Zona di produzione
Forlì, Cesena, Romagna, particolarmente tradizionali nella zona di Brisighella
Descrizione
Il rosolaccio (fiuron d’grân, ròşla, ruşon, rôşa mata, al ròşli) è il comune papavero che in giugno illeggiadrisce i campi di grano. E’ una delle verdure più raccolte e consumate (prima della fioritura, è sottinteso).
Ricette
Tortelli coi rosolacci
Per 4-5 persone: 3 uova e farina bianca che basti per “spegnere” le uova stesse; un bel quantitativo di rosolacci lessati, ricotta, formaggio grattugiato, sale e pepe.
Tritate i rosolacci lessati, mescolarli ed impastarli bene con la ricotta, il parmigiano, sale e pepe. Dalla sfoglia si ritagliano gli usuali rettangoli e si preparano i tortelli nel modo consueto. Si cuociono in acqua salata e si condiscono a piacere: con burro, o salsa di pomodoro, o ragù di carne.
Era il piatto della domenica nel brisighellese. Se restavano dei tortelli per la sera, si mettevano, fra due piatti, sull’arola, con tutt’intorno la brunice.
E’ Lunëri Rumagnôl – Antologia di cultura romagnola – a cura di Gianni Quondamatteo, Grafiche Galeati – Imola 1981;
****
Tortelli con rosolacci
Altro piatto montanaro (o campagnolo) della Romagna, che riusciva a dare lustro ai giorni di festa (pochi in verità nella strada lunga un anno) per il pregio degli ingredienti, anche in questo caso come farina, uova, ricotta e formaggio.
Per la sfoglia: 4-500 g di farina, 3-4 uova, poco sale. Per il ripieno: 2-3 pugni di rosolacci ripuliti e selezionati, 300 g di ricotta fresca, 100 g di formaggio casalingo grattugiato; sale, pepe.
I rosolacci prescelti venivano sottoposti a calibratura, lessatura in poca acqua appena salata, indi scolati e strizzati battuti nel tagliere. Poi in una terrina si univano e si amalgamavano con cura la ricotta e il formaggio grattugiato (in genere di produzione contadina e destinati alla grattugia per gli utilizzi come quello in parola), sale, pepe, (fors’anche odore di noce moscata) ricorrendo ad 1 uovo per legare (oppure a poco latte o siero).
Nel contempo con gli altri ingredienti si preparava nel modo consueto la sfoglia, suddivisa in quadri, sui quali veniva distribuito singolarmente porzioncina del compenso, e se ne confezionavano i tortelli.
Anche in questo caso il condimento da riservare ad una minestra di riguardo era lasciato all’inventiva e all’estro dell’azdóra che si doveva misurare con la cronica povertà della mensa. <quindi sugo semplice e arrangiato, soffritto di cipolla e prezzemolo, in pochissimo strutto, conserva di pomodoro diluita – il più gettonato. La sformaggiata avrebbe conferito ulteriore sontuosità ai tortelli, sublimandoli pur ottenuti da un’erba povera, regalata dalla natura, a primavera di ogni anno.
Diciamo qualcosa in più di loro.
I rosolacci sono detti anche rosole o papavero selvatico giovane.
La pianta era notoriamente infestante e coloratissima, alle azdóre romagnole la pianta interessava allo stato rigorosamente giovane, cioè i giovani germogli, le rosette basali, raccolte ben prima della fioritura. Da sole o con altre erbe venivano usate in cucina per il ripieno dei cassoni, le padellature (previo breve prelessatura, ma non necessariamente) e tra l’altro anche nei ripieni, zuppe e minestre. Più mature le medesime parti delle piante sarebbero risultate dure, insapori e improponibili.
G. Pozzetto, Le minestre romagnole di ieri e di oggi, Panozzo Editore, 2009
Cenni storici
…Anche Eugenio Cavazzuti scrive della “seganda” a cui partecipavano numerosi giovani falciatori e giovani rastrellatrici. “Il lavoro”, nota, “era inframmezzato da numerose mangiate consumate parte in luogo e parte in casa con abbondanti libazioni del miglior vino serbato per la circostanza. Ecco la sequenza dei pasti:
Generalmente in un giorno si mangiava ben cinque volte e cioè: Prima colazione o panetto alle ore 7, salumi casalinghi, formaggio, cipolle, scalogne. Colazione grossa ore 10, pasta asciutta (maccheroni o tagliatelle). Desinare ore 12, minestra in brodo (cappelletti, fettuccine) e lesso. Merenda ore 4 [cioè ore 16], lesso freddo oppure arrosto, ova fritte, salumi. Cena a lavoro finito, piê fretta (piada o pizza fritta), tortelli, ciambelle, insalata. Vino sempre del migliore e di più qualità.
E. Cavazzuti, Di alcune usanze popolari delle Alfonsine e della zona limitrofa della Romagna Bassa, Società Tipo-Editrice Ravennate dei Mutilati, Ravenna 1934, p. 10
E. Baldini La Sacra Tavola – Il cibo e il convivio nella cultura popolare romagnola: simbolismi, riti e tradizioni – 2003 Tipolitografia Lipe – San Giovanni in Persiceto (BO)
A prima vista potrebbe sembrare un piccolo borgo come se ne vedono tanti in Italia, ...
Nel 1600 in una taverna campana un cuoco decise di usare le patate in maniera ...
L'Umbria è apparsa sul New York Times, qui infatti si consigli un'itinerario, ...
È il borgo del Brunello, una di quelle tappe da non perdere in Toscana e da ...
©
2024 Valica Spa. P.IVA 13701211008 | Tutti i diritti sono riservati.
Per la pubblicità su questo sito
Fytur