattere a risotti mantecati con formaggi d’alpeggio, si fa croccante su vellutate di patate o zucca, impreziosisce pizze gourmet e focacce. È un saporitore naturale: bastano pochi grammi, tostati appena in padella, per sprigionare un profumo che sa di legna, erbe e aria tersa. L’IGP garantisce uniformità di stile e standard qualitativi, ma ogni produttore ha la propria firma: dosi di spezie, tempi e “mano” nell’affumicatura. È il bello degli alimenti identitari: dentro i paletti del disciplinare c’è spazio per la personalità.
Parlare di Speck Alto Adige IGP significa parlare di montagne e microclimi. La denominazione protegge non solo un metodo, ma un’origine. L’aria, l’altitudine, l’escursione termica, persino l’orientamento delle valli incidono su asciugatura e maturazione. Per questo il legame territoriale è formalizzato: la zona di elaborazione coincide con la provincia di Bolzano, e il marchio IGP certifica che quello che assaggiamo non è una copia, ma la voce autentica di un luogo. Dagli anni Novanta la filiera si organizza e tutela, avviando l’iter che porta al marchio IGP e alle prime campagne di promozione. Il disciplinare è chiaro: solo cosce di suino disossate, rifilate, moderatamente salate e aromatizzate a secco entro quattro giorni dall’inizio della lavorazione. Poi affumicatura “a freddo” con legna non resinosa (tradizionalmente faggio) e temperatura del fumo non oltre i 20 °C, seguita da un lungo periodo di stagionatura. Non sono dettagli formali: sono gesti, odori, fisica del gusto. L’alternanza tra fumo e aria di montagna “apre” i pori del prosciutto, favorendo la penetrazione degli aromi senza arroventare la carne e lasciando una trama sensoriale delicata, più balsamica che aggressiva. La stagionatura si svolge in locali con sufficiente ricambio d’aria, a 10–16 °C e con umidità 55–90%. Il calo peso minimo è del 35% e i tempi minimi variano in base al peso della baffa: si va da 20 a 32 settimane, con un peso finale non inferiore a 3,4 kg.
Chi vuole capire davvero questo prodotto dovrebbe viverne la festa. Per anni la celebrazione simbolo è stata lo Speckfest in Val di Funes, ai piedi delle Odle, dove artigiani, musiche e ricette raccontavano la valle. Dal 2023 l’appuntamento principale si è spostato sul Plan de Corones, senza perdere il suo spirito popolare: due giorni tra fine settembre e inizio ottobre, degustazioni guidate, trekking panoramici, racconti di filiera. Nel 2025 l’evento è in calendario il 27–28 settembre nell’area di Brunico, mentre a Santa Maddalena (Val di Funes) sopravvive l’anima contadina con “Speck e Piacere” nel primo weekend di ottobre. È un rito collettivo: lo speck diventa pretesto per incontrarsi, assaggiare, riconoscersi in un territorio.
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