Materia prima: latte di pecora (ma in taluni casi e periodi anche misto con latte vaccino). Eccelle quello esclusivo di razza “montagnola moscata”. Alimentazione: prevalentemente a veccia.
Tecnologia di lavorazione: si porta il latte crudo, spesso appena munto, a 35 gradi, aggiungendovi “u quacchiu” (caglio di capretto o agnello, ricavato in proprio) sciolto in un poco di latte. Dopo la coagulazione, la massa viene spurgata, messa nelle forme ed infine immessa in siero bollente per 1-3 ore, a seconda del peso delle forme. La salatura si effettua dopo circa 3-8 giorni, anche a seconda della stagione, con bagnature di acqua e sale per un mese e mezzo. Matura in 45 giorni, in ambiente fresco e ventilato.
Stagionatura: da 3-8 fino a 12-18 mesi circa, in ambiente fresco e buio. Durante questo periodo, le forme vengono girate ogni 4-6 giorni e passate con uno straccio umido. Periodicamente vengono unte con olio (talvolta misto ad aceto).
Caratteristiche del prodotto finito: altezza: cm 10-20; diametro: cm 30 (in media); peso: Kg 4-20; crosta: ruvida, segmentata, colore bianco sporco; pasta: compatta.
Area di produzione: molte zone siciliane. Degne di menzione: provincia di Enna (Nicosia, Troina, Cerami, Piazza Armerina); Lentini (SR); Gratteri (PA); S. Fratello (ME); Mistretta (ME); Bompensiere (CL); Militello Rosmarino (ME); Gangi (PA); Bronte (CT); Novara di Sicilia (ME); Salemi (TP); Tripi (ME).
Calendario di produzione: ottobre-giugno; la produzione migliore è quella da marzo a maggio.
Note: il processo di lavorazione di questo tipo di pecorino è pressappoco identico o varia di poco da zona a zona. A dare un diverso sapore è il diverso grado di grasso presente nel latte, l’alimentazione degli animali o la differente stagionatura. Esiste una notevole sovrapposizione di nomi, che non di rado disorientano ricercatori e consumatori, ma il prodotto è sostanzialmente identico anche se il gusto e la forma dipendono e variano da caso a caso. Il nome Canestrato deriva dal canestro in cui il formaggio viene fatto maturare e che conferisce alla crosta una particolare forma rugosa. Nel dialetto stretto siciliano permane l’uso di chiamarlo tumazza (soprattutto nelle aree interne); il dialetto siciliano “moderno” preferisce l’uso di picurinu, canestratu, ‘ncanestratu.
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